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Autore Discussione: I piani segreti di Mario Draghi ed Enrico Letta per la Ue.  (Letto 4270 volte)
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« inserito:: Novembre 26, 2023, 11:30:28 am »

I piani segreti di Mario Draghi ed Enrico Letta per la Ue.
Con un occhio alla poltrona di presidente del Consiglio europeo

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A-ICR.opinionis.
e
Arlecchino Euristico
25 nov 2023, 17:37
a me

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https://www.milanofinanza.it/news/i-piani-segreti-di-mario-draghi-ed-enrico-letta-per-la-ue-con-un-occhio-alla-poltrona-di-presidente-del-202311242212408864

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« Risposta #1 inserito:: Giugno 18, 2024, 06:48:20 pm »

Lunedì, 17 giugno 2024

Autocritiche
Indovinello
«Non saremo mai un partito tradizionale, uno di quelli che costruisce apparati di potere e fa di tutto per continuare a gestirli», dice oggi al Fatto quotidiano il leader del partito che nella scorsa legislatura ha governato prima con la Lega, all’insegna dell’antieuropeismo (tanto da portare a una crisi costituzionale con la richiesta di impeachment del Capo dello stato), poi con il Partito democratico, all’insegna del superbonus (aprendo una voragine senza precedenti nei conti pubblici), infine sia con la Lega sia con il Pd (e pure con Forza Italia) all’insegna del rigore, dell’europeismo e dell’unità nazionale, con Mario Draghi presidente del Consiglio. In quella stessa conversazione l’intervistato ha riconosciuto l’errore di avere partecipato a uno solo dei suddetti governi: riuscite a indovinare quale?

Incarichi europei
Riconoscenza
Tra i possibili candidati per gli incarichi di vertice dell’Ue torna a circolare il nome di Enrico Letta come presidente del Consiglio europeo. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervistato dal Corriere della sera, ne parla oggi come di «un profilo sicuramente importante, anche perché viene dalla tradizione democristiana». Certo è che, scegliendo l’ex segretario del Pd, Giorgia Meloni dimostrerebbe una volta per tutte di avere mille difetti, ma non quello dell’ingratitudine.

Picchiatori e provocatori
Meloni ha gettato la maschera, senza doverla neanche indossare
Le parole con cui sabato, dalla conferenza stampa del G7, Giorgia Meloni ha commentato l’aggressione di un deputato dell’opposizione da parte di numerosi esponenti della maggioranza e del suo stesso partito, nel bel mezzo dell’aula, avrebbero meritato maggiore attenzione. Si tratta di quarantacinque secondi che vi invito ad ascoltare per intero (qui il video). Per chi se li fosse persi o avesse letto solo le sintesi dei giornali, cominciano così: «Io trovo molto grave che ci siano esponenti della maggioranza che cadono nelle provocazioni. Prevedo che le provocazioni aumenteranno. Penso che i cittadini italiani si debbano interrogare su quale sia l’amore che hanno per la loro nazione esponenti politici che cercano di provocare per ottenere un risultato come quello che hanno ottenuto dileggiando membri del governo, cercando di occupare i banchi del governo, proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su di noi». Come si vede, Meloni non solo non si sogna neanche lontanamente di scusarsi, e nemmeno di criticare i parlamentari che hanno fisicamente aggredito un rappresentante dell’opposizione, ma se la prende addirittura con gli avversari, cioè anzitutto con l’aggredito, per le loro «provocazioni». Certo, non ha domandato quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito e non ha aggiunto che assume lei sola la responsabilità politica, morale, storica, di tutto quanto è avvenuto – come fece uno dei primi manager da lei nominati alla guida di una società pubblica, citando Mussolini, in un’e-mail al cda che gli costò il posto – ma è comunque un modo molto efficace di celebrare i cento anni dall’omicidio Matteotti. Direi anche filologicamente impeccabile. Non meno grave è però il fatto che, per malafede o per colpevole sciatteria, fior di giornalisti continuino a definire «rissa» quella che è stata un’aggressione in dieci contro uno.

I fatti dimostrano quanto il parallelo tra postfascisti e postcomunisti sia fuorviante
Basta guardare il video per verificare come nel modo in cui il deputato Leonardo Donno si avvicina al ministro Roberto Calderoli stendendo un tricolore non vi sia nulla di minaccioso. Tra l’altro, Donno è immediatamente bloccato dai commessi. Gli esponenti di Lega e Fratelli d’Italia che lo aggrediscono non intervengono dunque per fermarlo – perché quando arrivano il deputato del Movimento 5 stelle è stato già fermato – ma per picchiarlo. Dover ripetere queste banalità è piuttosto penoso, ma il dibattito orwelliano attorno alla «rissa» e l’indifferenza dinanzi alle parole della presidente del Consiglio lo rendono obbligatorio. E costringono a fare i conti anche con alcuni errori di valutazione purtroppo molto diffusi. In pochi, infatti, sembrano avere capito che Fratelli d’Italia non è l’erede di Alleanza nazionale e della svolta di Fiuggi, ma del Movimento sociale. Sarei tentato di dire, facendo un parallelo con le vicende della sinistra, che non è l’equivalente del Pds, ma di Rifondazione. Sarebbe però un errore anche questo. Dai manifesti contro «l’usuraio» Soros di qualche anno fa ai francobolli celebrativi dedicati agli squadristi oggi, dai nostalgici nominati a frotte nelle società pubbliche fino ai legami mai recisi con ambienti, simboli e personaggi legati al terrorismo nero che rispuntano di continuo, tutto, ma proprio tutto, dimostra che il parallelo con l’evoluzione della sinistra post-comunista è completamente infondato e pericolosamente fuorviante. Al contrario, il paragone dimostra semmai, ex post, quanto fossero diversi i partiti di provenienza. E non solo perché, sin dalle origini, gli uni stavano con il regime e l’occupante nazista, gli altri con la resistenza e i liberatori. Ma anche per il rapporto ben diverso che ebbero con i rispettivi estremisti dalla Liberazione in poi, e specialmente negli anni settanta. La differenza delle radici è dimostrata dai frutti: anche nel momento della svolta a sinistra, o della deriva populista (peraltro cominciata già qualche tempo fa), il Partito democratico di Elly Schlein rimane, dal punto di vista dell’affidabilità costituzionale, un partito paragonabile in tutto e per tutto all’ala sinistra di qualunque partito democratico o socialdemocratico occidentale. Il partito di Meloni, al contrario, non è e non ha alcuna intenzione di diventare nulla di diverso dai suoi presenti e futuri alleati dell’estrema destra europea, a cominciare dai fautori della «democrazia illiberale» ungheresi e polacchi, che solo una stampa pronta a negare il significato stesso delle parole può accostare alla «destra liberale» di qualsiasi paese occidentale.
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Da – Linkiesta del 17 giugno 2024
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 12, 2024, 05:55:42 pm »

27-29 settembre, Rovereto
Alessandro Patella
Economia
09.09.2024

Draghi, quali sono le cose che deve fare l'Europa per diventare una potenza tech
L'ex premier italiano ha presentato alla Commissione europea rapporto sul futuro della competitività comunitaria, puntando forte sul tema dell'innovazione
L'ex premier italiano Mario Draghi
Dare spazio all’innovazione è la chiave del futuro dell’Unione europea. Parola dell’ex presidente del Consiglio e della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha presentato alla Commissione europea il tanto atteso rapporto sul futuro della competitività europea inserendo, come riporta Bloomberg, proprio lo sviluppo tecnologico tra i tre obiettivi fondamentali per l’Unione europea, insieme agli obiettivi climatici e al rafforzamento della difesa e della sicurezza delle materie prime essenziali.
La dipendenza tech
Nel suo rapporto Draghi ha in particolare sottolineato che l’Unione europea dipende dai paesi stranieri per più dell’80% dei prodotti digitali, dei servizi, delle infrastrutture e della proprietà intellettuale. Tale percentuale è acuita soprattutto dai chip, la cui industria è dominata da un numero bassissimo di grandi attori e vede il vecchio continente in grave ritardo (si pensi per esempio alla mancanza di fonderie produttrici di nodi di processo inferiori a 22 nanometri). Non sono da meno però anche le lacune europee in termini di intelligenza artificiale e cloud computing.
Per recuperare terreno, secondo l’ex premier l’Europa è chiamata a promuovere il coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati. La soluzione prospettata nel report è in questo senso un piano di priorità verticali per l’intelligenza artificiale utile ad accelerare lo sviluppo della tecnologia del momento nei settori ritenuti strategici, ovvero automotive, manifattura avanzata e robotica, energia, telecomunicazioni, agricoltura, aerospaziale, difesa, previsione ambientale, farmaceutica e sanità. Per le aziende coinvolte, l’Unione dovrebbe prevedere finanziamenti e agevolazioni.
Il tema dell'AI
Relativamente ai dati, Draghi suggerisce l’apertura, il coordinamento a livello comunitario e l’armonizzazione dei regimi nazionali di “AI Sandbox” per le società partecipanti al piano. Una tale sperimentazione garantirebbe valutazioni regolari rispetto ai regolamenti nazionali ed europei circa il percorso di addestramento dei modelli di intelligenza artificiale, che potrebbe passare da dati liberamente fruibili all’interno di determinati settori, ferma restando l’applicazione (resa più agevole) delle norme sulla concorrenza.
Robert Downey Jr e Christopher Nolan rispondono alle domande del web
Nell’ottica dello sviluppo del cloud e dell'intelligenza artificiale, il corrispondente senior per l’IA di MLex Luca Bertuzzi fa notare su LinkedIn come per Draghi, "sebbene le ambizioni del gdpr e dell'AI Act dell'Ue siano lodevoli, la loro complessità e il rischio di sovrapposizioni e incongruenze possano minare gli sviluppi nel campo dell'intelligenza artificiale da parte degli attori dell'industria comunitaria". Secondo l’ex premier, “con questa legislazione stiamo uccidendo le nostre aziende”, in particolare le piccole e medie imprese.

Il caso cloud
L’economista italiano utilizza l’esempio del cloud computing per spiegare come l’Europa, nonostante abbia probabilmente già perso la possibilità di capitalizzare su alcune ondate di innovazione digitale, debba organizzarsi per sfruttare le prossime. “Non esiste alcuna azienda Ue con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro - ha spiegato Draghi - che sia stata fondata da zero negli ultimi cinquanta anni, mentre negli Stati Uniti tutte e sei le aziende con una valutazione superiore a mille miliardi di euro sono state create in questo periodo”. Solo tre big tech statunitensi rappresentano più del 65% del mercato mondiale ed europeo del cloud, mentre il più grande operatore continentale si ferma al 2%. Un errore probabilmente irrimediabile, per l’ex premier, ma soprattutto un monito a non sbagliare più in futuro.
Un comparto nel quale l’Unione europea potrebbe provare a fare la differenza è quello aerospaziale. Draghi ritiene potenzialmente utile l’aggiornamento delle regole di governance e investimento, nonché un maggior coordinamento della spesa pubblica. In questo senso, la raccomandazione dell’economista è quella di rimuovere progressivamente il principio del ritorno geografico dell’Agenzia spaziale europea (Esa) in favore della competizione industriale e della scelta dei migliori fornitori e dei migliori progetti. Tale processo dovrebbe procedere di pari passo con l’istituzione di un mercato unico per lo spazio e di un Fondo industriale spaziale.
   
       
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