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Autore Discussione: Angelo De Mattia - Chi spegne il dialogo  (Letto 2649 volte)
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« inserito:: Gennaio 17, 2008, 11:07:23 pm »

Chi spegne il dialogo

Angelo De Mattia


Se l’intervento del Papa alla Sapienza avesse dovuto riguardare esclusivamente un tema quale la globalizzazione, i sistemi economici, il lavoro, le migrazioni, la pace, ci sarebbe stata la stessa opposizione dei fisici che ha portato alla rinuncia alla visita?

Vediamo, in particolare, l’argomento globalizzazione. Questa «non è sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro». «I conflitti per la supremazia economica… rendono difficile il lavoro di quanti si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale».

«C’è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti». Solo con un impegno per un’equa distribuzione della ricchezza, sarà possibile «instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile». È un’analisi critica del fenomeno epocale della globalizzazione, che il Pontefice ha svolto nell’omelia dell’Epifania. Purtroppo, è un tema che oggi sembra affidato esclusivamente a qualche studioso, alle associazioni di volontariato e alla Chiesa. Su di esso quasi si tace nello schieramento politico e, quel che qui interessa, si tace a sinistra dove dovrebbe esistere un più che naturale interesse per la comprensione e il possibile governo di tale fenomeno.

Si dirà forse che altre oggi sembrano essere le urgenze e le priorità. Si dirà che preme un bisogno di concretezza e che, a volte, il tema della globalizzazione è sfiorato, con toni retorici, solo per mettersi a posto con la coscienza o a premessa di discorsi politici i cui contenuti distano poi mille miglia dall’iniziale “cappello”. Si dirà, ancora, a proposito dei richiami e degli appelli del Papa, che potrebbe essere inopportuno renderli poi di parte, scegliendo fior da fiore.

Se queste fossero le motivazioni di un atteggiamento che raggiunge l’indifferenza e al quale sembrano venir meno spinte ideali, si tratterebbe di ragioni deboli anche sul piano della concretezza, che non colgono la portata dell’economia globalizzata. Possibile che delle condizioni di vita dei diseredati, del terzo mondo non si parli a sufficienza nei documenti, nelle impostazioni politico-programmatiche e che i laici non avvertano in questo campo, che è quello della dignità della persona, ovunque essa sia, il grave ritardo che si consuma rispetto alla posizione della Chiesa cattolica e delle altre Chiese?

Ma torniamo all’interrogativo iniziale: se la risposta fosse negativa, non significherebbe che la pregiudizialità del contrasto si colloca oltre la censura, perché tocca la figura del Pontefice a prescindere dal suo pensiero? Sarebbe un atteggiamento laico, o non piuttosto integralistico? E se la risposta fosse positiva, non vi sarebbe qualcosa che evoca, sia pure alla lontana, la condanna di Galileo, questa volta però di emanazione laica, perché significherebbe ritenere accoglibile solo una “lectio” che preventivamente dia assicurazioni sui contenuti? Non vi è un’insufficienza di progettualità dalla parte dei “laici”?

In effetti, questa importante iniziativa è stata preparata male dagli organi dell’Università, con oscillazioni sul ruolo che Benedetto XVI avrebbe dovuto svolgervi, tra lectio magistralis e un semplice intervento. Sono poi sopraggiunti “difensori” che forse peccano di eccesso di difesa. Molti hanno parlato senza aver letto le osservazioni, non certo di adesione, del Papa alla tesi di Feyerabend sul processo a Galileo. Ma la base di un luogo dei saperi - lo studium urbis - e della formazione delle classi dirigenti non è, non deve essere l’apertura alla più ampia dialettica? E non è costitutivo di una società plurale un diritto di tribuna delle diverse forme di pensiero esternabili nelle sedi pubbliche, avendo ben presente la differenza tra magistero religioso e compiti della ricerca scientifica? Si può tenere verso il Papa lo stesso atteggiamento che si praticò in una università nei confronti di un incallito “negazionista”? Lasciando stare Voltaire, tra le due fattispecie non vi è un abisso?

Sotto, sotto, per quanto limitata, ancorché autorevole, sia l’area delle espressioni del mondo scientifico che è contraria, si può osservare in questa vicenda - imponendosi di fare astrazione da connessioni che qualcuno dietrologicamente istituisce con le prossime elezioni per il rettorato o, addirittura, con il desiderio di influenzare il dibattito nel Partito Democratico - una inconsapevole rinuncia da parte degli oppositori a sostenere, con la forza del contraddittorio dialettico, il dibattito sui temi più complessi che il Papa affronta. Insomma, in luogo dell’accettazione delle complesse sfide, per rispondere magari con argomentazioni diverse od opposte, innanzitutto sulle materie eticamente sensibili e poi sui temi socio-economici, si preferisce una “damnatio” preventiva, in qualche caso con il contorno di una differenziazione tra papi, o addirittura si lanciano slogan, senza fondamento, del tipo “il Papa è contro l’Università”. Si corre, così, il rischio di far apparire l’ambiente nel quale si sviluppano l’insegnamento e la ricerca scientifica come timoroso di confrontarsi apertamente, di competere per diffondere le proprie visioni, di tornare a indagare, con spirito libero, il rapporto tra fede e scienza, tra religione e razionalità, tra saperi alti - filosofia, teologia, etc - e ricerca scientifica: un’indagine che non tollera né roghi né scomuniche di qualsiasi parte; e, per questa via, di riproporre nel nuovo secolo una questione cattolica o una questione Santa Sede ovvero, ancora, di agibilità nell’accademia di tutte le fedi, teiste e ateiste, di cui nessuno che abbia buonsenso vede la necessità. Forse così si ingigantiscono le conseguenze di un atto, quello degli oppositori della visita, che, alla fine, ha violato il diritto di parola in determinati luoghi di rilievo pubblico e nazionale. Si ricordi che, nel consenso unanime, un Papa (Giovanni Paolo II) è intervenuto nella sede della sovranità popolare - il Parlamento - affrontando argomenti delicatissimi, quali l’amnistia e l’indulto.

Si dirà che Benedetto XVI non aveva certamente bisogno di una sede, sia pure prestigiosa, come «La Sapienza» per far sentire la sua voce. Ma è proprio l’apposizione aprioristica di confini non motivati (quali che siano le sue parole) a far nascere un problema non irrilevante. A esprimere una grave, oscurantistica forma di intolleranza nei confronti della manifestazione del pensiero.

La risorsa universale della ragione avrebbe dovuto spingere perché, riflettendo ancora, le tensioni si raffreddassero e si giungesse a una soluzione nella quale a vincere fosse stata la capacità di dialogo anche con i più distanti, in nome, innanzitutto, del concetto di bene comune.

Che non è appannaggio di nessuna componente della società.

Sarebbe bello che i previsti interventi all’inaugurazione avessero a oggetto il tema «tolleranza, dialogo, libertà di pensiero».

Pubblicato il: 17.01.08
Modificato il: 17.01.08 alle ore 8.24   
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