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Autore Discussione: Adolivio Capece - Addio Fischer, scacco matto al Re  (Letto 2675 volte)
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« inserito:: Gennaio 19, 2008, 11:08:02 pm »

Addio Fischer, scacco matto al Re

Adolivio Capece


Gli scacchi sono la vita. In queste poche parole può essere condensato il mito di Bobby Fischer, grande campione del mondo, il primo a minare alle fondamenta la superiorità sovietica negli scacchi. Provò a dare scacco anche ai rigidi schemi della guerra fredda. Per questo è morto in esilio, a Reykjavik, dove arrivo reclamando Asilo politico. È morto da cittadino islandese: nazionalità concessa dal governo dell’isola per motivi umanitari, «per l’ingiusto trattamento riservato a Fisher dai governi di Stati Uniti e Giappone».

Aveva il «Nobil Giuoco» nel sangue e lo si capì subito.

A 13 anni batté Donald Byrne, allora uno dei più quotati campioni statunitensi, letteralmente regalandogli la Regina dopo sole 17 mosse. Una partita entrata nelle antologie, che anche lo scrittore Roberto Cotroneo ha immortalato in un suo romanzo. A 14 anni vinse per la prima volta il Campionato assoluto degli Stati Uniti, l’anno dopo si qualificò per le selezioni al campionato del mondo. Una carriera fulminea: a soli 16 anni dal gioco ricavava onori, gloria e denaro, che spendeva soprattutto per acquistare abiti dai migliori sarti di Londra e New York. Bobby pensava di poter diventare campione del mondo in poco tempo, ma si rese conto che non era facile battere i sovietici, che allora contavano su nomi come Tal, Petrosjan, Smyslov, Keres, Geller. Li accusò di fare gioco di squadra ai suoi danni, cominciò le prime battaglie con la Federazione Internazionale per cambiare i regolamenti. Ma il successo lo portò anche ai primi scontri con il Governo Americano: nel 1965 voleva andare a giocare un torneo a Cuba, ma all’epoca a nessun americano veniva dato il visto per quell’isola. Giocò allora da New York mandando le mosse all’Avana per telescrivente: vinse Smyslov, lui si piazzò secondo. Tra il 1968 e il 1969 non giocò: si prese il tempo per studiare e battere i sovietici. Intanto la Federazione Mondiale aveva modificato le regole per arrivare alla sfida mondiale: non più torneo a girone all’italiana ma sfide individuali a eliminazione diretta. Nel primo incontro accadde una cosa mai successa prima: Fischer battè il russo Taimanov 6 a 0! Un punteggio tennistico che lasciò il mondo senza parole. Era il 1971, l’anno seguente Bobby si sarebbe battuto con Boris Spassky per il titolo iridato.

Le vicissitudini di quel campionato del mondo del 1972 a Reykjavik in Islanda sono note anche ai più giovani, essendo state oggetto di decine e decine di libri. Dal rifiuto iniziale di Bobby a giocare alla telefonata realmente fattagli dall’allora Segretario di Stato Henry Kissinger; dalla sconfitta nella prima partita per aver voluto a tutti i costi forzare e poi nella seconda, persa a forfait, perché alcune sue richieste sulla logistica della sala gioco non erano state accettate, al clamoroso recupero e alla vittoria finale, in scioltezza e prima del limite (dopo 21 delle 24 partite in programma).

In quell’occasione, per due mesi, il mondo divenne una enorme scacchiera, tutti giocavano a scacchi, giovani, anziani, donne, e il nome di Fischer divenne universalmente noto. Poi ancora nuove richieste di modifica al Regolamento; il rifiuto della Federazione portò Bobby a rinunciare al titolo (che fu assegnato senza giocare ad Antolj Karpov). Poi Fischer sparì, letteralmente, dalla faccia della terra, salvo qualche fugace apparizione, fino al 1992, quando, sfidando l’embargo del Governo Americano, giocò in Serbia il “match mondiale di rivincita” ancora con Spassky. Poi eccolo di nuovo sparire fino al giorno della clamorosa notizia: arrestato a Tokyo, a causa del passaporto scaduto. In questa occasione si scoprì un lato inedito del campione, il Fischer latin-lover; d’improvviso si ebbe notizia di un figlio avuto con una ragazza filippina e di un amore, da molti anni, con una più attempata giapponese, che poche settimane dopo sarebbe diventata sua moglie. La battaglia legale che seguì per evitare l’estradizione, vide Bobby ricevere il sostegno degli scacchisti di tutto il mondo: forse per questo il Governo Usa non insistette e Bobby potè rifugiarsi in Islanda, ottenendone la cittadinanza. Un paio di mesi fa il ricovero in ospedale, a Reykjavik, per problemi polmonari. Sembrava una malattia da poco, facilmente curabile, invece gli è stata fatale.

Pubblicato il: 19.01.08
Modificato il: 19.01.08 alle ore 10.26   
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