È accettabile occupare quando ci sono migliaia di case popolari sfitte?
La politica non riesce ad assegnarle perché non ha le risorse per sistemarle, e allo stesso tempo tollera un'illegalità per certi versi cronica: se ne parla anche per via del caso di Ilaria Salis
di Isaia Invernizzi
Colonne
Una newsletter su Milano, che racconta e spiega la città dove ha da sempre sede il Post e dove vive la maggior parte dei suoi redattori e delle sue redattrici.
In una delle sue prime dichiarazioni pubbliche dopo essere stata liberata dal carcere ungherese in cui era detenuta, l’europarlamentare Ilaria Salis ha scritto su Instagram che chi entra in una casa disabitata «prende senza togliere a nessuno, se non al degrado, al racket e ai palazzinari». La presa di posizione di Salis non è stata casuale, era un modo per rispondere alla notizia della richiesta di risarcimento presentata nei suoi confronti da ALER, l’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale: secondo gli avvocati di ALER, Salis dovrebbe all’azienda circa 90mila euro per la presunta occupazione di una casa popolare in via Giosuè Borsi, a Milano, come dimostrerebbe una denuncia del 2009.
La richiesta di ALER e la risposta di Salis hanno alimentato un dibattito assai articolato sulle cosiddette politiche per la casa, sulla legittimità delle mobilitazioni, delle occupazioni, e in generale sul diritto alla casa richiamato dall’articolo 47 della Costituzione italiana e da diverse sentenze della Corte Costituzionale, ma compromesso da decenni di mala gestione delle case popolari. È un argomento complesso, quasi sempre influenzato da polarizzazioni e semplificazioni, come del resto è accaduto in queste ultime settimane a proposito del caso di Salis.
Da una parte movimenti, attivisti e alcuni ricercatori sostengono che, essendoci un’emergenza ormai cronica dovuta alla mancanza di politiche pubbliche, sia accettabile occupare una casa sfitta come soluzione a un problema, e come gesto di disobbedienza civile; dall’altra politici ed esperti di diritto si appellano alle leggi e in generale al principio di legalità, e non ritengono l’occupazione una vera disobbedienza civile, ma un’illegittima prevaricazione nei confronti delle persone inserite in graduatoria per l’assegnazione.
In particolare, a Milano questo dibattito deve fare i conti con le contraddizioni di una città dove costa moltissimo abitare, e dove ci sono 8.500 case popolari sfitte a fronte di circa 10mila persone in attesa di una sistemazione da anni. Di queste case, poco più di 4.500 sono proprietà di ALER, azienda gestita dalla Regione Lombardia, mentre le altre 4.000 sono di MM, la società partecipata dal comune di Milano che nel 2014 prese in gestione 28mila appartamenti comunali. ALER ne ha in totale 35mila. Nel 2023 il comune ha assegnato solo 213 alloggi sui 480 preventivati, mentre ALER 701 su 1.200.
Le case di edilizia pubblica occupate – cioè abitate da persone che non hanno partecipato alle regolari procedure di assegnazione – sono invece circa 3.500, di cui circa 3.000 di ALER e 500 del comune di Milano.
A occupare abusivamente sono spesso persone o famiglie con difficoltà economiche, senza un posto dove dormire o comunque senza alternative. Una parte delle occupazioni è gestita da racket criminali, organizzazioni che si sostituiscono agli enti pubblici e fanno soldi distribuendo appartamenti vuoti in pessime condizioni. Poi ci sono i parenti di legittimi proprietari che prendono possesso delle case dopo la morte della madre, del padre o dei nonni. Infine una quota minoritaria degli alloggi popolari viene gestita dal movimento di lotta per la casa, di cui Salis ha fatto parte attivamente per anni.
Vivere in una casa occupata, ha scritto Salis, di solito non è un’attività propria di chi vuole fare il furbo o aggirare la legge. Al contrario, farlo è logorante perché chi occupa vive quotidianamente con la paura di un intervento delle forze dell’ordine. Grazie ai censimenti organizzati negli ultimi anni, nella maggior parte dei casi il comune di Milano e in parte anche ALER conoscono le persone che occupano le case. Si tratta perlopiù di singoli o famiglie che avrebbero comunque i requisiti per ottenere una casa popolare e che non possono far valere questo diritto proprio perché abusivi.
Secondo Bruno Cattoli, segretario dell’Unione inquilini, un’associazione sindacale nata nel 1968 per sostenere il diritto alla casa, l’esclusione degli occupanti da qualsiasi forma di sostegno ha avuto l’effetto di «cronicizzare le occupazioni» e in un certo senso ha contribuito a «tenere in piedi i bilanci» delle aziende pubbliche. Nel caso di Salis, per esempio, ALER dice di aver chiesto all’europarlamentare 90mila euro basandosi esclusivamente sul fatto che nel 2008 era stata trovata dalla polizia all’interno di una casa popolare di via Borsi.
Nei 16 anni successivi non sono stati fatti controlli per verificare la sua permanenza nella casa, eppure ALER le ha addebitato tutti gli affitti non pagati e le spese legali. «Come per Salis, l’affitto degli occupanti viene calcolato con la massima tariffa possibile, senza controlli sull’effettiva permanenza: stiamo parlando di migliaia di persone», dice Cattoli. «I bilanci delle società si basano anche su queste presunte entrate, crediti che figurano e che non verranno incassati».
Nonostante i fondi stanziati dalle due società, ogni anno non è possibile mettere rapidamente a bando le circa mille case che si liberano. Il motivo è che prima di essere assegnate hanno bisogno di lavori di manutenzione, come il rifacimento degli impianti o degli infissi, a volte anche interventi più impegnativi. D’altronde spesso si tratta di appartamenti abitati da decenni, che quasi sempre hanno bisogno di lavori all’impianto elettrico e ai sanitari, talvolta anche alla disposizione dei locali, per rispettare le norme sull’abitabilità.
Nel triennio tra il 2022 e il 2024 ALER ha stanziato 800 milioni di euro “per la cura del patrimonio” delle 70.947 case che gestisce in tutta la provincia di Milano, cifra che però non è sufficiente a ridurre in modo significativo il numero di quelle sfitte. L’azienda infatti fatica a tenere il passo delle case che si liberano, anche a causa della lentezza degli appalti e dei cantieri. In generale gli investimenti per la manutenzione di questo enorme patrimonio pubblico sono scarsi da decenni in molte città italiane, grandi e piccole.
Paolo Franco, assessore regionale alla Casa e all’Housing sociale, sostiene tuttavia che le case sfitte non siano una giustificazione per occuparle. Nell’ultimo anno ALER è intervenuta per evitare l’occupazione «in flagranza» di 900 alloggi e ha liberato circa 800 case. L’obiettivo della Regione è far sì che il numero degli abusivi non cresca ulteriormente, anzi che venga ridotto di anno in anno.
«Noi però ci stiamo prendendo carico di una parte di assistenza sociale che spetterebbe ai comuni», continua Franco. «Nel bilancio ci sono per esempio 236 milioni di euro per aiutare le persone regolari che non riescono a pagare l’affitto a causa di difficoltà economiche. È un contributo di solidarietà, soldi con cui potremmo sistemare molte case sfitte e poi assegnarle».
In merito alla vicenda di Salis, Franco dice che la Regione non «arretrerà di un millimetro nei confronti di chi fa apologia di illegalità, né tanto meno nei confronti di chi manifesta sotto il nostro palazzo per chiedere meno sfratti e sgomberi», un riferimento alla protesta organizzata a metà giugno dai sindacati. «Siamo dalla parte della gente onesta, non di chi occupa».
In un articolo pubblicato sul Manifesto, Simone Tulumello ha scritto in maniera un po’ provocatoria che lo Stato italiano non può mettere fine alle occupazioni perché costituiscono l’unica politica pubblica della casa degli ultimi quattro decenni. Tulumello è un ricercatore dell’Istituto di scienze sociali di Lisbona, ha da poco pubblicato uno studio proprio su questo tema con un’indagine approfondita sui casi di Napoli e Torino. «La realtà di Milano è un esempio di come le occupazioni siano più o meno esplicitamente tollerate dallo Stato, che negli ultimi 40 anni ha rinunciato a gestire le politiche della casa», dice. «D’altronde se sgomberi tutte le case occupate a Milano “esploderebbe” Milano, e lo stesso succederebbe a Napoli. In questo senso la tolleranza nei confronti delle occupazioni è una forma di politica pubblica, anche perché si parla quasi sempre di persone che altrimenti sarebbero un enorme problema per i servizi sociali».
Uno dei problemi che finora hanno impedito alle istituzioni di occuparsi più concretamente delle occupazioni è proprio l’inerzia della politica, e il suo atteggiamento timoroso nei confronti di qualsiasi tentativo di regolarizzare le persone occupanti. Qualche progetto è stato fatto – uno dei più noti riguarda le Vele di Scampia – ma per il comune di Napoli è stato un percorso lungo e impegnativo, non esente da critiche. A Milano, invece, la divisione delle responsabilità tra ALER, gestita dalla Regione guidata dal centrodestra, e il comune amministrato dal centrosinistra ha portato a scambi di accuse e limitato il dibattito sulle possibili soluzioni.
Negli ultimi anni la strategia delle istituzioni è stata più che altro cedere la gestione di parte di questo patrimonio a privati e fondi immobiliari per “valorizzare il portafoglio immobiliare” pubblico, e ottenere più profitti dalla gestione delle case. Nel 2021 in tutta la città di Milano gli alloggi popolari erano 65mila, nel 2024 ne sono rimasti 63.668, diminuiti nonostante migliaia di richieste.
La Regione ha recentemente cambiato la legge regionale approvata nel 2016 per dare la possibilità di cedere la gestione degli immobili anche a enti a scopo di lucro. I sindacati degli inquilini si sono sempre opposti a queste cessioni, giustificate dalla necessità di far quadrare i conti, ma che limitano le politiche della casa e in definitiva l’assistenza sociale venendo meno all’obiettivo delle case popolari.
A differenza di molti altri politici nazionali, Salis si è già molto esposta su questo tema con una posizione inedita: sostiene la legittimità delle occupazioni come principio per garantire il diritto alla casa e come forma di mobilitazione politica. «Il movimento di lotta per la casa ha sempre agito con la forza della legittimità data dal semplice principio che tutte e tutti dobbiamo avere un tetto sulla testa», ha scritto su Instagram. «Vi piaccia o meno, c’è chi continuerà a lottare in nome di tale principio, richiamandosi alle lotte del passato ed entrando in contatto con quelle del futuro». Negli ultimi anni nessun politico o politica aveva sostenuto l’occupazione in modo così esplicito, anche perché occupare le case è vietato dalla legge.
In un articolo pubblicato su Domani la giurista Vitalba Azzollini ha spiegato che le occupazioni non sono legittime in nessun caso, in quanto il diritto di proprietà vale per i proprietari privati come per gli enti pubblici. Anche l’occupazione delle case sfitte, insomma, è illegale e illegittima. «È vero che probabilmente le persone che le occupano avrebbero i requisiti per abitarle, ma con l’occupazione si violano tutte le procedure», dice Azzollini. «Magari si toglie il posto a persone che aspettano in graduatoria da anni e che forse sono più bisognose».
Per lo stesso motivo secondo Azzollini anche il dibattito sulla legittimità politica delle occupazioni è fuorviante, perché occupare una casa non può essere considerata una forma di disobbedienza civile. «Le azioni di disobbedienza non ledono i diritti di nessun altro, anzi vengono organizzate per valorizzare i diritti di una persona. Occupare una casa togliendola alla potenziale disponibilità di altre persone è una forma di giustizia privata».
Secondo Tulumello, invece, sfondare una porta per entrare nelle case è un reato, mentre l’occupazione di per sé è legittima se fatta per dare una funzione sociale a un immobile vuoto. «Al limite il problema delle occupazioni è che non sono più politicizzate come in passato, cioè non vengono usate dai partiti politici per sollecitare una maggiore attenzione sulle politiche della casa», continua Tulumello. «Tutti i partiti, compresi quelli di sinistra, sono ossessionati dalla legalità e quindi si parla solo del reato, non dei problemi alla base di questo fenomeno». Anche per Cattoli dell’Unione inquilini le occupazioni nascono da problemi sociali e nella maggior parte dei casi non sono legate alla delinquenza.
Dopo le parole di Salis si è discusso prevalentemente della richiesta di risarcimento presentata da ALER, della sua presunta violazione della legge, delle denunce che ha ricevuto negli anni, e poco delle motivazioni del movimento di lotta per la casa. Si è discusso ancora meno di come mai la politica non abbia più una visione pubblica nazionale sulle case popolari, come accadeva in passato.
Anche a Milano, dove le occupazioni e la gestione delle case popolari sono un tema urgente (da anni si parla di “emergenza casa”), il dibattito seguito alle parole di Salis è stato piuttosto essenziale. Secondo Cattoli, sarebbe stata una buona occasione per allargare lo sguardo al futuro della città e delle persone che la abitano. «Ci si rende ancora poco conto che Milano dovrebbe includere di più la popolazione che gestisce i servizi. Chi alla mattina si alza per andare a pulire gli uffici, chi lavora nella logistica, chi nelle mense scolastiche e tante altre persone: quasi tutte faticano a trovare una casa a prezzi accessibili e men che meno una casa popolare», dice Cattoli. «Sono persone molto spesso straniere, indispensabili per l’economia di Milano, che però senza una vera politica della casa vengono escluse da questa città».
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