UN POCHINO DI UN TUTTO.
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Demagogia
Comportamento politico che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici
Demagogia è un termine di origine greca (composto di demos, "popolo", e aghein, "trascinare") che indica un comportamento politico che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo[1] mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici o per aumentare il proprio consenso popolare o per il raggiungimento e la conservazione del potere stesso.
Lo storico Tucidide definiva "demagoghi" (capi popolo) tutti gli Ateniesi che, in seguito alla morte per peste di Pericle nel 429 a.C., cercavano di prendere il suo posto ingannando e seducendo l'assemblea popolare ateniese, tramite false promesse e istigazione contro gli avversari politici.
Fu Platone, nel "Politico" e nelle "Leggi", a dare un'ulteriore definizione di demagogia: questa è nient'altro che la forma di governo corrotta che deriva dalla democrazia, forma corrotta del governo di molti. Detto ciò, e considerando che la sua preferenza andava a una costituzione mista che comprendesse il meglio delle tre forme di governo virtuose (monarchia, aristocrazia e democrazia), Platone aggiunge che in caso di governo corrotto la forma migliore tra le tre possibili (tirannide, oligarchia e demagogia) era proprio la demagogia, perché almeno veniva salvaguardata la libertà.
Successivamente, Aristotele approfondì ulteriormente la definizione: lo Stagirita, nella "Politica", afferma che la demagogia (bisogna però notare che Aristotele non usa questo termine, ma ricorre a "democrazia", capovolgendone quindi il significato rispetto a Platone) è la peggiore possibile tra le forme di governo, poiché mira a favorire in maniera indebita i poveri rispetto ai ricchi, incorrendo nell'errore di considerare tutti gli uomini uguali in tutto, mentre sono uguali solo per natura, per la quale non si può dedurre che è come un caso particolare come la democrazia.
Spesso il demagogo fa leva su sentimenti irrazionali e bisogni sociali latenti, alimentando la paura, l'odio o la rabbia, ecc. nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come "capro espiatorio"[2] e come "nemico pubblico", utile alla formazione di un fronte comune, uniformato temporaneamente dalla medesima lotta e dunque scevro di dissenso interno.
Nella casistica dei mezzi demagogici, vengono indicati anche l'utilizzo di un linguaggio politico derisorio verso gli avversari o caratterizzato da una vistosa enfatizzazione degli effetti negativi delle loro politiche[3], fino a continue strumentalizzazioni.
Nell'odierna società di massa "la demagogia non è più affidata al superuomo" di tipo mussoliniano[4], ma si identifica con la mercificazione onnipervasiva, con la diffusione di pseudo-valori capillarmente trasmessi tramite i media e l’universo spettacolare-popolare, spesso di valenza deviante"; non c’è vera alfabetizzazione di massa, ma, secondo Luciano Canfora, soltanto un “basso e torvo livello culturale e un generale ottundimento della capacità critica8].
^ Per Carlo Chimenti, Il populismo fra democrazia e demagogia, in "Le Carte e la Storia", 1/2008, p. 30, DOI: 10.1411/27162, la demagogia muove "dall’alto verso il basso, e quindi dà voce non già a esigenze reali del popolo, ma all’astuzia di detentori del potere che mirano a carpire il consenso popolare per continuare a coltivare i propri interessi".
^ Elias Canetti, Massa e potere, trad. Furio Jesi, Rizzoli, Milano, I ed. 1972.
^ Sul termine "carneficina americana", utilizzato dal presidente Trump al suo discorso inaugurale del 20 gennaio 2017, v.
http://www.desmoinesregister.com/story/opinion/columnists/iowa-view/2017/01/28/truth-lies-and-president-no-poetry/97132960/^ Peraltro, una volta conquistato il potere con questi strumenti, Mussolini si guardò bene dal consentirne l'uso ad altri: alle proteste di genuinità rivoluzionaria e popolare levate da Farinacci, egli replicò che "la demagogia del falso pezzentismo mi è odiosa come l'esibizionismo pescecanesco" (Matteo Di Figlia, Rivoluzione e gran capitale. Il caso di Roberto Farinacci, Storia e problemi contemporanei, n. 75, maggio/agosto 2017 p. 40).
^ S. Cingari, La demagogia, le sue forme. Incontro con Luciano Canfora, 27 maggio 2015.
^ Nadia Urbinati, Democrazia sfigurata: Il popolo fra opinione e verità, EGEA spa - 2017
^ Fabio Martini, I pericoli della politica last minute, La Stampa, 08/06/2017.
^ Omelia del Card. Joseph Ratzinger, Arcivescovo di Monaco e Frisinga, in occasione di una celebrazione liturgica per i deputati cattolici del Parlamento tedesco. Bonn, Chiesa di San Winfried, 26 novembre 1981.
Luciano Canfora, Demagogia, Sellerio, 1993
Demagogia, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Emilio Crosa, DEMAGOGIA, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata
demagogìa, su Vocabolario Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
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Oclocrazia
termine greco che indica una forma degenerata di democrazia
L'oclocrazia (dal greco antico: ὄχλος?, óchlos, "moltitudine, massa" e κράτος, krátos, "potere") si configura come uno stadio di governo deteriore nel quale la guida della pόlis è soggetta alla volontà delle masse[1].
Il termine oclocrazia è formulato per la prima volta nelle Storie di Polibio[2], specificamente fra i frammenti del Libro VI. La discussione dello storico greco si inserisce in una più ampia disamina della sua teoria ciclica delle forme di governo. Così si esprime infatti l'autore:
«Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza [...], essi stimano più di ogni altra cosa l'uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando subentrano al potere dei giovani e la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi, non tenendo più in gran conto, a causa dell'abitudine, l'uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza; in tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi. Desiderosi dunque di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, dilapidano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia [...].»
(Polibio, Le Storie, libro VI, cap. 9, nella traduzione italiana di Carla Schick, Mondadori 1955, vol.II, p. 98))
Il termine ricorre soltanto 3 volte nell'intero corpus polibiano, una sola volta in quello plutarcheo (nel De Unius in republica dominatione, capitolo I), e nelle Historiae Romanae di Cassio Dione (libro 44°, cap. 2). Non sembrano esserci altre occorrenze nel corpus classico. In epoca moderna Rousseau cita il termine ne Le contrat social, riferendosi alla degenerazione della democrazia, nel caso di dissoluzione dello Stato (Cap. X, Libro III).
Come si può vedere già nel breve inciso polibiano, l'oclocrazia è considerata come uno stadio di degenerazione della democrazia. Risulta inequivocabile che il potere del Popolo, da intendersi, in origine, a guisa di corpo politico unitario, dotato di un'autocoscienza storica, si tramuti ora in potere dell'ochlos, ossia di una moltitudine atomizzata, priva di una visione del mondo, preda degli intenti dominanti di demagoghi che ne orientano a privati fini le opinioni. La Massa popolare pertanto, diventa "strumento animato" di una o più persone, tipicamente, nella formulazione polibiana, di alta estrazione censitaria. Essi ottengono il compiacimento delle folle, anche elargendo denaro e regalie. Il "popolo" (ormai disintegrato) diventa corrotto, cessando così di essere un popolo libero.
Nella filosofia politica
Si comprende pienamente la precipuità e imprescindibilità della demagogia come strumento delle oclocrazie, in ossequio al sistematico rifiuto della democrazia che, in quanto tale, si esercita invece attraverso l'acceso confronto, anche polemico e tensorio, fra argomenti, fondate elucidazioni (logoi) e visioni del mondo. La deriva possibile del ritorno ad uno stato di disgregazione sociale sembrerebbe essere contrastata solo da un altrettanto forte regime tirannico.
È reso chiaro all'analisi storica come la nascita delle oclocrazie rappresenti il fallimento dell'idea di libertà, costantemente minacciata e affondata dalla menzogna e da una emergente ignavia del genere umano, che porta in grembo quella bonheur végétative di tocquevilliana memoria. La Libertà, tendente a configurarsi come "idea regolativa", perciò sempre in fieri, reca con sé infatti l'onere di un impavido agire nel mondo, essendo senza di esso destinata a rimanere chimera.
Nella storia contemporanea
L'assonanza dello spettro concettuale proprio dell'oclocrazia polibiana con il pensiero di Alexis de Tocqueville in tema di dittatura della maggioranza è stata utilizzata per descrivere il populismo nel XXI secolo[3]: essa opera "quando lo stato è in balìa della voluttà delle masse"[4] ed è stata definita una pratica politica in cui "la democrazia si trasmuta in un rito collettivo di punizione e di espiazione"; in Italia ciò farebbe "rivivere un nuovo capitolo di quella che Piero Gobetti, a proposito del fascismo, chiamava autobiografia di un popolo"[5].
Note
^ Sapere.it, oclocrazìa - Sapere.it, su sapere.it. URL consultato il 25 febbraio 2018.
^ oclocrazia in "Dizionario di Storia", su treccani.it. URL consultato il 25 febbraio 2018.
^ Massimiliano Pari, Trump? È la democrazia, bellezza!, ItaliaOggi, 27 novembre 2016.
^ Alberto Brambilla, IL FONDATORE DELLA CASALEGGIO & C. CONTRO LA DEMOCRAZIA DIRETTA, OPACT, 14 dicembre 2016.
^ Marco Cianca, Se la politica di oggi si riduce a una continua campagna elettorale, Corriere della sera, 20 dicembre 2016, secondo cui "gli alfieri dell’antipolitica, che ormai si è fatta a sua volta politica (...), danno voce alla pancia del Paese. Sono contro l’Europa, contro le banche, contro ogni forma di establishment, contro l’ondata immigratoria. Potrebbero persino allearsi, in nome di quell’oclocrazia, il governo delle plebi, che è stata evocata in questi giorni citando Polibio".
da wikipedia
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Costituzione mista
Una costituzione mista è una forma di governo che ne unisce diverse. Il più celebre esempio è la Repubblica romana. Secondo Polibio, Roma poggiava su una costituzione mista risultato della sintesi delle tre forme di governo più importanti, cioè: la monarchia (rappresentata a Roma dai consoli), l'aristocrazia (rappresentata dal senato) e la democrazia (rappresentata dai comizi).[1] La res publica era definita col motto Senatus PopulusQue Romanus ("il Senato e il Popolo Romano").
In questa costituzione, Polibio coglie le caratteristiche più profonde del percorso storico compiuto da Roma. In tal modo si contribuisce alla teorizzazione e alla giustificazione dell'imperialismo romano. Roma era formalmente una repubblica oligarchica unita ad un sistema monarchico semi-assolutista (oggi si direbbe una monarchia costituzionale) ma di tipo elettivo ma strettamente temporaneo (consoli in carica un anno e dittatore straordinario in carica 6 mesi detenevano il potere esecutivo e col senato anche legislativo e giudiziario, come derivazioni della figura del Rex, mentre il ruolo sacrale-teocratico di quest'ultimo era invece affidato al Pontifex Maximus) e attenuato dal Senato romano (composto per ereditarietà o cooptazione da patrizi e poi da membri della nobilitas, vero perno del potere repubblicano, dai tribuni della plebe (eletti dalla sola plebe, ma dotati di diritto di veto assoluto sulle leggi votate da Senato, Comizi o emesse dai Consoli; i tribuni erano considerati intoccabili finché in carica, in quanto investiti di tribunicia potestas e sacrosanctitas, e potevano irrogare la pena capitale a chi li ostacolasse nelle loro prerogative), dalle magistrature minori e dalla democrazia, a volte diretta, dei Comizi (composti da tutti i cittadini romani, maschi adulti e liberi). Inoltre vi era un ulteriore magistrato di controllo, il censore. Ogni condanna penale contro un cittadino emessa da tribunali, Senato e consoli, salvo eccezioni, poteva essere appellata direttamente ai Comizi tramite la provocatio ad populum.
La costituzione della Repubblica romana
Già altri studiosi greci prima di Polibio avevano teorizzato che le tre forme principali di governo, la monarchia, l'aristocrazia e la democrazia, degenerassero inevitabilmente rispettivamente in tirannide, oligarchia e oclocrazia. Giunta l'oclocrazia il ciclo si ripete con un ritorno alla monarchia (anakyklosis, anaciclosi). Secondo Polibio, nel caso della costituzione mista anche Roma non può sfuggire alla degenerazione.
La costituzione romana repubblicana è stata definita dallo storico greco Polibio come il migliore e più illustre esempio di costituzione mista, grazie all'armonia ed all'equilibrio intercorrenti fra i tre organi depositari del potere, ovvero il senato, i consoli ed i comizi.
Ciò che, secondo Polibio, ha determinato la grandezza di Roma è, oltre all'eccellenza della sua preparazione militare, l'armonico sviluppo della sua costituzione, che prevede un contemperamento delle tre essenziali forme di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia. Esse sono rispettivamente rappresentate, nella Repubblica romana, dal potere dei consoli, dalle funzioni del Senato e dalle prerogative degli organismi popolari. La costituzione romana è quindi un riuscito esempio di “costituzione mista”, per Polibio l'unica forma di governo stabile e capace di bilanciare la tendenza alla degenerazione istituzionale. Nel VI libro viene descritta l'anaciclosi[2] (anakùklosis), il processo di ritorno ciclico secondo il quale le principali forme di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia) e le relative degenerazioni (tirannide, oligarchia e demagogia) si succedono l'una all'altra in un fatale trapasso involutivo: dalla monarchia alla tirannide, dall'aristocrazia all'oligarchia, dalla democrazia alla oclocrazia (potere delle masse). Roma, tuttavia, può ritardare questo processo storico di decadenza grazie alla sua costituzione ed alla straordinaria preparazione militare, ma non vi si potrà sottrarre, e difatti culminerà nella nascita dell'Impero romano dopo numerose guerre civili, quando il Princeps assumerà su di sé quasi tutti i poteri delle magistrature, dal consolato fino alla dittatura, all'imperium, alla censura e alla tribunicia potestas, andando di fatto ad eliminare la Repubblica costituendo una monarchia assoluta simile alla tirannide greca, solo in alcuni casi almeno formalmente una diarchia Senato-imperatore.
Ulteriore elemento di stabilità per Roma è la compattezza dei suoi valori etici, salvaguardati dalla religione e in funzione della vita pubblica (mos maiorum): l'insieme di valori, norme, riti sono finalizzati alla conservazione della stabilità politica (a Polibio fu del tutto estranea ogni autentica concezione religiosa pubblica come la pax deorum).
Repubblica platonica e Sparta
Costituzioni miste furono anche la mai applicata Repubblica ideata da Platone, guidata da un'oligarchia aristocratica di filosofi scelti per le capacità, e da istituzioni popolari di controllo, e la duplice monarchia unita all'oligarchia degli efori in vigore a Sparta nel periodo della polis. Molti studiosi hanno ipotizzato costituzioni miste ispirate a Platone, ad esempio Niccolò Machiavelli, che ipotizza una repubblica controllata da un principe come la signoria del Rinascimento.
La Repubblica di Venezia, con diversi organi di governo, e un doge eletto a vita tramite un voto e sorteggio dei patrizi, fu un esempio di sistema misto, così come diverse repubbliche aristocratiche (come la Repubblica di Genova).
Uno schema riassuntivo del sistema politico-costituzionale degli Stati Uniti.
Alcuni politologi hanno descritto le costituzioni dell'Unione europea (governo congiunto di Parlamento europeo, degli stati membri, della Commissione europea e della banca centrale europea) e degli Stati Uniti d'America (il sistema politico degli Stati Uniti d'America è una repubblica presidenziale pura federalista con un governo slegato dal Parlamento o Congresso composto da Camera e Senato, ma con numerosi "pesi e contrappesi") come costituzioni miste. Il Presidente degli Stati Uniti d'America, figura politica attiva e con forti prerogative quali il diritto di veto (tipico dei monarchi costituzionali e dei tribuni della plebe) e la guida del governo, è stato definito una sorta di "monarca repubblicano" eletto pro tempore come i consoli di Roma, mentre la Corte suprema (nove giudici nominati a vita) è definita un'oligarchia aristocratica con funzioni di controllo simile al Senato romano. Il Congresso, i cittadini e i Grandi Elettori (il cosiddetto "Collegio elettorale") svolgerebbero il ruolo che a Roma spettava ai Comizi.[3][4][5]
Note
^ Polibio, Storie, VI 11, 11-14
^ Anaciclosi
^ Constitution Day 2021: Mixed Government, Bicameralism, and the Creation of the U.S. Senate, in U.S. Senate, September 17, 2021. URL consultato il December 30, 2021.
^ Rosen Zivi S., The Irony of Populism: The Republican Shift and the Inevitability of American Aristocracy (PDF), in Regent University Law Review, vol. 18, 2006, pp. 287–89. URL consultato il December 30, 2021.
^ Explaining the stability of the EU through the concept of a Mixed Constitution.
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Storie (Polibio)
opera storiografica di Polibio
Le Storie (in greco antico: Ἱστορίαι?) sono un'opera storiografica dello storico greco Polibio di Megalopoli (206-124 a.C.).
Storie
Titolo originale Ἱστορίαι
Frontespizio di un'edizione del 1763
Autore Polibio
1ª ed. originale II secolo a.C.
Genere storiografia
Lingua originale greco antico
Ambientazione
Antica Roma, Grecia ellenistica, Cartagine, Mediterraneo, dal 220 al 146 a.C., guerre puniche
Libri superstiti e struttura dell'opera
Composte in prosa, erano suddivise in quaranta libri, dei quali solo i primi cinque sono pervenuti a oggi nella loro interezza e narravano la storia universale del periodo fra il 264 e il 146 a.C., incentrandosi sul percorso di Roma verso l'egemonia sul mar Mediterraneo.
Nello specifico, i primi cinque libri sono pervenuti integri, mentre gran parte dei libri VI-XVIII è giunta sotto forma di estratti conservati nelle biblioteche di Costantinopoli.[1] Degli altri libri[2], restano frammenti più o meno lunghi.
I testi di Polibio rimasero, tuttavia, sconosciuti in gran parte dell'Europa fino al XIV secolo. Lo storico statunitense Jack H. Hexter ha suggerito[3] che Niccolò Machiavelli potesse conoscerne alcuni passi, in particolare quelli del VI libro riguardanti la natura composita della costituzione romana.[4] Da quel momento in poi il testo divenne conosciuto in tutta l'Europa; echi delle teorie polibiane compaiono nelle opere di autori come Montesquieu, ma anche nella Costituzione degli Stati Uniti d'America.
Polibio inizia la trattazione dall'anno 264 a.C. e la termina nel 146 a.C. Nucleo centrale delle Storie è l'ascesa di Roma da potenza locale dell'Italia centro-meridionale a potenza egemone del Mediterraneo: l'opera narra, infatti, con particolare attenzione i cinquantatré anni, tra il 220 e il 167 a.C., durante i quali Roma, con le vittorie nella seconda guerra punica, nelle prime tre guerre macedoniche e nella guerra contro Antioco III e lega etolica, impose il suo potere su Cartagine, sul regno di Macedonia e sull'Impero seleucide.
I primi cinque libri costituiscono sia l'introduzione che lo sfondo degli anni di cui si è occupato, includendo perlopiù le questioni del momento riguardanti le nazioni importanti dell'epoca, l'antico Egitto, la Grecia e la Spagna e tratta ampiamente della prima e della seconda guerra punica. La narrazione viene interrotta dapprima nel libro VI, laddove, prendendo spunto dal risollevarsi di Roma dopo la battaglia di Canne, viene descritta, come motivo di esso, la costituzione dei Romani, delineando i diversi poteri dei consoli, del senato e del popolo. Polibio giunge alla conclusione, in virtù della sua concezione, che è proprio su questa "costituzione mista" che si basano i successi dei romani.
Il resto dell'opera è l'esposizione delle questioni durante il suddetto periodo critico di 53 anni; dall'esame delle parti del testo giunte fino a noi, i brani di particolare interesse sono le trattazioni su Annibale e Scipione e un'ulteriore, rilevante, digressione dal suo tema, incentrata sulle mancanze dello storico Timeo: infatti, nel libro XII, Polibio discute il valore del particolare stile storico di Timeo, per evidenziarne le mancanze.
Concezioni della storia e metodo
L'opera di Polibio presenta, inoltre, un notevole interesse per il discorso sulla Τύχη (Tyche) o fortuna, il discorso sulla costituzione mista della res publica romana e il tema, sotteso ad ogni passaggio, del ruolo dello storico "pragmatico".
Tyche, che indica destino o fortuna, gioca un ruolo fondamentale nella comprensione della concezione della storia di Polibio ed è utile per sviluppare il modo d'intendere questo concetto nel periodo ellenistico.
Tale concetto assume un doppio significato nell'opera polibiana, in quanto prima di tutto intesa come la forza con cui le cose accadono, o la casualità o fortuna che dir si voglia. Ma Polibio concepisce anche una componente divina di Tyche, che era una convenzione ellenistica. Questa sua personificazione è particolarmente interessante, perché a volte Polibio la impiega per giustificare fatti tutto sommato sensati, piuttosto che considerarli come l'insieme di decisioni legittime prese da parte delle persone coinvolte a qualunque titolo. Pertanto, Tyche rappresenta una forza elementare che è un modo di intendere il nesso di causalità; al tempo stesso personifica una divinità capricciosa in natura e può essere vista come una sorta di "nemesi storica".
L'analisi di Tyche, dunque, costituisce per Polibio l'impulso ad iniziare il suo lavoro; studiando gli eventi "fortunati", che conducono Roma alla dominazione sul mondo abitato, Polibio è indotto a considerare la sorte come una componente integrante per la comprensione di quei fatti storici. A causa di questa concezione diventa necessario per Polibio trattare la storia in modo universale, vale a dire dedicarsi ad essa non come un insieme di eventi che avvengono qua o là, ma analizzarli tenendone presente il quadro complessivo.
Inoltre, di notevole interesse nell'opera polibiana è la valenza della forma di governo.
La Curia Iulia nel Foro Romano, la sede del Senato romano
Nel libro VI, infatti, Polibio imposta una digressione sulla costituzione romana per dimostrarne il suo fondamento "composito". Lo scopo di ciò è insito nella natura pragmatico-speculativa del suo lavoro e, in particolare, nella natura dei suoi lettori, i Greci.
Infatti, la concezione politica dell'epoca, di matrice aristotelica, teorizzava che la forza di uno stato si manifestasse nella forza della sua costituzione, sicché Polibio, per "giustificare" Roma di fronte ad un pubblico ellenocentrico, riprende la concezione della "costituzione mista", vista come la costituzione più solida, dato che combina le tre componenti del governo, ossia la monarchia, l'aristocrazia e la democrazia. Polibio, inoltre, distingue ulteriormente le forme di governo, includendovi le omologhe al negativo di quelle sopraccitate, la tirannia, l'oligarchia, e l'oclocrazia. Questi governi si avvicendano secondo il ciclo di Polibio in un processo chiamato anaciclosi, che inizia con la monarchia e finisce con l'oclocrazia.
Il modello della Repubblica romana, in questo contesto, evita questo problema, costituendo una miscela delle tre forme di governo. I consoli rappresentano la monarchia, comandano l'esercito e governano le spese di Roma (un'eccezione di rilievo all'autorità consolare è rappresentata dai tribuni della plebe). Il Senato è responsabile per la nomina e l'elezione dei consoli e dei censori ed è la forza trainante degli affari che si svolgono in città e in materia di politica estera. Naturalmente, tutto ciò non può avvenire senza il vaglio del popolo e nessuno si può insediare in qualunque carica senza il voto del popolo. È in questo modo, per come viene compreso da Polibio, che la forza dello stato romano viene evidenziata come coesione.
Traduzioni italiane
Storie, traduzione di Giovanni Battista Cardona, 2 voll., Collana Biblioteca Storica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1948-49.
Storie, Introduzione, traduzione e note di Carla Schick, 3 voll., Collana Biblioteca Moderna, Milano, A. Mondadori, 1955-58. (Nuova edizione, con introduzione di Gianfranco Zelasco e testo greco a fronte, Milano, Mondadori, 1970-88, Collana Oscar).
Storie, traduzione di Fausto Brindesi, 3 voll., Biblioteca Universale Rizzoli n.1775-1786, Milano, Rizzoli, 1958-61.
Storie, a cura di Roberto Nicolai, 4 voll., Collana Grandi Tascabili Economici, Roma, Newton, 1975-2006.
Storie, Libri I-XL, traduzione di A. Vimercati, a cura di N. Criniti e D. Golin, Collana Classici di Storia, Milano, Rusconi, 1987, ISBN 978-88-18-16002-4.
Storie, Collana Classici, Torriana, Orsa Maggiore, 1991, ISBN 978-88-239-0190-2. (Traduzione parziale)
Storie, Volume primo (Libri I-II), a cura di Domenico Musti, Introduzione di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2001, ISBN 88-17-12702-7.
Storie, Volume secondo (Libri III-IV), a cura di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2001, ISBN 88-17-12703-5.
Storie, Volume terzo (Libri V-VI), a cura di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2002, ISBN 88-17-12843-0.
Storie, Volume quarto (Libri VII-XI), a cura di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2002, ISBN 88-17-10026-9.
Storie, Volume quinto (Libri XII-XVIII), a cura di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2003, ISBN 88-17-10744-1.
Storie, Volume sesto (Libri XIX-XXVII), a cura di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2004, ISBN 88-17-10745-X.
Storie, Volume settimo (Libri XXVIII-XXXIII), a cura di Domenico Musti, traduzione di Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2005, ISBN 88-17-00042-6.
Storie, Volume ottavo (Libri XXXIV-XL), a cura di Domenico Musti, traduzione di Antonella Lucia Santarelli e Manuela Mari, note di John Thornton, Testo greco a fronte, Collana Classici greci e latini, Milano, BUR, 2006, ISBN 88-17-00043-
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