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Autore Discussione: Le minacce all'Occidente non sono di Putin, ma di tutta la Federazione Russa ...  (Letto 269 volte)
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« inserito:: Febbraio 19, 2024, 12:24:36 pm »

17 Febbraio 2024
   
La morte di Aleksej Naval’nyj ci sconvolge. E non perché quell’uomo fosse “un campione della democrazia”, come erroneamente è stato definito da taluni in Occidente. Per buona parte della sua vita Naval’nyj non è stato né un Sacharov né uno Šalamov, ma un nazionalista di destra; radicalmente di destra. In una Russia diversa da quella quasi-totalitaria, imperiale e neoimperialista di oggi, in una Russia per così dire normale (che oggi ci appare utopica in modo quasi fantascientifico), Naval’nyj sarebbe forse stato solo un caustico avvocato sovranista ostile all’immigrazione dall’Asia centrale e dalla Cina, e magari anche lui avrebbe fatto parte del ringhiante club della destra populista al potere in mezza Europa.

Ma la Russia non è un paese normale, e Naval’nyj non era destinato ad avere una vita normale. Nella terra di Putin, dove denunciare la corruzione che divora lo stato è il peggiore dei crimini (perché se c’è una cosa che accomuna i russi nazionalisti e quelli liberali, quelli onesti e i ladri di polli, è l’odio per i politici e gli oligarchi che si arricchiscono alle loro spalle), Naval’nyj si era trasformato in un paladino della lotta anti-corruzione. Nel 2011, con un coraggio che in pochissimi di noi avrebbero avuto, un coraggio che gli antichi avrebbero imputato a furore divino o a hybris, fondò la FBK, la Fondazione per la lotta alla corruzione, sciolta dalle autorità russe nel 2021: in pochissimi anni lui e i suoi colleghi hanno fatto intuire, ai russi e al mondo intero, l’enorme corruzione, la montagna di ruberie, saccheggi e tangenti che hanno trasformato la Russia nel paese più diseguale e terribile d’Europa.
Perché in Russia – secondo l’UBS Global Wealth Report – l’1% più ricco della popolazione possiede il 56,4% della ricchezza. E se è vero che il denaro, come insegnava San Paolo, è lo sterco del demonio, allora da Mosca deve sprigionarsi un fetore senza eguali nel continente. Naval’nyj e coloro che gli stavano accanto (a partire da sua moglie Julija) hanno osato gettare luce su quel marciume abissale come soltanto in pochissimi prima di loro avevano fatto. Tra costoro c’era Anna Stepanovna Politkovskaja, uccisa nel 2006.
Denunciando a gran voce ciò che in troppi tacevano, gridando ai quattro venti che la Russia era una cleptocrazia mafiosa basata sulla violenza e sulla corruzione, Naval’nyj divenne il nemico più pericoloso di Putin. Non soltanto perché menava colpi contro quel monumento di falsa rinascita morale e geopolitica della nazione che il regime aveva costruito a suon di propaganda e sussidi, ma perché non aveva paura: lavorava e viveva in Russia, incontrava giornalisti, attivisti per i diritti umani ed ex ministri occidentali, girava per la strada. E come è noto nulla fa arrabbiare un capo mafioso più della mancanza di timore nei suoi confronti, dato che è dal timore (e dal terrore) che egli trae il suo potere ultimo. Il “rispetto” questo è: paura travestita da deferenza. Non so se Naval’nyj conoscesse la vicenda di Giovanni Falcone, ma credo che avrebbe apprezzato una sua celebre frase: “chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.
Quando decise di rientrare in patria (nel gennaio 2021) Naval’nyj senz’altro sapeva a cosa andava incontro. Non era uno sciocco, né un aspirante suicida. Amava la sua famiglia e la vita. Ma comunque tornò in Russia. Arrestato, durante i processi non esitava a mostrarsi sorridente e sarcastico verso un potere giudiziario totalmente asservito al regime: un oltraggio nei confronti di Putin. Nelle grinfie della Russia putiniana, che trasforma l’oro in ferro e i fiori in letame, Naval’nyj – colui che in passato aveva mostrato ben più che mera ambiguità verso l’occupazione della Crimea – condannò l’invasione dell’Ucraina, vinse il premio Sacharov e si trasformò nel dissidente numero uno. Il nazionalismo arrabbiato divenne amore per una patria più libera e umana, dell’antica furia contro gli immigrati che rovinavano il paese non rimase che cenere: perché non sono i tagiki e i ceceni a provocare la decadenza della Russia, ma la sua classe dirigente.
Naval’nyj era (o meglio: divenne?) un uomo profondamente coraggioso, e in questi tempi di viltà e di codardia, in cui politici fanno carriera alimentando l’odio contro i poveri cristi, e giornalisti e intellettuali tendono a celebrare solo se stessi e i loro amici o protettori, in questi tempi pavidi e corrotti noi ammiriamo il coraggio, poiché senza di esso persino l’intelletto più acuminato è soltanto un’arma spuntata. Naval’nyj è morto in una specie di gulag sopra il circolo polare artico, e questo potrebbe sembrare l’ennesimo trionfo di Putin, dato che ancora una volta il presidente russo ha mostrato che lui ha lo jus vitae ac necis, il diritto di vita e di morte sui russi, tutti i russi, anche quelli che l’Occidente si sforza di proteggere.
Ma l’istinto mi porta a credere che la morte di Naval’nyj sia la seconda, grande sconfitta di Putin, dopo la resistenza eroica del popolo ucraino. Credo che la sua morte abbia scosso non solo i cuori e le menti di tanti russi ma anche di molti europei dell’ovest. Penso e ho sempre pensato che per porre fine alla tragica guerra in Ucraina servisse una grande offensiva della diplomazia occidentale, oltre che un saldo e continuo sostegno alle armate ucraine. In una mano l’ulivo, in un’altra il bastone.
Sino a ieri tanti, troppi italiani, francesi, tedeschi e spagnoli invocavano la diplomazia, ma condannavano il sostegno militare all’Ucraina: se neanche la morte di un uomo prigioniero e del tutto inerme, ucciso dal regime di Putin infliggendogli terribili stenti (e ogni vita umana è preziosa, inclusa quella di un ex estremista di destra), li riuscirà a convincere che il governo russo non ha alcun rispetto per la vita umana, nessuna moralità, nessuna onestà, e che i soldati e le soldatesse ucraine stanno combattendo una battaglia tragicissima ma giusta, che stanno difendendo anche noi italiani, francesi, tedeschi e spagnoli, e che armare Kyiv è importante quanto dare spazio alla diplomazia, perché Putin e i suoi capiscono solo il linguaggio brutale della forza e dell’interesse; ecco, se neppure lo spegnersi di una vita nel buio e nel gelo artici li sconvolge e tocca il loro cuore, allora vorrà dire che essi sono più pavidi (e ottusi) del più pavido (e ottuso) dei cialtroni russi, che non hanno imparato nulla da coloro che ci hanno preceduto, da Lussu e da Pertini, da Luciano Bolis e da Adolfo Kaminsky, da Marc Bloch e da Sophie Scholl, da Daphne Caruana Galizia e da Vicente López Tovar, da Raoul Wallenberg e da Levi, da Falcone e da Borsellino. Il coraggio si declina in molti modi: talvolta sbeffeggiando un giudice, altre volte scrivendo un articolo pericoloso, altre ancora imbracciando un fucile contro l’invasore. E chi non ha coraggio prima o poi perde la sua libertà, o la farà perdere ai suoi figli.
 
 
TAG: Aleksej Anatol'evič Naval'nyj, Alexei Navalny, putin, Resistenza, russia, ucraina
CAT: diritti umani, Russia
Da - https://www.glistatigenerali.com/diritti-umani_russia/sacrificio-navalny-resistenza-ucraina/
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 29, 2024, 11:44:43 pm »

Le minacce all'Occidente non sono di Putin, ma di tutta la Federazione Russa, perché tutta la Federazione Russa, che continua a celarsi dietro di lui, é di fatto sua complice.

Ergo la reazione occidentale, all'eventuale uso di armi atomiche o biologiche, dovrà essere indirizzata a tutte le capitali della Federazione Russa.

Noi vogliamo conoscere e dialogare con le popolazioni della Federazione Russa, ma non ridotti ad esseri umani contaminati, superstiti, delle loro guerre di conquista, che usano armi atomiche o biologiche.

Noi Occidentali con cominceremo mai per primi!
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 01, 2024, 07:53:24 pm »

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RUSSIA  13 gennaio 2024
Confermata la morte del giornalista Gonzalo Lira, detenuto in Ucraina dal regime di Kiev
La Redazione de l'AntiDiplomatico
 
Confermata la morte del giornalista Gonzalo Lira, detenuto in Ucraina dal regime di Kiev
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Il giornalista cileno-statunitense Gonzalo Lira, che copriva il conflitto in Ucraina ed era critico le pratiche del regime di Kiev, è morto in una prigione ucraina, secondo quanto riferito da diverse fonti, che citano il padre. Successivamente, il Dipartimento di Stato USA e il Ministero degli Esteri cileno hanno confermato la sua morte.
"È stato torturato, vittima di estorsione, tenuto in isolamento per 8 mesi e 11 giorni e l'ambasciata statunitense non ha fatto nulla per aiutare mio figlio. Il responsabile di questa tragedia è il dittatore Zelenski, con il consenso di un presidente statunitense rimbambito, Joe Biden", ha scritto il padre.
Secondo la lettera pubblicata dal giornalista Alex Rubinstein, Lira aveva una polmonite bilaterale, uno pneumotorace e un caso molto grave di edema. Nella lettera si legge che le malattie si sono aggravate a metà ottobre e le autorità carcerarie lo hanno ignorato fino al 22 dicembre.
"Gonzalo Lira, padre, dice che suo figlio è morto all'età di 55 anni in una prigione ucraina, dove era detenuto per il reato di aver criticato i governi Zelenski e Biden. Gonzalo Lira era un cittadino statunitense, ma l'amministrazione Biden ha chiaramente appoggiato la sua detenzione e la sua tortura", ha scritto il giornalista statunitense Tucker Carlson sul suo account X.
Dopo le prime notizie sulla sorte del giornalista, il Dipartimento di Stato nordamericano ha confermato a Sputnik che Gonzalo Lira è morto in Ucraina. Tuttavia, si è rifiutato di fornire ulteriori informazioni, citando la necessità di rispettare la famiglia del defunto.
Lira viveva a Kharkov e curava un blog con lo pseudonimo di "CoachRedPill", ma è passato ai commenti su YouTube dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Nel maggio 2023 è stato arrestato dal Servizio di sicurezza dell'Ucraina (SBU) con l'accusa di "screditare" le autorità e le forze armate ucraine.
La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha ricordato che questa non era la prima volta che Lira scompariva, poiché il 15 aprile 2022 era stato arrestato da membri dell'SBU.
Per poi aggiungere che "hanno confiscato i suoi computer portatili e lo hanno privato dell'accesso a tutti i suoi account, ma poi lo hanno rilasciato a causa dell'ampia pubblicità che i media hanno dato alla sua scomparsa".
La Russia è convinta che le autorità del regime di Kiev siano le principali responsabili della morte del giornalista cileno-statunitense, ha dichiarato la rappresentanza diplomatica russa presso le Nazioni Unite.
Secondo i diplomatici di Mosca, gli Stati Uniti, alleati dell'Ucraina, cercheranno di mettere a tacere la morte del loro cittadino, che criticava la politica occidentale.
Diverse personalità pubbliche, secondo quanto riporta Sputnik, hanno fatto reagito alla morte in un carcere del regime di Kiev di Gonzalo Lira.
"L'amministrazione Biden avrebbe potuto recuperare Gonzalo Lira con una telefonata, ma non ha mosso un dito. Il governo ucraino sapeva quindi di poter agire impunemente. Tuttavia, la pura sfacciataggine di uccidere un cittadino statunitense in custodia rivela un regime criminale", ha denunciato l'uomo d'affari, autore e investitore David Sacks.
Il miliardario statunitense Elon Musk ha risposto a questo messaggio, definendo la situazione "un disastro".
Il figlio dell'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Donald Trump Jr, ha affermato di sperare in una copertura adeguata dell'accaduto da parte dei media statali, ma si è detto sicuro che questo non accadrà mai.
"Quindi ora permettiamo ai nostri beneficiari di assistenza sociale stranieri come Zelenski di uccidere i nostri cittadini e i nostri giornalisti?", ha chiesto Donald Trump Jr.
L'inazione del governo statunitense nel caso di Gonzalo Lira ha fatto arrabbiare anche lo scienziato e analista economico statunitense Chris Martenson, che ha definito l'amministrazione Biden "pura malvagità e un disastro morale".
“Gonzalo era uno dei buoni, assassinato da un dittatore da quattro soldi e dalla negligenza degli Stati Uniti”, ha poi aggiunto.
"Gonzalo Lira è morto oggi in una prigione ucraina per la sola colpa di essere un giornalista che voleva che il mondo conoscesse la vera natura del regime nazista in Ucraina (...) Voleva solo la verità, voleva solo la giustizia. Riposa in pace amico mio", ha affermato l’analista Angelo Giuliano.
Iln commentatore politico statunitense, Jackson Hinkle, ha affermato che la situazione di Gonzalo Lira lo ha ispirato a "esporre la verità sull'impero guerrafondaio degli Stati Uniti".
"Non dimenticherò mai ciò che Zelenski e il suo governo nazista ucraino ti hanno fatto per volere dell'amministrazione Biden. Sei stato imprigionato, torturato, e infine ucciso per aver detto la verità", ha denunciato Hinkle.
Il primo vicepresidente della Commissione per lo sviluppo dei Mass Media e delle Comunicazioni di Massa della Camera civica russa, Alexandr Malevich, ha proposto di candidare il giornalista al Premio mondiale per la libertà di stampa. "Presenteremo la nostra candidatura all'UNESCO nei prossimi giorni".

Da –
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-confermata_la_morte_del_giornalista_gonzalo_lira_detenuto_in_ucraina_dal_regime_di_kiev/45289_52314/
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