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Autore Discussione: Epifani boccia il modello contrattuale di Confindustria.  (Letto 5221 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2007, 07:00:54 pm »

ECONOMIA

SINDACATO / STRATEGIE E MALUMORI IN CORSO D'ITALIA

Dilemma Epifani

di Nunzia Penelope


Il leader Cgil vuole l'accordo con il governo sulle pensioni. Ma teme di essere scavalcato a sinistra dalla Fiom e dai Cobas 
C'è chi aspetta tutta la vita la grande occasione. Guglielmo Epifani ha atteso sei anni per avere la sua. Eletto capo della Cgil nel 2001, dopo Sergio Cofferati, si trova oggi per la prima volta alle prese con una importante trattativa, su un tema altamente simbolico come le pensioni, e per di più in un momento in cui la politica, e lo stesso governo, sono in gravi difficoltà. Un quadro simile a quello del 1993, quando sindacati e Confindustria, assieme al governo Ciampi, realizzarono il grande accordo sulla politica dei redditi che avrebbe segnato una svolta per il Paese. Oggi per il governo Prodi riuscire a risolvere la grana pensioni è questione di vita o di morte. Ma anche per la Cgil è una prova del fuoco: per cinque anni ha lavorato per mandare a casa Silvio Berlusconi, ora che ha di fronte l'interlocutore 'giusto' è obbligata a dare delle risposte. Per questo, subito dopo il primo incontro a Palazzo Chigi, venerdì 15 giugno, Epifani ha riunito la segreteria e ha parlato chiaro come non aveva mai fatto prima: l'accordo si deve fare, niente scherzi e poche chiacchiere. Una linea condivisa, sia pure con diversi livelli di entusiasmo, da tutto il gruppo dirigente.

Nessuno, infatti, ci tiene a passare alla storia come "quelli che fanno cadere il governo", spiega Agostino Megale, capo dell'Ires Cgil. Dice Marigia Maulucci, chief economist della confederazione: "Con Berlusconi abbiamo vissuto una totale mancanza di relazioni. Ora abbiamo l'occasione di negoziare qualcosa di serio. Non sarà un appuntamento storico come il '93, ma è qualcosa. E poi: il governo mette sul tavolo 2,5 miliardi di euro: li lasciamo cadere?". Anche un esponente della sinistra come Paolo Nerozzi non ha dubbi: "Il Paese ha bisogno di questo accordo, è la risposta all'attuale instabilità. Come sindacalista il mio obbligo è di trattare le migliori condizioni possibili. Ma se non c'è l'accordo, resta lo scalone di Maroni. E la nostra gente ce ne chiederebbe ragione".

Tra il dire e il fare, però, ci sono di mezzo almeno tre incognite che rendono insonni le notti di Epifani. La prima è lo stesso governo: il leader Cgil non si fa illusioni sul grado di coesione della maggioranza, teme, al momento della stretta finale, l'assenza di un interlocutore che sappia tener salda la barra del negoziato. Questo aprirebbe le porte al secondo incubo, il peggiore, quello che in Cgil chiamano 'la sindrome dello scavalco'', già vissuta ai tempi del primo governo Prodi del 1996 con le 35 ore e basata sul seguente scenario: il sindacato si accorda con il governo, poi arriva Rifondazione, o qualunque altra sinistra delle ormai tante (o perfino, teme qualcuno in Cgil, la Cisl di Raffaele Bonanni) e rilancia. "A quel punto, se il governo accettasse il rilancio, per la nostra credibilità sarebbe la fine", dicono in corso d'Italia.

A differenza di Prodi, in casa propria Epifani può contare su una solida maggioranza, la stessa che lo sostiene fin dall'inizio, con una forte componente di sinistra. Il segretario della Cgil è una sorta di Veltroni del sindacato: non rompe con nessuno, e soprattutto evita di schierarsi. Sul Partito democratico, per esempio, tutti i dirigenti hanno preso posizione, chi con Piero Fassino e chi con la Sinistra democratica di Fabio Mussi. Il solo a non pronunciarsi è stato Epifani. Un atteggiamento che avrebbe voluto essere super partes, ma che gli ha attirato diverse critiche: "indecisionismo", "aggiusta la bussola a seconda del vento che tira".

Alla luce delle traversie di Pd e Sd, stare alla finestra forse non è stato tanto sbagliato. Ma nelle trattative sindacali funziona diversamente, e prima o poi arriva il momento in cui anche il cauto Epifani dovrà prendere una decisione. E qui, avverte Maulucci, "potrebbero venire al pettine i nodi interni, mai risolti, che riguardano il rapporto fra la sinistra riformista e quella radicale". In Cgil 'sinistra radicale' significa essenzialmente Fiom. Fra Epifani e Gianni Rinaldini, leader dei metalmeccanici, c'è intesa: si stimano, si confrontano. Nella Fiom però c'è anche Giorgio Cremaschi. Lui e Rinaldini si conoscono da sempre: l'attuale segretario era un ragazzino quando suo fratello Tiziano e Cremaschi erano già gli allievi prediletti di Claudio Sabbatini, storico leader Fiom. Di qui, secondo alcuni, deriverebbe una sorta di sudditanza psicologica di Rinaldini nei confronti di colui che considera un altro fratello maggiore.

Politicamente Rinaldini e Cremaschi hanno disegni divergenti: il primo di area Ds, zona correntone, in eccellenti rapporti con Fausto Bertinotti, punta a spingere il più a sinistra possibile il governo, ma senza metterlo in serio pericolo. Cremaschi, invece, dopo aver tentato di catalizzare le correnti più radicali del Prc, è entrato in rotta di collisione con i vertici del partito, non è riuscito a farsi candidare alle politiche né a entrare nella segreteria della Cgil, ha creato una propria area sindacale, la 28 aprile, e ora guarda ai movimenti, ai Cobas e, ipotesi che ha ripreso quota recentemente, a un sindacato di estrema sinistra. Dove però dovrebbe fare i conti con l'agguerritissimo capo dei Cobas, Piero Bernocchi: "Uno al cui confronto Cremaschi è un socialdemocratico", dicono alla Fiom. Divisi in politica, sul piano sindacale Cremaschi e Rinaldini vanno invece perfettamente d'accordo. Per esempio, concordano sulla necessità degli scioperi per sostenere le ragioni dei lavoratori durante la trattativa, sapendo che proprio nel settore metalmeccanico c'è una delle più elevate sensibilità sul tema pensioni: qui c'è la gente che è andata a lavorare a 16 anni, che ha fatto i turni e la catena, e che ora non ci sta a farsi fregare altri anni di vita, nemmeno per salvare la pelle al governo Prodi. Un equilibrio, insomma, molto delicato. Reso più instabile dal fatto che, in occasione della manifestazione anti-Bush, Rinaldini si è trovato nella situazione di chi a Capodanno sbaglia festa e finisce in quella degli sfigati, con le lenticchie fredde e lo spumante caldo, mentre Cremaschi ha azzeccato quella giusta, dove ci si diverte. Il primo, infatti, era nel deserto di piazza del Popolo, il secondo nell'affollatissimo corteo con i movimenti.

Quanto peserà sulla trattativa e sulla Cgil la concorrenza spietata che si à aperta a sinistra? È possibile che Rinaldini sia costretto a inseguire la linea barricadera di Cremaschi, trascinandosi dietro una parte della confederazione? In corso Italia lo temono parecchio, anche se giurano di no: spiegano che Cremaschi, visibilissimo sui media, all'interno è un isolato e "in direttivo raduna al massimo tre o quattro voti". Ma in una trattativa così delicata non si può sottovalutare nulla: "Cremaschi conta poco, ma ha influenza su Rinaldini, che a sua volta influenza Epifani", dicono in Cgil. Così la paura dello 'scavalco', anche interno, resta forte. "Certo, la competizione a sinistra può causare fibrillazioni", ammette Megale, "ma spero che alla fine tutti punteremo a un accordo". Anche Epifani lo spera. Ma non è per nulla scontato che finisca a tarallucci e vino.

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Chi va con Fassino e chi con Mussi
 
Il Partito democratico ha spaccato in due la Cgil. A partire dal vertice fino a strutture territoriali e categorie. Nella segreteria di Epifani (che non si è schierato) hanno aderito al Pd: Achille Passoni, Marigia Maulucci, Mauro Guzzonato e Nicoletta Rocchi. Paolo Nerozzi, Carla Cantone, Paola Agnello Modica
e Morena Piccinini sono invece con la Sinistra democratica

di Mussi e Angius, così come i leader delle categorie principali: Carlo Podda (Pubblico Impiego), Betty Leone (Pensionati, ma la maggioranza della categoria è con il Pd), Enrico Panini (Scuola) Franco Chiriaco (Agroalimentare).

Sono con il Pd i tessili di Valeria Fedeli, i chimici, i bancari, gli edili, il Siulp, i trasporti, l'Ires Cgil di Agostino Megale.

Per quanto riguarda la Fiom, il leader Gianni Rinaldini

ha dichiarato contrarietà al Pd, ma non è passato con Mussi&Angius, a cui guardano invece Laura Spezia e Maurizio Landini, mentre Fausto Durante è con Fassino. Il presidente della Fondazione Di Vittorio, Carlo Ghezzi, snobba entrambi e lavora a una nuova 'rete trasversale'.

Nei Regionali e nelle grandi Camere del lavoro il puzzle è ancora più complesso. Sono con il Pd i segretari di Piemonte, Toscana, Umbria (ma Perugia e Terni sono con Mussi), Liguria (ma Genova è con Mussi), Sardegna, Sicilia, Campania. Con Mussi sono schierati Lazio, Abruzzo, Friuli, Puglia, Basilicata e Venezia. Indipendenti il Veneto, le Marche, e Palermo.

La Lombardia è in bilico, ma Milano è con Fassino e Brescia con la sinistra radicale. In Emilia Romagna, infine, il segretario Danilo Barbi sembra indirizzato verso Sd, dove sono già confluite Bologna, Ferrara, Reggio Emilia e Modena.
 
da espressonline.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 25, 2007, 05:50:06 pm »

Welfare, Bersani a Epifani: «Non si cambia»


«Caro Prodi così non va». Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, sta preparando una lettera che recapiterà al presidente del Consiglio, il cui testo, a quanto si apprende, sarà reso pubblico in serata.

Parole pesate e pensate ma, nella sostanza, il leader della Cgil porrà al presidente Prodi «tre questioni» sul protocollo che riforma il Welfare, chiedendo un intervento e un cambio di rotta.

«Per noi - spiega un dirigente della Cgil che ha avuto modo di confrontarsi sul testo - c'è prima di tutto un problema di metodo. Epifani dirà a Prodi che non si possono cambiare gli accordi presi. "Se sotto la pressione di Confindustria cambi idea, puoi farlo, insomma, ma te ne assumi la responsabilità, ce lo devi dire prima". Insomma, da parte di Prodi c'è stata una scorrettezza metodologica».

La seconda questione - più delicata - è di merito. Alla Cgil «non va bene tutto il capitolo sul mercato del lavoro e nemmeno l'azzeramento della sovra-contribuzione dello straordinario. Anche qui - spiega il dirigente della Cgil - rispetto alle percentuali previste si era deciso di scendere al 5 per cento. Poi nel testo finale abbiamo trovato l'azzeramento.... a noi non va bene».

A bloccare la concertazione potrebbe essere, infine, la questione «formale, ma sostanziale» di come vengono sottoscritti gli accordi dai soggetti coinvolti nel tavolo. «Ci risulta - spiega lo stesso dirigente della Cgil - che la Confindustria voglia firmare per parti separate. Bene, se si stabilisce questo, deve essere chiaro che anche la Cgil si riterrà libera di firmare per parti separate. Le regole devono valere per tutti».

«Con Epifani solo incomprensioni che supereremo», replica il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, al leader della Cgil, per il quale così «la concertazione è finita... da settembre il confronto sarà forte e serrato».

«Credo che non ci siano, però, né le intenzioni né le possibilità di correggere il protocollo sullo Stato sociale da parte del governo. In questo accordo ci sono tante cose buone e c'è qualcosa che non va agli occhi della Cgil. Spero che con più calma si guardi all'insieme dell'operazione».

Pubblicato il: 25.07.07
Modificato il: 25.07.07 alle ore 16.29   
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 25, 2007, 05:51:05 pm »

L'amarezza del leader sindacale dopo la chiusura delle trattative sul Welfare

Lettera al premier: c'è un problema di metodo.

"La concertazione è finita qui" Epifani rompe con il governo

"Da Prodi uno sgarbo alla Cgil"

Duro scontro nella Confederazione. "Firmeremo per senso di responsabilità"

di ROBERTO MANIA
 

ROMA - "È stato uno sgarbo alla Cgil che non possiamo far passare sotto silenzio", dice Guglielmo Epifani sfogliando tra le mani quel "Protocollo su previdenza, lavoro e competitività" che firmerà solo per senso di responsabilità e che sosterrà nella consultazione tra i lavoratori. Una scelta travagliata per la Cgil. Assunta a maggioranza (circa il 75 per cento) intorno alle quattro di notte, dopo una discussione tesa e asprissima nel Direttivo confederale, come non accadeva da molti anni. Perché su alcuni punti decisivi - e anche simbolici per la Cgil - il testo presentato dal governo non era quello concordato in precedenza. Due i vulnus: gli incentivi al lavoro straordinario e la fragilità dei vincoli ai contratti a termine.

Oggi il leader di Corso d'Italia lo scriverà al presidente del Consiglio, Romano Prodi. E la lettera che arriverà a Palazzo Chigi segnerà l'inizio di una nuova stagione tra la Cgil e il governo di centrosinistra. Da settembre - dice Epifani - "il confronto sarà assolutamente forte e serrato". Conflittuale, insomma. Anche se è un aggettivo che si guarda bene dal pronunciare. L'appoggio della Cgil, comunque, non sarà mai scontato. Anzi. Epifani cita Luciano Lama per dire che ciascuno ora andrà per la sua strada: "I governi passano, le maggioranze cambiano, la Cgil resta".

Le distanze tra Epifani e Prodi sono diventate profonde, strategiche, non solo per ragioni di ruoli. Le misura anche il giudizio sul Protocollo: per il premier un risultato della concertazione tanto che ha voluto presentarlo lo stesso giorno (il 23 luglio) del "protocollo Ciampi" del '93 sulla politica dei redditi; per il leader sindacale è invece "la dimostrazione che la concertazione, come l'abbiamo conosciuta, non c'è più". È finita esattamente dopo quattordici anni. "Allora - spiega Epifani - servì a ricreare coesione nel Paese, mentre si susseguivano i governi tecnici, e i vecchi partiti si ritiravano sotto la spinta anche dell'emergenza finanziaria. Oggi possiamo dire lo stesso? Oggi abbiamo un Paese molto più diviso, anche sul piano istituzionale. E poi quest'accordo è un patchwork , nel quale ogni pezzo risponde ad un gruppo di interessi. Questo è il limite del Protocollo: una somma di interessi parziali più che un interesse generale. È assente un'idea condivisa del Paese da parte di tutti gli attori sociali".

Certo, i risultati ci sono. Ed è anche per questo che Epifani firmerà: ci sono le misure per i giovani, c'è un assaggio di riforma degli ammortizzatori sociali, c'è il rafforzamento della contrattazione aziendale legata alla produttività, c'è l'aumento delle pensioni e c'è anche una via alternativa allo scalone per l'aumento dell'età pensionabile. Ma c'è un capitolo sul mercato del lavoro che Epifani è tentato di non firmare. "Perché per noi, per la nostra cultura, per un sindacato dei diritti, è molto più delicato il mercato del lavoro rispetto al nodo dello scalone. Sono in gioco diritti e tutele. Non è un problema di costi".

Nelle vicende sindacali contano anche i simboli. E i contratti a termine, per la Cgil, lo erano diventati. Da lì, nel 2001, cominciarono gli accordi separati fino al "Patto per l'Italia". Da lì, Epifani, avrebbe voluto far iniziare la risalita della Cgil. Invece no. Invece "all'ultimo momento" le proposte del governo sono cambiate. "Il governo ha sentito la Confindustria. Tutto legittimo, ma doveva aprire un confronto diretto, trasparente. Questo è stato uno sgarbo nei confronti della Cgil. Così l'ho avvertito io come segretario generale, così l'ha avvertito il Direttivo. Per i contratti a termine non ci sono le causali che li giustificano, né è chiara la base su cui definire i tetti sul totale degli addetti. Dopo 36 mesi si possono ancora reiterare a condizione che si rinnovino davanti alla Direzione provinciale del lavoro con il dipendente assistito da un sindacalista qualsiasi, anche di un "sindacato giallo"!
Ma i contratti a termine sono il vero crocevia della precarietà. Passa tutto da lì. E poi lo staff leasing: la Confindustria ha chiesto di mantenerlo...". Ce l'ha con il ministro Damiano, ex Cgil? "Non credo che Damiano abbia responsabilità. È Palazzo Chigi che ha fatto questa scelta", risponde Epifani.

Non si può dire che la Cgil sia passata all'opposizione. Il lessico sindacale non contempla questa ipotesi perché c'è l'autonomia dalla politica. Però - dice Epifani - "c'è anche una situazione sociale delicata". "La protesta contro gli scalini non è amplissima, riguarda solo una parte dei lavoratori del nord, ma può legarsi a quella contro la precarietà con l'effetto di aumentare il distacco e la sfiducia verso la politica".

(25 luglio 2007)
 
da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 06, 2007, 12:10:52 pm »

Minaccia di sciopero «Siamo contro l’assenteismo e per il controllo dell’orario.

Disponibili a cambiare l’organizzazione del lavoro»

«Niente spallata a Prodi, la Cgil vuole stabilità»

Epifani: il nostro giudizio non è come quello di Bertinotti, ma chiediamo riforme e contratti


ROMA — Il sindacato minaccia lo sciopero generale «non per far cadere il governo, ma per risolvere i problemi dei lavoratori e dei pensionati». È netto il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, nel togliere valenza politica alla decisione di Cgil, Cisl e Uil di fermare i lavoratori alla fine di gennaio. «Questo avverrà—precisa Epifani— se nel frattempo non ci saranno stati segnali sul rinnovo dei contratti, che riguarda ben 7 milioni di lavoratori, sui prezzi, che vanno tenuti sotto controllo, e sul fisco in busta paga, che va alleggerito». Nessuna confusione quindi, ammonisce il segretario della Cgil, tra le mosse di Rifondazione e del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, che Epifani non condivide, e l’iniziativa di Cgil, Cisl e Uil, che «con la discussione politica in atto non c’entra nulla».

Sarà, ma a gennaio, se il sindacato farà lo sciopero generale e Rifondazione comunista imporrà la verifica politica, il governo Prodi rischierà di cadere. La Cgil vuole questo, dare la spallata?
«Non vogliamo dare una spallata a nessuno. E non c’è alcuna relazione tra la nostra decisione e le dinamiche della politica. Per quanto riguarda la Cgil, c’è una richiesta esplicita di continuità e di stabilità nell’azione di governo, ma anche di una sua rinnovata capacità riformatrice sui temi alti, dalle riforme istituzionali a quella elettorale, e sui temi pratici: prezzi, fisco, salari e contratti».

Questa posizione sembra in contraddizione con l’arma estrema dello sciopero generale, che presuppone un grado di insoddisfazione massima.
«No, lo sciopero generale si fa quando ci sono motivi sufficienti per protestare, ma l’obiettivo è sempre la soluzione delle questioni, che si ottiene in un quadro riformatore e di stabilità».

È questo quadro ve lo garantisce Prodi?
«Io penso che ci siano le condizioni. Ma ovviamente, non dipende da noi, bensì dalla maggioranza».

Sta dicendo che il problema non è Prodi, ma la sinistra estrema, a cominciare da Rifondazione?
«I problemi vengono dalle difficoltà interne alla coalizione, come si è visto anche sul disegno di legge sul welfare».

Su questo, a un certo punto, è circolata l’ipotesi che Rifondazione uscisse dal governo per passare all’appoggio esterno. Sarebbe meglio?
«Questi non sono problemi che ci riguardano. Decideranno i partiti e molto dipenderà da come si concluderà la vicenda del welfare. Per noi conta che si arrivi a un governo più solido e capace di affrontare i problemi concreti. Le modalità e le forme per superare la confusione e la conflittualità che ora dominano la coalizione spetta alle forze politiche trovarle».

Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, sembra aver liquidato Prodi, dicendo che «questo centrosinistra ha fallito».
«Mi sembra un po’ presto per dire questo, anche perché la Cgil non dà un giudizio così negativo del governo Prodi, come fa Bertinotti».

Che ha parlato da presidente della Camera o da capo di Rifondazione?
«Non lo so. Bertinotti è persona molto avveduta. La sua non è stata un’uscita estemporanea, ma credo che i presidenti di Camera e Senato dovrebbero avere un maggior distacco dalle vicende dei partiti».

Si prepara uno scenario come quello del ’98, quando Bertinotti fece cadere Prodi per scavalcare la Cgil?
«No. Noi non abbiamo alcuna preoccupazione di essere scavalcati. La Cgil prende le proprie decisioni in un forte rapporto con Cisl e Uil e non in base a quello che fanno Rifondazione o altre forze politiche».

Torniamo allo sciopero generale. Se Prodi apre un tavolo con voi, non lo fate?
«Noi vogliamo risolvere i problemi. Col governo si tratta di arrivare a rinnovare i contratti della sanità e degli enti locali ancora per il biennio passato e di trovare una soluzione per tutti i contratti pubblici per il prossimo biennio. Inoltre va affrontata l’emergenza inflazione. Il potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati è messo a dura prova».

Ma che può fare il governo?
«Sterilizzare le accise sui carburanti, andare avanti con le liberalizzazioni, varare misure a favore di chi paga l’affitto, aumentare la detrazione fiscale sul lavoro dipendente in modo da far salire il salario netto. Lo sciopero generale però dipende anche dalle risposte che arriveranno dalle imprese private. Bisogna rinnovare almeno il contratto dei metalmeccanici e quello del commercio».

Lei fa il suo mestiere e chiede il rinnovo dei contratti. Ma, prendiamo il pubblico impiego, perché il sindacato in cambio non si impegna davvero contro l’assenteismo e per il funzionamento dei meccanismi automatici di rilevamento della presenza?
«Noi siamo contro l’assenteismo e per il controllo effettivo dell’orario di lavoro. Ma non scambiamo la causa con l’effetto. Anche questi problemi, quando ci sono, si risolvono cambiando l’organizzazione del lavoro. Il sindacato è disponibile».

Enrico Marro
06 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 29, 2008, 06:30:30 pm »

Epifani: crisi pericolosa ma la politica la sottovaluta

Felicia Masocco


No agli allarmismi, ma per Guglielmo Epifani «neanche si può far finta di non vedere i segnali di crisi che arrivano dagli Stati Uniti». Lo scenario è preoccupante, ma «i programmi delle forze politiche lo stanno sottovalutando».

Negli Stati Uniti tira aria di recessione. L’Italia corre rischi?
«Sì, ci sono, anche se si cerca di tenere bassa la preoccupazione. Io credo invece che bisogna guardare la realtà che non dà segni incoraggianti».

È la campagna elettorale che la tiene bassa?
«Non solo. Mi riferisco a parte degli analisti, anche se operatori più attenti si rendono conto che la vera e propria crisi economica degli Stati Uniti, con il rialzo del valore dell’euro e dei prezzi delle materie prime, è destinata a incidere più di quanto non si dica nella situazione italiana ed europea. I programmi delle forze politiche secondo me sottovalutano questo scenario».

Sono inadeguati ad affrontare la crisi?
«Non hanno ancora incorporato la possibile dimensione dei suoi effetti. Aggiungo, anzi lo ribadisco, che la crisi politica, la fine legislatura è sciagurata. Nata per cause meschine finisce per lasciare il Paese senza governo per tre, quattro mesi mentre si dovevano completare processi legislativi, fare politiche di redistribuzione, aprire tavoli su prezzi e tariffe. I segnali di forte rallentamento dell’economia, avrebbero richiesto un governo nel pieno delle sue funzioni».

Invece andiamo al voto.
«Bisognerà aspettare il nuovo governo in una fase che avrebbe imposto di agire subito».

Per esempio redistribuendo subito il tesoretto?
«Sì, il surplus che la trimestrale con tutta probabilità confermerà, rivolto adesso ai redditi più bassi avrebbe in parte alleviato il calo dei consumi, sostenuto un po’ la domanda. Dopo non avrà gli stessi effetti. E forse verrà messo in discussione da scelte fiscali di segno diverso».

Maggioranza e opposizione non si sono messe d’accordo per intervenire sui salari. Un’occasione persa?
«Esatto. E sbaglia il centrodestra a far cadere la possibilità, chiesta dal sindacato di utilizzare queste risorse subito, perché a maggio, quando si formerà il nuovo governo la prospettiva può essere più pesante di quella che il centrodestra immagina».

Sull’extragettito Veltroni e Berlusconi dovrebbero accordarsi?
«È quello che dovevano fare maggioranza e opposizione. Ma in Parlamento la convergenza del centrodestra sulle proposte della maggioranza non c’è stata».

Qualche proposta elettorale potrebbe trasformarsi in una promessa impossibile da mantenere?
«Mettiamola così: una manovra come quella contenuta nel programma di centrodestra di abolizione dell’Ici che oggi già interessa il 40% dei proprietari di casa, interviene sui redditi medio-alti, mentre la congiuntura e la domanda impongono di sostenere i redditi medio-bassi, da lavoro e da pensione. E se rallenta l’economia anche i margini per una manovra restitutiva saranno più ristretti: si dovrà scegliere “o questo o quello”, non “questo e quello” come mi pare il programma del centrodestra proponga».

La solita propaganda?
«Ho citato il centrodestra perché il suo programma su questo fa una scelta che poteva essere compatibile con margini di finanza più larghi, meno con quelli che paiono profilarsi. Ma in ogni caso è evidente che gli effetti di questa crisi devono essere ancora metabolizzati dal complesso delle forze politiche. E, ovviamente anche dal sindacato. Vedo una campagna elettorale molto simile a quella di due anni fa, ma lo scenario è cambiato. Senza esagerare con il pessimismo, ma un’analisi seria va fatta».

Ci sono i salari e ci sono i prezzi: si calcola una nuova stangata di mille euro per famiglia. Cosa si può fare?
«Poco sulla parte che deriva dalla componente internazionale, dall’aumento del prezzo del petrolio. Anche se mi sembra sia più di tipo speculativo, un gioco sui derivati che si fanno sul valore del petrolio atteso, e che poi generano la spinta al rialzo. C’è poi la componente interna speculativa, legata alle reti di distribuzione, alle mancate liberalizzazioni, ai mancati controlli. E anche qui ci vorrebbe un governo. Il rischio è di avere meno reddito e prezzi più alti».

Alla luce di questo, come valuta le scelte della Bce che a differenza della Federal Reserve pensa più a tenere bassi i salari che a tagliare i tassi?
«La Bce in realtà oscilla tra due posizioni: una dice sosteniamo la crescita, l’altra stiamo attenti ai prezzi, quindi ai salari. Se penso all’esperienza italiana è una posizione del tutto incomprensibile perché il rialzo dei prezzi da noi non ha nulla a che fare con la dinamica dei salari...

...Anche perché qui non è come in Germania dove i metalmeccanici strappano aumenti del 5,6%.
«Da noi non c’è alcuna componente salariale nell’andamento dell’inflazione. Anzi. Chi paga l’inflazione sono i salariati e i pensionati. Mentre ogni aumento del tasso di interesse, per l’esposizione del nostro debito, toglie risorse agli investimenti, o ai consumi o alla redistribuzione del reddito. Complessivamente esce fuori una previsione di medio periodo che può essere preoccupante. Non va generato allarmismo, ma neanche si può far finta di non vedere i segni di peggioramento».

I partiti dovrebbero dire che si va verso un periodo di vacche magre? Per Montezemolo si dovrebbe parlale di emergenza. Va fatto?
«Montezemolo avverte il peso delle aziende che esportano, più esposte alla crisi. Io credo sia necessario, da parte di tutti, un bagno di realismo. Questa crisi peserà di più su alcune aree, penso al Sud, e per affrontarla ci vorrebbe un governo con una propria idea su come rilanciare lo sviluppo, e che si ponga come primo obiettivo la ripresa della crescita. Certo non si potrà chiedere al salario e alle pensioni di fare una parte di sacrifici: sono già stati fatti».

Come può rispondere il Paese?
«Una parte è scosso nella fiducia, sconta condizioni di vita pesanti, un’altra guarda con volontà all’uscita da questa situazione. Bisogna guardare con lo spirito di chi vuole superare i problemi. Tocca alle forze politiche, al nuovo governo indicare le strade. E le parti sociali dovranno fare le loro proposte: temo però che questa situazione possa rendere più difficile il dialogo tra sindacati e imprese. Perché le imprese continueranno a insistere ancora di più sulla produttività. E il sindacato, che pure non si sottrae a questo ragionamento, non può non avere attenzione alla crescita generale dei salari. Ci saranno margini più stretti se il governo non usa la leva fiscale per sostenere la domanda di consumi e di investimenti. In questo nuovo contesto è sbagliata la scelta di alleggerire il fisco sui patrimoni. Tutte le risorse disponibili devono sostenere quelli che un tempo si sarebbero chiamati i “produttori”, che assicurano lo sviluppo del Paese. E poi, per sostenere la domanda va fatto ordine nei sistemi a rete: i trasporti, la logistica, il sistema formativo, quello sanitario, le costruzioni, le infrastrutture che in una fase di rallentamento possono essere anticiclici. Questo presuppone un progetto per una fase che rischia di essere molto diversa da quella che ci si aspettava».


Pubblicato il: 29.02.08
Modificato il: 29.02.08 alle ore 13.07   
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 28, 2008, 04:53:30 pm »

Successo in tutta Italia della manifestazione voluta "solo" dalla Cgil per "cambiare le politiche economiche che penalizzano redditi e servizi pubblici"

Cgil, migliaia in piazza in 150 città

"Governo sveglia, l'Italia aspetta"

Epifani boccia il modello contrattuale di Confindustria.

Un peccato l'assenza di Cisl e Uil

Bonanni (Cisl):"Nessuno ha il copyright della piattaforma unitaria"



ROMA - Ancora stropicciato per la lunga notte al tavolo Alitalia, alleggerito per la firma conquistata dei piloti, Guglielmo Epifani arriva in piazza Farnese poco dopo le undici di mattina. Ancora non lo può sapere, anche se i sintomi ci sono già tutti. Ma dopo aver "vinto" - anche se è politicamente corretto non dirlo - sul dossier Alitalia, sta per vivere un'altra giornata di grande popolarità. La Cgil, come già per Alitalia, ha rotto il patto di unità con gli altri sindacati confederali e ha organizzato per oggi la manifestazione "Diritti in piazza" organizzata dal sindacato per chiedere al governo "di cambiare politiche economiche che penalizzano i redditi e i servizi pubblici". Le piazze di 150 città italiane oggi si sono colorate con le bandiere rosse del sindacato e hanno mobilitato decine di migliaia di persone in tutta Italia. Tra i diritti in piazza ci sono quelli della scuola, del caro vita, e dei lavoratori i cui contratti sono al centro di una trattativa, in ballo c'è la natura stessa del sindacato, durissima con Confindustria e governo.

Questa manifestazione "non è contro" qualcuno, "tantomeno contro Cisl e Uil che avremmo voluto al nostro fianco" è stato l'esordio di Epifani arrivando in piazza Farnese. "Noi siamo qua e in altre 150 città italiane per ripartire dal basso e dare una sveglia al governo - ha aggiunto - bisogna affrontare i problemi di chi perde il posto di lavoro, dei lavoratori dipendenti, che pagano sempre più tasse, dei pensionati a cui nessuno pensa". Chi è in piazza oggi lo fa "per dare voce a chi vuole il cambiamento". Non è "contro" ma è "per".

Manifestazioni in 150 città. Le piazze si sono riempite da Roma (15mila) a Milano passando per Palermo (20 mila in piazza, trentamila in tutta l'isola) e Bari (diecimila in Puglia), nelle nove province toscane (ventimila) e in 24 centri calabresi. Una nota della Cgil parla di 50 mila in piazza nella sola Emilia Romagna con 20 mila persone a Bologna mentre per le vie di Napoli hanno sfilato 30 mila persone. Solo in serata sarà possibile un bilancio finale.

Scuola, contratti, politiche economiche: le sfide della Cgil. Quella di oggi è stata la prova generale del "No Gelmini day", la grande manifestazione nazionale contro il decreto del ministro Gelmini prevista per il giovedì 2 ottobre. Quel giorno saranno in piazza tutti i sindacati? E' l'unità sindacale delle sigle confederali la vera battaglia che si sta combattendo in queste settimane.

Contratti, "no al modello Confindustria". Sul nodo riforma del sistema contrattuale Epifani non ha dubbi: la proposta di Confindustria "non va bene" perchè "i lavoratori perderebbero di più di quello che guadagnano oggi". La proposta degli industriali per l'adeguamento dell'inflazione comporterebbe un taglio dello 0,5% all'anno di salario reale. "Ciò equivale all'8% in 15 anni". Noi, ha aggiunto Epifani, "siamo d'accordo su tutto, sulla produttività e sull'estensione del secondo livello, purchè il risultato finale sia un segno positivo per tutti e non solo per qualcuno". L'intesa sui contratti è, per Epifani, "l'accordo più difficile": "Per noi il documento di Confindustria non va bene: è pieno di sanzioni e divieti". La scadenza "ultima" del 30 settembre, poi, non esiste: "Finora gli ultimatum si sono rivelati inefficaci". Alitalia insegna.

Non solo. Per Epifani, quello presentato da Confindustria è un documento "un po' sovietico", anche a livello di libertà di contrattazione: "Se tu fai una lotta in più, finisci in tribunale", esemplifica il segretario che dice di aver sempre "immaginato che contrattare vuol dire essere liberi di poterlo fare".

Occupazione. "Governo svegliati che il paese sta
perdendo colpi e l'occupazione sta andando indietro" ha detto Epifani. "Sono dati Confindustria, e non nostri, quelli che dicono che la manovra varata dal governo abbassa di un terzo la crescita economica del paese".Con questa inflazione e a parità di salario, è il ragionamento del segretario della Cgil, "un lavoratore dipendente paga 300 euro in più di imposte, di Irpef. Altro che abbassare le tasse. Qui i lavoratori e i pensionati senza guadagnare di più pagano più tasse dell'anno scorso".

E gli altri confederali? Per la Cgil i numeri dicono successo. E lo dicono anche le reazioni un po' stizzite degli altri segretari. Raffaele Bonanni (Cisl) alimenta la tensione che già ha fatto scintille al tavolo Alitalia: "Spero - dice - che la Cgil lavori con noi per la riforma del modello contrattuale; noi vogliamo lavorare per l'unità, ma non vogliamo l'immobilità. Sarebbe un errore se la Cgil andasse per i fatti propri". Il modello secondo Bonanni è "sintesi sindacale" e "cointeresse" con Confindustria. Poi un avvertimento a Epifani: "Nessuno ha il copyright della piattaforma unitaria''. Non esattamente quelli che si chiamano rapporti cordiali.

Per salvare se stessa da possibili scissioni a sinistra (Fiom), la Cgil deve virare a sinistra, evitare tutto ciò che potrebbe rinviare ad accordi ed inciuci e mettere in forse l'unità sindacale. Di sicuro oggi è cominciato quell'autunno caldo a cui Veltroni aveva dato appuntamento a giugno. Per tutto il mese, ogni fine settimana, ci saranno manifestazioni, sit, da quella di Di Pietro (11 ottobre) a cui partecipa anche la sinistra radicale, al 25 ottobre, il giorno in cui il Pd chiama la piazza per "salvare l'Italia". E tentare di salvare se stesso.

(27 settembre 2008)

da repubblica.it
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