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Autore Discussione: Tempi difficili per la Georgia piccolo Stato postSovietico della Transcaucasia.  (Letto 119 volte)
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« inserito:: Maggio 23, 2024, 12:44:16 pm »

La legge russo-georgiana
di Enrico Mario Storchi

Attualità & Politica IMMODERATI Opinione

17/05/2024
Tempi difficili per la Georgia, il piccolo Stato post-sovietico della Transcaucasia. Sin da fine aprile nella capitale del Paese, Tbilisi, sono in corso grandi proteste e manifestazioni di piazza contro la proposta di legge sugli «agenti stranieri». La proposta, che martedì è stata definitivamente approvata dal Parlamento, ricalca quasi alla perfezione una legge russa approvata nel 2012 dal Governo allora presieduto da, tanto per cambiare, Vladimir Putin.
Fonte: Flickr
La legge, come quella russa, obbligherebbe ogni media e ONG georgiano a registrarsi come «entità che persegue gli interessi di una potenza straniera» nel caso riceva più del 20% dei suoi finanziamenti dall’estero. Fin qui, niente di inaudito: in molti Paesi, Stati Uniti d’America inclusi, esistono leggi che vigilano sulle attività di ONG estere che operano nel Paese. È comprensibile che un Paese sovrano voglia conoscere le attività di queste organizzazioni. Il FARA (Foreign Agents Registration Act), creato nel 1938 negli USA per contrastare la propaganda nazista negli States, è ancora in vigore ma si concentra solo sulle attività di lobbying e non si applica ad associazioni umanitarie e/o religiose[1]. Il “precedente” della legge statunitense è molto utilizzato dai sostenitori della proposta di legge georgiana; in un leitmotiv già noto anche in Italia sin dall’inizio della guerra in Ucraina, ogni legge autoritaria viene giustificata cercando precedenti “ipocriti” nel mondo occidentale che si professa liberale e democratico. Peccato che questo ragionamento, nel caso della legge georgiana, non stia in piedi.
In primo luogo la legge statunitense non riguarda le organizzazioni umanitarie, mentre queste ultime, nel caso georgiano, sarebbero anch’esse oggetto di indagini. Quindi, mentre il FARA persegue criminali, corrotti e terroristi, la legge georgiana perseguirebbe anche individui che operano in ONG umanitarie. Organizzazioni con fini scientifici, religiosi, artistici e persino avvocati sono considerati, dalla legge georgiana, «agenti stranieri».
L’altra grande differenza risiede nel contesto storico: mentre la legge statunitense venne creata nel 1938 per combattere la propaganda nazista, quella georgiana considera come nemici del Paese l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Un fatto alquanto curioso dato che proprio l’UE e gli USA sono stati, in questi trent’anni di indipendenza georgiana dall’ex URSS, i principali sostenitori economici del Paese, il quale ha visto innalzare la qualità della vita dei propri cittadini in modo esponenziale. Vi è inoltre una grande differenza sui criteri adottati per definire una persona, o un’organizzazione, un «agente straniero»: mentre negli USA vi è bisogno della prova che la persona sia «under the control of, or acts at the direction of, a foreign power[2]», quindi sotto diretto controllo di una potenza straniera, in Georgia basterà ricevere più del 20% dei fondi dall’estero per essere considerato «agente straniero». Se un lavoratore georgiano di una ONG umanitaria ricevesse più del 20% del suo stipendio dall’estero, sarebbe automaticamente considerato un «agente straniero», senza bisogno di ulteriori prove e senza possibilità di fare ricorso, esattamente come accade oggi in Russia. Proprio in Russia, tuttavia, la legge sugli «agenti stranieri» esenta le organizzazioni religiose le quali sono invece incluse in quella georgiana: la legge del Governo di Tbilisi quindi sarebbe ancora più stringente di quella russa.
Abbiamo già ricordato come la legge georgiana consideri solo l’Unione Europea e gli Stati Uniti (insieme al Giappone) come Paesi nemici, mentre la Russia di Putin non viene mai nominata, nonostante abbia invaso il Paese per ben due volte sottraendogli il 20% del suo territorio. Ma perché questa differenza di trattamento? La legge sugli «agenti stranieri» è stata proposta dal Partito “Sogno Georgiano”, il quale è al potere in Georgia dal 2013. Fondato solo un anno prima da Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del Paese, il Partito si è contraddistinto per avere adottato nel corso degli anni un atteggiamento sempre più filorusso. Ivanishvili, arricchitosi in Russia nel periodo delle privatizzazioni selvagge a seguito della dissoluzione dell’URSS, è considerato da molti analisti politici come l’uomo di fiducia di Putin in Georgia. Nelle ultime settimane, insieme ad altri membri del Partito, ha sostenuto che le proteste di piazza siano comandate da potenze straniere che vogliono destabilizzare la Georgia, aggiungendo, tanto per cambiare, teorie del complotto che coinvolgono il movimento LGBTQ+.
I georgiani, soprattutto i giovani, hanno però fiutato il pericolo insito in una legge simile che, come avvenuto in Russia, servirà al Governo per perseguire ogni attività “scomoda” e aumentare il controllo sulla società civile per reprimere ogni forma di dissenso. L’aver ribattezzato la proposta di legge come «Legge Russa» ha creato un grande spauracchio in una popolazione che, per l’80%, desidera l’ingresso nell’Unione Europea per difendersi dall’influenza del gigante russo[3]: ingresso che, nel caso la legge entrasse in vigore, diventerebbe estremamente difficile.
Viene tuttavia da chiedersi come sia possibile che vi siano folle oceaniche nelle proteste di piazza mentre “Sogno Georgiano”, alle ultime elezioni del 2020, ha vinto con una grande maggioranza. Le elezioni parlamentari georgiane del 2020 sono state caratterizzate dal boicottaggio delle opposizioni che hanno invitato i propri elettori a non presentarsi alle urne, denunciando brogli da parte di “Sogno Georgiano
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