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Lorenzo Bagnoli, cuore in Africa e testa in Sammontana con due obiettivi: "Economia civile e sostenibilità ambientale" 27 dicembre 2022 15:16
GoBlog Marco Mainardi - Lorenzo Bagnoli
Bagnoli, un cognome che a Empoli non ha bisogno di troppe presentazioni e che viene subito associato al nome Sammontana.
Nella nuova generazione che guida la storica azienda di gelati c’è anche Lorenzo, figlio di Marco e nipote di Renzo. La sua storia personale è tutta da raccontare e coniuga i valori trasmessi dalla famiglia con importanti esperienze vissute lontano da casa. Una persona non banale con la quale i temi da toccare sono tanti. Il nastro si riavvolge fino all’università.
Da dove prende il via il percorso di Lorenzo Bagnoli?
Da Milano, alla Bocconi dove ho fatto studi di economia anche se sono un bocconiano un po’ pentito.
Perché?
Per l’approccio che ha quella università che, come struttura e modo di pensare, è molto utilitaristico, non in linea con i miei valori. Sono due modi diversi di vedere la vita, anche se aver studiato lì mi ha sicuramente dato una base importante di conoscenze. E poi, alla fine, c’è stato un passaggio molto importante per me. Quale? Per i corsi di fine anno scelsi storia del pensiero economico e mi ritrovai davanti al professor Stefano Zamagni che è un grandissimo teorico del pensiero economico e dell’economia civile. Rimasi folgorato e metà corso lo feci poi con Luigino Bruni. Devo a loro un modo di pensare alternativo al mainstream bocconiano, un modo diverso di vedere l’economia. Poi mi laureai con una tesi sull’economia civile e, siccome l’idea era che dovessi entrare in azienda, andai a fare un master in management a Londra.
Le prime esperienze lavorative dove?
In Barilla dove ebbi un incontro importante con Luca Virginio che all’epoca era direttore della comunicazione. Si portava avanti temi tipici dell’economia civile con pensatori di primo livello. Fu un periodo molto stimolante e lui mi disse che sarebbe stato importante fare esperienze in paesi in via di sviluppo.
Lo prendesti in parola?
Sì, andai in Uganda a fare volontariato in una ong inglese dove lavorai con i bambini. Un’esperienza che mi ha toccato anche se durata pochi mesi. Mio padre mi chiamò per farmi tornare e, attorno al 2011, rientrai in Italia, in una multinazionale che aveva molti marchi. Iniziò in modo divertente. La persona che mi chiamò per dirmi che ero stato preso rideva. Poi capii perché, visto che ero stato destinato alla Durex, l’azienda di profilattici. Lavorai a Milano e Roma per un lungo periodo, una bella esperienza fino a che non entrai in azienda nel 2014.
Con quale ruolo?
Come tutti in famiglia sono partito dal basso. A 16 anni andavo sì al mare in estate, ma anche in fabbrica a lavorare come abbiamo fatto un po‘ tutti e credo questa sia una cosa importante. Noi come famiglia siamo molto umili, legati all’azienda e quindi iniziamo così. Ho lavorato nel gelato ed alla pasticceria alla sala impasti. Poi anche in amministrazione, per me il periodo più brutto in assoluto perché troppo noioso. Quando sono rientrato ero nel commerciale con un periodo in Friuli e poi, conoscendo le lingue, mi occupai dell’estero. In questa fase ci fu un passaggio importante.
Aziendale?
Sì, ci fu il cambio di governance dell’azienda. La Sammontana nasce con mio bisnonno Romeo che, in tempo di guerra, prendeva il latte delle mucche che erano state fatte arrivare dalle Marche e lo portava nella latteria Sammontana in centro a Empoli. Poi, alla fine della guerra, mio nonno Renzo col fratello Sergio comprarono a Genova dagli americani la macchina del gelato. Mio zio Loriano al tempo era piccolo perché fra lui e mio nonno c’erano venti anni di differenza, mio nonno per lui è stato quasi un padre. Proseguì così la nostra storia imprenditoriale con la vendita del gelato.
Negli anni ’60 ci fu il momento del passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, una cosa simboleggiata anche dal fatto che, quando comprarono la terra per fare lo stabilimento, il capannone si allargava sempre di più ma al centro c’era sempre l’orto di Romeo, rimasto lì fino agli anni ’80.
Che ricordo hai di nonno Renzo?
Quando è morto avevo sedici anni e quindi lo ricordo bene. Era un uomo di poche parole ma, da quanto mi dicevano qua, bastavano per far capire dove andare. A livello lavorativo me lo hanno descritto come una persona che aveva una visione e che era molto pragmatica. Questo pragmatismo lo ha ereditato anche mio zio Loriano, il fare le cose su misura per l’azienda e sempre con i piedi ben piantati per terra.
E come nonno?
Divertente, mi portava allo stadio e mi ha trasmesso lui la passione per l’Empoli. Sicuramente un bel ricordo, anche se, pure con i nipoti, non era di molte parole.
Della vena artistica di tuo padre Marco hai preso qualcosa?
Considero questo aspetto una fortuna. Frequentare in famiglia un ambiente culturale di spessore è una rarità e quindi ho potuto vivere un’eccellenza sia in ambito artistico-culturale che industriale.
Quanto pesa il nome Bagnoli?
Molto, ma non bisogna pensarci ed andare avanti con pragmatismo. E poi portare avanti ognuno la propria identità ed il proprio pensiero. La mia famiglia mi ha insegnato la cultura del lavoro, l’impegno, l’andare avanti nonostante le difficoltà, il condurre una vita normale senza eccessi. Zamagni e Bruni mi hanno completato il sistema valoriale, una cosa fondamentale per cercare di lasciare un impatto positivo nella società, per prendere consapevolezza dell’eredità che uno porta e condividerla per il bene comune.
Di recente hai ritrovato ancora Zamagni
Sì, a questo convegno in Confindustria dove lui ha detto di non confondere la felicità con l’utilità, capire che i soldi sono il mezzo che deve essere utilizzato bene per raggiungere la felicità.
Quindi Sammontana si inserisce alla perfezione dentro al distretto di economia civile.
Sì, specie da quando c’è stato questo cambio di governance con le nuove generazioni che hanno mantenuto la continuità dando allo stesso tempo questa nuova impronta. Mio cugino Leonardo che è amministratore delegato, mia sorella e anche io ci siamo impegnati molto sulla sostenibilità e stiamo facendo percorsi importanti. Già nel 2016 abbiamo siglato un accordo volontario col ministro dell’ambiente in cui ci impegnavamo nella riduzione dell’impronta dell’azienda e, da allora, abbiamo fatto passi importanti. Il sogno è arrivare quanto più vicino all’impatto zero.
Tipo?
Abbiamo tracciato l’impronta di carbonio e di acqua, tutti i prodotti che lanciamo puntano a ridurre questo impatto. Sull’ambiente stiamo facendo tantissimo e poi c’è la parte sociale che è arrivata dopo ma sulla quale lavoriamo con lo stesso impegno.
Le altre aziende rispondono?
Sì, il gruppo Sesa è sotto gli occhi di tutti e poi ci sono anche tutte le altre. Cerchiamo di coinvolgerne più possibile così da fare in futuro dell’Empolese Valdelsa un’eccellenza dell’economia civile. Col convegno che abbiamo fatto la risposta è stata buona, si lavora tutti in questa direzione. Speriamo di poter far nascere qualcosa di coordinato e strutturato.
Oltre che eticamente, per una Sammontana tutto questo che risvolto può avere anche aziendalmente?
Importante. Prima di tutto perché il mercato premierà sempre più aziende così piuttosto che chi ricopre di plastica il mondo e poi noi siamo in competizione con multinazionali rispetto alle quali possiamo avere una maggiore agilità e velocità per portare avanti questi processi. Il futuro è di chi investe in innovazione e lavora per il bene comune e nel territorio c’è sensibilità grazie a valori che derivano da una parte dalla Chiesa e dall’altra dal Partito Comunista.
C’è un valore che si trasmette fra le generazioni della famiglia Bagnoli?
Più di uno. Quello che sento più mio è l’impegno nel fare le cose, la cultura del lavoro. Facciamo un paragone sportivo con Coppi e Bartali. Il primo aveva talento, saliva in bici e volava, l’altro arrivava invece con impegno, fatica, semplicità e cultura del lavoro. Noi siamo alla Bartali, mio zio Loriano ogni mattina era il primo ad arrivare in azienda.
Per ora i fatti dicono che avete superato bene anche questo nuovo passaggio generazionale cui accennavi prima.
Speriamo, forse il motivo va proprio ricercato nei valori forti che abbiamo in famiglia: la misura, il fare il passo giusto, la qualità del prodotto, il non mettersi in tasca i profitti ma reinvestirli per poter stare sul mercato. Come faremmo altrimenti a competere con multinazionali come facciamo noi? Come potrebbe la piccola Empoli essere ora è al numero due di quote di mercato? Solo grazie a questi valori.
Torniamo a parlare di te e dell’Africa
Ci sono tornato nel 2019 e fino al 2021 per lavorare in una ong in sud Sudan ed Uganda. È stata un’esperienza fondamentale per la mia vita.
Perché?
Mi ha dato il senso dell’atto pratico di quanto diceva Zamagni, la necessità in futuro di non parlare più di settore privato e no profit perché, inevitabilmente, andranno ad intersecarsi fra di loro con l’obiettivo del bene comune.
Il posto non era dei più facili
Sì, dopo l’Uganda mi proposero il Sud Sudan, il paese più povero al mondo dilaniato dalla guerra. È stato un anno molto difficile per il covid, la malaria e le condizioni del posto. Vivevamo in un compound, non potevamo uscire per la guerra civile e le lotte tribali ed alla fine ero molto esaurito. Ho deciso di tornare a casa per la famiglia, per dare il mio contributo all’azienda e quindi anche al mio territorio e per mettere in pratica qui i valori in cui credo. Ti capitava di alzarti la mattina e chiederti cosa ci facessi in quel posto? Sì, è normale, ma ero anche molto orgoglioso della scelta. Poi si vivono cose e conoscono persone che altrimenti non conosceresti mai. Se nel mondo ci sono degli angeli, vai lì e li vedi. Ricordo un padre comboniano che, ammalatosi di covid in mezzo ad una foresta, non riuscì ad andare via perché per lui era impensabile lasciare sole quelle persone. Purtroppo, morì. Sono cose che, se le vivi da vicino, ti segnano.
Con la città di Empoli che rapporto hai?
Ci ho sempre vissuto poco e non la conosco così bene. Quando sono tornato dall’Africa ci sono stato di più anche perché seguo pure l’azienda agricola che è l’altra mia grande passione. Ma sono orgoglioso delle radici empolesi. Insomma, Firenze vive sugli allori mentre qua c’è spirito imprenditoriale. I risultati che si raggiungono sono frutto del lavoro. E poi c’è la grande passione per l’Empoli calcio trasmessa da nonno Renzo.
In Africa ti ha spinto anche una motivazione religiosa?
Sono credente ma non ho un buon rapporto con l’istituzione chiesa. Se ripenso al missionario comboniano che mi ha confessato in mezzo ad una foresta mi vengono ancora le lacrime gli occhi ma non amo l’approccio politico della chiesa o quando entra dentro temi personali come l’eutanasia.
Chiudiamo tornando a parlare dell’azienda.
Come vedi la Sammontana nel 2023? Sarà un anno difficile. Non facciamo profitti da tempo prima per colpa del covid ed ora per la questione energia e gas. Siamo passati da 8 a 38 milioni di spesa e questo ci ha azzerato la marginalità. Abbiamo le spalle forti ed andiamo avanti ma è difficile.
È un anno preoccupante poi anche per la questione inflazione che va a colpire le persone. Però ci sono anche delle positività. Sembra infatti che certi costi delle materie prime si stiano riducendo per rientrare nella normalità e stiamo prendendo tante quote di mercato alle multinazionali. Le vendite stanno andando molto bene con numeri record e questo, alla fine, dice che la qualità e il lavorare con valori che ci caratterizzano da sempre alla fine premia. I valori che la famiglia Bagnoli porta avanti ormai dai tempi di Romeo. La storia aziendale continua.
Marco Mainardi
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