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Autore Discussione: Il Punto del Corriere della Sera <rcs@news.rcsmediagroup.it>  (Letto 1239 volte)
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« inserito:: Febbraio 10, 2024, 11:49:28 pm »

Da - Il Punto del Corriere della Sera <rcs@news.rcsmediagroup.it>

Prima Ora: inseguendo i trattori
Il Punto del Corriere della Sera <rcs@news.rcsmediagroup.it>
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Prima Ora Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera   
Sabato 10 febbraio 2024
Inseguendo i trattori
editorialista   di GIANLUCA MERCURI
Buongiorno. Il governo ci ha messo una prima pezza: cinque sindacatoni ufficiali ricevuti a Palazzo Chigi, una sigla ribelle ma non ostile incontrata di straforo e ammessa al palco di Sanremo con la lettura di un suo «comunicato», un’altra — quella del «forcone» Calvani in guerra col ministro Lollobrigida — tenuta a distanza. Alla fine, la categoria degli agricoltori ne esce con altre concessioni, dopo quelle già strappate nei giorni scorsi.
Ma come ne esce il Paese? La sensazione è che sia più esposto ai particolarismi, nonostante una maggioranza ampia e teoricamente in grado di varare politiche salde, ma in realtà sempre più divisa in vista delle elezioni europee e spiazzata dalla protesta — lunga, intensa, barricadera e soprattutto per nulla conclusa — promossa da un suo feudo elettorale.
Un precedente rischioso, avverte Massimo Franco, perché può diventare «il grimaldello usato da altre lobby per ottenere qualcosa alzando la voce».
E poi, in questa newsletter del fine settimana: gli interrogativi attorno a Joe Biden, un grande presidente col difetto di essere forse troppo avanti con l’età, e dipinto in un report come né più né meno che un rimbambito; l’approssimarsi di una nuova, drammatica mossa israeliana nella Striscia di Gaza, con l’eufemismo della «evacuazione» — ovvero un paio di milioni di persone costrette a lasciare le loro case o i loro rifugi — che a Rafah incontra un nuovo limite morale, denunciano gli americani, e anche fisico, perché da lì in poi comincia l’Egitto; l’Ucraina alle prese con la crisi tra il vertice politico e quello militare e una guerra che appare sempre più complicata, se non disperata; e altre cose che vale la pena sapere oggi.
Per esempio, Sanremo (in Italia siamo fortunati): ieri serata di ottima musica (le cover di grandi canzoni del passato). Oggi gran finale (sotto, la spiegazione di come funziona).

Benvenuti alla Prima Ora di sabato 10 febbraio.
Meloni tra i trattori e Salvini
La svolta del governo, la guerriglia della Lega, le incognite politiche. Punto per punto.
Da Palazzo Chigi a Sanremo. La presidente del Consiglio, con il ministro dell’Agricoltura al suo fianco e Salvini collegato da remoto, ha incontrato i rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Fedagripesca e Copagri. A parte, al ministero, è stato ricevuto un leader di «Riscatto agricolo», uno dei due movimenti (rivali) dietro la protesta. Una sintesi del comunicato di questa sigla è stata letta dal conduttore Amadeus dal palco del Festival. Esclusi invece i «Cra» (Comitati riuniti agricoli) dell’ex leader dei forconi Danilo Calvani, che accusa «Riscatto» di essere legato a Fratelli d’Italia.
Ma cosa ha concesso il governo? Meloni e Lollobrigida hanno promesso di inserire nel decreto Milleproroghe l’esenzione dell’Irpef per i redditi fino a 10 mila euro e il rinvio di sei mesi dell’obbligo di assicurazione sui trattori, oltre a un maggiore controllo sui prezzi e a pressioni per ulteriori cambiamenti della politica agricola dell’Unione europea (che ha già annunciato lo stop alla riduzione dei pesticidi e una nuova deroga dell’obbligo di lasciare incolto il 4% dei campi per stimolare la biodiversità).
Tutto a posto adesso? Non proprio. La protesta non si placa. Calvani minaccia «azioni eclatanti», forse in coincidenza con la manifestazione di pescatori, ambulanti e balneari (altri bacini elettorali del centrodestra in fermento) in programma giovedì prossimo. Ma anche Riscatto agricolo, che da giorni presidia la Nomentana, ieri ha marciato sul Raccordo anulare e oggi potrebbe lanciare nuove iniziative.
E a Salvini non basta mai Il leader leghista non rinuncia alla guerra dei nervi con Fratelli d’Italia, recitando la parte di chi ha strappato le concessioni ma chiede sempre di più. Testualmente: «Un punto di partenza, si può fare di più». In particolare, la Lega chiede l’estensione totale dell’esenzione Irpef. Esasperando i fratellisti.
La risposta di Lollobrigida Il ministro dell’Agricoltura, che si gioca il collo, tiene il punto: «L’esenzione per tutti dell’Irpef non è equa perché avvantaggia chi fattura milioni», dice a Monica Guerzoni. E poi, perfido: «Giorgetti ha deciso di garantire gli agricoltori più in difficoltà, che secondo lui sono circa il 90% delle imprese». Un modo per sottolineare l’ennesima divaricazione tra il movimentismo salviniano e gli equilibrismi del ministro leghista dell’Economia (che come sempre tace; poi, come sempre, farà trapelare via retroscenisti tutta la sua serietà).
Perché «Lollo» si gioca il collo? Perché in questi giorni è stato al centro delle contestazioni e perché in questo anno e mezzo non è stato il Maradona del governo, come Monica gli ha ricordato con una domanda da manuale delle interviste: «Non sarà che Meloni ha sbagliato a mettere un settore così importante nelle mani del cognato? E non le pesano le uscite sulla sostituzione etnica, i poveri che mangiano meglio dei ricchi, l’aver fatto fermare quel treno a Ciampino...». Il ministro glissa — «Io vedo molto consenso per il lavoro che abbiamo svolto» — e si mostra per una vota ecumenico, riconoscendo «la voglia di collaborare in nome degli interessi italiani anche da parte di ex ministri come De Castro e Martina». Ma grazie anche all’estremismo salviniano, «il cognato» ne esce meglio del solito.
Ma qual è il gioco della Lega? È quello di sempre di Salvini: intestarsi le scelte popolari, prendere le distanze da quelle più controverse, dire 11 se Meloni dice 10. E poi: allarmismo a go go, con punti che lasciano perplessi. L’ultimo: una risoluzione per vietare «prodotti a base di farina di grilli e insetti nelle mense scolastiche» e dare «da mangiare a ragazze e ragazzi i sani prodotti italiani coltivati dai nostri agricoltori e allevatori». Come nota Marco Cremonesi, paziente e ventennale cronista dell’epopea salviniana, «al momento, in realtà, non risulta che le farine a base di insetti siano mai entrate nelle scuole italiane».
Alla fine, l’analisi di Massimo Franco riassume la situazione in modo chirurgico, partendo da una serie di domande:
«La prima è come mai i provvedimenti annunciati ieri pomeriggio a Palazzo Chigi non siano stati presi prima: tanto più da un governo che ha creato un ministero “per la sovranità alimentare” e considera quel mondo il suo zoccolo duro elettorale».
«La seconda è se le concessioni decise per proteggere quegli interessi non rischino di diventare il grimaldello usato da altre lobby per ottenere qualcosa alzando la voce».

«La terza, più politica, riguarda l’effetto che questo atteggiamento può avere in una coalizione di destra in piena competizione elettorale».
«Ma, al di là dell’episodio, emergono una maggioranza e un sistema politico condizionati, se non dominati, da micro-interessi che vogliono essere identificati con l’interesse generale: sebbene in realtà lo contraddicano».
Le guerre (e Biden) senza tregua
Quattro mesi superati a Gaza, due anni ormai prossimi a Kiev. Non si vede ancora una via d’uscita dai conflitti che hanno destabilizzato il mondo. Punto per punto.
I piani per «evacuare Gaza» Li ha chiesti Benjamin Netanyahu all’esercito israeliano. «È impossibile raggiungere l’obiettivo della guerra di eliminare Hamas lasciando quattro suoi battaglioni a Rafah, ma è anche chiaro che una potente operazione militare richiede l’evacuazione della popolazione civile dalle zone di combattimento», afferma una nota del primo ministro.
Ma quale evacuazione? Rafah è l’ultimo centro della Striscia di Gaza che non sia stato sostanzialmente raso al suolo, con i civili spinti dagli israeliani sempre più a Sud. Come scrive da Gerusalemme Davide Frattini, «dove possa fuggire la popolazione della Striscia, per l’ennesima disperata volta, non è chiaro. L’esercito ha indicato all’inizio dell’invasione come “sicuro” il villaggio di Al Mawasi sulla costa del Mediterraneo, un piccolo rettangolo di sabbia addossato al mare, non contano le dimensioni in scala sulle mappe degli strateghi, è la dimensione della tragedia che rischia di diventare ancora più enorme, come avverte l’Onu, i palestinesi uccisi in oltre quattro mesi sono quasi 28 mila».
La condanna americana La richiesta all’esercito di «piani per l’evacuazione» da parte del premier israeliano sembra rispondere alle critiche americane, espresse giovedì dal portavoce del Dipartimento di Stato Vedant Patel: «Non abbiamo ancora visto alcuna prova di una seria pianificazione di un’operazione del genere», e procedere ora con un’offensiva del genere, «senza alcuna pianificazione e senza alcuna riflessione in un’area in cui trovano rifugio un milione di persone, sarebbe un disastro». Il presidente Biden, da parte sua, ha descritto la nuova mossa israeliana con un’espressione che gli è ormai consueta, over the top. Cioè eccessiva, esagerata, oltre i limiti.
L’Egitto schiera i carri armati. Una quarantina in tutto, al di là del valico di confine con Rafah: un modo per ribadire che Il Cairo non intende fare entrare i profughi palestinesi scacciati e schiacciati dagli israeliani, anche perché l’ultradestra dello Stato ebraico non fa mistero di volerli deportare per sempre, e Netanyahu deve tenersela se non vuole cadere. Gli Stati arabi temono una conflagrazione generale, Biden vede Israele contrastare non solo a parole ma con fatti potenzialmente irreversibili il suo piano di pace che ha come perno uno Stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania.
Le testimonianze da Rafah Le ha raccolte Greta Privitera via videochiamata: «Siamo quasi due milioni di persone accatastate in un posto che in tempi di pace ne ospita poco più di centomila. Abbiamo paura di vedere arrivare da lontano i tank israeliani». «Se succede dove scappiamo? Dopo la mia fottuta tenda c’è un muro sempre più alto. Non possiamo tornare a casa perché non ne abbiamo più una, non abbiamo più parenti. Saremo le prossime vittime».
Intanto in Ucraina
Il nuovo capo militare Intanto in Ucraina si è insediato Oleksandr Syrsky, il nuovo comandante delle forze armate voluto da Zelensky al posto di Valeryi Zaluzhny, popolarissimo e dunque visto dal presidente come un potenziale rivale politico. La preoccupazione di Syrsky, scrive dall’Ucraina Lorenzo Cremonesi, «è al momento correggere la nomea di ufficiale efficiente, ma poco umano, che gli venne addebitata la primavera scorsa durante le fasi più sanguinose della battaglia di Bakhmut, nel Donbass centrale. Allora i soldati lo rimproveravano di essere disposto a sacrificare migliaia di vite pur di non arretrare da questo settore del fronte che comunque i russi alla fine riuscirono ad occupare. Oggi sembra ripetersi la stessa situazione nella poco distante cittadina di Avdiivka, semi accerchiata dalle colonne di Putin».
Ma qual è la prospettiva? È quella di una lunga guerra di logoramento, con gli ucraini che dovranno mobilitare, con le buone e con le cattive, un altro mezzo milione di uomini. E gli aiuti americani — altri 60 miliardi di dollari — bloccati dai repubblicani.
Il messaggio di Putin Intervistato dal giornalista americano di ultradestra Tucker Carlson, il presidente russo ha proposto uno scambio tra il giornalista americano Evan Gershkovich, detenuto a Mosca, e l’agente russo Vadim Krasikov, condannato all’ergastolo in Germania. Sulla guerra ha detto parole che saranno vivisezionate a lungo: «Prima o poi Russia e Ucraina arriveranno a un accordo. Sarebbe stato possibile già quando ci siamo ritirati da Kiev». Un modo per dichiararsi soddisfatto del bottino conquistato finora? Paolo Mieli scrive nell’editoriale che quel bottino non gli va lasciato:
«Se a Putin fosse consentito di tenersi le Repubbliche ucraine già peraltro annesse alla Russia (oltre alla Crimea “conquistata” nel 2014) gli verrebbe concessa una vittoria totale che vanificherebbe l’uccisione di centinaia di migliaia di soldati e civili ucraini. E lo incoraggerebbe a ritentare il colpo, prima o poi. Può darsi che lì si arrivi, che i contendenti sfiancati optino per quel genere di “pace”».
Il problema resta come convincerlo/costringerlo a restituire il bottino.
Intanto Biden
Al-Sisi il messicano Intanto il presidente americano prova ad arginare l’effetto del rapporto in cui il procuratore speciale Robert Hur — che ha indagato sui documenti classificati trattenuti da Biden a casa sua — lo ha definito «un anziano di buone intenzioni con scarsa memoria».
Ma come spiega Viviana Mazza, Biden rischia di peggiorare la situazione: «“La mia memoria è a posto”, ha detto. Poi, però, parlando di Gaza e della risposta “esagerata” di Israele, il presidente è caduto in un lapsus, definendo Al-Sisi il presidente del Messico anziché dell’Egitto. Non è solo una questione di gaffe. Ne fa tante anche il 77enne Trump, che scambia Nancy Pelosi per Nikki Haley; e ha definito Orbán presidente turco anziché ungherese. Il problema è che gli 81 anni di Biden preoccupano gli elettori del suo partito. In un recente sondaggio in Wisconsin, uno Stato in bilico, il 61% dice che Biden è troppo anziano; solo il 29% lo pensa di Trump».
Così, spuntano di nuovo i nomi dei possibili candidati democratici alternativi, i governatori della California e del Michigan, Gavin Newsom e Gretchen Whitmer. Trump, Netanyahu e Putin godono come pazzi.
imageUn’opera di Banksy tra le macerie di Borodyanka, Ucraina (Afp)

Altre cose importanti
Mattarella e il ricordo delle foibe
«Un muro di silenzio e di oblio — un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità — si formò intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani, massacrati nelle foibe o inghiottiti nei campi di concentramento, sospinti in massa ad abbandonare le loro case, i loro averi, i loro ricordi, le loro speranze, le terre dove avevano vissuto, di fronte alla minaccia dell’imprigionamento se non dell’eliminazione fisica».

Così il Presidente della Repubblica ha reso omaggio agli italiani uccisi o cacciati dai comunisti jugoslavi per vendetta contro l’aggressione dell’Italia fascista, durante la celebrazione del «Giorno del Ricordo» al Quirinale.
Il raduno neonazista a Budapest Lo chiamano «Giorno dell’onore» e vede arrivare nella capitale ungherese ultrà di estrema destra da tutta Europa. Fu in questa occasione che l’anno scorso Ilaria Salis venne arrestata con l’accusa di aver partecipato all’aggressione a due neonazi. Da Budapest, Marco Imarisio racconta le offese della stampa ungherese all’insegnante italiana, per la cui liberazione il padre ha lanciato una campagna entrata ora in una fase di apparente stallo, dopo l’interessamento del governo e la frenata del ministro Nordio.
La saga degli Agnelli
Dopo la notizia che John Elkann è indagato con l’accusa di «dichiarazione fraudolenta» sull’eredità di Gianni Agnelli, ora le lenti degli inquirenti si sono posate sul patrimonio di Marella, moglie dell’Avvocato. Tutto nasce dalla causa intentata da Margherita Agnelli ai suoi stessi figli. La cronaca di Simona Lorenzetti e la ricostruzione di Mario Gerevini.
Sanremo travolta (dalle cover)
Mentre la Rai pensa di far causa a John Travolta per la presunta pubblicità occulta di una marca di scarpe — ma resta lo sconcertante «ballo del qua qua» in cui l'attore è stato coinvolto da Amadeus e, ebbene sì, da Fiorello — ieri dall’Ariston sono arrivate note felici grazie alle cover di grandi pezzi del passato, cantati dai loro autori insieme ai concorrenti di oggi. Un’occasione per ri-sentire dal vivo Nannini, Tozzi, Cocciante, Donatella Rettore, perfino i Jalisse.
Alle 2 di notte, l’annuncio che la serata è stata vinta dal rapper napoletano Geolier (con Guè, Luchè e Gigi D’Alessio) è stato accolto dai fischi. Il pubblico, commosso dal suo omaggio al padre, preferiva Angelina Mango, arrivata seconda. Terza Annalisa. Qui la classifica, e qui le pagelle.
Oggi la serata finale, co-condotta da Amadeus e Fiorello. Funzionerà così.
Si esibiranno nuovamente i 30 cantanti, giudicati però solo dal pubblico attraverso il Televoto.
La media tra le percentuali di voto ottenute stasera via Televoto e quelle delle serate precedenti determinerà la nuova classifica generale.
A questo punto i primi 5 si esibiranno un’altra volta e saranno votati da tutti: Televoto, Giuria delle Radio e Giuria della Sala Stampa, Tv e Web. Chi otterrà la percentuale più alta sarà la vincitrice o il vincitore di Sanremo 2024, la 74esima edizione del Festival.
Da leggere/ascoltareGianna Fregonara e Orsola Riva sui concorsi deserti per la scuola.
Aldo Cazzullo su Eric Zemmour, l’estremista francese neo-alleato europeo di Meloni.
Francesco Verderami sulle trattative per la riforma che punta al premierato (nelle pagine di Politica e tra poco sul sito).
Paolo Baldini con la sua Cinebussola: trame, giudizi e trailer dei film del weekend, in sala e in streaming.
L’Ammazzacaffè di Massimo Gramellini, con i Caffè della settimana corretti con i commenti dei lettori. Qui di seguito, invece, il suo appuntamento quotidiano.


Il Caffè di Gramellini
Tra color che son sospesi
Dai, non si può sospendere uno studente per dodici giorni solo perché ha criticato la sua scuola. Verrebbe da appellarsi al ministro competente, se non fosse che quello dell’Istruzione ha appena proclamato in Parlamento la propria incompetenza, appellandosi all’autonomia scolastica, espressione talmente vaga che sembra fatta apposta per fungere all’occorrenza da sapone neutro con cui lavarsi le mani. Damiano Cassanelli, questo il nome del reprobo, è il rappresentante d’istituto che in un’intervista alla «Gazzetta di Modena» si è lamentato del fatto che il suo liceo abbia abolito le gite all’estero, pur essendo un linguistico, e che l’ultimo giorno dello scorso anno scolastico siano stati perquisiti gli zaini degli studenti: mica siamo terroristi, ha detto. La preside non ha gradito i toni, e posso capirla, e ha sospeso Damiano: e qui non la capisco più. Un conto è punire chi compie atti di violenza contro le persone e le cose (in questo senso condivido la circolare ministeriale che obbliga i devastatori di aule a risarcire di tasca loro). Un’altra è intervenire sulla libertà di manifestazione del dissenso, sia pure espresso in forme urticanti.
La scuola, come la democrazia, si smarrisce quando diventa caos, ma anche quando pretende di assomigliare a una caserma. Ed è in quel terreno che sta tra la caserma e il caos che si gioca la partita. Basterebbe lasciarsi guidare dalla fiaccola del buonsenso: concetto un tempo borghese, ma oggi decisamente rivoluzionario.
Grazie per aver letto Prima Ora, e buon fine settimana.

(gmercuri@rcs.it; langelini@rcs.it; etebano@rcs.it; atrocino@rcs.it)
   
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