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Editoriali
A Palazzo Chigi la paranoia da complotto
Alessandro De Angelis
14 Ottobre 2024 alle 01:00
E a questo punto si rischia di perdere il filo, se pure il funzionario spione di Bisceglie fa parte del “complotto”. Ha bucato, ed è grave, i dati di seimila persone, tra cui Paolo Bonolis, Antonello Venditti, Al Bano, ma per Giorgia Meloni c’è la manina dei soliti poteri all’opera per disarcionarla. Non c’è giorno senza che si evochi un complotto, palesemente o attraverso i solerti spifferatori di Palazzo Chigi, che lo avevano paventato anche nel caso della soap pompeiana: troppo lucida e luciferina la dama bionda per aver fatto tutto da sé. E poi quell’ospitata – poi saltata – a Mediaset, lo stesso gruppo del fatal fuorionda su Giambruno, proprio dopo l’estate delle tensioni con Forza Italia. Un tripudio per i cospirazionisti, altro che questioni di auditel.
Peccato che, nel frattempo, il ministro si è dimesso proprio su sollecitazione della premier: se ci fosse cospirazione, l’esito si configurerebbe come un cedimento ad essa. Un boomerang. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona in questo trip psicopolitico. Per carità, è sempre stata una specialità della casa la denuncia di manine, manone, non ben precisati «soliti noti» impegnati a fermare la «rivoluzione». Resta senza risposta l’amletico dubbio se si tratti di riflesso condizionato di una cultura politica da sempre nutrita di vittimismo e di opposizione minoritaria al mitico sistema. Oppure se sia gioco consapevole e distrazione mediatica rispetto alla quotidianità di un governo che non brilla. Magari entrambi, in un paese che ha una certa familiarità con la narrazione di trame vere o presunte riproposta, nella seconda variante, in tante versioni, tra toghe rosse, papielli di trattativa, golpi tecnocratici, scie chimiche, teorie strampalate su vaccini e sostituzioni etniche. In fondo, quel genio di Aldo Biscardi questa attitudine l’aveva resa parodia al Processo del lunedì: «Gomblotto». Però diciamo che ormai siamo al parossismo. Mica male, a conferma di un clima drogato, anche l’inedito assoluto che riguarda la Polizia di Stato, rivelato da questo giornale: in piena paranoia da “spiffero” durante il caso Boccia la premier ha deciso di privarsi degli agenti che stazionano al piano per controllare chi entra e chi esce. E se ci fosse un’unica trama cospirativa davvero non basterebbe la Spectre a tenere assieme tutti fili, tra presunti dossieraggi, pettegolezzi, “fuorionda” e “in onda”, che vanno da Pompei a Bisceglie, passando per Cologno Monzese con deviazione su Bruxelles.
Lì qualcuno, sempre su mandato, avrebbe redatto un report poco indulgente sullo Stato di diritto in Italia. Diventò l’occasione per un’intemerata complottista da Pechino nel corso della pur rilevante visita in Cina a fine luglio. Poi, ad agosto, la clamorosa patacca del golpe giudiziario ai danni della sorella Arianna, annunciato a nove colonne dal Giornale. Sorella che di influenza politica ne ha parecchia, ma non è oggetto di nessuna inchiesta. E infatti non c’è stata, a dispetto del racconto meloniano passive-aggressive.
Il caso più clamoroso poi è stato quello dei diecimila file acquisiti dal finanziere Pasquale Striano dagli archivi informatici della Dia. In quei file, come nella vicenda barese, c’era di tutto, compresi parlamentari dell’opposizione Si parlò di colpo di Stato e di nuova P2, annunciando una commissione d’inchiesta. Ora il più «grave scandalo della Repubblica» è scomparso dal discorso pubblico perché non è funzionale allo spartito vittimistico. Succede sempre così: il merito conta pressoché nulla nel racconto. Citiamo uno che ci capisce come Bob Brotherton, in Suspicious minds: «Le teorie del complotto non sono semplicemente immuni da qualsiasi confutazione: esse prosperano su di essa. Se sembra un complotto, significa che era un complotto. Se non sembra un complotto, era sicuramente un complotto. Le prove contro la teoria del complotto diventano prove del complotto. Se viene testa, vinco io. Se viene croce, perdi tu».
In genere la paranoia cospirativa deriva dalla paura e dalla percezione di una propria precarietà. Perché Giorgia Meloni sia in questo mood è un mistero. Va bene, deve trovare i soldi per la manovra, ma tutti i fondamentali segnano stabilità. I suoi predecessori ne hanno viste di peggio. Senza cercare fantasmi.
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https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2024/10/14/news/a_palazzo_chigi_il_tripudio_dei_complottisti-14714503/?ref=LSHAE-BH-P1-S3-T1