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Autore Discussione: Nicola Tranfaglia Quei giorni grigi alla Fiat (un film di Wilma Labate)  (Letto 2409 volte)
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« inserito:: Gennaio 15, 2008, 04:55:09 pm »

Quei giorni grigi alla Fiat

Nicola Tranfaglia


Sta per uscire nelle sale cinematografiche in tutta Italia, e anche nella capitale (il giorno di uscita è il prossimo venerdì 18), un film di una giovane regista romana, Wilma Labate, che già negli anni scorsi aveva firmato film come Domenica, storia di una ragazza orfana in una Napoli trasognata tra turismo e degrado urbano e documentari significativi come Lettere dalla Palestina (2002).

Ora di Wilma Labate esce La signorina Effe che ho avuto occasione di conoscere al Festival del Cinema Giovani di Torino diretto da Nanni Moretti.

In quell’occasione il film ottenne un notevole successo di pubblico e di critica. E si può capire il perché: La signorina Effe, di cui ha parlato in un’intervista la settimana scorsa sul Corriere della Sera quel che allora era l’amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti, è una rappresentazione assai riuscita, sul piano di un nuovo realismo cinematografico, di un episodio importante della nostra storia recente, perché parla dello sciopero dei 35 giorni alla Fiat, della cosiddetta «marcia dei quarantamila» e, nello stesso tempo, di una storia d’amore nell’ambiente operaio di quel 1980.

La storia si segue assai bene grazie all’interpretazione del bravo Filippo Timi e della bella Valeria Solarino che sono rispettivamente l’operaio torinese Sergio che lavora alle Presse e l’impiegata di origini meridionali, Emma impiegata nel settore informatico della Fiat che, prima d’incontrarlo, stava per sposare il dirigente d'azienda Silvio (Fabrizio Gifuni).

La storia avviene in una Torino ben diversa da quella di oggi: grigia e un po’ cupa, piena di fabbriche nel centro come nelle periferie, di quella che era la città dell'automobile attraversata in quegli anni da episodi frequenti di terrorismo. Il colore che domina è il grigio in cui si muovono le tute blu degli operai ma sono spesso grigi anche gli abiti degli altri protagonisti: il sindaco della città Diego Novelli, l'amministratore Cesare Romiti, ma anche Enrico Berlinguer che arriva di fronte alle fabbriche e parla ai lavoratori in sciopero.

L'atmosfera è di una contrapposizione aspra ma composta dello scontro tra l'impresa automobolistica e gli operai che lottano per evitare il licenziamento di massa decretato dalla Fiat e per difendere le conquiste ottenute nel decennio precedente. Alle scene del film si succedono i pezzi di repertorio tratti in buona parte dal documentario Signorina Fiat girato con grande aderenza agli avvenimenti da Giovanna Boursier nel 2001 e che mostrano tutti i protagonisti di quei giorni e spesso personaggi che più di venti anni fa, come ad esempio Giuliano Ferrara che era allora al seguito di Berlinguer, prima di trasmigrare verso lidi opposti dove si trova tuttora.

Si ha la sensazione di un tempo molto lontano, come di un mondo irreparabilmente scomparso ma fatto di persone concrete che, dall'una e dall'altra parte, rappresentavano un'Italia che oggi non esiste più ma che ha significato un momento decisivo della svolta a cui quell'esperienza diede inizio. Allora s'incominciava a parlare - lo ricorda la regista - per la prima volta di termini come «mobilità» e «flessibilità» e che negli anni successivi, e ancora oggi, sarebbero diventati centrali nel dibattito sullo sviluppo economico e sulle tesi diverse a proposito dei modelli destinati a prevalere nella crisi e nella trasformazione della grande industria, e dunque della Fiat e dell'Italia postindustriale.

La bravura della regista, come degli sceneggiatori (tra i quali lo scrittore Domenico Starnone) e degli attori principali, è consistita nel riferirsi con precisione al linguaggio di quei tempi, ai gesti e alla luce di quella città operaia che era al suo tramonto.

Gli storici oggi non hanno dubbi sul significato di quelle vicende in cui colgono gli errori, da una parte, della grande impresa e, dall'altra, anche del movimento sindacale come dello stesso Pci. In ogni caso è difficile, per non dire impossibile, accettare le tesi di Romiti che insiste a sostenere che la Fiat non poteva agire diversamente e che, se non avesse proceduto al massiccio licenziamento, sarebbe andata difilato al fallimento.

Oggi si vede con maggiore chiarezza che la Fiat, per salvarsi, dovette ricorrere alle banche che a poco a poco hanno attuato il ridimensionamento e poi una completa trasformazione che ha dato luogo alla Fiat di oggi e a una radicale trasformazione della città che è diventata una capitale del terziario, del pubblico e, almeno in parte, del turismo.

Gli operai sono ormai pochi e la storia della Labate avrebbe oggi un risalto e una centralità assai minori.

Pubblicato il: 15.01.08
Modificato il: 15.01.08 alle ore 13.48   
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