Stato-nazione
Lo Stato-nazione, con la sua pretesa di rappresentare tutto il popolo, così come si era sviluppato dalla rivoluzione francese in poi, era il prodotto di due fattori: la nazionalità e l’apparato statale, che ben presto erano entrati in conflitto.
Come spiega Wolfgang Reinhard, la nazione e la coscienza nazionale erano fenomeni relativamente recenti che si fondavano sull’eguaglianza di origine, sulla comunanza di lingua e di religione, sul possesso di un determinato territorio, sulla storia comune e sui sentimenti collettivi: la nazione in sostanza mobilitava l’intero popolo e rappresentava il valore supremo, l’ultima istanza di senso [6]. Lo Stato, la cui struttura derivava da secoli di monarchia e dispotismo illuminato, aveva ereditato come funzione suprema la protezione giuridica di tutti gli abitanti del territorio, indipendentemente dalla nazionalità.
Ben presto la coscienza nazionale entrò in conflitto con tale funzione, in quanto lo Stato, in nome della volontà popolare, garantiva pieni diritti soltanto a coloro che appartenevano alla comunità nazionale. Lo Stato-nazione, strutturalmente, per la Arendt ospita già al proprio interno una logica contraddittoria, fondata sulla tensione dei due elementi costitutivi: lo Stato, come «costruzione razional-legale» [7] volta a garantire i diritti di tutti, e la nazione, che si regge sul presupposto di una comunità omogenea ed escludente fondata sulla condivisione di suolo, sangue e lingua, requisiti essenziali al riconoscimento della protezione legale da parte dello Stato che in tal modo si trasforma da strumento del diritto in strumento della nazione: «Il nazionalismo – spiega la Arendt – era essenzialmente l’espressione di questo pervertimento dello stato in uno strumento della nazione, l’identificazione del cittadino col membro di un gruppo nazionale» [8].
La Arendt aveva già scritto sull’argomento recensendo l’opera di J. T. Delos, La nation [9], in cui il nazionalismo veniva descritto come «la conquista dello stato da parte della nazione», e come l’unico nesso davvero funzionante tra lo Stato centralizzato e la società individualistica del XIX secolo. In un secolo in cui ogni settore della popolazione era dominato da interessi di classe e di gruppo, l’unico vincolo fra i cittadini che poteva simboleggiare una sostanziale comunanza di interessi era la comune origine.
[6] Cfr. W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa, Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 531 e sgg.
[7] S. Forti, Il totalitarismo, Editori Laterza, Roma-Bari 2001, p. 35.
[8] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 322.
[9] H. Arendt, La nazione, «The Review of Politics», VIII/1, gennaio 1946, (tr. it. in Archivio Arendt 1. 1930-1948, a cura di S. Forti, Feltrinelli, Milano 2001, p. 239).
Questa risorsa è parte dell'articolo: Mara Casale , La politica come esistenza autentica e la storia come narrazione: Hannah Arendt e l'esperienza totalitaria. Storicamente 2 (2006) , nr. articolo 22.
DOI:
http://dx.doi.org/10.1473/stor362Chiudi pagina
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
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