LA-U dell'OLIVO
Novembre 23, 2024, 02:38:38 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Napoli, blitz contro il clan Sanità.  (Letto 6985 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Gennaio 28, 2008, 11:34:00 pm »

Napoli, blitz contro il clan Sanità.

La Procura: è solo la prima puntata

NAPOLI


Sei persone arrestate, delle quali cinque affiliate ai clan Nisso e agli scissionisti Torino, sequestro beni per oltre 10 mln di euro e alcuni indagati, tra i quali un consigliere regionale della Campania. È questo il bilancio di una operazione anticamorra della procura di Napoli, con decreti di fermo eseguiti questa notte dal Rono dei Carabinieri e sigilli apposti dal Gico della Guardia di finanza.

«Questa è la prima puntata, presto ce ne saranno altre...», ha commentato il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovandomenico Lepore riferendosi alla indagine sulla presunta collusione tra clan della camorra e esponenti politici. Il procuratore è intervenuto nel corso della conferenza stampa convocata per illustrare i particolari dell’operazione. La sesta persona fermata è il referente del popoloso e popolare quartiere della Sanità del clan Lo Russo.

Tra le indagini si sono sviluppate anche attraverso le dichiarazioni di pentiti, alcuni dei quali eccellenti, come il capo del gruppo Nisso, Giuseppe, il fratello Emiliano Zapata e il cugino Michelangelo massa ma anche attraverso intercettazioni telefoniche, servizio di osservazione e l’esame di documenti acquisiti in uffici pubblici. Complessivamente ci sono 31 indagati, uno dei quali è il consigliere regionale Roberto Conte, già indagato nell’ambito di una inchiesta su irregolarità nell’assegnazione di appalti che ha portato di recente a 13 arresti.

Le indagini della Direzione distrettuale antimafia hanno individuato anche le responsabilità del capo del clan in un omicidio avvenuto il 15 maggio 2001; Mario Ferraiuolo, ex affiliato del clan, collaborando con la giustizia aveva aiutato gli inquirenti nell’acquisire prove a carico del boss, poi coinvolto nella strage del treno 904 del 23 dicembre 1984, venendo prima condannato all’ergastolo insieme a personaggi del calibro di Pippo Calò e poi assolto in Cassazione.

Tra i beni sottoposti al sequestro immobili per un valore stimato oltre i 5 mln di euro, compreso un ex albergo nel cuore di Napoli trasformato in residence e intestato ad una società svizzera, ma anche la cappella cimiteriale della famiglia Nisso e il 50% di un noto ristorante di Posillipo; 32 veicoli; 6 aziende e quote di partecipazione in società il cui valore effettivo è stato valutato in via prudenziale in 5 mln di euro. All’esponente politico sarebbe contestato di aver ottenuto l’appoggio del clan nella campagna elettorale del 2001 in cambio di promesse di assunzioni e appalti. I clan Nisso e Torino sono protagonisti di un contrasto sanguinoso che ha portato ad alcuni omicidi tra il 2005 e il 2006.

da lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Gennaio 29, 2008, 10:48:26 pm »

Dottor lottizzato

di Paolo Biondani e Peter Gomez


Primari scelti dai politici. Non solo nel caso Mastella. L'esempio di un ospedale di qualità a Milano: il Niguarda. Dove Comunione e Liberazione del governatore Roberto Formigoni si è aggiudicata tutti i posti di comando  L'ospedale Niguarda "è da troppi anni una cittadella rossa. Noi vi faremo smettere di essere rossi". Sono passati quasi tre lustri da quando Carlo Borsani (An), il primo assessore alla Sanità dell'era Formigoni, annunciava ai sindacati la volontà di ricolonizzare la struttura simbolo della sanità pubblica in Lombardia. Alcuni delegati pensarono alla scherzosa boutade di un nostalgico. Altri risposero per le rime: "Non riuscirete a farci neri". Neri no, ma bianchi sì. Ciellini, per la precisione.

Dopo le intercettazioni dell'inchiesta sui coniugi Mastella, la questione dell'invadenza dei partiti nelle nomine sanitarie investe tutta Italia. Come l'Udeur in Campania, anche Cuffaro in Sicilia, Loiero in Calabria o Galan in Veneto sono stati accusati, spesso anche dai partiti alleati, di aver piazzato i loro raccomandati sulle poltrone dei direttori generali, i manager pubblici chiamati a gestire una spesa sanitaria che nel 2008 supererà i 101 miliardi. Ma la storia dell'occupazione politica del Niguarda ha un valore esemplare di caso nazionale. Perché la Lombardia resta la regione più ricca d'Italia e assorbe ogni anno ben 17 miliardi di euro di spesa sanitaria. Perché il governatore Roberto Formigoni, il leader politico di Comunione e liberazione al potere dal 1995, ne ha fatto il laboratorio di un nuovo modello assistenziale che favorisce le strutture private con il 30 per cento del totale delle uscite pubbliche. Perché a Milano era nata la più inconfutabile inchiesta contro la lottizzazione partitica. E perché, nonostante la privatizzazione dei profitti (finanziati con tasse statali e addizionali regionali), gli ospedali pubblici della Lombardia rimangono presidi di efficienza e qualità, capaci di calamitare il 20 per cento dei pazienti in trasferta da altre regioni.

Con 714 medici e 1.540 infermieri in un complesso di 4.170 dipendenti,
il Niguarda è uno dei più importanti ospedali del nord Italia. Fino ai primi anni Novanta era guidato da una dirigenza laica, con una forte caratterizzazione di sinistra. Nel 1992 il socialista Mario Chiesa, l'arrestato numero uno di Mani pulite, è il primo a svelare la lottizzazione sanitaria, assegnando il Niguarda alla corrente migliorista del Pci-Pds. Caduta la prima Repubblica, la lottizzazione continua e in Lombardia scoppia uno scandalo che coinvolge perfino la Lega ancora forcaiola. Il 31 dicembre 1994 sette capigruppo vengono sorpresi da una giornalista del 'Corriere' mentre si dividono le poltrone dei direttori generali tra liti e siluri: "Allora, ricapitoliamo: 24 posti ai popolari, 14 alla Lega, 10 ai socialisti, 7 al Pds...".

Nell'agosto '98 il tribunale conclude che "è pienamente provato che le nomine furono effetto di accordi spartitori tra i politici" e denuncia la lottizzazione come "eclatante strumentalizzazione del potere pubblico per fini privati". "Non vi è dubbio", concludono i giudici, che i politici andrebbero condannati per "abuso d'ufficio", che però "non è più previsto dalla legge come reato". Infatti il 16 luglio 1997, nel bel mezzo del processo, il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza una riforma, su proposta trasversale di Saraceni dei Ds e Cirami di Forza Italia, che ha legalizzato la lottizzazione. Prima i politici dovevano almeno fare finta di scegliere "i più capaci e meritevoli". Da quel giorno la lottizzazione diventa scoperta. E nel novembre '98 la Lombardia di Formigoni, con una legge regionale, perfeziona il sistema, stabilendo che spartirsi le nomine è addirittura un diritto: i partiti devono essere liberi di "premiare solo chi garantisce maggiore affidabilità rispetto all'indirizzo politico".

Sulla poltrona di direttore generale del Niguarda si insedia cosìPietro Caltagirone, nato nel 1949 in provincia di Palermo, ciellino per convenienza come il suo grande protettore Giancarlo Abelli, l'ex democristiano passato a Forza Italia che è il vero ras della sanità lombarda. Caltagirone resta in carica nonostate una condanna definitiva per falso ideologico e abuso patrimoniale: quando guidava l'ospedale Fatebenefratelli ha truccato un appalto per favorire illegalmente un amico imprenditore. La giunta regionale si limita a spostarlo all'ospedale di Lecco, la città di Formigoni. E nel dicembre scorso lo risistema al vertice del Policlicnico San Matteo di Pavia, la città di Abelli. Al suo posto, al Niguarda, Formigoni nomina e poi riconferma Pasquale Cannatelli, che non ha mai nascosto la sua fede ciellina: nel suo studio, là dove i predecessori laici tenevano il ritratto del capo dello Stato, oggi campeggia una sua foto con don Giussani, il fondatore di Cl. Come tutti i dg, Cannatelli è libero di scegliere il direttore amministrativo e quello sanitario: al Niguarda ha voluto

Marco Trivelli e Luca Munari, che i sindacati etichettano come 'super-ciellini'. Entro il 21 gennaio tutti i dg lombardi dovranno riassegnare anche queste 97 poltrone dei loro più stretti collaboratori. Nell'attesa Munari è passato alla sanità privata. E Cannatelli ha affidato l'interim al capo della direzione di presidio, Carlo Nicora: sarà un caso, ma anche lui è ciellino.

In ogni ospedale i dirigenti scelti dai politici condizionano, a cascata, le assunzioni dei medici: capidipartimento, primari, aiuti e assistenti. Nei primi anni '90 una legge criminogena ha infatti abolito i concorsi: il manager fedele al partito istituisce una commissione che si limita a seleziona gli 'idonei', ma poi è lui a stabilire discrezionalmente il vincitore. E così al Niguarda medici e primari con la tessera si contano a decine. Il capo del maxi-dipartimento d'emergenza è Raffaele Pugliese, il leader dell'associazione dei medici ciellini. Alle ultime elezioni regionali, Pugliese è entrato nell'aneddotica dei rapporti tra politica e sanità scrivendo lettere-fotocopia a tutti i pazienti: "In virtù del servizio che abbiamo potuto offrirle, mi permetto di suggerirle di sostenere la rielezione di Formigoni". Probabilmente bravi e sicuramente ciellini sono molti altri medici, a cominciare da tutti i primari degli ultimi 15 anni. Tra i formigoniani doc spiccaMarco Botturi, numero uno del dipartimento di Radioterapia, il più ricco di mezzi e finanziamenti regionali. Ciellini da una vita sono anche anche Fabrizio Colombo (primario di Medicina), Francesco Mauri (Cardiologia), Claudio Betto (Rianimazione), Nicola Orfeo (Epidemiologia) e Giovanni Gesu (Microbiologia). Mario Marazzi (Terapia della pelle) fa eccezione: ha confidato di appartenere all'Opus Dei. Oltre alla fede politica, per le carriere dei primari conta la provenienza geografica: i più lanciati arrivano da Lecco, Merate o Varese, i feudi elettorali di Cl. Attraverso i camici bianchi, il movimento cattolico influenza anche il personale amministraativo e gli infermieri. Chi parla teme ritorsioni e chiede la garanzia dell'anonimato. "Sembra quasi di essere tornati ai tempi del fascismo", testimoniano funzionari e medici laici: "Al Niguarda c'è il paartito unico". Anche molti dei 'vecchi' medici laici di oncologia o cardiologia hanno finito per agganciarsi al carro di Cl. E formigoniani di stretta ossservanza, tra gli altri, sono la responsabile della comunicazione Monica Cremonesi, il capo dell'ufficio libera professione Matteo Stocco e il dottor Vincenzo Nicotra, che ha l'appalto esterno del Dental Service: una società di dentisti privati che dal marzo 2004 è ospitata nella struttura pubblica. Nonostante un'autorevole denuncia. Il 2 maggio 2006 lo storico primario di Odontostomatologia, Mario Cirincione, accusa il Dental Service di rovinare i pazienti per interessi di profitto economico. La denuncia, che 'L'espresso' ha letto, cita casi di "tumori maligni scambiati per funghi", di "immigrati poverissimi convinti a ricostruire dentature in realtà perfette", di malati terrorizzati con diagnosi di "lesioni precancerose inesistenti". Il primario chiede di far intervenire la Procura. Invece "la direzione sanitaria trasmette l'esposto al medico privato accusato dei misfatti", che può così denunciare il denunciante. A quel punto il primario si presenta per deporre per l'accusa. Poi chiede il prepensionamento e lascia l'Italia.

Gli effetti dell'avanzata dell'integralismo cattolico sono documentati anche dalle difficoltà di applicazione della legge sull'aborto, che l'anno scorso hanno innescato un durissimo scontro sindacale. I ginecologi assunti negli ultimi dieci anni sono tutti obiettori. Per cui le interruzioni di gravidanza pesano sulle spalle di soli tre medici, costretti a rinunciare alle ferie e ai riposi. Mentre le donne si vedono convocare alle sei del mattino, devono aspettare per ore sulle scale perché manca anche una sala d'attesa, prima di finire su un lettino con la scritta: aborto. Tutto questo, fino alle proteste dell'anno scorso, ma ora il problema si ripete per la fecondazione assistita.

A fianco dei ciellini, nell'ospedale lombardo intanto cresce una cordata di medici calabresi e soprattutto siciliani. E del Niguarda comincia a occuparsi perfino la Procura di Palermo: se ovunque la politica occupa la sanità, in certi ospedali il vero potere è della mafia. Il 15 settembre 2005 le microspie della polizia registrano un vertice tra due boss di Cosa nostra, Antonino Rotolo e il medico mafioso Tonino Cinà. Parlano di un dottore del Niguarda di Milano interessato a un concorso per "la neurochirurgia del Civico", l'ospedale di Palermo. Cinà ha un nipote, Salvatore Spinnato, neurologo al Niguarda. Il posto di primario lo vorrebbe un suo amico, quindi bisogna agganciare politici siciliani, ma "non Totò Cuffaro, altrimenti lo arrestano subito". L'aggancio alternativo è con Giovanni Mercadante, radiologo e deputato regionale di Forza Italia, poi finito in manette per mafia: Cinà dice che "ha un legame forte con Miccichè", il numero uno degli azzurri in Sicilia. Il raccomandato è Giuseppe D'Aliberti, 49 anni, catanese, vice-primario di Neurologia del Niguarda. Per aiutarlo con il politico si mobilita anche il suo "capo", Massimo Collice. Il primario lo incontra il 21 aprile 2006 a Palermo. Mercadante gli suggerisce una strada per favorire D'Aliberti: "Sarebbe opportuno che qualcuno possa fare una grossa pressione su Miccichè... attraverso il neurochirurgo del San Raffaele... Il neurochirurgo dovrebbe indicare a don Verzè di parlare con Miccichè, e l'argomento è chiuso". Collice non contesta il metodo, ma l'intermediario: "Non so il rapporto tra il neurochiururgo e don Verzè, cioè se sia in grado di far chiamare...". Mercadante taglia corto: "Beh, loro devono molto a Miccichè... Eh, noi abbiamo regalato un ospedale da cento miliardi a don...". Collice: "So, so, so abbastanza".

Sentito come teste, il neurologo Spinnato conferma: "D'Aliberti mi chiese se conoscevo qualcuno che potesse dargli una mano per il concorso. E Mercadante mi riferì che l'orientamento dell'ospedale andava verso un candidato interno, suggerendo di riferire a D'Aliberti di rafforzarsi con il San Raffaele". Mentre il direttore generale del Civico, Francesco Licata, ammette che D'Aliberti gli fu "segnalato dai primari Collice e Rapisarda del Niguarda, dall'onorevole Guido Lo Porto (An) e dall'assessore regionale Pistorio". A diventare primario fu però "il dottor La Seta", che "mi fu indicato dall'onorevole Pippo Fallica", ma vinse "perché aveva maggiore anzianità e migliori titoli".

Il 19 luglio 2006, una settimana dopo l'arresto del forzista Mercadante, il neurologo D'Aliberti viene sentito come testimone: "La mia richiesta a Mercadante", giura, "non aveva la finalità di un suo intervento in mio favore per il posto di primario, ma di verificare se avrei potuto svolgere i miei compiti senza pressioni di esponenti politici o peggio ancora di mafiosi". E per sincerarsene, cosa c'è di meglio che chiedere a un medico politico che, sfortunatamente, è tuttora in cella per mafia?

(28 gennaio 2008)
da espresso.repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Gennaio 29, 2008, 10:50:47 pm »

CRONACA

Roberto Conte, eletto nella Margherita e ora nel Pd, coinvolto nell'inchiesta che ha portato al fermo di sei presunti camorristi e al sequestro di beni per dieci milioni

Napoli, indagato consigliere regionale

Il procuratore: "E' solo l'inizio"


NAPOLI - "Questa è la prima puntata, presto ce ne saranno altre". Così il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovandomenico Lepore, ha commentato l'indagine sulla presunta collusione tra clan della camorra ed esponenti politici che vede tra gli indagati il consigliere regionale Roberto Conte, eletto nella Margherita e appartenente al Partito democratico. L'inchiesta ha portato oggi al fermo di cinque presunti appartenenti al clan Misso, attivo nel Rione Sanità, e al referente dello stesso quartiere del clan Lo Russo. Disposto inoltre il sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro.

Secondo indiscrezioni Conte è indagato perché avrebbe ottenuto l'appoggio per la campagna elettorale nel 2001 in cambio di promesse di assunzioni e appalti a favore della camorra. Nelle scorse settimane l'esponente del Pd era stato coinvolto anche in un'altra indagine condotta dalla sezione "reati contro la pubblica amministrazione" della Procura sulle forniture al Consiglio regionale e al Comune di Napoli.

Il coordinatore della Dda di Napoli, Franco Roberti, ha parlato - senza farne il nome - dell'esponente politico sottoposto a indagini: si ipotizza che "avesse chiesto un appoggio elettorale al clan, in cambio di promesse di posti di lavoro e partecipazione ad appalti". Riguardo al fatto che il boss Misso è considerato da sempre vicino ad ambienti di estrema destra, Roberti ha replicato che in questo caso "ha messo da parte la fede ideologica per appoggiare un candidato di una sponda opposta".

Le ultime indagini si basano sulle dichiarazioni fatte da diversi pentiti tra i quali Giuseppe ed Emiliano Zapata Misso, nipoti del boss del Rione Sanità. Un contributo alle indagini è stato offerto dallo stesso "storico" capoclan Giuseppe Misso, il quale negli ultimi tempi ha avviato una collaborazione con gli inquirenti. Le rivelazioni riguardano, tra l'altro, anche la faida esplosa al Rione Sanità tra il 2005 e il 2006 tra l'organizzazione dei Misso e quella "scissionista" che fa capo a Salvatore Torino.

I fermati sono Vincenzo Candurro, di 56 anni; Gennaro Palmieri, 60; Carmine Grosso, 43; Giovanni Penniello; 55, Nicola Sequino, 39; Salvatore Sequino, 34. Nell'inchiesta si fa riferimento anche all'omicidio di Mario Ferraiuolo, avvenuto a Napoli il 15 maggio 2001. L'ex affiliato del clan Misso fu assassinato per aver accusato il boss Misso al processo per la strage del rapido 904 del 23 dicembre del 1984, accusa dalla quale Misso fu poi assolto dalla Cassazione. Per tale delitto è indicato come uno degli esecutori Carmine Grosso.

Tra i beni sequestrati vi sono 39 immobili e in particolare un appartamento di undici stanze a largo Donnaregina a Napoli, residenza dei Misso; l'ex albergo Bassani in vico Duchessa, un edificio su cinque livelli; un lussuoso appartamento di dodici vani in via Foria; una villetta a Casamicciola nell'isola d'Ischia; una cappella cimiteriale della famiglia Misso dal valore di 90 mila euro; il 50 per cento delle quote del ristorante "Il Delicato". Sequestrati anche 32 veicoli, tra cui auto di lusso e sei aziende e 15 quote di società.

(28 gennaio 2008)

da repubblica.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!