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Autore Discussione: Crimea, dizionario della (non) guerra  (Letto 7862 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2007, 06:55:21 pm »

OPINIONI

SENZA FRONTIERE

Ucraini e polacchi un miracolo politico
di Andrzej Stasiuk


Dopo secoli di stragi e purghe oggi le due popolazioni convivono come in nessun'altra parte dell'Europa 
Un paio di settimane fa sono andato in Ucraina. Ho viaggiato lungo il Dnestr, che ha le sorgenti nei Carpazi, e si disperde nelle acque del Mar Nero. Il suo corso superiore taglia le colline del Podole. Se si dovessero votare le dieci meraviglie del paesaggio europeo, io sceglierei il Dnestr che scorre fra profondi burroni e altipiani rocciosi. Per decine di miglia le sue acque hanno dato forma a un paesaggio bello, melanconico e arcaico. Sembra che il fiume voglia tagliare a metà la terra fino al suo nucleo, fluire fino agli antipodi.

Era il mese di maggio e la luce di quelle contrade aveva una mitezza dorata e torpida. I dorsi allungati e pianeggianti delle colline si rincorrevano fino all'orizzonte. Qua e là, in mezzo a loro, scorrevano le acque verdastre degli affluenti minori del Dnestr. Villaggi di case di legno dipinte d'azzurro erano immersi nei frutteti fioriti di bianco e di rosa. Era il periodo in cui cominciano i lavori nei campi e a volte, al limitare fra il cielo privo di nuvole e i dorsi verdi delle alture, apparivano sagome nere di cavalli e di persone.

Negli specchi degli stagni si rifletteva l'azzurro. Il bestiame che vi pascolava accanto, i cavalli e gli uccelli bianchi avevano l'evidenza delle illustrazioni da abbecedario: così era il mondo, quando imparavamo a dargli un nome.

Il Podole, la pianura del Dnestr, così come tutta l'Ucraina occidentale, un tempo appartenevano alla Polonia. In realtà erano una colonia polacca. Qui iniziava la zona di confine polacco-turco-tartara, relativamente poco popolata, e qui, nel XVII secolo, i cosacchi iniziarono a distinguere la propria specificità religiosa e sociale, che nel XIX secolo divenne la base della coscienza nazionale ucraina.

Proseguendo lungo il corso del fiume, oppure lungo i suoi affluenti minori, mi imbattevo di volta in volta nelle tracce dell'antica presenza polacca. Erano soprattutto residenze patrizie: castelli, fortezze, palazzi, chiese fortificate e conventi. La maggior parte degli edifici cadeva lentamente in rovina. Rinascimento e barocco passavano impercettibilmente nel dominio della natura. Nei bastioni abitavano i corvi, le radici degli alberi spezzavano i muri. Sulle pareti e nelle volte si potevano intravedere resti di antiche policromie.

Sì, erano romantiche rovine del passato, tracce del dominio di un tempo e di un capitolo per sempre concluso. Di una storia come poche altre nell'Europa sanguinosa, crudele, complessa. I polacchi in quella zona erano colonizzatori. Si vede che volevano rifarsi degli insuccessi nelle colonie d'oltremare e avevano scelto colonie di terra - d'altronde le steppe sconfinate di quelle parti ricordano un poco il mare.

Per sconfiggere e sottomettere la popolazione contadina ortodossa usavano la frusta e la tortura, impalavano o radevano al suolo interi villaggi che osassero non essere remissivi. E non lo erano. Sono state le rivolte cosacche a far vacillare la potenza della Repubblica Polacca nel Settecento. Furono rivolte crudeli, tanto quanto il dominio polacco. I cosacchi, allievi dotati, radevano al suolo le città polacche, riempivano di cadaveri pozzi profondi decine di metri, dilaniavano coi cavalli o impalavano i condottieri più valorosi.

Di tanto in tanto si univano alle azioni i tartari, che offrivano alleanze e servigi all'una o all'altra parte e venivano ripagati in prigionieri di guerra, che poi rivendevano come schiavi a Istanbul. Solo il dominio russo nel XVIII e nel XIX secolo riappacificò un poco gli animi, accaparrando a sé la distribuzione dei soprusi.

L'ultimo atto si giocò negli anni Quaranta del secolo scorso. In Podole e in Galizia orientale gli ucraini assassinarono decine di migliaia di civili polacchi. In un certo senso si trattava di una reazione alla politica repressiva dello Stato polacco che un decennio prima aveva voluto definitivamente polonizzare quei territori. Isolati e assediati dai nemici, ridotti alla clandestinità, invasati dall'idea fissa e disperata della propria identità statale, gli ucraini condussero vere e proprie purghe etniche. E i polacchi, se solo era loro possibile, non restavano in debito.

Credo che i rapporti polacco-ucraini degli ultimi decenni siano una sorta di miracolo politico e sociale. Non ne abbiamo, credo, di migliori in nessun altro paese europeo. Perciò non mi hanno affatto sbalordito le parole lette da Michel Platini quando sono stati assegnati a Polonia e Ucraina i prossimi Europei di calcio. Si può dire che attraverso di lui parlasse la Provvidenza.

Perciò, miei cari lettori italiani, dovete rassegnarvi, e basta.

da espressonline.it
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 29, 2007, 04:23:41 pm »

Il premier portoghese (presidente di turno Ue) no a cambiamenti

Polonia: accordo su trattato Ue va ridiscusso

Il primo ministro polacco ha annunciato la volontà di ridiscutere l'intesa di Bruxelles in sede di Conferenza intergovernativa

 
VARSAVIA (POLONIA) - Pronti a rimangiarsi tutto. La Polonia intende riaprire il dibattito sull'accordo raggiunto la settimana scorsa al vertice dell'Ue sul nuovo Trattato Ue.

Lo ha annunciato il primo ministro Jaroslaw Kaczynski. Una decisione che rimette Varsavia sulla rotta di collisione con gli altri partner europei. Il portoghese Josè Socrates, che si insedierà alla presidenza di turno dell'Ue il primo luglio, aveva ieri ammonito la Polonia a non pensare minimamente di poter rimettere in discussione il compromesso che ha evitato il veto di Varsavia sul nuovo meccanismo di voto a doppia maggioranza. «Dobbiamo ancora risolvere la questione in sede di Conferenza intergovernativa», ha invece affermato il premier polacco in una conferenza stampa.
29 giugno 2007
 
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 25, 2013, 07:46:01 pm »

UCRAINA: picchiata a sangue la giornalista TATYANA CHORNOVOL

25/12 17:13 CET

Il volto dell’informazione investigativa in Ucraina. Tatyana Chornovol, giornalista e attivista, nota per le indagini contro la corruzione della classe politica ucraina, è stata aggredita martedì notte mentre tornava a casa. Stava indagando sul patrimonio delle più alte cariche dello Stato. Il suo ultimo articolo riguardava il Ministro degli Interni, che la Chornovol aveva definito un “boia” per la gestione delle manifestazioni anti-governative di dicembre. Un amico racconta la versione della giornalista:

“I medici hanno detto che ha un trauma cranico e una commozione cerebrale. Ha cercato di scappare ma l’hanno presa, qualcuno ha rotto il vetro dell’auto e l’ha colpita. Tatyana non ricorda quello che è succeso dopo. Ha ripreso conoscienza in ospedale”.

Alcune centinaia di persone hanno manifestato contro l’aggressione di fronte al Ministero degli Interni.

“Penso che questo mostri la debolezza del nostro governo -dice un dimostrante. Quando la gente non è in grado di rispondere con le parole e di fornire prove, risponde usando la violenza.
E per di più hanno picchiato una donna e una madre. E’ inaccettabile”.

Alcuni attivisti ucraini hanno dichiarato di aver identificato l’auto degli aggressori. Apparterrebbe al partito delle Regioni, al potere. Sull’aggressione il ministro degli Interni ha risposto con un no comment.

Nell’ultima settimana tre attivisti sono stati aggrediti. Uno è stato pugnalato, un’altro è uscito indenne da un attacco con arma da fuoco, e un terzo sarebbe stato picchiato a morte dalla polizia, dicono i famigliari.

Copyright © 2013 euronews

Da - http://it.euronews.com/2013/12/25/ucrai ... chornovol/
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 09, 2014, 05:28:55 pm »

Editoriali
07/02/2014

Per l’Ucraina, Europa e Russia insieme
Gianni Pittella*

I settanta anni di libertà e di pace che abbiamo alle spalle li dobbiamo in buona parte al processo di unificazione europea. Un tesoro che oggi, più di sempre, dobbiamo saper condividere con i nostri vicini, Ucraina e Federazione Russa in primis. Perché in Europa non si ripeta la tragedia vista nell’ex-Jugoslavia.

Con un grande Paese alle porte dell’Ue, come l’Ucraina, sull’orlo di una guerra civile, le istituzioni europee e i governi degli Stati membri non possono limitarsi ad un mero sostegno di principio ai movimenti più filo-europei e moderati, come quello di Vitalij Klycko e di Yulia Tymoshenko, che pure - chi scrive ne è testimone diretto – meritano.

L’Europa deve fare qualcosa di più e di diverso. L’Unione europea deve farsi carico di un ruolo da protagonista come agente di pace, attraverso l’istituzione di un tavolo negoziale con il governo di Kiev, le opposizioni e la Russia.

Ecco perché la presenza di Enrico Letta a Sochi – uno dei pochissimi leader occidentali che incontrerà sia il presidente russo Vladimr Putin, che quello ucraino Viktor Yanukovych, all’inaugurazione delle olimpiadi invernali venerdì 7 febbraio – può, da questo punto di vista, rivelarsi più utile di quanto molti non credano.

Un tavolo negoziale fra Europa, Ucraina e Federazione Russa, senza precondizioni, senza pregiudizi, con l’obiettivo di sostenersi l’un altro, come partner a favore della libertà, della pace, delle riforme e dello sviluppo.

Un tale vertice trilaterale potrebbe propiziare la rapida fine di ogni violenza di Stato contro cittadini inermi, il varo di una vasta amnistia e di riforme costituzionali, colloqui più costruttivi fra le autorità centrali e quelle periferiche. 

L’Ucraina non è solo Leopoli e Kiev, ci sono anche la multietnica provincia di Odessa, la repubblica autonoma russo-tartara di Crimea, la città autonoma di Sebastopoli – storica base logistica, quest’ultima, della marina prima sovietica poi russa.

 

L’Ucraina, il paese più esteso e più centrale del continente, è la naturale cerniera fra Europa e mondo russo, e proprio insieme a Europa e Russia, Kiev può raggiungere risultati storici, nel campo delle libertà politiche e civili, del riscatto dalla povertà dei suoi quarantacinque milioni di abitanti – oltre un terzo dei quali sono russofoni. 

Pur avendo personalmente preso parte a Kiev alle manifestazioni a favore dell’avvicinamento dell’Ucraina ai principi e ai valori di democrazia dell’Europa, non si possono dimenticare le condizioni di vita dei ceti popolari russofoni, nell’immenso est del Paese, la cui economia e sentimento identitario sono strettamente legati a Mosca.

Siamo nel 2014, non nel 1914. Non ci servono vecchi o nuovi nazionalismi, né giochi di potere. I nostri interessi strategici di lungo termine, come italiani e europei, sono chiari: libertà civili, forti democrazie locali e nazionali, libera circolazione, innovazione e cultura. Siamo convinti che essi siano convergenti con le aspirazioni più autentiche e profonde di Ucraini e Russi.

*Vicepresidente vicario del Parlamento europeo 

Da - http://lastampa.it/2014/02/07/cultura/opinioni/editoriali/per-lucraina-europa-e-russia-insieme-2Z6x4zfn4QyKcLCb2uBaFM/pagina.html
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 24, 2014, 06:56:00 pm »

esteri
19/02/2014

Da Yanukovich agli oligarchi, dalla Chiesa al Cremlino
Breve glossario della rivolta ucraina
Quello che accade in queste ore in Ucraina fa venire in mente la Kiev della “Guardia bianca” di Mikhail Bulgakov, il grande romanzo che descrive la guerra civile del 1918, in una confusione sanguinaria di bianchi, rossi, nazionalisti, cosacchi, truppe regolari alla deriva e milizie nate dal nulla.

Anna Zafesova
A Kiev è il caos, e molti osservatori ricordano in queste ore lo scontro, 20 anni fa, tra Boris Eltsin e il parlamento ribelle, finito a cannonate nel centro di Mosca, un braccio di ferro che ha chiuso in Russia la fase non violenta per imporre un modello più o meno autoritario. Ma forse quello che accade in queste ore in Ucraina fa venire in mente semmai la Kiev della “Guardia bianca” di Mikhail Bulgakov, il grande romanzo che descrive la guerra civile del 1918, in una confusione sanguinaria di bianchi, rossi, nazionalisti, cosacchi, truppe regolari alla deriva e milizie nate dal nulla, fanatici e provocatori, una città dilaniata da scontri, pogrom e sparatorie, dove ogni passo può essere l’ultimo e una violenza caotica e animata da più protagonisti fa rischiare a un Paese appena nato la sua stessa sopravvivenza. Interrotto il percorso della non violenza e di una relativa democrazia che per i 23 anni di indipendenza ha distinto l’Ucraina dagli altri Paesi postsovietici, nella tragedia di queste ore si riconferma però un altro tratto caratteristico di questa nazione eterogenea e tormentata: la tendenza a precipitare in un confronto di tutti contro tutti, nel caos dove nessuno più sembra poter avere alcun controllo della situazione. Cerchiamo di inquadrare i protagonisti principali di questo dramma.

Il presidente Yanukovich 
Dopo aver scatenato la protesta con la sua improvvisa rinuncia a firmare il trattato di associazione con l’Ue per tre mesi è stato il principale bersaglio dell’opposizione e il principale ostacolo allo sblocco della situazione. Ieri ha ribadito di aver voluto evitare la repressione della piazza che gli sarebbe stata consigliata a più riprese dai suoi alleati, e non si è mai negato a un negoziato con la protesta. Senza però cedere sui punti cruciali: le elezioni anticipate, la riforma costituzionale che gli avrebbe tolto i poteri che si è attribuito subito dopo essere stato eletto nel 2010, il ritorno al negoziato con l’Europa, il licenziamento del ministro dell’Interno ritenuto il principale responsabile delle violenze in piazza. Dopo mesi di esitazioni ha sacrificato il governo di Mykola Azarov, offrendo l’esecutivo ai leader dell’opposizione, che però vi hanno saggiamente intuito una trappola. Ha provato a imbavagliare l’opposizione con leggi repressive sul modello russo, ma dopo l’escalation della protesta le ha cancellate, accettando alla fine anche l’amnistia per i militanti del Maidan. Due giorni dopo però la sua ultima offerta all’opposizione è stata “Sgomberate la piazza e andatevene a casa”, come riferito dal leader del Maidan Vitaly Klichko. Secondo molti osservatori, il suo obiettivo principale è la sopravvivenza al potere fino alle elezioni del 2015 e possibilmente oltre: secondo diverse fonti, il patrimonio della “famiglia” (sia in senso stretto che allargato) Yanukovich in quattro anni di presidenza si è moltiplicato diverse volte, e la perdita della presidenza potrebbe comportare anche la fine di questo conglomerato di interessi economici e politici.


Il governo 
I sostenitori di Yanukovich, in primo luogo i militanti del suo Partito delle regioni che ha in maggioranza nella Rada, sono apparsi tutt’altro che monolitici. Numerose sono state le defezioni di suoi esponenti altolocati, in disaccordo con i tentativi di repressione della piazza. Altri invece hanno spinto per il pugno di ferro.

Il parlamento 
Dominato dal Partito delle regioni con l’aiuto dei comunisti, che hanno bloccato i tentativi dell’opposizione di sfiduciare l’esecutivo e di emendare la Costituzione. I tre partiti dell’opposizione hanno paralizzato i lavori della Rada, con scontri in aula. Il presidente della Rada Rybak, dopo aver cercato più volte di porsi come mediatore di un compromesso, è crollato con un attacco di ipertensione.

Gli oligarchi 
Quasi tutti i grandi magnati ucraini hanno abbandonato Yanukovich e molti di loro finanziano il Maidan e i media di opposizione. Indipendentemente dalle preferenze politiche e dal grado di affiliazione con il presidente, temono che una svolta verso la Russia gli faccia perdere asset e potere, e che il sempre più probabile collasso economico e le eventuali sanzioni internazionali li taglino fuori dall’Europa, dove hanno i loro maggiori interessi e spesso anche casa e famiglia.

I Berkut 
Sono le teste di cuoio della polizia diventati il simbolo della repressione. Nel loro arsenale ci sono idranti, granate, lacrimogeni e pallottole di gomma, mentre negano di usare armi da fuoco nonostante diversi manifestanti siano stati uccisi da pallottole vere. Nelle prime settimane della protesta era diffusa la leggenda metropolitana di poliziotti che “passavano con il popolo”, ma dopo le prime violenze, e le testimonianze di torture e umiliazioni inflitte dai Berkut ai manifestanti arrestati, e dopo che il conto degli agenti feriti è arrivato a decine, l’odio da entrambi le parti sembra insanabile. 

L’esercito 
Finora non ha partecipato alla crisi, facendo sapere di volersi tenere lontano. Ogni voce di movimenti di truppe verso Kiev per ora si è rivelata infondata.

I Titushki 
Sono le milizie filo-Yanukovich, formate per lo più da ucraini dell’Est russofono del Paese. Originariamente dei palestrati, un po’ proletari, un po’ gang di quartiere, un po’ ultrà, venivano usati nelle contromanifestazioni a favore del presidente e in scontri con i militanti d’opposizione. Bande di Titushki (il nome deriva dal loro simbolo, lo sportivo Titushko) hanno preso d’assedio in questi giorni l’ambasciata americana e hanno lanciato aggressioni e saccheggi nel centro di Kiev. Ma nelle ultime settimane sono stati visti agire d’intesa con la polizia come squadre organizzate e spesso armate, intervenendo contro i manifestanti a Kiev e in altre città a fianco degli agenti. Secondo l’opposizione, nelle milizie pro-governative vengono reclutati esponenti della criminalità organizzata, allusione anche al passato di galeotto di Yanukovich.

L’opposizione del Maidan 
Nel corso degli ultimi tre mesi ha subito la trasformazione dalla protesta massiccia non violenta in forza combattente. Guidata dal triumvirato del pugile Vitaly Klichko (partito Udar), da Arkady Yatseniuk di Batkivshina e da Oleg Tiagnybok, del fronte nazionalista Svoboda, è composta però da numerose anime, dagli studenti ai militanti dell’Auto-maidan, la protesta su quattro ruote che perseguita la polizia e i titushki, ai nazionalisti irriducibili, agli ultrà. Iniziato come reazione alla rottura con l’Ue, il movimento è poi diventato soprattutto una rivolta contro i tentativi di sgombero violento della piazza e contro il regime di Yanukovich. In tre mesi il Maidan, circondato da barricate, è diventato uno stato dentro lo stato, sostenuto da un massiccio volontariato degli abitanti della capitale, con ospedali, mense, dormitori e un servizio d’ordine sempre più possente. Visitata da ambasciatori e ministri occidentali come la roccaforte della libertà, la piazza si dichiara priva di armi da fuoco, ma singoli leader della protesta hanno più volte chiamato a raccolta gli ucraini con il porto d’armi, e le autorità denunciano ferite di fucile riportate sia dagli agenti che da militanti che sarebbero stati colpiti dai propri compagni. Il Maidan ha toccato picchi di 500 mila persone, ma non ci sono mai meno di 10 mila militanti presenti. 

Il “Settore di destra” 
E’ la costola più irriducibile di Svoboda, i nazionalisti che non hanno mai disdegnato una politica anche fisica, organizzati in squadre di militanti giovani e addestrati. Sono i “black bloc” del Maidan, la scheggia impazzita che qualcuno sospetta di essere formata da provocatori che fanno precipitare regolarmente la situazione permettendo a Yanukovich di reagire e presentare il Maidan come conglomerato violento e pericoloso. Molti osservatori li accusano di legami con Una-Unso, gli eredi dei nazionalisti ucraini che durante la guerra si allearono con i tedeschi contro i russi. Ma più probabilmente sono frange che si sono cristallizzate già durante la protesta di piazza, e che dopo lo stallo nei negoziati hanno fatto esplodere la situazione. Sono stati loro a guidare la maggior parte delle occupazioni di sedi governative delle ultime settimane, e ad animare le battaglie sulle barricate a colpi di molotov. I moderati Klichko e Yatseniuk sono stati costretti da un certo punto in poi a seguire la loro scia, mentre Tiagnybok appare più vicino a loro, ma non è chiaro fino a che punto li controlla. 

Leopoli e l’Ovest del Paese 
La parte cattolica dell’Ucraina, quella dal passato più europeo (polacco e asburgico) e con il sentimento nazionale più radicato, si è ribellata a Yanukovich. Leopoli di fatto non risponde più a Kiev, e in diverse città dell’Ovest i militanti pro-Maidan hanno espugnato le amministrazioni locali e si sono scontrati pesantemente con la polizia. Centinaia di volontari sono partiti da Leopoli e dintorni verso Kiev, mentre rivolte sono in corso a Cernovzy, Vinniza e Ternopol.

Crimea e l’Est del Paese 
Nelle regioni russofone la maggioranza è contro il Maidan. I tentativi di ribellione a Yanukovich sono stati repressi con particolare violenza, e in Crimea e a Odessa – due regioni storicamente non legate al passato nazionale ucraino – si parla apertamente di secessione nel caso della vittoria dell’opposizione. Il rischio di una spaccatura del Paese in due è più che mai reale.

Yulia Timoshenko 
E’ la grande assente della nuova rivoluzione ucraina. La pasionaria della rivoluzione arancione di 10 anni fa aveva fatto sentire la sua voce dal carcere dove è rinchiusa per volere di Yanukovich, ma gradualmente è stata surclassata dai nuovi eroi della piazza. Il principio “chi c’è c’è, chi non c’è non c’è” in politica è spietato, e oggi Arkady Yatseniuk, il leader del partito di Yulia, è uno dei capi della piazza, candidato a guidare il governo e interlocutore privilegiato di Angela Merkel insieme a Vitaly Klichko, probabilmente il personaggio più carismatico e popolare emerso dalla protesta. Non sapremo mai se la presenza di Yulia, politico tutt’altro che avverso al rischio, ma anche straordinariamente incisivo e lucido, oltre che dotato di un grandissimo prestigio presso le cancellerie occidentali, avrebbe cambiato in meglio il corso degli eventi.

La chiesa 
Monaci e preti sono da mesi sul Maidan, a pregare e interporsi tra la polizia e i manifestanti, qualche volta con successo. La cattedrale di San Michele, vicino alla piazza, ha dato più volte rifugio ai militanti in fuga dalla polizia e da ieri ospita un ospedale improvvisato per i feriti dove i medici volontari hanno anche svolto interventi chirurgici. Le numerose chiese ucraine (ovviamente, spaccate pure loro, tra cattolici e ortodossi, tra ortodossi filorussi e indipendentisti ecc.) sono state unanimi nel condannare la violenza e chiedere al governo di scendere al negoziato

L’Europa 
Un negoziato di routine su un trattato di libero commercio è diventato una crisi nel pieno del continente. Per l’Europa, divisa tra l’attivismo dei tedeschi, dei polacchi e dei baltici, e le cautele degli altri preoccupati di non far arrabbiare Putin, è stata una sorpresa e una prova ancora tutta da superare. La Merkel ha fatto l’endorsement di Klichko, ma ha negato appena due giorni fa la necessità di sanzioni contro Yanukovich & Co, chieste da mesi dall’opposizione. Ora le chiedono tutti, promettendo di togliere visti e congelare gli asset dei responsabili delle violenze. Una punizione che il regime ha sicuramente temuto fino a ieri, sempre che il punto di non ritorno non sia stato superato. I leader di Bruxelles hanno anche promesso di riprendere il negoziato con Kiev, appena superata la crisi, e di negoziare anche aiuti alla disastrata economia ucraina. Ma nonostante i tentativi di mediazione e le visite di Lady Ashton a Kiev la situazione è precipitata, e non è chiaro che strumenti ora possa avere l’Europa per intervenire sul più grande Paese del Vecchio Continente che in queste ore rischia di spaccarsi.

La Russia 
Dopo aver fatto pesanti pressioni per costringere l’Ucraina a voltare le spalle all’Ue, e aver sponsorizzato questa decisione con un maxi-prestito e un maxi-sconto sul gas, Mosca resta a guardare, limitandosi a inveire contro le “ingerenze occidentali” nella crisi di Kiev. Fonti dell’opposizione ucraina sostengono che consulenti dei servizi segreti russi sono stati chiamati da Yanukovich e hanno bocciato i piani di blitz contro il Maidan proposti dai colleghi ucraini. Non per pacifismo, ma perché li hanno considerati disastrosi. Il bagno di sangue delle ultime ore non può dispiacere a Putin: scoraggia i dissidenti locali, terrorizzati da scenari violenti, dal seguire l’esempio del Maidan, e spinge Yanukovich, sempre più imbarazzante per l’Europa, a diventare un alleato russo a 360 gradi, anche suo malgrado. 

Da - http://www.lastampa.it/2014/02/19/esteri/dal-yanukovich-agli-oligarchi-dalla-chiesa-al-cremlino-breve-glossario-della-rivolta-ucraina-H3Fljzpozi8ucfWP0avQKI/pagina.html
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« Risposta #5 inserito:: Marzo 01, 2014, 07:39:30 pm »

Esteri
01/03/2014

Crimea, dizionario della (non) guerra
Dall’ipotesi secessione al referendum, dai tartari alla flotta russa nel Mar Nero
Le parole chiave per comprendere la crisi tra Ucraina e Russia sulla penisola


E’ una penisola di 26 mila km quadrati sul Mar Nero, collegata alla terra ferma da un sottile lembo di terra di appena 5 km a Perekop. Nota fin dall’antichità – i greci l’avevano colonizzata come Tauride – è stata abitata da sciti, khazari, unni, controllata dalla Rus di Kiev e da Bisanzio. I genovesi l’hanno strappata ai veneziani controllandone i commerci per due secoli. Conquistata dai mongoli, diventa il Khanato di Crimea abitato dai tartari che per secoli insidia i russi, arrivando fino alle porte di Mosca e fornisce schiavi slavi alla Sublime Porta. Conquistata da Caterina II nella seconda metà del ’700, diventa territorio russo, luogo di villeggiatura degli zar. 

Il passaggio all’Ucraina 
Nel 1954 Nikita Krusciov “regala” la penisola all’Ucraina per celebrare i 300 anni dell’unione con la Russia. Nell’ambito dell’Unione Sovietica si trattava di un passaggio di giurisdizione amministrativa che al massimo poteva significare il cambio delle insegne, ma comunque non viene visto di buon occhio. Nel 1991 l’Ucraina diventa uno Stato indipendente e la penisola la segue nonostante un diffuso malumore. Oggi la Crimea ha uno status di repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina, con un parlamento e un governo che hanno sede a Simferopol.

La secessione 
Ipotesi ventilata a più riprese sia dai politici filo-russi della penisola che da Mosca, ma rimasta finora a livello di propaganda. Dopo la vittoria del Maidan a Kiev il parlamento di Simferopol sotto la pressione della piazza e dei militari che l’hanno occupato ha indetto per il 30 marzo un referendum sulla “estensione dell’autonomia della Crimea” che di fatto dovrebbe essere una consultazione sulla secessione dall’Ucraina.

I russi e gli ucraini 
La Crimea è abitata da due milioni di persone, il 57% della popolazione sono russi e il 27% ucraini. La lingua prevalente è il russo.

I tartari 
Gli abitanti musulmani del Khanato dal 1400, vengono deportati in Asia Centrale da Stalin durante la seconda guerra mondiale, con il pretesto che erano inclini al collaborazionismo con i tedeschi. Riescono a tornare con la morte del dittatore, ma non possono riavere le terre e le case che gli sono state tolte. Ottengono diritti di cittadinanza politica e religiosa solo con la perestroika e da allora rivendicano un maggiore ruolo nella vita della repubblica. Attualmente sono il 12% della popolazione e in maggioranza sostengono il governo di Kiev e sono contrari a un avvicinamento con Mosca, nemica storica. In piazza negli ultimi giorni hanno difeso la causa dei Maidan al grido di “Allah akbar” scontrandosi con i manifestanti filo-russi.

La flotta del Mar Nero 
Una delle quattro flotte della marina militare russa, è di stanza a Sebastopoli, città storica per la gloria militare di Mosca e base militare. Conta circa 11 mila effettivi più altrettanti di personale e ha circa 60 navi (parte delle quali dislocati a Novorossiysk, in territorio russo). La sua permanenza in territorio ucraino è stata oggetto di un contenzioso lungo 20 anni, mentre il presidente ucraino Yushenko voleva sfrattare le navi russe nel 2017, con Yanukovich nel 2010 l’affitto della base è stato prorogato al 2042. Sebastopoli è sede anche del comando della marina militare ucraina, ma di fatto è controllata dai russi che continuano a considerarla più russa che ucraina.

I Berkut 
Sono le truppe speciali della polizia che si sono distinte negli scontri a Kiev e alle quali vengono attribuiti i rapimenti e le torture dei militanti del Maidan, oltre che la strage nelle strade. Disciolti mercoledì dal nuovo governo ucraino, i Berkut di stanza in Crimea si sono ribellati e hanno partecipato al blitz contro il parlamento. Il ministero degli Esteri russa ha promesso di fornire ai Berkut in tempi brevissimi la cittadinanza russa offrendogli così una protezione contro eventuali persecuzioni ucraine per il massacro di Kiev.

Il governo 
Dopo il blitz al parlamento di Simferopol il governo che aveva dichiarato lealtà a Kiev è stato rimosso dai deputati e al suo posto si è insediato l’esecutivo guidato da Serghei Aksionov, leader della comunità russa. Il nuovo premier ha subordinato a se stesso tutte le strutture militari, di polizia e di pubblica sicurezza della penisola, minacciando di licenziamento gli agenti che avrebbero risposto agli ordini del governo centrale di Kiev.

La piazza 
Manifestazioni di qualche migliaio di persone nei giorni scorsi hanno chiesto la secessione dall’Ucraina e l’adesione alla Russia, eleggendo anche in piazza un “sindaco” di Sebastopoli, l’imprenditore Andrey Chaly, cittadino russo. Militanti di organizzazioni filo-russe hanno aperto le iscrizioni a “milizie di autodifesa” e hanno provato a espugnare il parlamento appendendo sull’edificio la bandiera russa. Dopo che sono stati respinti dai tartari, l’occupazione del parlamento è stata attuata dai militari e dai Berkut, e i manifestanti sono passati a ruolo di sostegno in piazza.

Gli emissari 
Da giorni in Crimea si alternano grossi calibri della politica russa, dai deputati di punta della maggioranza putiniana della Duma ai leader nazionalisti come Vladimir Zhirinovsky, ad attori e cantanti della play-list del Cremlino. Tutti promettono agli abitanti della Crimea protezione, sostegno, passaporti russi e aiuti economici.

La diplomazia 
Il governo di Arseny Yatseniuk ha denunciato un’aggressione militare di Mosca contro la Crimea e si è rivolto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Kiev ha anche chiesto per mezzo di note diplomatiche alla Russia “consultazioni urgenti” nell’ambito del Trattato sull’amicizia tra i due Paesi, nonostante il Cremlino non abbia ancora riconosciuto il nuovo potere ucraino continuando a ritenere legittimo il presidente in fuga Viktor Yanukovich. Mosca si è rifiutata di aprire un dialogo sostenendo che le vicende in Crimea erano un “affare interno” dell’Ucraina. In ambito Onu la Russia si è opposta all’invio di una missione di mediatori considerandola una “ingerenza” nella volontà del popolo della Crimea.

Il Maidan 
I militanti della piazza di Kiev, in primo luogo l’avanguardia armata del Settore di Destra, si sono rifiutati di andare a combattere per la Crimea. 

La bomba atomica 
Nel 1994 l’Ucraina ha reso alla Russia le testate nucleari ereditate dall’ex Urss. In cambio Washington e Mosca si sono impegnate a fare da garanti all’incolumità e all’integrità territoriale del neonato Paese. Il leader nazionalista ucraino Oleg Tyahnybok ha ipotizzato che, dopo che la Russia ha palesemente violato questo impegno, l’Ucraina abbia diritto a dotarsi di nuovo di un arsenale nucleare, cosa fattibile in “3-6 mesi” grazie alle tecnologie e alle industrie rimaste dai tempi dell’Urss.

Da - http://lastampa.it/2014/03/01/esteri/crimea-dizionario-della-non-guerra-BRXtMkS2f93nxh9n51NjAL/pagina.html
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 07, 2014, 09:07:06 am »

Limes Oggi
Gli scontri a Kiev e la battaglia per l’Ucraina, nel contesto
   
a cura di Niccolò Locatelli e Alberto de Sanctis

L'intervento militare della Russia segna l'inizio di una nuova fase in Ucraina: una crisi che non è mai stata solo nazionale coinvolge ora le principali potenze mondiali. Le migliori analisi di Limes sull'argomento.

Ora che truppe riconducibili alla Russia hanno preso il controllo della penisola di Crimea, poco dopo che il parlamento russo aveva autorizzato il presidente Putin a impiegare le Forze armate in Ucraina, la crisi in quest'ultimo paese ha raggiunto una nuova fase.

Coinvolge ormai direttamente un paese estero (la Russia, appunto) e indirettamente l'Unione Europea e gli Stati Uniti, che sostengono il nuovo governo di Kiev e vogliono evitare ulteriori escalation militari da parte di Mosca

In una conferenza stampa, Vladimir Putin ha dichiarato martedì 4 marzo che per il momento la Russia non interverrà militarmente in Crimea, mentre la aiuterà finanziariamente. Il presidente russo ha escluso la possibilità di una guerra contro l'Ucraina, che "non solo è un nostro vicino ma è una nazione sorella". Pur condannando la corruzione imperante a Kiev, Putin ha aggiunto che a suo parere in Ucraina c'è stato un golpe contro il presidente legittimo, Yanukovich.

 Il 6 marzo, il parlamento della Crimea ha votato a favore dell'annessione alla Russia. Entro 10 giorni dovrebbe tenersi un referendum sulla questione. Il nuovo governo di Kiev (vedi 4 paragrafi sotto) ha dichiarato incostituzionale l'eventuale passaggio della Crimea sotto sovranità russa.

I paesi del G-7 (Usa, Canada, Giappone, Francia, Germania, Regno Unito, Italia) e i presidenti del Consiglio e della Commissione Europea hanno sospeso i lavori di preparazione al G-8 previsto per giugno a Sochi, in Russia, che ha da poco ospitato le Olimpiadi invernali.

Il segretario di Stato Usa John Kerry ha inoltre minacciato sanzioni economiche contro Mosca e l'esclusione della stessa dal G-8. Kerry, che ha condannato l'invasione russa, sarà a Kiev martedì 4 marzo per sostenere il nuovo governo ucraino. La Cina invece, secondo un comunicato del ministero degli Esteri russo, avrebbe le stesse vedute di Mosca sulla crisi. Il ministro Sergey Lavrov ha parlato con il suo omologo cinese Wang Yi lunedì 3 marzo.

Da più di tre mesi, l'Ucraina è spaccata tra i sostenitori dell'ormai ex presidente filo-russo Viktor Yanukovich e una variegata opposizione (in cui ci sono tanto gli europeisti quanto i nazionalisti) che si riunisce in piazza Indipendenza (Maidan Nezhaleznosti), nel centro di Kiev, e nelle altre città del paese. Le manifestazioni di protesta, più volte degenerate in violenti scontri con la polizia, hanno fatto decine di morti.

L'accordo che era stato raggiunto il 21 febbraio per risolvere la crisi non è stato rispettato. Yanukovich è stato rimosso da un voto del parlamento (tecnicamente privo di validità giuridica), è ufficialmente ricercato "per omicidio di massa di cittadini pacifici" ed è andato in Russia, ma si considera ancora il presidente dell'Ucraina. Il capo di Stato ad interim è Olexander Turchynov; il nuovo premier è Arseni Iazeniuk. Entrambi provengono da Unione Pan-Ucraina Patria, il partito dell'ex premier Yulia Tymoshenko, liberata il 22 febbraio.

La situazione in Crimea, repubblica autonoma la cui popolazione è in maggioranza russa, era tesa da alcuni giorni prima dell'intervento delle truppe di Mosca. Nella capitale Sinferopoli è stato occupato il parlamento e rovesciato il governo. Per le strade, sostenitori del nuovo governo ucraino hanno fronteggiato gruppi di filo-russi. Mentre uomini armati non identificati ma riconducibili alla Russia presidiavano gli aeroporti della repubblica, venerdì 28 febbraio il nuovo premier filo-russo della Crimea Sergiy Aksyonov ha ufficialmente richiesto l'aiuto di Putin "per riportare la pace e la calma". L'aiuto, come visto, è arrivato. Per il 30 marzo è previsto un referendum sull'aumento dell'autonomia.

Giorni prima, il Cremlino aveva ordinato una serie di esercitazioni militari nel Distretto militare occidentale che hanno coinvolto circa 150 mila uomini delle Forze di difesa terrestri e aeree, dei reparti corazzati e delle flotte del Nord e Mar Baltico. Si è trattato dell'esercitazione più grande degli ultimi anni, che è arrivata a lambire il confine con l'Ucraina. L'aviazione militare è stata messa in stato di massima allerta.

A Kiev il ministro degli Interni ad interim Arsen Avakov aveva annunciato lo scioglimento della Berkut, i reparti di polizia antisommossa responsabili di parte delle violenze nei giorni della protesta (Mosca ha offerto il passaporto russo ai suoi membri). Il governo ucraino ha accusato la Russia di "invasione armata", mobilitato l'esercito e richiamato i riservisti.

La partita per il futuro dell'Ucraina coinvolge anche protagonisti internazionali - la Russia, l'Unione Europea, financo il Vaticano - e si presta a diverse chiavi di lettura.

Protagonisti nazionali
Per rintracciare le origini della faglia politica e culturale che sta lacerando l'Ucraina è utile fare un salto indietro nel tempo agli episodi che hanno portato alla separazione tra l'elemento nazionale ucraino e quello russo. Oggi, secondo gli ucraini filo-occidentali, la battaglia si combatte per affermare i valori europei e per una società più libera e giusta. Ma le pressioni cui Kiev è sottoposta, da Est e da Ovest, rischiano di celare un'altra lotta per il potere, combattuta dagli oligarchi, che potrebbe plasmare il futuro dell'ex repubblica sovietica.

 

Due o tre cose che so sull'Ucraina di Dario Quintavalle

L'Ucraina e il fantasma dei Balcani di Lucio Caracciolo

Storia del nazionalismo e della russofobia in Ucraina di Andrea Franco

Ucraina, e adesso che succede? di Dario Quintavalle

Il popolo dell'Ucraina sta versando il sangue per i valori europei di Jurij Andruchovych

Russia o Europa? Rivoluzioni, oligarchi e il futuro dell'Ucraina di Stefano Grazioli

[Carta di Laura Canali tratta da "Grandi Giochi nel Caucaso"]

Protagonisti internazionali: l'Unione Europea contro la Russia

Anche l'Unione Europea ha le sue responsabilità nella crisi: la linea dura tenuta in vista del Vertice di Vilnius, soprattutto sul caso-Tymoshenko, ha finito per alienare Kiev, a favore di Mosca. Il no ucraino alla firma dell'Accordo di associazione all'Ue rappresenta un duro colpo sia al progetto dell'Europa classica dei padri fondatori, che si immaginavano il superamento dei nazionalismi, sia alla prospettiva di radicare il limes europeo fin nel cuore della culla nazionale russa.

È il trionfo di Putin, che ha alternato sapientemente la minaccia di un taglio alle forniture energetiche e la promessa di aiuti finanziari, avendo la meglio sugli aridi ultimatum di Bruxelles. La leva energetica non è stata l'unico strumento usato dal Cremlino, che ha condotto con alterne fortune delle vere e proprie guerre alimentari contro i prodotti dei paesi del suo Estero vicino, Ucraina compresa.

Le sciabole dello zar: cos'è l'Ucraina per Putin di Lucio Caracciolo

Non solo Ucraina: il disastro storico dell'Ue al vertice Vilnius di Stefano Grazioli

La Russia si riprende la Crimea di Giorgio Cuscito

Lenin, l'Ucraina contro la Russia e la scelta dell'Europa di Lucio Caracciolo

La Russia batte l'Unione Europea e si riprende l'Ucraina di Stefano Grazioli

Il ricatto di Mosca che tiene Kiev fuori dall'Ue di Lucio Caracciolo

La guerra a tavola: l'embargo della Russia sui prodotti alimentari dei vicini di Cecilia Tosi

[Carta di Laura Canali - per ingrandire clicca qui]

Energia

Nella battaglia per l'Ucraina, il capitolo energetico è cruciale. Basti pensare alle manovre del presidente Yanukovich per smarcarsi dalla morsa russa riformando il settore e tentando di diversificare le fonti di approvvigionamento. Ne è un esempio l'interessamento di Kiev verso l'interconnettore Agri, infrastruttura che, tagliando il Mar Nero, potrebbe aprire un nuovo corridoio tra il Caucaso e i mercati europei. Ma l'indipendenza energetica per l'Ucraina rimarrà un miraggio.

In Ucraina si gioca la partita energetica tra Russia e Ue di Lorenzo Colantoni

Agri, la chiave energetica dell'Europa contro la Russia di Fabio Indeo

Kiev sogna l'indipendenza energetica ma rischia un brusco risveglio di Stefano Grazioli

[Carta di Laura Canali - per ingrandire clicca qui]

Russia-Vaticano

La crisi in Ucraina può influenzare anche i rapporti fra la Russia e il Vaticano: rischia infatti di compromettere l'intesa fra Vladimir Putin e papa Francesco, mettendo a nudo la distanza che separa Santa Sede e Cremlino rispetto al destino di un paese storicamente permeato da cattolicesimo e ortodossia. Nell'angelus di domenica 2 marzo, il pontefice ha rivolto un appello alla comunità internazionale, chiedendole di sostenere ogni iniziativa a favore del dialogo e della concordia.

Il fuoco di Kiev separa Putin e papa Francesco di Piero Schiavazzi

Da - http://temi.repubblica.it/limes/gli-scontri-a-kiev-e-la-battaglia-per-lucraina-nel-contesto/58230
« Ultima modifica: Marzo 26, 2014, 11:44:08 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #7 inserito:: Marzo 10, 2014, 06:27:08 pm »

LA CRISI

Ucraina, parla l’Europa. Van Rompuy: «Illegale il referendum in Crimea»
Alla Farnesina incontro informale tra i principali paesi Ue per stabilire una linea comune.
Bloccati osservatori Osce diretti in Crimea

di Redazione Online

La convocazione del referendum in Crimea è «illegale». Lo dice il presidente Ue Herman Van Rompuy. Il presidente ha sottolineato che la Russia deve cominciare negoziati «nei prossimi giorni» e ci devono essere «risultati» in mancanza dei quali l’Unione Europea è pronta a comminare sanzioni come divieto di viaggio, congelamento dei beni e cancellazione dei rapporti. La medesima posizione è stata fatta proprio anche dagli Stati Uniti. Subito dopo la Verkhovna Rada (il parlamento ucraino) ha deciso di iniziare l’iter per sciogliere il parlamento della Crimea, che ha fissato per il 16 marzo il referendum illegale.

Diplomazia in campo
In ogni caso la diplomazia sull’asse fra Europa e Stati Uniti è pienamente in campo per la questione ucraina. Si è tenuto a Roma un nuovo incontro tra il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov e il segretario di Stato Usa John Kerry , dopo quello di mercoledì a Parigi. Gli Usa hanno deciso di imporre nuove sanzioni alla Russia, come comunicato dalla Casa Bianca, sottolineando che il Dipartimento di Stato imporrà restrizioni sui visti a funzionari e singoli, che si vanno ad aggiungere al diniego dei visti chi è coinvolto nell’abuso dei diritti umani in seguito all’oppressione politica in Ucraina. Le sanzioni varate dagli Usa contro alcuni esponenti dell’amministrazione russa «accrescono la pressione e non sono costruttive» ha successivamente sottolineato Lavrov, dopo l’incontro con Kerry. Russia e Usa «non hanno ancora raggiunto una comprensione reciproca definitiva sull’Ucraina»: ha aggiunto il capo della diplomazia russa . «Per ora non possiamo annunciare alla comunità internazionale che abbiamo trovato un accordo», ha concluso Lavrov Russia e Usa «non hanno ancora raggiunto una comprensione reciproca definitiva sull’Ucraina»: lo ha detto il capo della diplomazia russa a Roma, citato dalle agenzie russe. «Per ora non possiamo annunciare alla comunità internazionale che abbiamo trovato un accordo», ha aggiunto. Intanto l’Ue ha ufficialmente congelato i beni del deposto presidente ucraino Viktor Yanukovich e di altre 17 personalità legate alla leadership ucraina esautorata nei giorni scorsi dalla piazza. Tra queste, anche il figlio di Yanukovich, Aleksandr. Gli Usa hanno invece deciso di imporre nuove sanzioni alla Russia. Lo comunica la Casa Bianca, sottolineando che il Dipartimento di Stato imporrà restrizioni sui visti a funzionari e singoli, che si vanno ad aggiungere al diniego dei visti chi è coinvolto nell’abuso dei diritti umani in seguito all’oppressione politica in Ucraina.

Il referendum
Intanto la questione che tiene banco è proprio quella del referendum sull’autonomia della Crimea, in programma per il 16 marzo. La consultazione servirà per chiedere ai cittadini residenti nella penisola, che sono a maggioranza russa, se vogliono restare all’interno dei confini dell’Ucraina oppure entrare a far parte della galassia di Mosca.Il Cremlino è stato informato della notizia. La situazione nella regione resta tesa: sono stati bloccati ad un check point gli osservatori dell’Osce che giovedì cercavano di raggiungere la Crimea: l’agenzia Ansa precisa che l’episodio è avvenuto vicino al confine meridionale della penisola, non lontano da Kherson. Mercoledì aveva avuto problemi con i pro-russi, l’inviato dell’Onu a Simferopoli.

Draghi
I rischi geopolitici legati alla crisi in Ucraina «sono notevoli e potrebbero generare conseguenze imprevedibili» ha detto il presidente della Bce Mario Draghi, dopo aver affermato che tecnicamente l’Eurozona non è troppo esposta all’Ucraina, con bassi rischi di contagio.

Il consiglio a Bruxelles
Intanto il premier italiano Matteo Renzi è a Bruxelles per un Consiglio dei Ministri straordinario, con lo scopo di discutere gli aiuti economici e finanziari stanziati per l’Ucraina per i prossimi due anni, e la possibilità di sanzioni da parte dell’Europa contro la Russia.

Porte chiuse all’Onu
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite torna invece a riunirsi oggi a porte chiuse per discutere della crisi ucraina. I rappresentanti dei 15 paesi membri si incontreranno per la quarta riunione celebrata da venerdì scorso.

Sul campo
A Donetsk intanto servizi segreti ucraini (Sbu) hanno arrestato Pavel Gubarev, l’autoproclamato governatore filorusso di Donetsk, nella russofona Ucraina orientale.

Uomini armati invece hanno occupato la stazione di trasmissione radio e tv di Simferopoli, in Crimea

6 marzo 2014 | 11:01
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Da - http://www.corriere.it/esteri/14_marzo_06/ucraina-diplomazia-lavoro-consiglio-ue-vertice-onu-8d432028-a511-11e3-8a4e-10b18d687a95.shtml
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« Risposta #8 inserito:: Marzo 23, 2014, 05:17:05 pm »

Editoriali
20/03/2014

Nella sfida con Putin nostalgia del Novecento
Cesare Martinetti

C’è qualcosa che non torna in questo sferragliare incrociato tra Mosca e la coppia Usa-Ue. Si torna a parole e gesti antichi. Nostalgia del Novecento: c’è lavoro per gli psicanalisti, non solo per gli analisti di geopolitica. Vladimir Putin spalanca le porte d’oro del salone di San Giorgio al Cremlino per la riesumazione di quello che una volta si chiamava Soviet Supremo.

Con le lacrime agli occhi e scandendo tonanti «urrah», i rappresentanti del popolo russo salutano l’annuncio dell’annessione della Crimea. In quegli stessi momenti il vice presidente Usa Joe Biden dalla vicina Varsavia annuncia manovre militari sul Baltico e prometteva agli alleati: «Non vi abbandoneremo». 

La storia riprende il suo corso, potrebbe dire lo storico Francis Fukuyama che ne aveva teorizzato la fine alla caduta del muro Berlino. Ogni cosa è illuminata, per citare un libro che qualche anno fa ha rievocato gli orrori della storia di quei luoghi: i milioni di morti per le carestie provocate dal potere sovietico nei primi anni del regime, le deportazioni staliniane, i pogrom antisemiti, le scorrerie dei cosacchi, l’invasione nazista che fa dire al protagonista di un racconto di Vasilj Grossman appena ripubblicato da Adelphi («Il bene sia con voi»): «Siate felici, orgogliosi, contenti di non essere ebrei. Non è odio, è aritmetica della ferocia».

Ma è proprio perché sotto ogni sasso che si tocca sulla terra nera d’Ucraina si apre un abisso, c’è qualcosa che non torna in questo rilancio retorico e propagandistico di noi contro loro, qualcosa di forzato nella riduzione alla dimensione binaria delle relazioni internazionali nel mondo disarticolato e globalizzato di oggi. C’è qualcosa di antistorico nell’immagine della mano destra di Vitaly Churkin, ambasciatore russo all’Onu, che si alza solitaria ad esprimere il veto alla risoluzione che condanna Mosca.

Ma davvero qualcuno in occidente pensava che la confusa e ambigua rivolta di Kiev potesse traghettare quel carico doloroso di storia che si chiama Ucraina nella Ue o addirittura nella Nato senza una reazione del Cremlino? Che senso ha appellarsi ai formalismi dei vecchi impegni per affermare apoditticamente che la Crimea è parte integrante dell’Ucraina e da essa non può essere divisa? Nella penisola dove i capi dei partiti comunisti di tutto il mondo sono andati per anni a trascorrere le vacanze estive ospiti delle dacie del Pcus e dove Togliatti scrisse il suo enigmatico memoriale classificato nella storia del Pci come la teorizzazione della «via italiana», ha sede la Flotta del Mar Nero. Il «cuore» della Marina russa, ha detto ieri Putin, intendendo per russo qualche secolo di storia, dagli zar a oggi passando per l’Urss. 
 
Ecco, si può variamente fantasticare su chi avesse bevuto più vodka tra Kruscev, quando nel 1954 «regalò» a Kiev la Crimea, e Eltsin che nel ’91, al momento di cospirare la fine dell’Urss con il bielorusso Sushkevic lasciò all’ucraino Kravciuk la penisola dal dolce clima mediterraneo. Ma nessuno poteva certo dubitare che Vladimir Vladimirovic Putin avrebbe alzato il pugno. E non tanto per l’ideologia imperiale e nostalgica che – a ragione – gli viene attribuita. Ma per semplice funzionalità strumentale e simbolica del suo apparato statale. Per realismo politico. Quel realismo che sembra mancare del tutto agli occidentali.

La battaglia propagandistica sulla nuova «guerra fredda» condotta da Usa e Ue e da essi attribuita a Mosca nasconde un desiderio di riesumare il vecchio confronto (e qui sta l’aspetto psicanalitico della faccenda) di cui davvero non si capisce né la ragione né l’obiettivo. Ci siamo mai preoccupati dei ceceni massacrati da anni e anni di guerra? No e abbiamo pure integrato l’equazione tutta putiniana Cecenia uguale terrorismo. Il vecchio Kissinger ha vanamente ammonito sulla specialità geopolitica del territorio chiamato Ucraina (Crimea compresa) e sulla necessità di maneggiare con delicatezza un futuro che potrebbe essere al massimo «finlandese».

Vladimir Putin non ha bisogno della propaganda occidentale per solleticare il nazionalismo russo. La messinscena imperiale di martedì al Cremlino, tra sbattere di tacchi dei soldati, aquile imperiali e l’inno russo-sovietico, ne è la dimostrazione. Da qualche giorno alle pur modeste manifestazioni in favore dell’Ucraina libera si sono contrapposti gruppi di giovani vestiti con giacche a vento rosse con striscioni che dicevano: noi crediamo in Putin. Segni apparentemente marginali ma significativi che il Cremlino non sottovaluta la necessità di un confronto anche fisico nelle strade di Mosca. Che idea abbia del dissenso l’uomo del Cremlino lo dimostrano i dieci anni passati al confino siberiano (chiamatelo pure Gulag) dal petroliere visionario Mikhail Khodorkovskij (un vero antagonista politico per Putin) e la doccia scozzese di inchieste penali che subisce il ben più fragile blogger Alekseij Navalny, opportunamente messo in questi giorni agli arresti domiciliari.

Imprigionato dai suoi fantasmi e paralizzato dai conflitti di interesse (import-export e naturalmente a dipendenza energetica) l’occidente ai toni da guerra fredda accompagnati dal rilancio del ruolo della Nato ha partorito sanzioni che lo sbrigativo capo del Cremlino ha definito «ridicole». Davvero qualcuno da queste parti è in grado di rinunciare al multiforme business con la Russia per il principio di intangibilità dei confini ucraini? O per il destino di una penisola dove il 60 per cento degli abitanti è russo e il 90 per cento dei votanti al referendum di domenica vuole tornare in Russia? Dopo aver vinto cinicamente la partita siriana ed essersi affermato come leader credibile in Medioriente (il «Jerusalem post» ha sottolineato la sua «audacia» contrapposta alle «esitazioni» di Obama) Vladimir Putin rischia di guadagnare punti anche nella battaglia ucraina. Al «Kievskij vozkal» di Mosca, la stazione dove arrivano i treni da Kiev, c’è sempre la gigantesca statua di Lenin ad accogliere i viaggiatori in un abbraccio fraterno, per quanto mortale. A Bruxelles nessuno era preparato ad accogliere i profughi di piazza Majdan. Bisogna dar loro una ragione per crederci.

Da - http://lastampa.it/2014/03/20/cultura/opinioni/editoriali/nella-sfida-con-putin-nostalgia-del-novecento-aj8gKRM2SbDfbcSm8ZJeSK/pagina.html
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« Risposta #9 inserito:: Marzo 26, 2014, 11:42:06 pm »

Ucraina, Obama a Putin: "Se sbaglia, conseguenze gravi".
Berlusconi: "Avventata esclusione Russia da G8"

LIVEBLOG / Il presidente Usa all'Aja si dice preoccupato per la situazione sul terreno. In caso di aggressione russa a paesi vicini: "Prepariamo piani di emergenza per difesa alleati". Ieri la decisione dei 7 Grandi di sospendere la Russia e cancellare il vertice di Sochi. Mosca: "Pronti a mantenere contatti con G8". Polemica per telefonata della Tymoshenko: "Sparare sui russi". Ma ex premier smentisce: "Voce manipolata"
25 marzo 2014
   
MOSCA - "Se la Russia va avanti, ci saranno conseguenze" e se i Paesi confinanti alla Russia saranno minacciati nella loro integrità territoriale, "gli alleati della Nato obbediranno al principio della difesa collettiva e li difenderanno". Il presidente Usa non nasconde la preoccupazione per la crisi in Ucraina e avverte: "Ci stiamo organizzando in modo ancora più intenso per fare in modo che ci siano piani di emergenza e tutti gli alleati abbiano delle garanzie. Agiremo in loro difesa qualunque cosa accada: questa è la Nato". Parlando in conferenza stampa all'Aja, Barack Obama ha sottolineato che è "disonesto dire che c'è una soluzione semplice alla crisi. Con le sanzioni economiche che potremo decidere se non ci sarà una 'de-escalation' cerchiamo di essere sicuri che tutto questo per la Russia avrà un costo". Nuove sanzioni "settoriali" (simili a quelle che hanno colpito le banche russe e le carte di credito dei loro clienti) saranno adottate nel caso Putin "decida di fare scelte sbagliate".

L'esclusione della Russia dal consesso dei grandi - la battuta di Obama all'Aja: "È una potenza regionale" è velenosamente mirata proprio al culto della personalità del suo leader - decisa ieri con la sospensione degli incontri a livello G8, è stata salutata con moderazione da Mosca che si dice sempre "interessata a mantenere contatti ai massimi livelli con gli altri paesi del G8". E non a caso usa la sigla del G8, un consesso nel quale Mosca è interessata a rimanere, e dal quale gli altri non vorrebbero che uscisse. Come si legge nelle conclusioni del vertice di ieri: "Per il momento manterremo la sospensione, ma nel lungo termine vorremmo che la Russia facesse parte del gruppo". Un canale diplomatico da mantenere aperto a tutti i costi, come ha sottolineato anche il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini.

Lo stesso Obama ha riconosciuto che i calcoli di Putin non si sono conclusi, e che dunque sull'annessione della Crimea i giochi non sono ancora conclusi. "Sarebbe disonesto però dire che esiste una via facile".

Berlusconi difende Putin: "Avventata esclusione da G8". Contro l'ipotesi di tenere fuori la Russia dal numero dei grandi è sceso in campo Silvio Berlusconi che, in una nota, definisce "avventata e antistorica" la decisione dei leader riuniti all'Aja: "Trovo antistorica e controproducente la decisione dei leader riuniti a all'Aja di escludere la federazione russa dal G8 di ieri. Questo contraddice il lungo e ponderoso lavoro diplomatico portato avanti dall'Italia e dai governi da me presieduti per includere a pieno titolo la Russia nel consesso delle democrazie occidentali". L'ex premier rivendica, poi, il suo ruolo: "Sono stato io, infatti, nel '94 a invitare per primo il presidente Eltsin al G7 di Napoli e nel 2001 a trasformare il G7 in G8 con il presidente Putin a Genova. E ancora nel 2002 a volere e a concludere l'alleanza strategica tra la Nato e la Russia celebrata al vertice di pratica di mare. Trovo davvero avventate e lontane da questo spirito costruttivo - conclude Berlusconi - tutte le decisioni prese in queste ore dalle diplomazie occidentali".
 
Polemica per la telefonata della Tymoshenko. E sta nascendo un caso politico per una presunta telefonata della ex premier ucraina Yulia Tymoshenko, intercettata e diffusa dai media russi: "Bisogna prendere le armi e spazzare via questi maledetti katsap insieme al loro leader", si sente nell'audio.

Katsap è il termine dispregiativo con cui gli ucraini chiamano i russi. La registrazione risalirebbe al 18 marzo scorso e la conversazione è fra la Tymoshenko e il parlamentare Nestor Shufrych, suo amico di vecchia data. Shufrych le chiede come gestire in futuro gli otto milioni di russi che si trovano in Ucraina e Tymoshenko risponde: "Spariamogli con le armi nucleari". La ex leader della rivoluzione arancione ha confermato l'autenticità del nastro, ma ha detto che è stato montato ad arte e manipolato. Due deputati comunisti russi hanno chiesto al comitato investigativo di verificare se la telefonata contenga gli estremi del reato di istigazione all'odio inter-etnico. Nel caso, sollecitano l'apertura di un'inchiesta. Il reato in questione, che secondo il codice deve essere però commesso in pubblico o a mezzo stampa, è punito sino a 6 anni di reclusione.

Si dimette ministro Difesa ucraino. Il Parlamento ucraino ha approvato le dimissioni del ministro della Difesa Igor Tenyukh, dopo che l'esercito di Kiev ha subito l'umiliazione del ritiro delle truppe dalla Crimea, con accuse ai vertici di Kiev di indecisione e confusione. Tenyukh aveva presentato le sue dimissioni in diretta televisiva e 228 deputati sui 450 della Verkhovna Rada le hanno approvate

da - http://www.repubblica.it/esteri/2014/03/25/news/crisi_ucraina_russia_g7_g8_obama_putin-81815257/?ref=HRER3-1
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