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Autore Discussione: TITO BOERI. -  (Letto 33409 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Agosto 23, 2014, 05:45:13 pm »

21.08.13
Tito Boeri e Tommaso Nannicini

Resi pubblici gli importi delle pensioni d’oro, quello che continua a mancare è quanto i beneficiari di tali pensioni hanno effettivamente versato.
Un’informazione essenziale per ridurre le pensioni troppo generose senza incorrere nella censura della Consulta.
Devono infatti valere principi di equità sia redistributiva che intergenerazionale.


Quest’estate sono stati resi pubblici gli importi delle cosiddette pensioni d’oro, le dieci pensioni più generose erogate oggi dall’Inps. Sin qui avevamo solo una distribuzione dei pensionati per importo della pensione. Sapevamo, ad esempio, che ci sono 513.876 persone che ricevono un assegno superiore ai 3.000 euro mensili. Ma non sapevamo che ci siano persone che ricevono trattamenti superiori ai 90.000 euro al mese, più di 200 volte l’importo di una pensione sociale.

L’informazione che continua a mancare è quanto i beneficiari di pensioni di alto importo hanno versato nel corso della loro intera carriera lavorativa. In altre parole, bisogna rendere noti non solo i livelli delle pensioni d’oro, ma anche i rendimenti impliciti che sono stati concessi dal sistema previdenziale pubblico ai contributi versati da chi sarebbe poi diventato un pensionato d’oro e dai loro datori di lavoro.  Servirà questa informazione innanzitutto per evitare ulteriori censure della Consulta in nome della violazione di “diritti acquisiti”. Se non si rendono pubbliche queste informazioni sarà sempre possibile sostenere che, dopotutto, i beneficiari di queste prestazioni milionarie se le sono pagate coi loro contributi in anni di lavoro.

DIRITTI O REGALI ACQUISITI?
Ogni pensione calcolata in Italia con un metodo diverso da quello contributivo, quello che dalla fine del 2011 viene praticato a tutti i contributi previdenziali versati dai lavoratori italiani, attribuisce prestazioni superiori ai contributi versati in termini attuariali, con un regalo che è tanto più forte quanto più alte sono le retribuzioni finali dei lavoratori. Il sospetto è poi che non pochi dei pensionati d’oro abbiano potuto fruire di regimi speciali e ulteriori regali fatti per ragioni di consenso elettorale soprattutto negli anni 70 e 80, scaricandone i costi sui contribuenti futuri. Per esempio, sono noti i casi di forze armate in cui un rapido (e inefficiente) turnover ai vertici era probabilmente motivato dall’unico obiettivo di far maturate pensioni d’oro all’ombra del vecchio sistema retributivo. Più che di “diritti acquisiti” bisognerebbe perciò parlare di “regali acquisiti”, di piacevoli sorprese ottenute poco prima di andare in pensione. Questi stessi regali insostenibili hanno poi obbligato governi successivi a mutare più volte le regole previdenziali, allontanando la data di pensionamento o riducendo il livello delle pensioni future a chi magari era molto vicino all’andata in pensione. Perchè questi “diritti acquisiti” non sono stati tutelati mentre oggi si vorrebbero tutelare i “regali acquisiti” dei pensionati d’oro? E perchè viene ritenuto in linea coi principi costituzionali chiedere di più a “chi ha di più” come fa il nostro sistema tributario, ma non si può chiedere di più a “chi ha avuto di più”, in base a regole intrinsecamente insostenibili e tali dunque da imporre oneri o togliere diritti ad altri?

UN CONTRIBUTO DI EQUITÀ
Come già proponevamo su queste colonne, questi dati servirebbero a meglio calibrare gli interventi perequativi. Ad esempio, si dovrebbe intervenire sulle quiescenze di chi soddisfa due criteri: il primo è quello di ricevere un ammontare totale di pensioni (ci sono molte persone che percepiscono più di una pensione) al di sopra di una certa soglia; il secondo è quello di ottenere questo reddito prevalentemente da una pensione il cui rendimento implicito è molto elevato. Il primo criterio (quello che guarda all’ammontare complessivo delle pensioni) serve a tutelare il principio di equità redistributiva, sostenendo nella vecchiaia chi non ha accumulato abbastanza contributi. Il secondo criterio (quello che guarda alle pensioni in rapporto ai contributi versati) tutela l’equità intergenerazionale, chiedendo qualche sacrificio in più a chi ha avuto troppo dalle vecchie regole del sistema pensionistico. I risparmi così ottenuti potrebbero essere utilizzati per dotare il nostro paese di quegli strumenti di contrasto alla povertà assoluta che, unici in Europa assieme alla Grecia, tutt’ora non abbiamo, magari partendo da quelle fasce di età che sono state particolarmente colpite dalla crisi, come le generazioni coinvolte nella vicenda esodati o quelle travolte dall’esplosione della disoccupazione giovanile. E come potrebbe la Corte Costituzionale opporsi a un provvedimento che riduca queste pensioni d’oro per aiutare i lavoratori esodati? A quali “diritti acquisiti” potrebbe fare riferimento al cospetto di persone che hanno visto allontanarsi la pensione e accorciarsi il periodo di fruizione dei trattamenti di mobilità e che si vedrebbero negare un aiuto dalle decisioni della Consulta?
Pubblicare i rendimenti impliciti di ogni prestazione oggi erogata dal sistema pubblico rispetto ai contributi versati sarebbe una vera operazione di trasparenza sulle iniquità del nostro sistema previdenziale. Gli italiani hanno diritto, questo sì, di sapere quanto diversi sono stati sin qui i trattamenti pensionistici in rapporto a quanto versato dai lavoratori. Pubblicare questi dati (ad esempio sapere quante persone si sono viste riconoscere un rendimento del 50 per cento superiore a quello del contributivo) e spiegare come vengono calcolati servirebbe anche a rafforzare conoscenze finanziarie di base per chi deve costruirsi il proprio futuro previdenziale.


Tito Boeri tito Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell'Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all'Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca, e Centennial Professor alla London School of Economics. E' Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell'economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it. Redattore de lavoce.info. Segui @Tboeri su Twitter

Tommaso Nannicini nannicini È professore associato di economia politica all’Università Bocconi di Milano, dove insegna econometria e political economics. Ha pubblicato su numerose riviste scientifiche, tra cui l’American Economic Review e l’American Political Science Review. Ha insegnato all’Universita’ Carlos III di Madrid e svolto periodi di ricerca ad Harvard University, MIT, Fondo Monetario Internazionale, EIEF e CREI. È affiliato anche ai centri di ricerca IGIER-Bocconi e IZA. Redattore de lavoce.info.


Da - http://www.lavoce.info/pensioni-la-trasparenza-doro-3/
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« Risposta #46 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:16:04 am »

Non bastano i treni a far ripartire il Paese

Di TITO BOERI

Il tempismo, sul piano della comunicazione, è perfetto. Nel giorno in cui l'Istat certifica il ritorno dopo 50 anni alla deflazione e con un mercato del lavoro sempre più in sofferenza il governo vara un decreto dal titolo molto promettente: sblocca-Italia. Interviene in ritardo rispetto allo scadenziario che lo prevedeva per metà luglio, ma proprio per questo permette al governo di reagire ai dati sui consumi degli italiani dopo l'introduzione del bonus di 80 euro, dati che confermano l'impressione che lo sgravio non abbia avuto gli effetti sperati di stimolo della domanda. Se si va al di là dei titoli e dei relativi cinguettii telematici, affiorano però non pochi dubbi sull'efficacia delle misure varate ieri e, a dispetto delle rivoluzioni annunciate, in molte di loro si respira l'odore stantio del dejà vu.

Di sblocco sulla carta ci sono quasi solo i cantieri delle opere su rotaia. Il bonus edilizia viene semmai bloccato, non rinnovato nel 2015 almeno fino all'approvazione della legge di Stabilità. Le 1617 mail ricevute dai Comuni con segnalazioni di ritardi in piccole opere dovranno aspettare. Non ci sono fondi per le misure contro il dissesto idrogeologico. Non è la prima volta che un governo italiano si affida ai trasporti e soprattutto alle Ferrovie dello Stato (che continuano a non assicurare la pulizia dei treni su gran parte delle tratte) per rilanciare un'economia che non riesce a ripartire. I fallimenti del passato, quando peraltro c'erano ben più risorse da destinare a queste opere, non sembrano essere stati metabolizzati.

Sono lastricate le strade di Palazzo Chigi di comunicati in cui si annunciano miliardate di opere pubbliche di immediata attuazione, a partire dalla faraonica legge obiettivo del 2001 per arrivare al "decreto del fare" (e disfare) lasciato in testamento da Letta. Il fatto stesso che si peschi una volta di più dall'elenco annunciato da Berlusconi a Porta a Porta, attuato solo in minima parte (attorno al 10 per cento) in 15 anni, certifica che non basta decretare per avviare i lavori. E anche questa volta, quando si studiano i singoli dossier, ci si accorge che gran parte delle opere non sono immediatamente cantierabili. Tre quarti di queste potranno, nella migliore delle ipotesi, partire nel 2018. Del resto è lo stesso profilo temporale dei finanziamenti a certificare che non si tratta di misure di impatto immediato: 40 milioni nel 2014, 415 nel 2015, 888 nel 2016. Non è questo tipicamente l'orizzonte delle misure congiunturali che vogliono evitare una nuova prolungata recessione agli italiani.

Una volta di più si annunciano queste misure a costo zero, come se destinassero nuove risorse alle infrastrutture senza sottrarle ad altri interventi. Ma come può un governo che chiede un consenso attorno ad un'operazione politicamente costosa come la spending review, come può un esecutivo che dovrà racimolare nella legge di Stabilità qualcosa come 16 miliardi di tagli alla spesa nel 2015, dire agli italiani che ci sono tutti questi miliardi piovuti dal cielo? È fin troppo evidente a tutti che le risorse che verranno destinate a queste opere, anche quelle che vengono da fondi europei, verranno sottratte a destinazioni alternative. È dovere di un governo spiegare perché queste opere sono più importanti di altre cose che si potevano fare con questi soldi. A partire dalle stesse opere infrastrutturali alternative che potevano essere avviate (perché, ad esempio, il terzo valico Milano-Genova e non il raccordo Fiumicino-alta velocità verso Firenze?).

Le analisi costi-benefici delle singole opere servono proprio a questo, ma non ce n'è traccia. Offrono le stesse valutazioni che ogni imprenditore compie quando deve decidere se fare o meno un investimento. Perché i contribuenti italiani, al pari degli azionisti privati, non devono avere il diritto di sapere come vengono utilizzati i loro soldi rispetto a diversi scenari e opzioni alternative?

La dimensione del dispositivo entrato in Consiglio dei ministri (125 pagine e, come ormai è prassi, non c'è un testo in uscita) e i commi e sottocommi dei diversi articoli danno l'impressione di burocrazie ministeriali tutt'altro che rottamate. Se il decreto avesse mantenuto l'obiettivo della semplificazione normativa, avremmo un precedente cui appellarci sul piano del metodo. Speriamo che dietro al formalismo non si celino troppi giochi di potere: homo homini lupus. E l'impressione è che almeno al ministero dei Trasporti siano ancora le alte burocrazie a governare.

Forse sarebbe stato più saggio ieri limitarsi alle misure sulla giustizia civile, che hanno potenzialmente un rilievo economico molto importante se sapranno davvero intervenire sugli arretrati, e rinviare le altre misure alla prima legge di Stabilità del Governo Renzi, nella quale confluiranno anche le norme sulle società partecipate. Ci dirà qual è la strategia di politica economica di questo governo.

(30 agosto 2014) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/08/30/news/crescita_non_bastano_i_treni-94686223/?ref=HRER3-1
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« Risposta #47 inserito:: Dicembre 26, 2014, 11:35:21 am »

Jobs Act, oggi Cdm.
Boeri: “Ma per sussidi a disoccupati mancano 2 miliardi”

Lavoro & Precari

Oggi a Palazzo Chigi riunione (già rinviata) sui decreti attuativi della riforma del lavoro e sui nuovi ammortizzatori sociali. Ma secondo l'economista di lavoce.info la coperta è troppo corta. Il confronto con l'intervento spagnolo
Di Stefano De Agostini | 24 dicembre 2014

Mentre il governo, con il Consiglio dei ministri di oggi, si appresta a svelare il suo piano per il nuovo sussidio di disoccupazione universale, dalla Spagna arriva un campanello d’allarme: la coperta delle risorse prevista dal nostro esecutivo è troppo corta. Solo per finanziare un sostegno per i disoccupati di lunga durata, cioè chi è senza lavoro da molto tempo e non ha più diritto al sussidio, Madrid si prepara a spendere oltre un miliardo di euro in soli 15 mesi. Il nostro governo, invece, per la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, ha stanziato in legge di Stabilità 2,2 miliardi di euro. “Per un’operazione del genere servirebbero 4 miliardi di euro – spiega Tito Boeri, economista de lavoce.info e docente all’università Bocconi  – I 2,2 miliardi previsti dalla legge di Stabilità sono ancora troppo pochi. E, nel calcolo, non ho tenuto conto delle risorse necessarie per il sussidio ai disoccupati di lunga durata, che se fosse approvato sarebbe un intervento molto importante”.

Ma per avere un quadro più completo della questione coperture occorre fare un passo indietro. La nuova Aspi (Naspi), in base a quanto fatto trapelare dal governo, sarà estesa a una platea più ampia, che comprenderà precari con contratti a termine, atipici o di collaborazione, per un totale, stima l’esecutivo, di circa 1,2 milioni di persone: il sussidio potrà infatti essere erogato a quanti avranno lavorato anche per soli tre mesi nell’ultimo anno. L’assegno durerà fino a due anni, mentre adesso si limita a 14 mesi, e partirà da 1.100-1.200 euro per poi scendere, con il passare dei mesi, a 700.

Un ampliamento della platea di beneficiari, dunque. A questa mossa deve corrispondere necessariamente un aumento delle risorse a disposizione. Nei piani del governo, la Naspi andrà a coprire lo spazio lasciato vuoto dal superamento di buona parte degli attuali ammortizzatori sociali: mobilità, cassa integrazione in deroga, indennità di disoccupazione e, naturalmente, Aspi e mini Aspi. Nel 2013, questi strumenti hanno interessato circa 2 milioni di persone e sono costati alle casse dell’Inps circa 18,2 miliardi di euro. Se ci aggiungiamo i 2,2 miliardi stanziati nella manovra e gli 1,2 milioni di nuovi beneficiari della Naspi stimati dal governo, possiamo ipotizzare che per il sussidio universale, una volta a regime, si spenderanno circa 20,5 miliardi. A questo va aggiunto il fatto che nel giro di due anni la spesa per gli ammortizzatori contro la disoccupazione è aumentata da 11,6 a 13,5 miliardi e il numero dei disoccupati continua a salire costantemente da tre anni. E i 3,2 milioni del terzo trimestre 2014 rappresentano un record dal 2004.

In questo quadro, il Jobs Act prevede il varo di un’ulteriore prestazione sociale. Nel testo della legge delega, infatti, tra i principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il governo compare la “eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’Aspi, di una prestazione (…) limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee, ndr), con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti”. Come in Spagna, si intende quindi venire incontro a quanti hanno esaurito il sussidio di disoccupazione, la nostra Aspi, ma sono ancora senza un lavoro e in stato di difficoltà economica. E al tempo stesso si prepara un percorso di reinserimento lavorativo.

Questo passaggio del Jobs Act ricorda infatti da vicino la “ayuda extraordinaria” introdotta da Madrid: il 15 dicembre è stato firmato un accordo tra il governo spagnolo e le parti sociali per garantire un aiuto mensile ai disoccupati di lunga data. La prestazione spetterà a quanti hanno esaurito il sussidio di disoccupazione da oltre un anno e si ritrovano senza alcun reddito e con familiari a carico. L’assegno sarà di 426 euro e avrà una durata di sei mesi. Durante questo periodo, i beneficiari del sussidio parteciperanno a un percorso personalizzato di orientamento al lavoro. Secondo fonti ministeriali la misura avrà un costo tra 1 e 1,2 miliardi di euro e interesserà una platea di 400-450mila disoccupati. Il programma è sperimentale e avrà una durata di 15 mesi, dal 15 gennaio 2015 al 15 aprile 2016, anche se è prevista una verifica tra le parti per valutarne gli effetti e l’eventuale proroga.

Saltano però all’occhio alcune differenze tra i piani dei due governi. Innanzitutto la forma scelta. Nel caso spagnolo si tratta di un accordo tra l’esecutivo e le parti sociali con una durata ben definita. Il governo Renzi, invece, ha inserito lo strumento direttamente nella riforma del lavoro, rendendolo, si suppone, una misura strutturale. Eppure, se da una parte Roma sembra puntare in modo più deciso su questa forma di sostegno, dall’altra l’aggettivo “eventuale” lascia al governo la facoltà di realizzare o meno la misura. Insomma, nella legge che dovrebbe impegnare l’esecutivo è già contenuta la scappatoia. E qui, tornando a Boeri, il motivo appare evidente: la scarsità di risorse. Se gli stanziamenti, seguendo il ragionamento del professore, sono già insufficienti senza il sussidio per i disoccupati di lunga durata, figuriamoci con l’introduzione di un’ulteriore prestazione sociale. Insomma, in attesa di conoscere le decisioni del governo, i numeri dimostrano quanto sia difficile trovare le risorse per un intervento sul modello spagnolo. Ecco perché, mentre i tecnici fanno i calcoli, il legislatore si ripara dietro una parola: “eventuale”.

Di Stefano De Agostini | 24 dicembre 2014

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/24/jobs-act-oggi-cdm-boeri-per-i-sussidi-disoccupati-mancano-2-miliardi/1295076/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2014-12-24
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« Risposta #48 inserito:: Febbraio 02, 2015, 11:19:35 pm »

Cgil sulle pensioni: "A gennaio ribassi e caos pagamenti"
Secondo il sindacato Spi con l'anno nuovo ci saranno leggeri tagli agli assegni rispetto al 2014, poi il recupero in febbraio.
La legge di Stabilità ha cambiato le date di versamento. L'Istituto previdenziale: per ora nessuna novità nel calendario


30 dicembre 2014

MILANO - A gennaio le pensioni saranno più leggere, salvo poi risalire il mese successivo, ed è probabile si verifichi un caos relativo alle date di pagamento. L'allerta arriva dallo Spi Cgil, secondo il quale a inizio anno nuovo "i pensionati dovranno restituire allo Stato una parte della rivalutazione del 2014".

Per il sindacato "una minima perderà 5,40 euro su dicembre 2014" e a un trattamento previdenziale da 1.500 euro mancheranno 16,30 euro. Tuttavia "lievi aumenti sono previsti per febbraio. La rivalutazione automatica porterà nelle tasche di un pensionato con la minima 1,50 euro in più sul 2014", (+3 euro per un assegno da 1.500). Insomma un piccolo recupero dopo la 'brutta sorpresa' di inizio anno.

Il sindacato dei pensionati della Cgil denuncia anche un "caos date" per i pagamenti. Lo Spi ricorda come il "governo abbia rimesso mano al sistema di pagamento degli assegni previdenziali". Quindi, riepiloga, "quelli Inps saranno liquidati il primo del mese mentre quelli Inpdap il 16, così come è avvenuto fino ad oggi".

Invece, sottolinea, "novità riguardano invece i titolari di due o più pensioni e nello specifico quelle di reversibilità, invalidità civile e di rendite vitalizie per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Queste saranno liquidate il 10 del mese". Ma per lo Spi "la norma" contenuta nella legge di Stabilità, è "poco chiara e rischia di riguardare fino a 5 milioni di pensionati e non alcune centinaia di migliaia come dichiarato dal governo". Ecco perchè secondo il sindacato si tratta di una questione "che il neo-presidente dell'Inps Tito Boeri dovrà affrontare e chiarire quanto prima per limitare il più possibile i disagi arrecati alla popolazione anziana".

A questo punto per il segretario generale dello Spi Cgil, Carla Cantone, è evidente come il Governo si sia "dimenticato ancora una volta dei pensionati italiani e nella legge di Stabilità per loro non c'è nulla".

In una nota l'Inps ha successivamente fatto sapere che nel mese di gennaio non ci sarà nessuna novità sul calendario dei pagamenti delle pensioni. "Gli assegni verranno liquidati come sempre il primo del mese e il 16 del mese, a seconda che si tratti rispettivamente di pensioni Inps o ex-Inpdap - chiarisce l'Istituto - Resterà da trovare per i mesi successivi una soluzione. Il problema riguarda i soli pensionati che incassano più assegni legati a carriere sia nel settore pubblico che in quello privato. Ma l'Istituto sta studiando modalità che non penalizzino i pensionati, evitando di procrastinare anche se di pochi giorni il pagamento delle loro spettanze". Rispetto alla norma contenuta nella Legge di Stabilità, l'Inps precisa che è sua "ferma intenzione non creare danno ai pensionati" e che "farà di tutto per non introdurre una nuova scadenza di pagamento, che non sia il primo e il 16 del mese".

pensioniinpsinpdap
© Riproduzione riservata 30 dicembre 2014

DA - http://www.repubblica.it/economia/2014/12/30/news/pensioni_gennaio_cgil-103999552/?ref=search
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« Risposta #49 inserito:: Febbraio 02, 2015, 11:23:42 pm »

Inps, Boeri: "Il mio sarà un impegno gravoso"
Il nuovo presidente dell'ente previdenziale commenta la sua nomina: "E' un'istituzione fondamentale per il Paese soprattutto alla luce degli squilibri del mercato del lavoro".
Sui "trattamenti d'oro": "Credo profondamente in tutte le cose che ho scritto"

26 dicembre 2014

ROMA - Si tratterà di un "impegno gravoso" da affrontare con "grande responsabilità". A due giorni dalla nomina come presidente dell'Inps, Tito Boeri commenta il suo nuovo incarico. "L'Inps è un'istituzione fondamentale per il Paese, soprattutto alla luce dell'andamento demografico, degli squilibri e dei grandi interrogativi che presenta il mercato del lavoro, in relazione ai giovani". Boeri arriva all'Inps dopo il breve commissariamento di Tiziano Treu che ha traghettato l'ente, ormai diventato Super- Inps, con l'accorpamento dell’Inpdap, dopo l'uscita di Antonio Mastrapasqua.

E l'economista riferisce che la notizia della nomina del Consiglio dei ministri è arrivata "all'improvviso". "Il giorno prima stavo scrivendo". E invece, d'ora in poi l'attività di editorialista sarà interrotta: "E' una regola che ci siamo autoimposti a La Voce: chi riceve un incarico istituzionale si mette in aspettativa". Nessun accenno sullo scottante tema delle pensioni: in particolare, riguardo ai trattamenti "d'oro", e all'ipotesi di introdurre un "contributo d'equità" (da calcolare sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati, limitatamente a chi percepisce importi elevati) accennato proprio in un suo articolo del gennaio scorso, Boeri preferisce non entrare nel merito rispondendo: "Credo profondamente in tutte le cose che ho scritto".

Le altre nomine. Nel corso del Consiglio dei ministri del 24 dicembre sono state approvate le seguenti nomine: su proposta del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il generale di corpo d'armata Tullio Del Sette è stato nominato a Comandante dell'Arma dei Carabinieri. Ancora su proposta della Pinotti, il generale del corpo d'armata Claudio Graziano è stato nominato Capo di Stato maggiore della Difesa. Su proposta del Ministro dell'Interno, Angelino Alfano, è stata approvata la nomina a dirigente generale di pubblica sicurezza del dirigente superiore della Polizia di Stato Raffaele Pagano. Ancora su proposta di Alfano è stata approvata la nomina di Gerarda Pantaleone a Prefetto di Napoli. Infine, su proposta del ministro dell'Economia e delle Finanze, Pietro Carlo Padoan, è stata stabilita la promozione a generale di corpo d'armata del generale di divisione della Guardia di finanza Riccardo Piccinni.

© Riproduzione riservata 26 dicembre 2014
da corriere.it
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« Risposta #50 inserito:: Febbraio 07, 2015, 09:59:20 am »

Inps, Boeri: "Il mio sarà un impegno gravoso"
Il nuovo presidente dell'ente previdenziale commenta la sua nomina: "E' un'istituzione fondamentale per il Paese soprattutto alla luce degli squilibri del mercato del lavoro". Sui "trattamenti d'oro": "Credo profondamente in tutte le cose che ho scritto"

26 dicembre 2014

ROMA - Si tratterà di un "impegno gravoso" da affrontare con "grande responsabilità". A due giorni dalla nomina come presidente dell'Inps, Tito Boeri commenta il suo nuovo incarico. "L'Inps è un'istituzione fondamentale per il Paese, soprattutto alla luce dell'andamento demografico, degli squilibri e dei grandi interrogativi che presenta il mercato del lavoro, in relazione ai giovani". Boeri arriva all'Inps dopo il breve commissariamento di Tiziano Treu che ha traghettato l'ente, ormai diventato Super- Inps, con l'accorpamento dell’Inpdap, dopo l'uscita di Antonio Mastrapasqua.

E l'economista riferisce che la notizia della nomina del Consiglio dei ministri è arrivata "all'improvviso". "Il giorno prima stavo scrivendo". E invece, d'ora in poi l'attività di editorialista sarà interrotta: "E' una regola che ci siamo autoimposti a La Voce: chi riceve un incarico istituzionale si mette in aspettativa". Nessun accenno sullo scottante tema delle pensioni: in particolare, riguardo ai trattamenti "d'oro", e all'ipotesi di introdurre un "contributo d'equità" (da calcolare sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati, limitatamente a chi percepisce importi elevati) accennato proprio in un suo articolo del gennaio scorso, Boeri preferisce non entrare nel merito rispondendo: "Credo profondamente in tutte le cose che ho scritto".

Le altre nomine. Nel corso del Consiglio dei ministri del 24 dicembre sono state approvate le seguenti nomine: su proposta del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il generale di corpo d'armata Tullio Del Sette è stato nominato a Comandante dell'Arma dei Carabinieri. Ancora su proposta della Pinotti, il generale del corpo d'armata Claudio Graziano è stato nominato Capo di Stato maggiore della Difesa. Su proposta del Ministro dell'Interno, Angelino Alfano, è stata approvata la nomina a dirigente generale di pubblica sicurezza del dirigente superiore della Polizia di Stato Raffaele Pagano. Ancora su proposta di Alfano è stata approvata la nomina di Gerarda Pantaleone a Prefetto di Napoli. Infine, su proposta del ministro dell'Economia e delle Finanze, Pietro Carlo Padoan, è stata stabilita la promozione a generale di corpo d'armata del generale di divisione della Guardia di finanza Riccardo Piccinni.

© Riproduzione riservata 26 dicembre 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/26/news/boeri_inps-103758464/?ref=search
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« Risposta #51 inserito:: Marzo 03, 2015, 05:25:10 pm »

Boeri: “Problema dell’Italia è la povertà”.
Scontro con Guzzetti su gestione Inps
Economia
Il numero uno della lobby delle fondazioni bancarie ha accusato l'istituto nazionale di previdenza di aver usato "in maniera dissennata decine di miliardi di euro di soldi pubblici".
Contrattacco dell'economista, che ne ha appena assunto la presidenza: "Gli enti fanno poco per il sociale perché hanno disperso il patrimonio per tenere il controllo sulle banche"

Di F. Q. | 27 febbraio 2015

Da un lato Giuseppe Guzzetti, il “grande vecchio” che da 18 anni guida la Fondazione Cariplo e da 15 la lobby di tutte le fondazioni bancarie, l’Acri. Dall’altro l’economista e neo presidente dell’Inps Tito Boeri. Oggetto del contendere, la gestione dei fondi per la povertà e più in generale le prestazioni assistenziali. Con Guzzetti che accusa l’istituto di previdenza di aver “gestito in maniera dissennata decine di miliardi di euro di soldi pubblici” e il cofondatore del sito lavoce.info che contrattacca ricordando come le fondazioni abbiano “disperso un patrimonio ingente per tenere il controllo sulle banche“. Per poi evidenziare che “il problema dell’Italia, oggi, è la povertà”.

Lo scontro è andato in scena durante l’apertura del forum delle Politiche sociali del Comune di Milano, presenti il sindaco Giuliano Pisapia, diversi assessori del capoluogo lombardo e il sottosegretario al Welfare Luigi Bobba. Guzzetti, dal palco, ha sostenuto che “nel bilancio dello Stato ci sono capitoli destinati alle famiglie povere, ai disabili, ai giovani, stimati da una ricerca da noi commissionata in decine di miliardi di euro, gestiti a Roma, per lo più dall’Inps, in maniera dissennata. Sono fondi pubblici da spendere meglio”. La soluzione? Presto detto, secondo il presidente “a vita” della fondazione azionista di Intesa Sanpaolo: “La nostra proposta è che queste risorse siano destinate ai territori, ai Comuni e alle Regioni, che sono le realtà più vicine al disagio”.

La presa di posizione arriva però dal rappresentante di un mondo che proprio negli anni più pesanti della crisi ha fortemente ridotto l’ammontare dei contributi destinati al volontariato, alla filantropia, all’assistenza gli anziani, agli alloggi popolari e alle altre attività “di rilevante utilità sociale“. Preferendo in molti casi destinare risorse all’arte e ad attività culturali. Di qui la reazione di Boeri, che pur ammettendo che “sicuramente ci sono miglioramenti da fare sulla gestione delle risorse e tutti i contributi sono importanti” ha colto l’occasione per mettere ancora una volta il dito nella piaga del groviglio spesso tutt’altro che virtuoso tra fondazioni, sistema bancario e politica. Le fondazioni bancarie, ha rimarcato, “hanno bruciato negli ultimi 5 anni un patrimonio ingente del pubblico italiano e lo hanno disperso perché hanno voluto tenere il controllo sulle banche e quindi non sono davvero più in grado di fornire servizi di sostegno e di contrasto alla povertà. E’ una grande opportunità che il Paese ha perso”.

Perdendo così anche un’occasione per affrontare quello che secondo l’economista è il vero “problema dell’Italia”: la “Grande Recessione, che nel nostro Paese è stata peggiore della Grande Depressione del ’29”, ha portato a “un tremendo aumento della povertà”, passata dal 19,9% del 2006 al 27% del 2012. Di conseguenza oggi “il problema è la povertà, non le disuguaglianze, anche se ci sono e sono troppo forti: la crisi non le ha aumentate perché i redditi sono calati sia per la parte bassa sia per la parte alta delle retribuzioni”. “E’ un problema che deve essere affrontato”, ha avvertito Boeri, e in questa battaglia “l’Inps può usare il suo grande patrimonio di dati e competenze e fare proposte. Faremo sentire la nostra voce, soprattutto nel contrasto alla povertà”.

Sullo sfondo resta il problema del ruolo troppo pervasivo delle fondazioni nell’azionariato degli istituti di credito, un nodo da anni all’attenzione del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea che ha più volte denunciato le “opacità” e i “forti legami con il business locale e la politica”. Stando a indiscrezioni, il governo sta ora affrontando la questione con una trattativa tra il Tesoro e la stessa Acri. L’obiettivo è quello di arrivare alla stesura di un “atto negoziale” che impedisca l’eccessiva concentrazione di quote di capitale in una singola banca. Un modus operandi che in diversi casi – si pensi a Fondazione Carige e Fondazione Mps - ha portato gli enti a spolparsi per partecipare alle ricapitalizzazioni dell’istituto di riferimento e non veder diluito il proprio peso nell’azionariato.

E' online FQ Magazine, il rotocalco a modo nostro
di F. Q. | 27 febbraio 2015

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/27/boeri-problema-dellitalia-poverta-scontro-guzzetti-gestione-inps/1461552/
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« Risposta #52 inserito:: Aprile 20, 2015, 06:12:57 pm »

PENSIONI
Inps, Boeri: «Presto proposta di reddito minimo per gli over 55»
Il presidente dell‘ente annuncia l’iniziativa che presenterà a giugno: «Allarme povertà, la nuova emergenza sono i 55-65enni»

Di Redazione Online

L’Inps presenterà «a giugno» una proposta per introdurre «un reddito minimo garantito per le persone tra i 55 e 65 anni». Lo ha detto il presidente Tito Boeri. «Non credo che dare loro un trasferimento, che sarà basso - dice - li esponga al rischio di non mettersi in cerca di un lavoro». Si tratta di persone che «difficilmente trovano un nuovo impiego (solo il 10%)».

«Emergenza povertà non solo per i giovani»
«Sarei felice se il governo riuscisse a trovare le risorse per finanziare un reddito minimo garantito per tutta la popolazione», puntualizza Boeri, sottolineando che la proposta per gli over 55enni «è complementare». Il professore evidenzia poi che con la crisi «abbiamo avuto una forte crescita di povertà per questa fascia di età». Si tratta di persone che se perdono il lavoro «riescono a trovare un reimpiego solo nel 10% dei casi», indica Boeri. È la povertà «il dato più allarmante» provocato dalla recessione in Italia, sottolinea ancora Boeri, spiegando che «il fattore trainante della povertà è la perdita di lavoro». «La povertà in Italia durante questa grande recessione è aumentata di un terzo», spiega durante un convegno all’Università Bocconi, sottolineando che «ha interessato le fasce più giovani, ma anche le persone tra 55 e 65 anni». E questa «è una nuova emergenza per il Paese che si è aggiunta a quella giovanile».

«Rivendico il diritto di poter fare delle proposte»
«Rivendico il diritto di poter fare delle proposte. Non è certamente un modo di violare le regole della democrazia, come qualcuno ha sostenuto», ha detto ancora il presidente dell’Inps in merito al pacchetto di proposte che - assicura - l’istituto presenterà a «governo e parlamento entro giugno». Per Boeri, «un ente come l’Inps ha conoscenze e competenze che può mettere a servizio del paese. Inoltre abbiamo dati importanti che ci permettono di valutare meglio di altri le politiche fatte sin qui in Italia».

«Sì anche a pagamenti il primo del mese»
Infine anche un passaggio sui pagamenti di tutte le pensioni il primo del mese. «Abbiamo trovato l’accordo con le banche - dice Boeri - aspettiamo il decreto del governo che mi auguro venga varato il prima possibile”. Boeri ha sottolineato che si tratta di un provvedimento «a costo zero per le banche e per lo Stato, mentre c’è un grande vantaggio per i pensionati».

20 aprile 2015 | 14:18
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/economia/15_aprile_20/inps-pensioni-boeri-presto-proposta-reddito-minimo-gli-over-55-0521a10a-e756-11e4-95de-75f89e715407.shtml
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« Risposta #53 inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:54:32 am »

Crisi, Boeri: “In 6 anni poveri cresciuti da 11 a 15 milioni. Non era inevitabile”
Il presidente dell'Inps ha avvertito che dal 2008 a oggi le famiglie indigenti sono passate dal 18 al 25% del totale, perché la Penisola non ha prestazioni sociali adeguate per contrastare il fenomeno.
La ricetta è un reddito minimo da introdurre all'inizio almeno per gli over 55, sui quali è possibile intervenire con le risorse già a disposizione dell'istituto.
Caritas: nel mondo 805 milioni soffrono fame

Di F. Q. | 19 maggio 2015

Un aumento di un terzo in sei anni. Le famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà sono passate, durante la crisi, dal 18 al 25% del totale. E le persone coinvolte, che erano 11 milioni, sono salite a 15 milioni. Lo ha detto Tito Boeri, presidente dell’Inps, in audizione in commissione Affari sociali alla Camera. “È la povertà il nodo centrale” per l’Italia, ha avvertito l’economista. “Il 10% più povero nella distribuzione dei redditi ha subito una riduzione del 27% del proprio reddito disponibile, mentre il 10% più ricco della popolazione ha subito una riduzione del 5%”. Quanto al ceto medio, “ha subito una riduzione del reddito del 5%”. A conti fatti, dunque, “i costi della crisi sono sulle persone più povere del Paese”. E sulle più deboli, considerato che la crescita della povertà ha riguardato soprattutto la fascia dai 55 ai 65 anni, i giovani e le famiglie con figli.

Per altro questo declino, ha attaccato Boeri, “non era inevitabile. Altri Paesi che hanno conosciuto crisi di entità comparabile alla nostra”. Qual è il problema, allora? “Noi non abbiamo un sistema di prestazione sociale di trasferimenti alle famiglie che sia in grado di contrastare la povertà”. Oggi infatti solo il 3% delle prestazioni sociali erogate in Italia va al 10% più povero della popolazione. Il quadro italiano degli interventi a favore delle fasce deboli è pessimo: “Gli strumenti di contrasto alla povertà necessitano di una efficiente amministrazione delle politiche del lavoro e delle politiche attive: oggi questa capacità in Italia non esiste, in molte regioni non c’è”.

Dopo i dati, la ricetta. Quella che il cofondatore di lavoce.info ha già proposto più volte: “Le misure di contrasto alla povertà”, a partire da quelle per la fascia 55-65 anni perché “dai 55 anni in su è possibile creare delle misure con le risorse di cui già oggi l’istituto dispone” e senza che ci siano rischi di “azzardo morale” (cioè accesso al beneficio da parte di chi non ne ha diritto) dato che a quell’età quando si perde il lavoro lo si ritrova solo nel 10% dei casi. Questo intervento “non vuole opporsi o essere in contraddizione con quelli di cui necessita la fascia d’età più giovane”, ha spiegato l’economista. Anzi, “l’auspicio è che il governo, supportato dal Parlamento, affronti questo problema. A quel punto davvero si potrebbe avere un sistema di reddito minimo che supporti l’intera popolazione italiana”. Positivo, secondo Boeri, il fatto che l’esecutivo abbia messo una pezza alla grana della mancata rivalutazione delle pensioni impegnando solo 2,1 miliardi e non 18 come avrebbe richiesto la restituzione totale degli arretrati, perché in quel caso “la possibilità di contrastare la povertà sarebbe stata più difficile”.

Proprio martedì la Caritas internazionale ha presentato all’Expo di Milano i dati sulla fame nel mondo, basati sui numeri raccolti dalle 99 Caritas nazionali che operano in 71 Paesi. Le persone che non hanno accesso a cibo sufficiente sono 805 milioni. Secondo lo studio, le prime tre cause dell’insicurezza alimentare sono mancanza di risorse (terra, semi, prestiti, accesso ai mercati) per i piccoli agricoltori, bassa produttività agricola e impatto dei cambiamenti climatici. La ricerca rileva poi come le conseguenze dell’insicurezza alimentare vadano oltre la malnutrizione: la fame ha impatto sul tasso di criminalità, sulla corruzione, sulla diffusione di malattie e disturbi psicologici, sull’aumento dei conflitti tribali e sull’intensificarsi dei fenomeni migratori.

Di F. Q. | 19 maggio 2015

DA - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/19/crisi-boeri-6-anni-famiglie-povere-cresciute-di-un-terzo-non-era-inevitabile/1698594/
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« Risposta #54 inserito:: Ottobre 28, 2015, 05:57:31 pm »

Pensioni, Tito Boeri boccia le misure in legge di Stabilità.
Inps: 42,5% pensionati sotto 1000 euro, 12% sotto 500 euro

L'Huffington Post  |  Di Carlo Renda

Pubblicato: 20/10/2015 11:22 CEST Aggiornato: 16 minuti fa

Nella manovra ci sono solo "interventi selettivi, parziali" sulle pensioni, mentre "serviva una riforma". Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, critica gli interventi previdenziali contenuti nella Legge di Stabilità varata dal Governo, nel giorno in cui l'Istituto rende noto il bilancio sociale 2014 che mostra che quasi un pensionato su due in Italia prende meno di 1000 euro, quasi 1 su 8 addirittura meno di 500 euro.

    Nella manovra "ci sono interventi selettivi, parziali che creano asimmetrie di trattamento", ha affermato Tito Boeri. "Sarebbe stato importante fare l'ultima riforma delle pensioni. Aggiustamenti e piccole riforme ce ne sono già stati tanti". Secondo il numero uno dell'Inps "presumibilmente, in assenza di correttivi" gli interventi sulle pensioni contenuti nella legge di stabilità non saranno sufficienti e "daranno la spinta ad ulteriori misure parziali che sono, tra l'altro, molto costose".

    "Speriamo che il 2016 sia finalmente l'anno di un intervento decisivo, organico e strutturale sulle pensioni. Avremmo voluto che il 2015 fosse l'anno dell’ultima riforma delle pensioni, purtroppo non sarà così"

IL BILANCIO 2014 DELL'INPS. Conti ancora in rosso per l'Inps nel 2014, seppur in lieve miglioramento. La gestione economico-patrimoniale ha presentato un risultato di esercizio negativo per 12,4 miliardi, in lieve miglioramento (+361 mln) rispetto al disavanzo dell'esercizio 2013. La situazione patrimoniale netta, pari a 9,028 milioni a inizio 2014, si attesta a fine esercizio a 18,407 miliardi "per effetto del risultato economico di esercizio negativo, del contributo per il ripianamento al disavanzo della gestione ex Inpdap per 21,698 miliardi nonché della costituzione della riserva patrimoniale per 166 milioni del fondo di solidarietà residuale".

Il 42,5% dei pensionati italiani (6,5 milioni di persone), ha un reddito da pensione inferiore ai 1.000 euro. Ci sono inoltre 1,88 milioni di pensionati (12,1%) con assegni inferiori ai 500 euro.

Nel 2014 il flusso di lavoratori in cassa integrazione è stato di 1,2 milioni con un calo del 21,3% sul 2013. La spesa complessiva per ammortizzatori sociali nell'anno è stata pari a 22,6 miliardi con un calo del 4,2% sul 2013. Compresi i contributi figurativi per la cig si sono spesi 6,1 miliardi (-8,8%); per le indennità di disoccupazione si sono spesi 13,1 miliardi (-3,6%, tre milioni di persone interessate); per la mobilità si sono spesi 3,4 miliardi (+2,7%).

I dipendenti pubblici a tempo indeterminato scendono sotto quota 3 milioni. Nel 2014 i 'travet' erano 2.953.000 con un calo del 2,8% (circa 90.000 unità) sul 2013. Rispetto al 2011 quando erano 3,23 milioni i dipendenti pubblici, grazie al blocco del turn over, sono diminuiti di quasi 300.000 unità. L'Inps ha inserito per la prima volta nel 2014 tra i lavoratori dipendenti pubblici iscritti anche quelli a tempo determinato portando il totale complessivo a 3,22 milioni (2,95 milioni i dipendenti a tempo indeterminato, 270 mila circa quelli a tempo determinato). Nel complesso il numero dei lavoratori iscritti all'Inps (privati e pubblici) è risultato pari nel 2014 a 22.067.086 unità con aumento di 142.821 lavoratori rispetto ai 21.924.265 del 2013. L'aumento è dovuto solo all'inserimento nel totale dei dipendenti pubblici a tempo determinato.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/10/20/pensioni-tito-boeri-boccia-misure-in-manovra_n_8335944.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #55 inserito:: Ottobre 12, 2016, 05:48:51 pm »

Boeri: “Se non riorganizziamo l’Inps la riforma pensioni è a rischio”
«Entro un anno il sussidio di disoccupazione sarà automatico. Il sì al referendum è fondamentale per cambiare il sistema dell’invalidità»

12/10/2016
Alessandro Barbera
Roma

Tito Boeri ha un piccolo ufficio di proprietà dell’Inps a Palazzo Wedekind, due stanze di quella che una volta era l’enorme redazione del Tempo di Roma. Quando non lavora nel palazzone dell’Eur, è il suo punto d’appoggio. Le stanze adiacenti vengono affittate. Non una segretaria, non un funzionario. È appena tornato da Berlino dove ha discusso il progetto per introdurre il numero di sicurezza sociale europeo. In un angolo del tavolo lo zainetto nero da cui non si separa mai. Oggi rifirmerà con alcune modifiche il piano di riorganizzazione dell’istituto che gli ha creato enormi grane con i sindacati. Le finestre di Matteo Renzi a Palazzo Chigi sono a portata di voce. 

Boeri, a costo di fare arrabbiare il premier non ha mai smesso di chiedere più flessibilità per le pensioni. Fra pochi giorni diventa realtà l’Ape, il piano per concedere l’anticipo a chi vuole uscire prima dal lavoro. Una buona riforma o un flop annunciato? 

«Tutto ciò che permette maggiore libertà di scelta a persone e imprese senza far aumentare il debito va bene. Il governo ha dovuto tenere conto dei vincoli europei, resta da verificare che i costi non vengano fatti pagare alle giovani generazioni». 

Giudizio sospeso? 
«Il diavolo sta nel dettaglio e diverse cose sono ancora in discussione. C’è una norma di cui sono molto soddisfatto: quella per abolire le ricongiunzioni onerose fra gestioni previdenziali diverse. E’ iniquo penalizzare chi cambia lavoro. E poi equivale a tirarci una zappa sui piedi: secondo l’Ocse siamo il Paese europeo con il più alto “mismatch”. In altre parole abbiamo il maggior numero di lavoratori occupato in mansioni diverse dalle loro competenze. Migliorando l’incontro fra domanda e offerta di competenze possiamo tornare a crescere».

Il piano di uscita anticipata è piuttosto complesso, non è ancora del tutto chiaro chi potrà fare cosa. O no? 

«Sì è vero, è un meccanismo complicato, per questo ci vorrà un’importante campagna informativa e il contributo dei sindacati». 
A parole tutto molto bello, intanto chi ha diritto ad un sussidio di disoccupazione deve fare domanda e attendere mesi. 

«Entro fine 2017 contiamo di fare tutto in automatico chiedendo noi a chi perde il lavoro dove versare la prestazione cui ha diritto e se è disponibile al reimpiego o a corsi di riqualificazione. Questo ci permetterà di erogare subito la prestazione senza aspettare che il lavoratore si attivi per richiederla».

Come va l’operazione buste arancioni? Al giornale riceviamo lettere di persone che scoprono di dover andare in pensione a 70, 71 anni. 

«Bene che lo sappiano sin d’ora. E che si permetta loro, entro certi limiti, di poter uscire prima, ma con prestazioni più basse».

Quante lettere avete spedito? 
«Circa due milioni. Le abbiamo mandate a chi non aveva il codice di accesso ai servizi on line».

Per il piano pensionistico chiede collaborazione ai sindacati, intanto sulla riorganizzazione dell’Inps le fanno la guerra. 
«Senza la riorganizzazione dell’Inps sarà difficile l’attuazione del piano di anticipo pensionistico. L’Inps dovrà essere il centro di una rete fra banche, assicurazioni, imprese e lavoratori. Per noi è una grossa sfida. Abbiamo il dover di informare adeguatamente i contribuenti sulle implicazioni di scelte difficili. Per farlo abbiamo bisogno di più dipendenti preparati sul territorio». 

Lo ha detto al premier? Le indiscrezioni raccontano che in passato avete passato momenti di grande freddezza. E’ così? 
«Non ho mai avuto la sensazione di avere problemi con lui. La mia indipendenza di giudizio non è mai stata in discussione. I problemi in passato semmai li ho avuti col Parlamento, e su questo Renzi non si è mai espresso, né a favore né contro». 

 L’organismo di vigilanza in cui siedono i suoi rappresentanti - il Civ - ha fatto ricorso al Tar contro il regolamento di organizzazione. Perché? 
«E’ stato il presidente del Civ a fare ricorso. In quel testo chiede di continuare a mettere bocca nella gestione intervenendo direttamente sull’operato del direttore generale. Come in passato c’è chi vorrebbe continuare a scegliere i dirigenti con il manuale Cencelli. Questo è inammissibile. I sindacati devono esercitare sorveglianza, lo avrebbero forse dovuto fare meglio in passato, non devono certo gestire la macchina». 

 E poi ha un fronte aperto con i dirigenti, che contestano il piano di riduzione delle direzioni generali. Perché? 
«La fusione fra Inps, Inpdap ed Enpals è avvenuta a freddo. Da allora non c’è mai stata una vera riorganizzazione. (Tira fuori l’organigramma dell’Inps). Guardi qui: le pare possibile che l’Inps debba avere una direzione “per il coordinamento analisi e monitoraggio soddisfazione dell’utenza per la riduzione del rischio reputazionale”? Per la pubblicazione dei lavori fatti dai ricercatori coinvolti nel programma VisitInps ho dovuto coinvolgere cinque direzioni generali. Glielo ripeto: cinque».

 Come entra in ufficio all’Eur la mattina? Si mette l’elmetto? 
«Il mio discorso di fronte ai dirigenti è stato forse il più difficile della mia vita. Ma c’è anche chi sta dalla mia parte. La struttura è sotto stress: siamo ventottomila ed eroghiamo oltre quattrocento prestazioni diverse. La settimana scorsa ero in Polonia, dove ci sono cinquantamila persone per occuparsi solo di pensioni. Anche in Francia e Germania ci sono molti più dipendenti per euro erogato che da noi. Al tempo stesso i carichi di lavoro non sono distribuiti in maniera equa e il merito non viene adeguatamente premiato. (Tira fuori un altro pezzo di carta, è la lettera di una dipendente)». 

Oggi avete 48 direzioni generali, 33 delle quali a Roma. Lei ora qui ne vuole solo 14 e ben 22 sul territorio. Perché? 
«La mia impressione è che il federalismo all’italiana abbia buttato via il bambino con l’acqua sporca. Lo Stato ha abbandonato il territorio. Le autorità locali hanno bisogno di macchine efficienti per erogare i servizi e solo un’amministrazione centrale può ottenere quelle economie di scala che sono essenziali per raggiungere molte persone con costi molto bassi. Quando giro le sedi e incontro i sindaci spesso mi chiedono di aprire punti Inps presso i loro Comuni. Sono disposti non solo a darci locali in comodato gratuito, ma anche terminali e persone dedicate». 

Non c’è il rischio di alzare i costi? 
«Dipende da come si riorganizza lo Stato: non deve moltiplicare le amministrazioni. Penso alla gestione degli ispettorati del lavoro: era divisa fra ministero del Lavoro, Inps e Inail. Che bisogno c’era di aprire un nuovo soggetto terzo, anzi quarto a tutti questi? Non si poteva riunire le funzioni presso uno di queste entità?» 

Il referendum sul Titolo quinto avrà effetti sul vostro lavoro? 
«Potenzialmente importanti. Penso al contrasto alle povertà: oggi se ne occupano Comuni e Regioni a macchia di leopardo, mentre lo Stato contribuisce residualmente con la carta acquisti. Ci vorrebbe un sistema di finanziamento nazionale affiancato da un cofinanziamento locale. Questo responsabilizzerebbe gli enti locali a controllare che i soldi vadano davvero a chi ha bisogno e a spingere chi può a lavorare. Un altro esempio è la riforma degli strumenti per la concessione di assegni di invalidità: oggi la competenza è divisa fra noi e Asl con sovrapposizioni evidenti, lungaggini e contenzioso. Ipotizziamo di affidare tutto all’Inps: oggi è necessario mettere d’accordo tutte le Regioni, se il sì passa lo Stato riavrà il potere di regia».

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