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Autore Discussione: Sapienza: una lettera di Giorgio Parisi  (Letto 3681 volte)
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« inserito:: Gennaio 21, 2008, 12:17:44 pm »

Sapienza: una lettera di Giorgio Parisi


Siamo lieti di pubblicare questo documento scritto e fatto circolare da Giorgio Parisi, fisico teorico del dipartimento di fisica dell’Università “La Sapienza”, membro dell’accademia dei Lincei e di molte delle più prestigiose accademie del mondo, uno dei 67 firmatari dell’appello al rettore a proposito della visita del papa. Il documento può servire a chiarire alcuni punti stravolti dai media o semplicemente non detti in precedenza, e quindi non arrivati al grande pubblico. Molte reazioni negative sono state causate da una carenza di informazione. L’UAAR invita tutti i suoi navigatori a diffonderlo nella maniera più ampia possibile.



In questi ultimi giorni una lettera scritta a metà di novembre da 67 docenti dell’Università della Sapienza, fra cui il sottoscritto, in cui s’invitava il rettore a riconsiderare l’invito al Papa per parlare all’inaugurazione dell’anno accademico, è finita sulle prime pagine di tutti e giornali.
Non ho seguito, per (forse colpevole) abitudine i telegiornali, ma molti docenti mi hanno scritto per esprimere la loro solidarietà a me e agli altri colleghi “fatti oggetto di un indegno linciaggio mediatico”.

Si è arrivati al punto che con la scusa di difendere il diritto di parola del Papa, che non è stato mai messo in discussione, sono state avanzate proposte di provvedimenti di vario tipo contro noi, fra cui spicca quella di Gasparri, che dichiara ”dopo lo sconcio della Sapienza di Roma ci attendiamo che vengano assunte iniziative per allontanare dall’ateneo i professori ancora in servizio che hanno firmato quel vergognoso manifesto. Questa dimostrazione di intolleranza non può restare priva di conseguenze.” (Ovviamente quest’ultima proposta è del tutto incostituzionale).

Visto il coro di condanna proveniente da tutto il mondo politico, sono convinto che ci sia stata anche una mancanza di comunicazione da parte nostra e che sia opportuno riassumere tutta la vicenda e aggiungere degli elementi chiarificatori. Non vorrei che la scelta del Papa di annullare motu proprio la sua conferenza all’ultimo momento venisse collegata pretestuosamente con la nostra lettera che nasceva in un altro tempo e con altro scopo. Tuttavia non posso far a meno di notare che quando lo stato abdica al suo ruolo di garante della laicità si crea un vuoto, un vuoto in cui molti cittadini non si sentono rappresentati e corrono il rischio di contribuire al generarsi di polemiche come questa.

Il primo atto è stata una lettera di Marcello Cini pubblicata sul Manifesto il 15 Novembre scorso. Successivamente verso il 20 novembre (attenzione alla data) una sessantina di docenti della sapienza hanno scritto al proprio rettore la seguente lettera (che gli è stata consegnata fisicamente):

"Magnifico Rettore, con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l’intervento di papa Benedetto XVI all’Inaugurazione dell’Anno Accademico alla Sapienza.
Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella citta di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un’affermazione di Feyerabend: «All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto». Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all’avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano.
In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l’incongruo evento possa ancora essere annullato.”


Il rettore non ci ha risposto e poco accortamente è andato avanti per la sua strada.

A questo punto per noi (o almeno per la stragrande maggioranza dei firmatari) la questione era chiusa. La lettera è rispuntata fuori nei giorni recenti talmente all’improvviso che alcuni giornali hanno preso un abbaglio ed hanno pensato che fosse stata scritta il 10 gennaio. C’è stata una reazione popolare di un’ampiezza inaspettata (tremila interventi sul forum di Repubblica. La maggior parte a nostro favore) che a parer mio ha confermato il nostro giudizio che l’invito era incongruo.

La reazione dei lettori dei forum e quella di molti studenti romani mostra chiaramente che c’è una fortissima tensione politica intorno al problema della laicità e che la nostra lettera è stata una scintilla che ha fatto sviluppare un incendio in un bosco pieno di legna secca durante una libecciata.

Non c’è stata quindi dai 67 docenti nessuna forma di prevaricazione verso gli altri colleghi, ma semplicemente l’esposizione di una tesi culturale mediante una dichiarazione fatta nei dovuti modi e tempi. La riscoperta da parte della grande stampa di questa tesi, a ridosso della visita del Papa, ha aperto su scala nazionale un dibattito che si sarebbe potuto e dovuto fare con maggior calma e senza toni concitati nel mese di novembre. I problemi culturali devono essere discussi pacatemente e se arrivano in maniera clamorosa sui talk show televisivi o sulle prime pagine dei telegiornali, abbiamo un scontro frontale senza che per l’ascoltatore sia possibile afferrare il bandolo della matassa.

Come docente di un’università ritengo mio diritto e dovere interloquire col mio Rettore su chi far intervenire alla cerimonia di apertura dell’anno accademico, che è un momento simbolico per l’inizio del percorso formativo universitario. Mi pare che tutto ciò faccia parte normale della dialettica interna di un’università che deve scegliere chi far parlare all’inaugurazione dell’anno accademico in base a considerazioni di varia natura.

Sono in questo confortato dalle recenti dichiarazioni alla stampa del Direttore del Dipartimento di Fisica, professor Giancarlo Ruocco, che era uno dei destinatari (per conoscenza) della lettera, che afferma che “l’inaugurazione dell’anno accademico, cui partecipa un pubblico di docenti e studenti di diversa formazione politica e religiosa, non sembra essere il giusto contesto per una visita del Papa, o di qualsiasi altra autorità religiosa o politica che non si rapporti direttamente all’accademia. Infatti, insegnare ai giovani è una grande responsabilità che richiede di prescindere in ogni momento dalle proprie convinzioni religiose e ideologiche. La presenza del Papa alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico propone invece un’interpretazione e lettura del mondo ben precisa, che pone la fede innanzi ad ogni percorso della conoscenza. Tale posizione può risultare, come troppo spesso è avvenuto in passato, fonte di censura della conoscenza e non di confronto libero del sapere. In un altro, diverso contesto la visita del Papa alla Sapienza sarebbe benvenuta, come qualsiasi forma di dialogo e confronto fra culture diverse. Nessuno, tantomeno i docenti della Sapienza, vuole esercitare un arrogante diritto censorio sulla libertà di espressione del pensiero religioso, o politico che sia, in nome di un laicismo di stato.”

Dal punto di vista politico quest’articolo potrebbe finire qui. Tuttavia fatemi aggiungere un punto marginale, ma per me importante.
Nella lettera facevamo riferimento ad una citazione del Cardinal Ratzinger e siamo stati accusati da varie parti (giornali, televisioni e uomini politici) di non aver letto (o di non aver saputo leggere) il testo originale.


Questo non è vero. Il testo originale era il seguente:

“Nell’ultimo decennio, la resistenza della Creazione a farsi manipolare dall’uomo si è manifestata come elemento di novità nella situazione culturale complessiva. La domanda circa i limiti della scienza e i criteri cui essa deve attenersi si è fatta inevitabile. Particolarmente significativo di tale cambiamento del clima intellettuale mi sembra il diverso modo con cui si giudica il caso Galileo. Questo fatto, ancora poco considerato nel XVII secolo, venne - già nel secolo successivo - elevato a mito dell’illuminismo. Galileo appare come vittima di quell’oscurantismo medievale che permane nella Chiesa.
Bene e male sono separati con un taglio netto. Da una parte troviamo l’Inquisizione: il potere che incarna la superstizione, l’avversario della libertà e della conoscenza. Dall’altra la scienza della natura, rappresentata da Galileo; ecco la forza del progresso e della liberazione dell’uomo dalle catene dell’ignoranza che lo mantengono impotente di fronte alla natura. La stella della Modernità brilla nella notte buia dell’oscuro Medioevo.(…). Molto più drastico appare invece un giudizio sintetico del filosofo agnostico-scettico P. Feyerabend. Egli scrive: «La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione». (…) Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande.”


Come si vede, il cardinale Ratzinger non si distanzia dall’affermazione di Feyerabend, anzi la utilizza per argomentare che Galileo non è stato vittima di dell’oscurantismo della Chiesa. Conclude dicendo di non voler usare questo testo per una “frettolosa apologetica”, ma non ne nega la validità.

Inoltre la citazione di Feyerabend, fatta senza far riferimento alle posizioni teoriche di Feyerabend, stravolge completamente il pensiero di questo filosofo della scienza.

Al contrario di quello che sembra da questa citazione isolata, Feyerabend ha sempre esaltato la creatività e l’audacia intellettuale di Galileo; tuttavia si esprime per paradossi e tutta la sua visione è una critica della “ragione”, quindi, nel dire che la Chiesa era da parte della ragione, non sta dando torto a Galileo ma alla Chiesa.

Tuttavia un’analisi del pensiero di questo filosofo ci porterebbe troppo lontano.

Giorgio Parisi

da www.uaar.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 21, 2008, 12:31:43 pm »

Parla il primo firmatario della missiva contro Benedetto XVI

Bernardini il «ribelle»: provocazione dal Pontefice

«In questa domenica di sole meglio se la gente andava in bici»


ROMA — «Una provocazione, questa di Benedetto XVI, travestita da captatio benevolentiae di fronte a una esibizione di forza muscolare organizzata da Camillo Ruini». Casa del professor Carlo Bernardini, ex docente di metodi matematici al dipartimento di Fisica della facoltà di Scienze de «La Sapienza», di cui è stato preside, direttore della rivista «Sapere», ex senatore indipendente del Pci nel 1976. E primo firmatario («per motivi alfabetici… ») della lettera indirizzata al rettore Guarini per chiedere di annullare «l'incongruo evento» del Papa all'inaugurazione dell'anno accademico. La miccia della bomba «La Sapienza»-Benedetto XVI. La tv dei Bernardini (c'è anche sua moglie Silvia Tamburini, altra ex docente di Fisica, fu lei il 28 giugno 2007 a investire Clio Napolitano accanto al Quirinale, ma questa è un'altra storia) è semisepolta da centinaia di libri. Il Pontefice nel dopo- Angelus parla della mancata visita. «Ratzinger sa benissimo che questa mattinata avrà una rilevanza politica enorme. Nel Pd, c'è da scommetterci, le Binetti si moltiplicheranno». Compare monsignor Rino Fisichella che parla di mancato confronto, di ricerca della verità: «Per loro c'è una sola verità».

E punta l'indice verso l'alto. «Noi parliamo di plausibilità. Mai di verità assoluta». Fisichella accenna alla facoltà di Fisica: «Eh, caro rettore della Lateranense… Fisica è un dipartimento, la facoltà è Scienze. Dovrebbe saperlo ». Poi, nella trasmissione «A sua immagine », Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e docente di storia contemporanea, ricorda che Benedetto XVI è «collega professore». Bernardini non si tiene: «Collega di chi? Non abbiamo cattedre di teologia, per buoni motivi. Che parlino per l'università San Pio V». Ma non è pentito di aver contribuito ad avviare un meccanismo così gigantesco? «Assolutamente no. La presenza di un capo religioso all'inaugurazione dell'università per me resta impropria. Un capo religioso, come si vede, trascina una immensa struttura organizzativa. Quando mai noi non credenti potremo organizzare qualcosa del genere? Non abbiamo un Angelus né un capo spirituale. E per fortuna». Nemmeno imbarazzato dal ruolo che ha avuto? «Un po' sì. Penso che tutta questa gente a San Pietro avrebbe potuto dedicare la domenica di sole a una passeggiata in bicicletta. E invece… ». Invece, professore, avete fatto infuriare Veltroni e Mussi. «I loro discorsi all'università mi hanno deluso molto. Non ho condiviso nulla di quanto hanno detto. Disgraziatamente in Italia l'elettorato cattolico Su resta numeroso. E capisco che un politico scenda a compromessi per non allontanarsi da chi ha mille motivi per non condividere la politica della destra». Non pensa che anche a destra ci siano buoni cattolici? «Ma basta guardarli in faccia. Del-l'Utri, La Russa, Gasparri che chiede la cacciata dall'università dei firmatari della lettera, sono cristiani? Roba da far ridere i polli. E che dire di quel mistificatore di Pier Ferdinando Casini».

Perché mistificatore? «Penso al suo curriculum matrimoniale. E dico che non ha nulla a che vedere con i precetti della Chiesa. Non dovrei essere io a dirlo. Però è in piazza». Meglio la posizione di Rosy Bindi e di Arturo Parisi, che non sono andati a San Pietro? «Certo. Non aumentano questa inutile confusione mediatica». La diretta finisce, il professore va a pranzo: «E dire che Cristo era un bel tipo di sessantottino. Gli hanno creato intorno tutto quest'apparato di potere. Chissà che direbbe».

Paolo Conti
21 gennaio 2008

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