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Autore Discussione: Enrico Fierro - Rifiuti, storia di un grande imbroglio (1)  (Letto 3386 volte)
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« inserito:: Gennaio 20, 2008, 04:35:34 pm »

Rifiuti, storia di un grande imbroglio

Enrico Fierro


«Ma come mai di è venuto in mente di togliere questa grana a Bassolino? Qui non stiamo mai tranquilli, abbiamo sul collo tutti, la Direzione antimafia, la Finanza. Tutti». È il 23 marzo del 2005. Il prefetto Corrado Catenacci (uno degli otto commissari straordinari all´emergenza rifiuti in Campania) si sfoga così al telefono con un alto funzionario della Protezione civile. Le cose vanno male, malissimo. Siamo a tre anni fa, ma la tragedia è già nell´aria. Gli impianti chiusi, dei due termovalorizzartori solo uno è in costruzione ma ci vorranno almeno quattro anni ancora perché riesca a bruciare rifiuti, le discariche sono colme come uova marce. Come se non bastasse un suo viceprefetto è finito nei guai. Dice che parlava troppo dei segreti dell´ufficio con ditte in odore. Lo scenario che si profila è da fare tremare le vene ai polsi: Napoli e la Campania sommerse di monnezza, la gente in rivolta, con i cortei e i blocchi stradali di chi non vuole i rifiuti per strada ma neppure la discarica o il termovalorizzatore sotto casa. E una inchiesta giudiziaria che va avanti. Silenziosa ma impietosa. I telefoni degli uffici sono sotto controllo, quintali di documenti - quelli che si riescono a trovare - sono stati sequestrati, qualcuno è già finito in galera. Si tratta di pesci piccoli, i magistrati della procura puntano in alto.

A tutti i commissari, i vice commissari, i subcommissari, i consulenti, gli imprenditori e i loro subappaltatori che in 14 anni, hanno sperperato soldi per 2 miliardi di euro. Ingrassato clientele politiche e personali, favorito la Camorra Spa, inquinato il territorio, ridotta a brandelli l´immagine di Napoli e della Campania. Una platea vastissima che è responsabile dello scempio più odioso: aver consegnato ad un gruppo imprenditoriale del Nord il più grande affare degli ultimi anni. È l´Impregilo della famiglia Romiti, che in Campania è diventata padrona assoluta del territorio, piegando ai suoi interessi leggi, norme e regole.La storia della monnezza è uguale a quella del dopo terremoto. Riassunta con brutale efficacia da Giulio Facchi, ex assessore verde alla provincia di Milano negli anni Novanta e subcommissario all´emergenza rifiuti in Campania per volontà di Edo Ronchi. «Abbiamo messo i destini della Campania e i coglioni di Bassolino nelle mani di Romiti e di Impregilo».

È andata esattamente così. L´Impregilo e le sue imprese Fibe e Fisia, alla fine degli anni Novanta vincono la gara d´appalto per la gestione dell´intero ciclo dei rifiuti. Un business da capogiro: 83 lire per ogni chilo di rifiuto raccolto in tutta la Campania, più 290 lire per ogni Kw di energia ricavata dalla loro combustione. Si occupano di monnezza e ci guadagnano, ma non pagano tasse. Neppure l´Ecotassa. Quando il 10 giugno del 2003 i pubblici ministeri della procura di Napoli chiedono lumi a Luigi Anzalone - ex Pci-Pds, ora Pd - Assessore regionale al Bilancio della prima giunta Bassolino, rimangono sbigottiti. «Non conosco Fibe, non ne so nulla». «La Fibe non ha mai pagato tale tassa non essendo obbligata», risponde l´ingegner Cattaneo, amministratore delegato dell´azienda. Il presidente della Commissione ambiente del Senato, Tommaso Sodano di Rifondazione comunista, il 30 maggio 2005 racconta un´altra storia al sostituto Giuseppe Noviello. Riferisce di un accordo tra Commissariato e imprese dei Romiti per modificare alcune clausole contrattuali a loro favore. Il patto è che Fibe e Fisia rinuncino ad una "riserva". Soldi, milioni di sonanti euro. «Mentre nel primo atto del 24 giugno 2003 risultano riserve per un ammontare di circa 109 milioni di euro (la cifra è scritta anche a lettere), nel successivo atto del 23 settembre 2003, la somma perde lo zero posto tra il numero 1 e il 9, nonché la specificazione a lettere». Risultato: «L´ammontare al quale Fibe rinuncia passa ad una ben più modesta somma di circa 19 milioni di euro. Sul punto ha reso dichiarazioni Stefano Cassella, rappresentante della banca West LB Ag, il quale ha precisato che per il suo istituto la somma effettivamente rinunziata è quella di circa 19 milioni di euro». Tutto agli atti della Commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti. E´ uno dei tanti "miracoli napoletani" sulla monnezza.



La bufera su Bassolino
Bastava anche solo questo per scatenare una inchiesta giudiziaria. Ma c´era altro, evidentemente, tanto altro. Tre anni di indagine, migliaia di atti sequestrati, ore di interrogatori e di intercettazioni telefoniche. Un lavoro immane condotto dai pubblici ministeri Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, che zittisce quanti in questi giorni di emergenza rifiuti hanno incautamente parlato di "inerzia" della Procura napoletana. E alla fine, il 31 luglio del 2007, la richiesta di rinvio a giudizio per Antonio Bassolino, Piergiorgio e Paolo Romiti, Armando Cattaneo, amministratore delegato Fibe, Raffaele Vanoli e Giulio Facchi - vicecommissario e subcommissario -, e di una schiera di tecnici e collaboratori del Commissariato, tra questi Giuseppe Sorace e Claudio De Biase. Per le aziende dei Romiti il ciclone era già arrivato a giugno, con un durissimo provvedimento del Tribunale di Napoli firmato dal gip Rosanna Saraceno: divieto di trattare con la pubblica amministrazione per le attività di smaltimento dei rifiuti e loro utilizzo per fini energetici e sequestro di 753 milioni di euro.

«Fibe, Fisia e Impregilo - scrivono i magistrati - erano consapevoli fin dall´inizio che lo smaltimento dei rifiuti non poteva funzionare, ma hanno fatto di tutto per nascondere tale situazione». Un raggiro reso possibile dalla connivenza di chi doveva controllare e non lo ha fatto. «Ma come è possibile - si chiedono i giudici napoletani - che una azienda così importante venga a fare a Napoli un contratto ben sapendo di non poterlo rispettare e comportandosi invece come certi truffatorelli che nascondono le proprie malefatte?». Tutti sapevano, aggiunge il procuratore capo Giandomenico Lepore in una intervista al "Mattino". «Nel 2000 quando iniziò questa storia, già si sapeva che gli impianti non sarebbero stati in grado di risolvere l´emergenza. Eppure tutti tacquero: comprese le banche che finanziarono Impregilo pur sapendo che le opere non si sarebbero realizzate».

Sette i capi di imputazione per il governatore della Campania, commissario straordinario dal 2000 al 2004. La frode in pubbliche forniture per «non aver impedito» e addirittura «consentito e realizzato la perpetua violazione» delle clausole e degli obblighi contrattuali stabiliti con Impregilo. E poi il «concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato» per non aver impedito che i fratelli Romiti aggirassero norme e leggi con artifizi e raggiri. Insomma, Bassolino - nella sua funzione di Commissario straordinario - non avrebbe mai contestato ai Romiti le violazioni del contratto favorendoli, concorrendo così anche all´interruzione di un pubblico servizio e alla violazione delle normative in materia di tutela dell´ambiente.

Un terremoto che scuote la politica napoletana, fa implodere il centrosinistra, proietta ombre inquietanti sull´uomo che da quindici anni è il protagonista assoluto della politica in Campania. «Orgoglio e maledizione», dicono a Napoli. L´uomo che nel 1993 conquista una città piegata da anni di dominio di viceré che si chiamano Gava, De Lorenzo, Pomicino, mortificata da Tangentopoli e minacciata da una camorra che aspira diventare come Cosa Nostra. Dalla bancarotta del Comune all´illusione del rinascimento napoletano. Tutto seppellito sotto tonnellate di rifiuti. Bassolino si difende: «Le accuse che mi vengono rivolte sono ingiuste e non hanno fondamento nella realtà». Lui non ha mai favorito Romiti e le sue aziende. E poi quella gara d´appalto.

«Bassolino - dicono i suoi legali - non ha mai partecipato alla preselezione, né alla stesura delle norme della gara d´appalto e di capitolato, non ha partecipato alla nomina della commissione, meno che mai alla scelta dell´impresa vincitrice. È subentrato ai suoi predecessori con l´unico ruolo formale e di rappresentanza esterna di firmare un contratto le cui clausole erano ben definite e specificate in tutti gli atti di gara». Ma se quel contratto era fin dall´inizio sbagliato, e proprio nei punti più delicati, perché Bassolino non lo ha cancellato? «Le ordinanze di Bassolino per evitare la rescissione del contratto, tutte legittime - è la tesi della difesa - erano totalmente giustificate dalla situazione di emergenza. E poi, non dimentichiamo che per rescindere il contratto con la Fibe e i Romiti è stato necessario un provvedimento legislativo ad hoc, un decreto legge del 2005».

Interrogato dai pm il 23 aprile del 2004, il governatore afferma che il suo incarico al Commissariato era politico, non tecnico. Erano i suoi collaboratori a portargli le ordinanze da firmare, lui le firmava, ma raramente le leggeva. Si fidava dei subcommissari come Paolucci e Vanoli. Ma è proprio Massimo Paolucci a fornire ai pm una versione diversa: «Bassolino sapeva tutto sui rifiuti, lo informavo puntualmente e personalmente sulle problematiche dell´Ati (l´associazione temporanea di imprese, Fibe e Fisia di Impregilo, vincitrice della gara, ndr)». Massimo Paolucci è uno dei tanti ex "delfini" di Bassolino. Funzionario della federazione Pci di via dei Fiorentini (si occupava di diffusione dell´Unità e di amministrazione), nel 1993 viene eletto consigliere comunale, nel 2000, ultima giunta Bassolino, diventa assessore alla nettezza urbana. Ed è forse per questa sua esperienza che quando Bassolino viene nominato commissario ai rifiuti, viene chiamato a collaborare con la carica di vicecommissario vicario. Nonostante un avviso di garanzia. Si tratta della vicenda delle presunte irregolarità nella demolizione delle auto custodite negli autoparchi comunali. Ne uscirà assolto il 6 febbraio 2007. Vice commissario vicario, un gradino sotto Bassolino, un gradino sopra il professor Raffaele Vanoli. Paolucci esercita un potere enorme ma non ha potere di firma, sceglie, coordina, detta direttive, ma non mette mai nero su bianco. Oggi è in rotta di collisione col governatore, eletto con una barca di voti al Consiglio comunale alle scorse elezioni, è nella segreteria regionale del Pd. Veltroniano ma non di fede bassoliniana.

Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 18.01.08 alle ore 19.23   
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 22, 2008, 06:23:04 pm »

Non c’è tempo da perdere

Enrico Fierro


Il piano proposto dal prefetto Gianni De Gennaro per uscire dalla tragedia dei rifiuti in Campania va accolto, sostenuto e realizzato. Si tratta di misure dolorose ma necessarie per affrontare una crisi che da giorni ha superato i livelli di guardia. Quando ci sono 250mila tonnellate di spazzatura per strada, quando in alcune città della Campania non si raccolgono più neppure i rifiuti ospedalieri, quando le strade sono discariche a cielo aperto e l’aria è intossicata dalla diossina provocata dagli incendi, non c’è più tempo da perdere.

Se l’unica soluzione è la riapertura delle discariche si vada avanti in modo rapido. Gianni De Gennaro lo ha fatto proponendo l’attivazione di sei siti per raccogliere qualcosa come un milione di tonnellate di monnezza. L’alternativa era l’apertura di una sola megadiscarica, «un grande buco», l’ha definita il prefetto. Forse era una provocazione. Perché nessun sindaco, nessuna comunità, nessuna città - e questo il prefetto De Gennaro lo sa bene - avrebbe accettato di prendersi sulle spalle l’intero peso dell’emergenza.

L’apertura delle discariche e dei siti di stoccaggio delle «ecoballe» è sicuramente una sconfitta, un passo indietro di dieci anni. Allora, fine degli anni Novanta, si coltivò il sogno di un ciclo dei rifiuti (raccolta differenziata, trasformazione della monnezza in combustibile e conseguente produzione di energia) in grado di risolvere una volta e per tutte la questione. Così non è stato per i motivi che questo giornale ha ampiamente raccontato. In sintesi: il meccanismo si è inceppato, gli inceneritori non sono stati costruiti, gli impianti non producono combustibile ma monnezza impacchettata, e alle settemila tonnellate di rifiuti che si accumulano per strada ogni santo giorno si è aggiunto il dramma di sette milioni di ecoballe che nessuno sa come smaltire. E allora, di fronte ad una situazione del genere chiunque abbia un minimo di sale in zucca non può che ritenere la riapertura delle discariche l’unica via d’uscita. Il resto - le polemiche, la ricerca delle responsabilità politiche e penali - viene un minuto dopo che le strade delle città campane saranno state liberate dalla presenza ammorbante di montagne di rifiuti.

Subito, però, il prefetto De Gennaro deve dare certezze alle popolazioni interessate alla riapertura dei siti. Le discariche devono essere costruite rispettando tutte le norme di sicurezza e di tutela della salute pubblica, gestite e controllate in modo efficiente e trasparente. Obiettivo non facile da perseguire in una Campania dove la camorra non ha mai mollato la presa sull’affaire rifiuti, e dove le inefficienze, le collusioni, le incrostazioni clientelari nel cuore degli uffici del Commissariato sono ormai impresse nelle relazioni delle Commissioni d’inchiesta e nei fascicoli della magistratura. Il quadro è allarmante. La società della Campania si sta come sfaldando. De Gennaro non ha fatto in tempo ad annunciare il suo piano che già sono partite proteste, manifestazioni e blocchi stradali. Partiti come Alleanza nazionale giocano allo sfascio, sindaci di tutti i colori sono già sul piede di guerra, il presidente della provincia di Benevento - centrosinistra - urla alla fine dello stato di diritto. De Gennaro ha chiesto ai cittadini di aiutarlo, di evitare la sindrome «non nel mio giardino». E lo ha fatto sapendo bene che nella regione ci sono comunità intere che hanno pagato per anni il prezzo assurdo di vivere su territori avvelenati dalle discariche ufficiali e da quelle abusive e controllate dalla camorra. Ma ora si tratta di uscire da una emergenza che non è solo sanitaria, ma è civile e istituzionale.

Perché se fallisce De Gennaro fallisce lo Stato, l’intera comunità nazionale. Non c’è più tempo e non ci sono più nomi e funzioni istituzionali da bruciare sulle montagne di rifiuti. L’eterna emergenza campana ha già macinato tre presidenti di regione, quattro prefetti e il Capo della Protezione civile, il tempo è scaduto. Per tutti.


Pubblicato il: 22.01.08
Modificato il: 22.01.08 alle ore 13.13   
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 30, 2008, 10:54:13 pm »

La sfida più grande

Enrico Fierro


Cosa sta succedendo nel Sud dalla Sicilia al Molise? Quale cancro sta divorando la politica e la società tutta? Sarebbe facile, di fronte alle inchieste giudiziarie che affollano le pagine dei giornali, rispondere la corruzione. Ma sarebbe una spiegazione limitatata.

Perché il male è più profondo, più vasto e riguarda soprattutto la politica, la sua capacità di rinnovarsi, di selezionare classi dirigenti autonome e svincolate da sistemi di potere politico-mafiosi, aliene dal clientelismo. Diciamomolo subito: la regola del bisogna vincere a tutti i costi, alleandosi con chiunque, nel Sud è una regola cinica e mortale. La vicenda dell’onorevole Mimmo Crea, uomo a disposizionen di almeno sei cosche di ‘ndrangheta in Calabria, è da questo punto di vista assai significativa.

Ci sono dirigenti politici di centrosinistra, locali e nazionali, che hanno il dovere morale di spiegare all’opinione pubblica per quali ragioni alla vigilia delle elezioni regionali del 2005 decisero di candidare un personaggio così. Un uomo che veniva dal centrodestra, più volte assessore, un trasformista abbondantemente chiacchierato. A Melito Porto Salvo, a Reggio città, si parlava del «compare» Crea, si dicevano cose più che sufficienti per indurre chiunque a fare a meno della sua candidatura. Altri dirigenti politici devono spiegare perché, sempre in Calabria, ci si è alleati con l’onorevole Franco La Rupa (Udeur) che in un’altra inchiesta viene raccontato come uomo a disposizione e in affari con un boss della costa tirrenica.

E ci fermiamo qui nel racconto del fallimento di una intera classe politica di centrosinistra alla punta dello Stivale. Nella Campania sommersa da tonnellate di immondizia, l’ultima notizia ci parla di un consigliere regionale (prima Verde, ora Pd) cordialmente sostenuto dal boss della Sanità Peppe Misso. In questo caso il suo partito d’origine, i Verdi, capì che qualcosa non andava, Grazia Francescato fece una denuncia. Servì a poco. Perché chi dentro i partiti si batte contro trasformismi e collusioni spesso viene zittito, sconfitto in nome di un presunto «realismo politico». A Caserta era già successo che un consigliere regionale, questa volta dei Ds, venisse arrestato perché sospettato di essere in combutta con i clan della camorra dei rifiuti. Era un padrone delle tessere. Ha cambiato partito.

Della Sicilia e dei cannoli di Totò Cuffaro si è detto e scritto. Il governatore si è dimesso, si andrà al voto. «Vasa vasa» non ci sarà, volerà a Roma con la sua condanna a cinque anni, senatore o deputato del nuovo Parlamento. Nella Basilicata governata dal centrosinistra buona parte del ceto dirigente è coinvolto in inchieste giudiziarie che hanno interessato anche un esponente di Alleanza Nazionale. L’ipotesi dei magistrati è quella di un sistema bipartisan per la spartizione degli affari.

Morale della favola. Mesi fa si è votato a Matera e il centrosinistra ha perso: sindaco è diventato proprio quell’esponente di An inquisito insieme ai politici di centosinistra. Nel Molise governato dal centrodestra Michele Iorio, il governatore, è stato rinviato a giudizio per una storia di favoritismi familiari. Un pezzo di quel clientelismo, quella politica della spartizione che ad alcuni sembra l’unico modo di fare politica da Roma in giù.

Una concezione che sta condannando la politica tutta, il centrosinistra in modo particolare. Non dimentichiamo mai che appena tre anni fa buona parte delle regioni del Sud ha affidato i propri destini a questo schieramento. Un voto che preparò la vittoria di Prodi e che chiedeva poche importanti cose: lavoro, giustizia sociale, lotta a mafia, camorra e ‘ndrangheta. Tre anni dopo il risultato è deludente. L’immagine è quella di Napoli sommersa dalla monnezza, della Calabria devastata dalle inchieste giudiziarie, di un Sud immobile e quasi senza speranze. Il centrodestra, a Napoli e in Calabria, prepara la rivincita. Vecchi gruppi di potere sono mobilitati, i trasformisti sono già alla ricerca di nuove casacche. Partito democratico, sinistra e quel che resta dell’Unione, hanno una sola via d’uscita: rinnovarsi, sbaraccare vecchie classi dirigenti, rimuovere gruppi di potere e clientele che in questi anni hanno sopraffatto la vita dei partiti.

Presto si andrà di nuovo al voto, i partiti dovranno preparare liste e candidature.

Per il Partito democratico di Walter Veltroni si tratta di una prova decisiva. Ma il Sud è la frontiera più impegnativa e insidiosa. Ci vuole aria nuova: via gli affaristi alla Crea e dentro chi ha una concezione alta e disinteressata della politica. Via clienti e famigli e dentro chi ha competenze, una storia di impegno civile, una riconoscibilità non basata su familismi, clientele, sistemi di potere. O si fa questo o si perde. O ci si rinnova parlando il linguaggio chiaro di una modernità fondata sui diritti o sul Sud intero si abbatterà quella che Corrado Alvaro definiva la «sciagura peggiore» per un popolo: «la certezza che vivere onestamente è inutile».

Pubblicato il: 30.01.08
Modificato il: 30.01.08 alle ore 8.20   
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