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« inserito:: Settembre 09, 2024, 12:06:24 am »


Alberto Guidorzi
 
Ecco l'ultima puntata delle SPEZIE

IL PEPERONE

Abbiamo riferito che Colombo era partito anche per creare un nuovo percorso per le spezie, solo che quelle che cercava non le ha trovate, anche perché non era arrivato “nelle Indie”. In realtà a lui dobbiamo l’arrivo in Europa del peperoncino che oggi è diventata una spezia moderna e ha dato origine ad una industria crescente. Abbiamo testimonianze della presenza del genere botanico “Capsicum” (a cui appartiene il peperone, che è anch’esso una solanacea) in Perù tra l’8500 e il 5500 a. C. Nei sedimenti di certe grotte andine sono stati rinvenuti resti di piante selvatiche di fagiolo. peperone, zucche e oxalis che sono, assieme al mais ed alla patata le tipiche piante delle civilizzazioni amerindie. Ecco possiamo dire che qui il passaggio dall’uomo tagliatore-coglitore all’uomo agricoltore è stato molto più lento che nel Vecchio Mondo. Siamo certi che fin dal suo primo ritorno dalle Americhe Colombo abbia portato in Europa i peperoni. Infatti successivamente il medico di Filippo II di Spagna dopo il suo viaggio nelle Americhe del 1570 ci descrive sette tipi di peperoni chiamati in modo diverso dagli Aztechi. In seguito nel 1607 ci viene descritta la vita degli Incas della regione di Cuzco e ci fa conoscere il valore simbolico del peperone.
Dunque da qui desumiamo che il genere Capsicum era molto rappresentato nel Centro e Sud America ed ora sappiamo che comprende 22 specie selvatiche, 5 addomesticate, ma delle quali 4 sono accompagnate anche da forme selvatiche e sub-spontanee derivate da forme ancestrali. Il peperone è un OGM naturale. Inoltre nessuna differenza botanica specifica distingue il peperone piccante da quello dolce. In questa diversificazione possiamo individuare: una forma a fiori violetti e semi colorati da cui è derivata la forma coltivata C. pubescens  (nomi volgari “recoto” e “manzano”); una forma a fiori bianchi da cui la specie coltivata C. baccatum var. pendulum (nomi volgari aji, aji Amarillo e locoto); una terza forma a fiori bianchi o giallastri da qui le specie coltivate C. chinensis nomi volgari: aji dulce, habanero e rica red), C. frutescens e C. annuum (nomi volgari peperoncino di Cayenna e peperoncino). Semplificando le due specie che più si sono diffuse sono la specie “annuum var. annuum o peperoncino piccante e la specie “annuum var. grossum” o peperone dolce. Vi è anche un’altra distinzione in funzione della forma del frutto, come i tipi quadrati, rettangolari e triangolari, questa distinzione però è conseguente alla selezione genetica operata recentemente.
Tornando al nostro peperone, la variabilità creatasi per effetto di quanto detto sopra ha permesso ad esempio di essere utilizzata per ottenere resistenze a parassiti ed in particolare a virus. Inoltre ne ha determinato una diffusione geograficamente diversa sul continente americano. I peperoni del Messico appartengono a due specie: C. annuum e C. frutescens. Il rappresentante ben conosciuto di quest’ultima specie è il “tabasco”. I peperoni delle Ande appartengono alla specie C. baccatum  e C. pubescens. Quelli della regione amazzonica e caraibica sono della specie C. chinense (il nome della specie è improprio in quanto non ha nulla a che vedere con la Cina).
La diffusione dei peperoni fuori dalle Americhe invece è legata al trattato di Tordesillas che divideva il globo tramite un meridiano, dunque nord-sud, tracciato a 100 leghe dall’Isola di Capo Verde. Tutte le terre scoperte a ovest di questa linea meridiana sarebbero appartenute alla Spagna. Mentre tutte quelle a est sarebbero state assegnate al Portogallo. In realtà la linea faceva comprendere la parte orientale del Brasile alla parte est e quindi di pertinenza portoghese. Ciò permise al Portogallo di espandersi nell’America del Sud, tanto che successivamente mediante un altro accordo tutto il bacino del rio delle Amazzoni finì sotto influenza portoghese. I portoghesi pertanto attraversavano l’Atlantico per portare ciò che trovavano in Brasile sulle coste dell’Africa sia dell’est e dell’ovest e poi in India, mentre gli spagnoli dovevano attraversare il Pacifico per stabilire linee commerciali tra le Americhe e le Filippine ed infine la Cina. Le varie specie di peperone migrarono dalle Americhe attraverso queste rotte. Quando poi vi fu l’espansione mussulmana fu questa che diede un nuovo contributo alla migrazione del peperone e ciò spiega come quest’ultimo sia risalito a Nord attraverso i Balcani. Tutto ciò serve a spiegare il perché attualmente siano il continente asiatico e africano che più hanno adottato questa “nuova spezia”. Infatti oggi il più grande consumatore di peperone nelle sue varie forme è la Corea del Sud e il più grande produttore è la Cina. In Europa fu la Spagna che per prima adottò il peperone (l’adozione è stata facilitata dal fatto che era la prima solanacea che non conteneva alcaloidi), inoltre essa si prestò molto bene per combattere lo scorbuto (mancanza di vitamina C) durante i lunghi viaggi transoceanici (gli Olandesi invece inventarono per la loro marina i crauti, cioè la fermentazione lattica delle foglie del cavolo). Anche in Italia il peperone dolce e piccante arrivò ad inizio del 1500. Il nome italiano conserva nella sua radice l’accostamento al pepe, appunto per le sue forme molto piccanti, in altre lingue invece il nome si accosta ad altre caratteristiche, ad esempio in francese fanno prevalere anche la colorazione intensa ed infatti lo chiamano sia “piment”, che (specialmente  nel Sud) con il termine di “poivron”. Il termine “paprika” (che si riferisce più al peperone ridotto in polvere) ha le sue radici nel termine pepe nelle lingue balcaniche. In inglese si usa “pepper” in tedesco “pfeffer”, mentre in USA si usa aggiungere un aggettivo come “red pepper” o “Chili pepper” (peperoncino) o “bell pepper” che è il nostro peperone carnoso. Il valore nutrizionale dei peperoni sta nella sua ricchezza in vitamine, non bisogna mai scordare che l’ungherese premio Nobel del 1928 per la scoperta della vitamina C, la sintetizzò estraendola dal peperone, infatti ve n’è 20-30 volte di più che negli agrumi.
Utilizzazione del peperone
Le statistiche fanno una distinzione basata sul modo di utilizzazione. Infatti distinguono tra utilizzazione orticola come verdura e utilizzazione industriale. Nel caso della prima utilizzazione è ancora l’Asia e l’Africa che la fanno da padrone, anche se non dobbiamo dimenticare la produzione di peperone dolce in serra che hanno introdotto gli olandesi; coltivazione che dura 10 mesi con un totale di produzione ponderale pari a 200-250 q/ha. Per quanto riguarda la produzione industriale invece l’attività produttiva si basa sul fatto che il peperone sopporta bene l’essiccazione (di conseguenza permette una lunga conservazione) e la polverizzazione senza perdere le caratteristiche iniziali. Allo stato polverulento il peperone diventa un condimento ed ecco perché è incluso nelle spezie. Altra utilizzazione è l’estrazione delle oleoresine ricche in pigmenti e capsinoidi (composti piccanti) usati in agroalimentare ed in farmacia. A proposito di agroalimentare non dimentichiamo che la caratteristica colorazione rossa (dovuta alla capsantina ed alla capsorubina) ne fa un pigmento rosso non tossico, mentre tutti gli altri coloranti rossi di origine sintetica hanno tutti un più o meno marcato elemento tossico. Grosso modo la superficie coltivata di peperoni per uso industriale è doppia rispetto a quella di pianta orticola, ed è per giunta in aumento. La fanno da padroni l’Asia (70% della produzione) e l’Africa (20%).
Al peperone sono state assegnate molte proprietà terapeutiche, ma soffermiamoci solo su quelle dimostrate scientificamente. E’ certo il ruolo stimolante (aumento della secrezione salivare e gastrica e della peristalsi intestinale); inoltre stimola l’appetito. Studi mostrano effetti benefici sulla circolazione sanguigna e sicuramente previene le emorroidi. Inoltre essa è inserita in molti unguenti volti a scaldare i muscoli ed a curare distorsioni perché agisce sulle stesse terminazioni nervose, noto è pure l’uso in aerosol difensivi per la cecità temporanea e il bruciore reversibile agli occhi che produce.

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