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Autore Discussione: RUMORE con Fanpage. Brutta storia di spionaggio con lo spyware di Paragon.  (Letto 362 volte)
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« inserito:: Febbraio 22, 2025, 11:37:24 pm »

Ciao Gaetano
e scusaci se continuiamo a insistere su questa brutta storia di spionaggio con lo spyware di Paragon. Se lo facciamo, non è per vittimismo, né per far parlare di noi. Semplicemente, perché riteniamo sia molto grave che un giornalista e degli attivisti siano spiati in Italia (Europa, Occidente). E perché, da giornalisti, vogliamo andare fino in fondo per capire chi ci ha spiato, quando, come e perché.
Non è retorica: questa è una di quelle piccole, grandi cose su cui si misura lo stato di salute di una democrazia, e noi non possiamo passarci sopra. Ancora di più, visto il disinteresse quasi completo del resto dei media italiani.

Siamo noiosi, lo sappiamo, ma anche questa è una delle ragioni per cui ha senso abbonarsi a Fanpage: perché abbiamo la testa dura.

Fine delle comunicazioni di servizio. Ecco le vostre domande e le nostre risposte. Scrivicene sempre tantissime: a noi fa molto piacere leggerti e risponderti.
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Voglio capire di più su Paragon.
Giovanni
Cominciamo col riassunto delle puntate precedenti, Giovanni - che se sei abbonato a Fanpage, puoi ascoltarti anche nella puntata del mio podcast Direct dedicata al caso.

Venerdi 31 gennaio, io e altre 90 persone circa siamo state avvisate da WhatsApp (cioè, da Meta) che più o meno un mese prima avevano interrotto un’attività di spionaggio portata avanti ai nostri danni da un software spia che aveva infettato il nostro telefono. Questo software lo produce l’israeliana Paragon Solution e solo 37 governi al mondo - democratici e alleati degli USA - lo possono acquistare.

Prima cosa certa, quindi: a spiarci è stato un governo democratico e occidentale.

Qualche giorno dopo, mercoledì 5 febbraio, è il Governo italiano stesso, in una nota, che ci dice che la lista si restringe a tredici Paesi europei. Tra questi Paesi c’è anche l’Italia? Sì, perché due giorni dopo, è il 7 febbraio, due diversi giornali - l’inglese Guardian e l’israeliano Haaretz - annunciano che l’azienda avrebbe interrotto almeno uno dei due contratti in essere con l’Italia - uno con un’agenzia d’intelligence, uno con una forza di polizia - per violazioni del codice etico. Segnatamente, per aver spiato con quel software, giornalisti e attivisti.

Seconda cosa certa: l’Italia ha in uso Paragon, e qualcuno potrebbe aver spiato chi non doveva.

A questo punto però le cose si complicano. Perché mercoledì 12 febbraio, il Governo, per bocca del ministro Luca Ciriani, interrogato da Pd e Cinque Stelle, dice che il contratto dell’intelligence italiana con Paragon è ancora perfettamente funzionante, ma venerdì 14 febbraio, attraverso una nota di agenzia, si scopre che invece quello stesso contratto è stato sospeso di mutuo accordo fino alla fine delle indagini sul caso.
Nel frattempo, nulla si sa di quale sia il corpo di polizia che ha in uso lo spyware di Paragon: polizia, carabinieri e finanza smentiscono. Rimane solo un corpo di polizia che tace, per ora: la polizia penitenziaria, che risponde al ministero della giustizia.

Delle due, una: se la polizia penitenziaria ammettesse di essere l’unico corpo di polizia che ha in uso Paragon, sarebbe interessante capire se quel contratto è stato sospeso come dicono Haaretz e Guardian, e perché. Se smentisse ufficialmente, evidentemente, il caso si complicherebbe ulteriormente: ci sono giornalisti e attivisti spiati con Paragon, due contratti firmati tra Paragon e l’Italia, almeno uno dei due sospeso per violazioni dei termini etici, ma non si capisce chi usi quel software, né tantomeno chi l’abbia usato per spiare chi non doveva.

In tutto questo, è curioso che esponenti del Governo e della maggioranza passino il loro tempo a discolparsi, ad attaccare chi è vittima di questa situazione e a minacciare, nemmeno troppo velatamente, chi mette in dubbio le loro - e solo loro - granitiche certezze sul fatto che nessuno, dall’Italia, abbia spiato giornalisti e attivisti.
Francesco Cancellato
Direttore di Fanpage.it
 
Perché non parlare degli sviluppi positivi in Sudan e del cessate il fuoco in Birmania?
Manuel
Ciao Manuel, grazie per la tua domanda che “sfruttiamo” per ricordare che gli “esteri” non sono solo le guerre più vicine e recenti - pensiamo ad esempio all’Ucraina e a Gaza - di cui scriviamo e sentiamo parlare quotidianamente in tv, anche a causa delle ripercussioni sull’Europa e sul nostro Paese. Ci sono tante “guerre dimenticate” nel resto del mondo, nel Sudan di cui parli tu c’è ad esempio una situazione drammatica che si trascina ormai da tempo. Solo qualche mese fa Francesca Arcidiacono, vice capomissione Medici Senza Frontiere in Sudan, usava la parola “catastrofe” per parlare del Paese africano, teatro di migliaia di morti e feriti e milioni di sfollati interni. Per Save the Children, gli ultimi tre mesi del 2024 sono stati i peggiori dei due anni di guerra che sta devastando il Paese: l’organizzazione ha denunciato che bambini e le loro famiglie, soprattutto quelli che si rifugiano nel Darfur settentrionale e a Khartoum, hanno subito bombardamenti e attacchi indiscriminati con conseguenze devastanti.

Cos’è cambiato più di recente? Nelle ultime settimane, l’esercito regolare ha raggiunto delle vittorie nella guerra civile che sta combattendo contro il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF). Sarebbero vicini a riconquistare la capitale e questo potrebbe cambiare la situazione sul campo.

Per quanto riguarda la Birmania, invece, il 2025 segna il quarto anniversario della guerra civile in Myanmar, era il 2021 quando l’esercito prese il controllo del Paese destituendo il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi. Attualmente, il Myanmar è un paese frammentato, che fa i conti con le conseguenze del conflitto, e in uno scenario del genere gioca un ruolo chiave l’intervento di attori internazionali, come ad esempio la Cina.
Nel gennaio di quest’anno, Pechino ha facilitato la firma di un nuovo accordo di cessate il fuoco tra la giunta militare e il Mndaa. Si tratta di un secondo tentativo di tregua in pochi mesi, tuttavia a oggi la tenuta del cessate il fuoco resta incerta.
Come spiega l’Ispi in una recente analisi, l’evoluzione della guerra dipenderà dalla capacità dell’opposizione di superare le divisioni e dalla tenuta del regime, e senza una svolta decisiva, il rischio è che il Paese resti intrappolato in un conflitto prolungato con conseguenze devastanti per i civili e la stabilità dell’intera regione.
Susanna Picone
Capa area Cronaca Fanpage.it
 
Buongiorno, mi domandavo perché nessuno, neppure da parte della cosiddetta sinistra, si è mai permesso di chiedere alla Presidente del Consiglio perché alle orrende e violente parole di Trump si alzava in piedi per applaudire? Gradirei sapere sempre dalla Meloni se sia veramente d'accordo che costui si prenda di prepotenza la Groenlandia, il Canada e il canale di Panama?
Claudio
Ciao Claudio, la tua domanda coglie un aspetto cruciale di questo momento storico: il cambio di paradigma nei rapporti tra Unione Europea e Stati Uniti, dopo la vittoria elettorale di Donald Trump e nel pieno di una crisi geopolitica di portata mondiale, che coinvolge Russia e Cina. Un manifesto di ciò che sta avvenendo e che accadrà è rappresentato dal discorso del vicepresidente statunitense JD Vance, che ha duramente attaccato non tanto (o meglio non solo) l’Europa come entità politica, quanto piuttosto una visione culturale e sociale distante anni luce dai progetti di Trump e Musk. A essere sotto attacco è il modello che qui nel Vecchio Continente abbiamo costruito (o tentato di costruire) dalla fine della seconda guerra mondiale: una società aperta, inclusiva, allargata, con un forte ruolo degli Stati nazionali (non solo in campo economico) e con la difesa strenua dei pilastri della democrazia liberale.

Non è questa la sede per approfondire risultati e limiti del sogno europeo, chiaramente, ma il punto è che siamo in presenza di un modello completamente alternativo al cesarismo trumpiano e a ciò che resta dell’imperialismo putiniano. E che per questo rappresenta un bersaglio da colpire, anche sostenendo le forze che al suo interno puntano a distruggerlo. In tal senso, come giustamente noti anche tu, non è molto confortante sapere che in tanti, a partire dalla nostra presidente del Consiglio, non hanno la volontà politica di difendere e rafforzare il modello europeo, ma preferiscono strizzare l’occhio alle pulsioni autoritarie e alle spinte per disegnare delle società più chiuse e diseguali.
Adriano Biondi
Condirettore Fanpage.it
 
Più che una domanda è una considerazione. È da un anno e mezzo che vediamo in tv lo scempio che fa Israele nella terra di Gaza ammazzando a sangue freddo la povera gente inerme. L'ha rasa al suolo. E noi continuiamo a gridare lo sdegno prendendoci degli antisemiti. E nulla cambia. Anzi. Ho l'impressione che l'America potrà fare qualsiasi nefandezza e tutti grideranno ma senza poter fare nulla di concreto. Purtroppo sarà così. Spero di sbagliarmi.
Claudia
Cara Claudia, condivido le tue riflessioni e il tuo senso di sconforto e impotenza. Da 16 mesi assistiamo in diretta a un massacro di innocenti - secondo molti a un vero e proprio genocidio - ed il mio timore è che quello che sta accadendo finisca per diventare in futuro un “rumore di fondo” al quale non faremo neanche più caso.
In tutto il mondo sono state organizzate proteste, campagne di boicottaggio, manifestazioni in solidarietà del popolo palestinese, eppure nulla sembra cambiare e lo stesso cessate il fuoco iniziato il 19 gennaio vacilla dopo le dichiarazioni di Donald Trump e il suo esplicito intento di deportare i gazawi per realizzare nella Striscia la “Costa Azzurra” del Medio Oriente, con hotel e appartamenti di lusso edificati su decine di migliaia di cadaveri.
Abbiamo chiesto ad alcuni palestinesi cosa ne pensano.

Dal mio punto di vista occorre però allargare la riflessione: quello a cui stiamo assistendo da parte di alcuni Stati, a partire da Israele e USA, non riguarda solo Gaza e i palestinesi. La posta in gioco è molto più alta e riguarda la legittimità stessa di organismi come la Corte Penale Internazionale e la Corte Internazionale di Giustizia chiamati a giudicare l’operato di Stati e individui. Gli attacchi a questi tribunali sono gravi perché essi sono stati ideati innanzitutto per difendere i soggetti più deboli, quelli che non dispongono della forza politica, economica e militare per far valere le proprie ragioni. Quello di Tel Aviv e Washington è in tutta evidenza un approccio distruttivo non solo della nostra fiducia nel diritto internazionale, ma della tenuta stessa dell'architettura dell'ordine giuridico internazionale emersa nel secondo dopoguerra. Stiamo cioè ammettendo che lo standard di distruzione di tutte le guerre future sia questo che vediamo a Gaza, ovvero che sia accettabile uno stampo delle ostilità di tipo genocidario.
Davide Falcioni
Redattore area Cronaca Fanpage.it
 
Direi che è tutto, anche per oggi.
Grazie per averci accompagnato fino a qua!

A presto,
Francesco

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