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« inserito:: Gennaio 19, 2024, 07:12:08 pm »

Dario Macchi

Putin, volto del fascismo di oggi

di Andrea Romano, professore associato di Storia contemporanea

La Russia è un sistema di idee, prima che una dittatura, che attrae da anni le simpatie di quell’estrema destra.
C’è un fascismo di ieri, che l’Italia ha conosciuto sulla propria pelle e che alcuni si ostinano a rimpiangere. E c’è un fascismo di oggi, che in Europa ha il volto del regime di Putin. Un sistema di idee, prima ancora che una dittatura, che attrae da anni le simpatie di quell’estrema destra che da ogni latitudine guarda a Mosca come alla propria capitale morale. Un fascino più che giustificato, in effetti, perché il putinismo ha tradotto e aggiornato nel linguaggio del XXI secolo quelli che furono i tratti fondamentali del fascismo novecentesco: il disprezzo per la democrazia liberale, la persecuzione del dissenso politico e culturale, il rifiuto della diversità sessuale come “degenerazione”, il complottismo come chiave di lettura della realtà, il culto della morte, la pratica sistematica della violenza, un nazionalismo aggressivo a sfondo etnico e suprematista e da ultimo una certa connivenza con l’antisemitismo. Mancano l’orbace e il saluto romano (anche se i cultori più rigorosi del putinismo vi ricorrono volentieri anche in trasferta, com’è emerso dalla presenza di neonazisti russi ad Acca Larentia), ma per il resto c’è sostanzialmente tutto. In questo senso la guerra all’Ucraina rimane la grande prova della verità per il fascismo putiniano. Innanzitutto, una guerra di aggressione contro uno Stato sovrano di dimensioni e potenza assai più ridotte, nello stile delle aggressioni militari di Mussolini alla Grecia o all’Albania, scatenata in violazione degli impegni internazionali che Mosca aveva sottoscritto con la comunità internazionale. Poi una campagna militare mossa dall’aspirazione a tornare ad un glorioso passato imperiale e nutrita da motivazioni espansionistiche e di sottomissione etnica, anche qui sul modello delle guerre fasciste del Novecento.
Il confronto tra passato e presente potrebbe proseguire, anche con le inevitabili differenze, ma oggi la questione è un’altra. Se il putinismo è il miglior erede del fascismo novecentesco, e se la sua aggressione all’Ucraina è la versione contemporanea delle guerre fasciste, il sacrosanto impegno antifascista non può che tradursi anche nel contrasto alla dittatura putiniana e alle sue avventure militari. E dunque nel sostegno concreto alla resistenza ucraina, che oggi rappresenta la frontiera lungo la quale il nuovo fascismo può conoscere una sconfitta strategica capace di stroncarne la capacità espansiva o viceversa ricavare da una vittoria sul campo nuove energie per estendere la propria capacità di minaccia. La coerenza del nostro antifascismo dovrebbe condurre a riconoscere senza esitazioni nell’aggressione di Putin all’Ucraina quella guerra “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” e “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” il cui ripudio i Costituenti vollero porre a fondamento della Repubblica, nelle prime righe dell’articolo 11 della Costituzione, perché tali erano state pochi anni prima le guerre di Mussolini. E la stessa coerenza dovrebbe portare oggi a sostenere con ogni mezzo coloro che quella guerra stanno contrastando, nelle trincee e nelle città dell’Ucraina. Per questo si fa sinceramente fatica a giustificare le esitazioni e i tatticismi con cui una parte dell’opposizione sta prendendo le distanze dalla resistenza di Kiev. Forse immaginando di sacrificare il consenso bipartisan su un tema tanto fondamentale di politica estera al dovere di opporsi al governo Meloni. Ma finendo in realtà per danneggiare sé stessa, indebolendo il proprio antifascismo e la propria autorevolezza morale e politica, dinanzi alla prova più drammatica che la democrazia europea sta attraversando nella nostra epoca.

Da FB del 18 gennaio 2024
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