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« inserito:: Gennaio 28, 2008, 05:30:59 pm » |
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Thyssen, dopo le condoglianze e i soldi lo schiaffo del dossier
Giampiero Rossi
Il sottofondo è lo stesso in quasi tutte le case: rumori che provano la presenza di bambini molto piccoli. Fino a una cinquantina di giorni fa giocattoli schiantati al suolo, videogame, televisione, canzoncine, risate infantili o capriccetti piagnucolosi erano la colonna sonora domestica di quasi tutti gli operai uccisi dal rogo della ThyssenKrupp. Ora quei suoni riempiono in qualche modo il vuoto lasciato da quelle sette vite nelle rispettive famiglie e scandiscono a mamme e nonni i mille motivi per guardare avanti.
Non è facile, però. L'eco dei trilli dei telefoni che hanno squarciato la notte del 6 dicembre è ancora una frustata che fa male. Ci sono sette famiglie mutilate, ci sono vuoti che non sarà facile colmare, ci sono vedove che ancora non riescono a trovare la forza per tornare in «quella» casa e bimbi che hanno «paura» del papà morto apparso in qualche ricorrente incubo notturno. E poi, ancora, ci sono il fardello delle necessità pratiche e le incognite sul futuro. A queste dovrebbe provvedere - e in minima parte lo ha fatto quasi subito - l'azienda che si è mangiata quei sette uomini, ma quel nome, ThyssenKrupp, porta con sé non soltanto l'ustione indelebile e collettiva del 6 dicembre, ma anche l'offesa delle frasi rubate al dossier segreto che trattava gli operai, vivi e morti, come fastidiosi intralci.
Racconta tutto questo con semplicità, Tina Schiavone. Oltre a un mare di ricordi, oltre a un vuoto che in certi momenti opprime il respiro, Antonio, suo marito morto per primo tra le fiamme della linea 5 dell'acciaieria, le ha lasciato una casa in provincia e tre bambini che, proprio mentre Tina racconta con le parole "povere" ma chiare della quotidianità, fanno il loro lavoro di bambini: piangono, giocano, cadono, chiedono qualcosa alla mamma che intanto cerca di rispondere alla domanda «come va?». Il più "grande" ha 6 anni, il secondo ne ha quattro, l'ultimo arrivato ha quasi tre mesi. Non potrà avere ricordi di Antonio, perché era nato da un mese quando papà è stato cancellato da questo mondo. «Eh, come va... - dice Tina Schiavone ripetendosi due o tre volte quella domanda - da fare non mi manca certo, mi devo occupare di loro tre, non posso certo lasciarmi andare». Quei tre bimbi sono il suo lavoro a tempo pieno. Lo erano già prima, perché Antonio si caricava di straordinari proprio perché qualche soldo in più faceva comodo, figuriamoci adesso che all'improvviso deve fare da madre e da padre. La giovane signora Schiavone, però, ha saputo accettare l'aiuto di uno psicologo, soprattutto per i due figli più "grandi".
Ma come si fa a mandare avanti tutto questo? Il sostegno economico annunciato dall'azienda responsabile della morte di Antonio è arrivato? «Sì, in effetti quelli della ThyssenKrupp si sono fatti vivi otto giorni dopo la morte di Antonio e sono venuti a consegnarmi un assegno di 30.000 euro - racconta - e poi anche la Regione mi ha dato 10.000 euro per sostenere le spese immediate, che vanno dalle bollette per la casa allo psicologo, appunto. Né io posso pensare di mettermi a lavorare proprio adesso». Bene, dunque, almeno sull'impegno di aiutare materialmente le famiglie delle sette vittime la multinazionale tedesca è stata di parola. Però... c'è un però che pesa sull'animo di Tina Schiavone e di tutti gli altri familiari dei ragazzi uccisi nel laminatoio di corso Regina Margherita: «Quel dossier riservato dell'azienda... quelle parole... sono offesa - dice con un tono di voce che cambia all'improvviso - non capisco come abbiano potuto anche solo pensare quelle cose e mi fa nascere un doloroso dubbio, il sospetto che quello che stanno facendo per me sia un modo per tenermi buona. Ma se così fosse, se lo possono scordare».
Al di là dei cattivi pensieri, dai racconti dei familiari delle vittime della strage del 6 dicembre risulta che la ThyssenKrupp abbia incaricato due dirigenti, sempre gli stessi (così come il comunicato di condoglianze è stato sempre lo stesso salvo modificare nomi e cognomi solo i nomi), di occuparsi delle famiglie dei propri dipendenti morti in mezzo a tanto clamore. Troppo, come dice il dossier intercettato. «La signora Wanda e il dottor Pucci sono venuti qui a porgermi le condoglianze dopo un paio di giorni - racconta Sabina Laurino, vedova di Angelo e madre di due ragazzini di 14 e 11 anni - poi sono tornati con l'assegno e alla vigilia di Natale hanno portato dei regali per i bambini. Cosa posso dire di quei due signori, con noi si sono comportati bene, non riesco a vedere in loro i colpevoli di quello che è successo. Però non so come reagirei se mi trovassi di fronte i veri responsabili... uno, un tedesco, l'ho visto in chiesa all'ultimo funerale, volevo presentarmi, non gli avrei detto niente, soltanto chi sono io per sentire cosa aveva da dirmi lui, avrei voluto soltanto ascoltare». Ma non è accaduto. In compenso sono uscite le frasi di quel dossier ingiurioso: «Non ho parole per commentare, ma ho molta fiducia nel procuratore Guariniello - dice Sabina Laurino - e voglio soltanto che chi ha sbagliato ed è quindi responsabile per quelle morti paghi il suo conto con la giustizia».
Lei intanto ha lasciato il lavoro, che significava alzarsi alle cinque del matino per fare le pulizie in un centro commerciale, e deve vedersela con due ragazzi in un'altra fascia d'età che definire complicata è un eufemismo. «Soprattutto il più piccolo non ha mai esternato nulla, in queste settimane - racconta la mamma - è rimasto chiuso, fa pochissime domande. Ecco, qualche giorno fa mi ha detto di aver sognato il padre e di aver avuto paura. Forse adesso si sta rendendo conto che il papà non c'è più...».
La moglie di Roberto Scola, invece, non riesce ancora a reagire alla perdita del marito di 34 anni. Da quel giorno non è più tornata a casa. Da quasi due mesi abita dai genitori di Roberto e la suocera Isa si occupa di lei e dei due bambini, uno di 3 anni e l'altro di 18 mesi. A loro aveva rivolto l'ultimo pensiero Roberto Scola, rivolgendosi ai medici dalla barella: «Salvatemi, ho due bambini piccoli...». La signora Isa ha molta familiarità con la ThyssenKrupp, perché «anche mio marito ha lavorato in quell'acciaieria per trent'anni», e anche lei conferma la prassi dei due dirigenti, Wanda e Pucci, che dopo aver consegnato il primo assegno da 30.000 euro periodicamente si fanno sentire se c'è «bisogno di qualcosa». Ha scoperto soltanto in un secondo che Marco Pucci risulterebbe iscritto sul registro degli indagati della procura per il rogo del 6 dicembre scorso, ma «noi qui siamo persone civili, non mi metto certo a fare o dire niente io - dice la signora - ho molta fiducia in Guariniello, ci penserà lui». Ma non perdona quel maledetto dossier: «Una carognata, alla prima occasione glielo dirò. Non credo di dovermi fare problemi nel dire una cosa del genere, non è mancanza di rispetto per le loro persone, ma è che, in fin dei conti, ci ha rimesso la pelle mio figlio di 32 anni».
Pubblicato il: 28.01.08 Modificato il: 28.01.08 alle ore 7.09 © l'Unità.
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