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Autore Discussione: Maurizio Chierici La Rosa Bianca in tribunale  (Letto 3902 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2007, 07:03:50 pm »

Parma e la democrazia privata

Maurizio Chierici


La vecchia politica ha fatto il suo tempo. Cellule, sacrestie, apparati, fratellanze, tutto finito. Si volta pagina. Parma ha dato esempio di modernità non politica nelle ultime elezioni. Laboratorio d’avanguardia dal quale Roma deve imparare. Ha presentato candidati raccolti in liste civiche e disposti a sdegnare le bandiere attirando, con la concretezza del buonsenso disinteressato, l’attenzione degli elettori. I quali si sono distratti e non hanno visto che erano le stesse facce dei partiti che all’improvviso non esistevano più. Ecco perché il centrosinistra è andato in crisi quando si è votato il nuovo sindaco mentre il centrodestra ha trionfato sdegnando i simboli della grande politica. La gente era impazzita di felicità: autarchia vuol dire controllo della gestione e siccome il potere che ha governato ha trasformato Parma in una delle quattro città più belle del mondo, preferenze a pioggia.

Uovo di Colombo diventato uovo di Ubaldi nel laboratorio Parma, avamposto della destra in Emilia. A Parma i partiti sono spariti sotto la crosta dei cittadini liberi, mentre a Piacenza, dove ha vinto il centro sinistra, i partiti resistono con qualche maschera, sempre lì, congreghe minacciose che ignorano le necessità degli elettori. Parma è diversa. Città senza partiti vuol dire città che affronta serena ogni futuro. Il nuovo sindaco Vignali considera giustamente Ubaldi maestro di vita. L’euforia può continuare. Senza partiti? Il Giornale non se ne è accorto: «Il Polo vince ed è la terza volta consecutiva». Ma di quale Polo parla? Figuriamoci se la gente non ha verificata la trasparenza della nuova Italia dei cittadini qualsiasi.

I dubbi cominciano nella spartizione delle poltrone. Forza Italia pretende ciò che le è dovuto. Ha fatto finta di non conoscere Berlusconi ma adesso la notte è passata ed alza la voce. Proviamo a contare i voti delle nostre tessere. Alleanza Nazionale respinta nell’ombra, rispunta e prende il suo posto in giunta, come concordato. «Scelta politica non ideologica», perché Parma, medaglia d’oro della Resistenza, resta «democratica e antifascista». Abracadabra che risale alle notti della prima repubblica. Il discorso è serio perché a Parma si è votato dopo aver privatizzato la legge elettorale distillata da saggi guidati da Calderoli. Candidati non più indicati dalla gente ma dalle segreteria dei partiti i quali, se non altro, sono l’espressione della volontà dei tesserati. A Parma fa ridere parlare di tessere. Il mondo nuovo pretende raziocinio e funzionalità. Nomi e non bandiere. Ma la verità è diversa. Ecco come funziona la democrazia privatizzata nell’ufficialità delle parole del presidente degli imprenditori. Ogni città rossa di Emilia e Toscana ha attraversato gli anni 90 con due principi al governo. Partiti e industriali. Il dialogo ne ha permesso la fioritura. La sintesi di Parma ne aggiorna la gestione e il dialogo diventa monologo. Un gruppo solo al comando. L’uomo che governerà la gente, gli appalti e la burocrazia degli amici, d’ora in avanti non dovrà sopportare il fastidio primarie o sedurre gli elettori. Gli imprenditori lo hanno sollevato dai vecchi fastidi. Fanno sapere chi gradiscono e a buon diritto perché la democrazia vale per tutti a prescindere dal conto in banca. Aggiungono il diritto di nutrire campagne elettorali babilonesi, diritto di inondare giornali e Tv di annunci a pagamento ben confezionati da agenzie ben pagate. Attenzione, il modello Parma fa un passo in più. Giornali e Tv sono proprietà degli stessi imprenditori che hanno scelto il candidato. Sanno che non è opportuno convincere la gente solo negli ultimi mesi. Preferibile l’irrigazione goccia a goccia spalmata negli anni della reggenza gradita per trasformare apprendisti politici in simboli che la gente deve amare prima ancora di discutere. Bravi, simpatici, intelligenti, onesti, laboriosi, perfino belli anche se a volte è stato difficile farlo credere. Ogni mattina arrivano in ogni casa mentre assaggiano funghi, distribuiscono strette di mano, annunciano miracoli, inaugurano mostre, premiano i bambini buoni. La loro faccia si spande nei giornali e inonda le Tv dove distribuiscono promesse e disprezzo inventando una città che - per caso - apre cantieri come fossero ciliegie. E nei cantieri i nomi non cambiano: gli stessi che hanno deciso «votate lui». Parole d’ordine: rinnovare, modernizzare perfino moltiplicare la popolazione con annunci che triplicano il numero delle persone: 170mila? Stiamo per diventare 400mila, parola di sindaco. Non il sindaco di oggi, ma l’Ubaldi che ha aperto la stagione dei sindaci cresciuti nelle provette della Confindustria locale.

L’operazione non può essere solo di immagine. Amici di partito (Dc dei cavalli di razza) seminati come betulle in ogni presidenza o cellula di comando. E quando gli amici superano le poltrone se ne fabbricano di nuove: moltiplicazione delle imprese comunali, moltiplicazione degli assessorati dietro il paravento delle «agenzie», moltiplicazione di presidenti e consigli di amministrazione con relativi stipendi. Perfino il cimitero è quotato in borsa. Abolito l’ufficio stampa: da Milano va e viene il consigliere per l’immagine, mentre il «portavoce del sindaco» distribuisce il sindaco-pensiero.

I giornalisti ci stanno? Ecco il problema. I giornalisti cosa possono fare? La loro professionalità è indiscutibile, ma gli stipendi arrivano dagli imprenditori del mattone che hanno unto il nuovo governo. Il quale non solo sdegna chi mette in discussione la città del futuro disegnata da costruttori-editori, ma taglia i comunicati ufficiali alle piccole redazioni indisciplinate come è successo a «Polis Quotidiano». Da Bologna deve intervenire il presidente dei giornalisti per ristabilire la correttezza. O i cronisti scodinzolano davanti alle opere del regime piccolo padano o gli insulti arrivano dalle Tv (dei costruttori), abitudine del sindaco tramontato il quale adesso va in tribunale contro chi ha osato torcere la bocca. A non tutti possono piacere le opere del suo rinascimento e il 16 giugno, seduta d’addio, Ubaldi fa approvare la spesa di 26.900 euro (pagata dai cittadini) per citare in giudizio il giornalista dell’Espresso Gigi Riva già definito «in stato d’ebbrezza» dalla Tv del grande proprietario.

Riva era andato a Parma per capire come mai una città deve indebitarsi per mezzo secolo nella costruzione di una metropolitana non solo inutile, ma pericolosa per gli scavi che frugheranno le fondamenta dei palazzi. Voleva sapere quale magia ha moltiplicato gli 8 milioni di viaggiatori che ogni anno usano i mezzi pubblici sul percorso dell’immaginario metrò, nei 24 milioni ipotizzati per annacquare lo spavento del disavanzo abissale della gestione. A Riva non piaceva che distruggessero dopo otto secoli il monumento dell’archivio di stato disperdendo i documenti di un ducato per tirar su un albergo. Riva trovava eccentrico seppellire sotto terra un mercato storico quando da due secoli di bancarelle rallegrano la gente, e si è meravigliato delle parole di disprezzo ricadute sulla sopraintendeza contraria allo scempio.

Una signora assessore di Ubaldi ha invitato il vice sindaco a fregarsene della cultura: se ci fa ancora perdere tempo, comincio a fare il buco con le mie mani. E poi il grottesco dei ponti a mezz’asta o i ponti coperti da palazzoni o le passerelle che volteggiano come toboga di Gardaland, insomma milioni e milioni dispersi in un patetico che imbruttisce la piccola capitale ereditata da signori non democratici ma con l’umiltà del lasciarsi consigliare da architetti ed artisti non disposti a diventare ciambellani di corte. Forse perché il gioco degli appalti non agitava le abitudini degli antichi duchi della città. L’articolo dell’Espresso viene ritenuto «lesivo nei confronti dell’operato dell’amministrazione comunale». Insomma, lesa maestà.

Tanto per far capire la precisione che regola il rapporto tra media e la democrazia privatizzata di Parma, basta sfogliare l’elenco di chi ha appena giurato. Tra gli uomini nuovi del nuovo governo scelto nelle primarie neanche segrete degli imprenditori, c’è un giornalista bravo, elegante, intelligente. Luca Sommi ha lavorato in Tv con Sgarbi, ha inventato chiacchiere non banali nella Tv degli imprenditori. L’essere imparentato con Rosi, cavaliere del prosciutto cotto, amico di Dell’Utri e organizzatore delle gite di devozione ad Arcore che aggregavano imprenditori malinconici per il Berlusconi fuori dal potere, non ha grande significato. Ognuno si ritrova coi parenti scelti dal destino. Ma nelle passerelle finali Tv obbligate dalla par condicio, Sommi ha dimenticato l’eleganza sussurrata scontrandosi in modo non veniale col candidato del centrosinistra Peri, mentre ammetteva senza reticenze la sua fede nelle opere che il Vignali prescelto elencava.

La democrazia privatizzata abitua a non approfondire la realtà. Storce l’informazione locale evitando ogni inchiesta che metta le mani sotto i dogmi del calcestruzzo. Spariscono le curiosità scomode, come all’Avana. Nessuno ha mai saputo dei due codici fiscali del sindaco appena insediato, svista magari innocente, ma proibito parlarne. Nessuno ha indagato per capire come mai nel piccolo ufficio di un piccolo borgo dove il nuovo signore della città risiede per il registro dei dottori commercialisti nascevano società che opzionavano terreni subito riveduti ad un ente comunale, con l’approvazione della giunta della quale Vignali faceva parte. Affari per decine di milioni. Coincidenze?

Il centrosinistra battuto male cerca di organizzare forze nuove con l’aiuto di Alfredo Peri, chiamato all’ultimo minuto per superare la paralisi provocata dalle meline del segretario provinciale della Margherita. Con Peri scelto nelle primarie ha gettato la maschera ed è passato alla destra: non eletto ma con poltrona da assessore. Soffocato dalla democrazia privata, il centrosinistra può adeguarsi al nuovo teatro oppure impegnarsi nel controllare le pieghe meno chiare della vecchia e nuova gestione: delibere, appalti, reti del potere che avvolgono ogni respiro. Si parla di un osservatorio per la trasparenza, non formale, ma quotidiano, con tecnici e professionisti attenti all’analisi dei documenti e pronti ad intervenire per capire cosa sta succedendo. Groviglio non semplice da districare mentre la strategia del rifiuto ai partiti tradizionali viene rilanciata dal vecchio sindaco Ubaldi, forse fuori tempo. Con l’apparire di Veltroni, anche Fini torna all’antico: smettiamola con la storia della non politica. La città è piccola, le fantasie si scatenano. Può il vecchio protagonista locale, tanto fotografato, tanto intervistato ed elogiato dagli imprenditori-editori, può confondersi con la massa di un semplice consiglio cittadino sia pure seduto sulla poltrona alta? Sta forse pensando «ad un nuovo soggetto politico», ma se Casini non ce la fa, il Pd diventa l’ultimo appiglio della sopravvivenza per chi è vissuto all’ombra dei partiti: ex democristiani ed ex socialisti gli si stringono attorno, sperando. Nessuno bisogno di raccomandarlo, ma, caro Walter, di democrazia privatizzata ne basta una.

mchierici2@libero.it

Pubblicato il: 25.06.07
Modificato il: 25.06.07 alle ore 8.55   
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« Ultima modifica: Agosto 21, 2008, 11:06:10 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 18, 2008, 12:26:29 am »

La Rosa Bianca in tribunale

Maurizio Chierici


La parola d’ordine è: facciamo finta di niente. Politici, giornalisti, conduttori Tv nascondono nel silenzio il mistero buffo di un teatrino prima repubblica. Per favore, non disturbate i rosacroce che rubano voti al Cavaliere. Gente coraggiosa. Quattordici anni dopo hanno spezzato le catene della Cassa della Libertà (cassa, non Casa) sfiniti dall’obbedienza cieca, pronta e assoluta.

Partenze scaglionate, due o tre alla volta per non dare nell’occhio. Appena fuori si sono guardati in faccia: adesso come ci chiamiamo? Per i profughi Publitalia-Finivest non era facile trovare un simbolo non modulato dai persuasori occulti al lavoro nelle cantine dell’impero.

Spot e slogan per vendere biscotti, igiene intima e gaffe programmate a tavolino tanto per distrarre la gente dalla concretezza del domani. La solitudine dei transfughi ispira un logo traballante, non perché fragile, ma perché usurpato. In due mesi la vergogna lo cambia tre volte: Rosa Bianca, Rosa d’Italia, Libertà e Solidarietà, sempre rosa che galleggia nell’azzurro. Fa comodo e la gente non ricorda cosa rappresentava quella Rosa nella Germania del terzo Reich... Poi arriva il Casini respinto. Eccoli rimparentati sotto la vecchia croce Dc. Ma non se la sono sentita di mollare la medaglia che ricorda il martirio di cinque ragazzi tedeschi (decapitati dai nazisti) e del loro professore all’università di Monaco «giustiziato per impiccagione». Idealisti senza compromessi ormai fuori moda. Testimoniano un cristianesimo libero e fedele; resistenza interiore trasformata in azione politica non violenta. Appena sei manifestini di dissenso, ma gli stivali di Hitler non li hanno sopportati. Troppo facile insistere sulle differenze che dividono il Baccini cresciuto politicamente nella Roma andreottiana (appalti e saccheggi edilizi) all’ombra dello squalo Sardella, per di più intimo di Antonio Gerace, detto «er luparetta»; troppo facile segnalare la lontananza da chi si illudeva che la libertà di coscienza mai dovesse dipendere dalla protezione dei potenti, eppure è doveroso segnalare l’insostenibile leggerezza professionale che ne accompagna la mistificazione. Giornalisti, politici, analisti, perfino suore e preti siciliani fanno finta di niente. Ascoltano Tabacci che risponde in Tv alla domanda di Gad Ledner: «Ma lei chi rappresenta?» «La Rosa Bianca…», non importa se le furbizie legali hanno suggerito un altro nome da depositare nell’elenco dei partiti associati. La Rosa Bianca del sacrificio degli altri è la patria comoda di altre ambizioni. Rosa Bianca Pezzotta, Rosa Bianca Baccini. Non so se per pigrizia o perché Rosa Bianca è un titolo che suona, due parole da ripetere in un soffio mentre Libertà e Solidarietà fa venire in mente le meline del passato: Bianco Fiore di vecchia memoria. Rosa Bianca per semplificazione nella reprimenda di padre Bartolomeo Sorge quando risponde a Famiglia Cristiana: «l’accordo con Casini ha rovinato la Rosa Bianca e Pezzotta non ha avuto la forza di resistere». Rosa Bianca per necessità di spazio nei corsivi fulminanti di Maria Novella Oppo. Rosa Bianca dell’inesauribile Tabacchi quando parla alla Stampa, Rosa Bianca in ogni Tg, Rosa Bianca fiore dei Televideo. Rosa Bianca for ever dietro la maschera di una legalità molto italiana. Parole libere; il simbolo resta un altro. Chissà la confusione quando si vota. Ma è successo qualcosa. Mercoledì 12 marzo, il professor Gustavo Ghidini, avvocato Marco Mergati, professor Nicola Lipari, professor Valerio Onida, grande studio milanese, sono andati dal giudice con la denuncia presentata dall’avvocato Grazia Villa: «L’Associazione Rosa Bianca italiana (associazione di cultura politica operante sul territorio da oltre 30 anni) ha avviato un’azione giudiziaria urgente contro il perdurare uso confusorio del suo nome, nei siti e nei nomi a dominio, da parte del neo movimento politico partitico costituito dal senatore Mario Baccini, dal dottor Savino Pezzotta e dall’onorevole Bruno Tabacci». Nella prima udienza la difesa dei rosacroce resuscita quattro vittime della tragica storia. Per i tabacisti i martiri tedeschi sono appena due. Il giudice sta per decidere se accogliere o respingere. Per capire cosa è successo bisogna sfogliare il copione dell’italico spettacolo. Mani sull’icona del cristianesimo eroico con la furbizia del tirar su voti. Come se a Roma per battere Alemanno (genero del naziSalò Pino Rauti) o lo Storace nero-nero, si presentasse il partito «Fosse Ardeatine». Suggestivo, ma a quale prezzo morale e di buon gusto? Riassumo come è arrivata in tribunale la vera Associazione Rosa Bianca. Appena il trio Baccini, Pezzotta-Tabacci si presenta con la Rosa in mano, protesta la presidenza del centro culturale che da trent’anni si propone con quel nome assieme ai sopravissuti alla persecuzione nazista. Protesta prima di tutto perché Rosa Bianca già esiste ed è molto conosciuta nel mondo cattolico italiano.

Ogni anno organizza incontri-studio che analizzano il rapporto tra etica e politica: da Dossetti a Scoppola, David Turoldo, Paolo Giuntella, Nino Andreatta, D’Alema, Martinazzoli, Rosy Bindi, Romano Prodi, Franco Monaco, Angela Finocchiaro, Roberto Ruffilli (ucciso dalle Br), eccetera. Impegno che comincia nel 1980. La casa editrice Il Margine ne è la proiezione. Ultimi volumi: la storia di Willy Graf, uno dei sei tedeschi sacrificati o il saggio che riunisce Moro-Bachelet, caduti sotto la stessa violenza per gli stessi ideali, interventi di Ardigò, Scoppola, Ruffilli. Una volta hanno invitato a parlare anche Tabacci ma all’ultimo minuto aveva un impegno. Insomma, per esperienza diretta conosce l’esistenza della vera Rosa Bianca. L’avvocato Villa ritiene sconveniente trascinare nella politica pronto cassa la profondità cristiana dei martiri di Monaco. Quando i fondatori della Rosa Bianca di Baccini si riuniscono nel primo convegno di Montecatini, un gruppo della vera Rosa Bianca distribuisce ai neorositi volantini dove si spiega perché non possono usarne il nome. Tutti informati, tutti alzano le spalle. Tabacci tranquillizza: lo cambiamo, nessun problema. Ma è solo il 30 gennaio e non ha ancora assaporato il successo mediatico. Quando lui e gli altri capiscono che val la pena affacciarsi in Tv travestiti da giardinieri coraggiosi, cavalcano l’opportunità e non rispondono più. Solo una volta telefona Pezzotta: «Ho lottato e mi sono imposto. Ci chiameremo Rosa d’Italia». Lottato con chi? Negli stessi giorni aprono due siti web, naturalmente Rosa Bianca. Li dirige Francesco Sanseverino ombra del Baccini ministro berlusconiano, carriera giornalistica fuori dall’ordine dei giornalisti. La denuncia presentata dal professor Ghidini e dagli altri contrasta questa doppiezza. E il pasticcio è in agguato. I tabaccisti, perottiani o bacciniani sparsi in Italia e fuori, si offrono on line per un posto da onorevole. «Controllo tremila voti». «Gli italiani di Germania mi considerano un leader». «Chiedete in Puglia chi sono». «Manderò le firme degli amici disposti a seguirmi». Ma i tre siti Rosa Bianca confondono le ambizioni e buona parte dei messaggi arriva alla Rosa Bianca di Dossetti e Turoldo testimoniando ambizioni politiche da conservare nell’archivio delle vanità.

Altri affidano ai giornali locali la fede nel terzo polo nascente facendo sapere quale gruzzolo di consensi sono convinti di portare in dote. È successo a Parma: l’ex sindaco Elvio Ubaldi, ormai senza potere, non sopporta il bovarismo della provincia che lo trascura dopo il lungo cammino. Sinistra democristiana anni 90, cambia rotta per suggerimento di De Mita e col sostegno munifico di un gruppo di imprenditori fonda un partitino locale. Governa la città con Forza Italia avendo a disposizione i media di proprietà degli stessi imprenditori. E quando i giornali nazionali gli ricordano certi errori, insulta o querela l’Espresso (27mila euro di spese caricate sui i contribuenti) colpevole di non essere d’accordo sulla metropolitana ridicola in una piccola città.

Oppure convoca l’apposito Giornale, alleato berlusconiano, affidandosi alla penna di un teocon del Foglio - Camillo Langone, rubrica «Preghiera» - il quale un po’ distratto mette in fila gli improperi senza spiegarne la ragione. Bene accolti, arrivano in città uomini d’affari che si dicono amici di Tabacci, società fiduciarie scatenate nel comprare terreni e disegnare supermercati. Idillii del passato. Nella speranza di diventare senatore Rosa Bianca, improvvisamente Ubaldi attacca il Cavaliere e i candidati Forza Italia dimenticando che Forza Italia governa la città raggruppata nel movimento «per Parma con Ubaldi». Nessuna omonimia: sempre lui. Ha cambiato alleanze mentre marcia su Roma con in tasca i voti di fedelissimi che si stanno squagliando.

(Vorrei ricordare che la denuncia di Grazia Villa, presidente dell’Associazione Rosa Bianca, distribuita alle agenzie cinque giorni fa, è stata raccolta dal un solo giornale: pagine di Como del Corriere della Sera. Nessun accenno nell’edizione che gira l’Italia. Gli altri, silenzio. Imbarazzati anche gli studiosi della vera Rosa Bianca. Come spiegarlo alla vecchia signora Aneliese Knoop Graft, sorella di Willy, uno dei cinque ragazzi ghigliottinati? Giovanissima ha sofferto la tortura ed è complicato farle capire che in Sicilia la sua Rosa Bianca voterà compatta un signore condannato a cinque anni di galera per amicizie mafiose. Urgente mandarlo al Senato per garantirgli l’immunità).

Pubblicato il: 17.03.08
Modificato il: 17.03.08 alle ore 12.51   
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 19, 2008, 02:57:14 pm »

Mario Baccini: «Saremo noi l’ago della bilancia. Anche al Senato»

Natalia Lombardo


Mario Baccini, ex ministro nel governo Berlusconi, uscito dall’Udc ha creato la Rosa Bianca con Tabacci e Pezzotta.

Alle politiche sono alleati con Casini.


Come si sente ad avere abbandonato Berlusconi?
«Io non ho abbandonato nessuno. Il movimento “Una Rosa per l’Italia” nasce perché quindici anni di bipolarismo hanno prodotto solo tifoserie. Sono uscito dalla logica della “casta”».

Chi ci mette, nella «casta»?
«Non chi fa politica da tanto tempo, ma chi insiste per votare con la stessa legge elettorale. Produrrà un risultato identico al precedente e porterà alla paralisi del paese. O quelli che, per un privilegio personale, evocano elezioni e scontri anziché pensare alle riforme possibili. Questa è la “casta”».

Parla di Berlusconi? Veltroni voleva cambiare la legge elettorale.
«Parlo di tutti e due gli schieramenti: il Pdl, il Pd. Non siamo nati per tifare Veltroni o Berlusconi, ma per rompere questo sistema, per agire anziché parlare. A questo progetto si è unita l’Udc di Casini».

Casini si è «unito» a voi? Ma lei e Tabacci venite dall’Udc...
«Sono uscito dall’Udc perché non ha rispettato il mandato congressuale».

Quello di autonomia da Berlusconi?
«Sì, rompere il bipolarismo, cambiare legge elettorale e creare un grande partito dei moderati. L’Udc ha scelto di allearsi di nuovo col centrodestra. Io sono rimasto dov’ero e ho fondato la Rosa Bianca con Tabacci e Pezzotta».

Come nucleo di un Grande centro?
«Siamo partiti senza paracadute, sapendo che ci sono grandi possibilità di non rientrare in Parlamento. Mi sarei potuto accomodare con qualche privilegio da una parte o dall’altra. Siamo coerenti, se andremo in Parlamento è perché l’avranno voluto i cittadini e non i partiti, macchine per macinare il finanziamento pubblico».

Scusi, ma avete creato l’ennesimo partitino...
«No, il nostro è un movimento. Abbiamo preso atto del rientro dell’Udc sulle nostre posizioni e realizzato la Costituente di una Unione di centro, per la buona politica, per modificare un sistema già nel prossimo Parlamento».

Nel caso di pareggio al Senato chi appoggerete?
«Saremo determinanti. I nostri gruppi parlamentari saranno l’ago della bilancia, daremo le carte anche sulle intese per le riforme».

Insomma, se Tabacci era la spina nel fianco di Berlusconi, con lei e Pezzotta sarete la «spina nel fianco» al cubo, alla terza?...
«Ma no, saremo il pungolo contro gli inciuci e i compromessi. Per riscrivere la legge elettorale, rimettendo le preferenze o le primarie per legge».

A chi pensate di togliere voti?
«Non si tratta di togliere voti, ma di recuperare consenso di blocchi sociali dei quali rappresentare i bisogni. Raccogliamo l’appello di Betori e della Cei».

Quanto vi aspettate di ottenere?
«In Italia c’è almeno un 10 per cento di persone che potrebbe votarci».

Quindi pensate di superare l’8 % e entrare anche al Senato?
«In molte regioni potremo avere una rappresentanza forte anche al Senato».

Quali?
«La Sicilia, il Veneto, il Lazio, la Campania, la Calabria, la Puglia».

La Rosa può pescare voti sia dal Pdl che dal Pd, però.
«Sono voti che ci hanno già rubato, distruggendo il ceto medio e la borghesia. Sono voti in libera uscita ora divisi da un bipolarismo appoggiato sulle estreme, a destra e a sinistra. Veltroni tenta di spostarsi al centro senza riuscirci. Berlusconi anche, ma la gente sa che sono sempre gli stessi attori».

Berlusconi si è spostato a destra?
«Si è decisamente spostato a destra».

Lei si candida anche a sindaco di Roma e sfida Ciocchetti dell’Udc. Eppure alle politiche siete insieme.
«Siamo due forze politiche distinte. Non corriamo insieme».

Nel caso di un ballottaggio fra Rutelli e Alemanno chi appoggerebbe?
«Io sono sceso in campo per vincere. Ora non penso alle alleanze».

Rinviamo la domanda al 15 aprile?
«Arrivederci».

Pubblicato il: 19.03.08
Modificato il: 19.03.08 alle ore 8.09   
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