Riforma fiscale: il concordato per le partite Iva e l’effetto «hard discount» (con rischio iniquità)
di Ferruccio de Bortoli
La nuova versione del concordato biennale aumenta «gli sconti contributivi» per allargare la platea di chi aderisce. Il sistema potrà funzionare se prevederà controlli capillari e deterrenti. Altrimenti si rischia di incrementare l’iniquità anche tra gli stessi lavoratori autonomi
Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e d
Forse ci stiamo dimenticando che la riforma fiscale non è solo il caposaldo del programma di legislatura del governo Meloni, ma è anche una precisa condizione posta all’Italia per ottenere sussidi e prestiti europei. Il testo con cui si autorizzava la delega, approvato dal Parlamento nella primavera dello scorso anno, lo ricorda proprio all’articolo 1, alla prima riga: «è una delle priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza». E tra gli obiettivi del Pnrr c’è anche la riduzione del cosiddetto tax gap, ovvero la differenza tra le imposte dovute e quelle effettivamente versate. Bisogna ricordare che questa italica propensione all’evasione si è leggermente ridotta grazie soprattutto alla fatturazione elettronica e ai sistemi digitali di pagamento. L’ultimo rapporto sull’economia non osservata (che si riferisce al 2021) stimava l’ammontare del tax gap a 83,6 miliardi, con una diminuzione del 3,6 per cento. A proposito: tutti i componenti della commissione ministeriale incaricata ogni anno di studiare il fenomeno sono scaduti da tempo. Gli incassi tributari vanno poi meglio del previsto. E così il contrasto all’elusione e all’evasione. Anche se vi è la pronunciata tendenza a confondere l’accertamento con il saldo che, non raramente, è solo ipotetico.
Il concordato preventivo biennale
Del resto, la variabile tempo è sempre stata, nella tradizione fiscale italiana, un vantaggio competitivo dell’inadempiente. Il ritardo nel pagare le imposte è spesso premiato e, di conseguenza, la regolarità delle contribuzioni è più che altro un atto di fede civica, non una scelta razionale, almeno per chi può permettersela e non ha una ritenuta alla fonte. Il concordato preventivo biennale (2024-25) — ovvero la possibilità per lavoratori autonomi e piccole imprese di accordarsi con l’amministrazione sull’aumento previsto del loro fatturato, pagando una sorta di flat tax incrementale, e liberandosi da futuri controlli — è il cuore ideologico della riforma fiscale del governo. Anche perché, nelle intenzioni del legislatore c’era l’obiettivo di reperire risorse per ridurre le tasse sui ceti medi e finanziare la semplificazione delle aliquote Irpef. Dunque, un traguardo di maggiore equità contributiva. È accaduto però, se possiamo usare una terminologia commerciale, che la scontistica fosse inizialmente così poco attraente da far capire che le adesioni sarebbero state trascurabili. Questo soprattutto perché era stato (comprensibilmente) deciso che il reddito da concordare dovesse essere allineato a quello oggi richiesto per ottenere un punteggio Isa (l’indice sintetico di affidabilità fiscale) pari a 10.
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I calcoli dopo il decreto correttivo
Con l’ultimo decreto correttivo si è posto riparo, o almeno si crede di averlo fatto, rendendo gli sconti ancora più allettanti. Quasi da hard discount del Fisco. Gli esperti Mario Cerofolini e Lorenzo Pegorin hanno calcolato, su Il Sole 24 Ore, gli effetti per le varie categorie di reddito (società a responsabilità limitata, professionisti, ditte individuali) della nuova proposta. Il confronto è svolto tra l’imposta che i «concordatari» avrebbero dovuto pagare per arrivare al punteggio 10 degli Isa e quella da corrispondere dopo l’ultimo intervento. La tassazione sostitutiva del maggior reddito concordato può arrivare a garantire un risparmio d’imposta del 70 per cento per chi ha un quoziente Isa compreso tra 1’8 e il 10. Senza tenere conto che quello che si guadagna in più, rispetto a quanto concordato, è ad aliquota zero. I vantaggi sono evidenti anche per chi ha un voto Isa più basso. Se, per esempio, è sotto la sufficienza, cioè il 6, sarà soggetto a un’aliquota del 15 per cento - sulla differenza rispetto al 10 - che non è certamente vessatoria. Si potrebbe agevolmente affermare che anche il maggior grado di inaffidabilità fiscale ne risulta premiato. Ora si tratterà di capire quanti saranno i contribuenti che accetteranno di aderire all’hard discount fiscale. Ma ancora di più si dovrà verificare se la misura bandiera non finisca per tradire lo spirito della riforma. O addirittura sollevare un dubbio di costituzionalità come ha scritto Dario Stevanato sul Foglio, parlando di «equità verticale».
L’iniquità orizzontale
La tassazione sostitutiva avrebbe un carattere regressivo perché gli incrementi di reddito sono colpiti meno delle altre soglie. Un ribaltamento sostanziale della progressività sancita dall’articolo 53 della Costituzione che però, come aggiunge l’autore, riguarda l’intero sistema contributivo, non una singola imposta. «Ma rendere l’Irpef per quella fascia di contribuenti addirittura regressiva - spiega il professore originario di Diritto tributario all’università di Trieste - è un intervento che non si era mai visto prima». «Ma esiste anche una non trascurabile questione di equità orizzontale — commenta Alessandro Santoro, ordinario di Finanza pubblica all’università Bicocca di Milano ed ex presidente della Commissione ministeriale sull’Economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva — perché la tassazione sostitutiva è così generosa da allargare ancora di più il divario tra soggetti con la stessa capacità contributiva. Per evitare il fallimento della riforma si è creata anche una disparità tra gli stessi lavoratori autonomi. Chi ha fin dall’inizio un’Isa migliore, diciamo pari a 10, paga tutte le imposte corrispondenti a questo livello ma scopre che magari un suo concorrente, con un’Isa di partenza pari a 6 o 7, può concordare con il Fisco di arrivare a 10 ma pagando, sui 3 o 4 punti di differenza, un’aliquota molto più bassa. E allora ci si deve domandare se chi fin dall’inizio è partito con 10 continuerà a farlo o se preferirà invece allontanarsi un po’ per fruire dello sconto. Questa iniquità orizzontale si aggiunge al vantaggio già concesso a chi gode del regime forfettario, rispetto a chi ne è fuori, oltre a quella, enorme e più generale, della disparità di trattamento tra autonomi e dipendenti».
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Le questioni da risolvere
Luigi Marattin è stato presidente della Commissione Finanze della Camera che elaborò, nella passata legislatura, una prima bozza di delega fiscale. Non era inizialmente contrario all’idea del concordato preventivo biennale. «Per la semplice ragione — spiega il deputato di Italia Viva — che quando hai una evasione accertata, in quelle categorie, del 69,7 per cento, qualcosa ti devi pure inventare. Ma dove si è sbagliato? Facciamo un esempio: io guadagno 100 ma dichiaro 40. Il Fisco mi propone un accordo su 60. Anche con una cosiddetta flat tax incrementale tra il 10 o il 15 per cento, decisamente bassa, si tratta comunque di pagare più imposte rispetto a quanto avrei fatto se non avessi aderito al concordato. E perché io dovrei farlo se so che, in caso di mancata adesione, nessuno mi viene a controllare? La quota di platea sottoposta al controllo è saldamente inchiodata al 4 per cento. Il punto dirimente è proprio questo. Si può e si deve essere collaborativi, e persino generosi, se vi è la deterrenza di controlli seri e capillari, anche incrociando meglio le banche dati, altrimenti non vi è alcun incentivo. Conviene fare come si è sempre fatto. E la beffa è quella di un sistema che rincorre categorie ad alta evasione finendo di fatto per uniformarsi al loro comportamento meno collaborativo».
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