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Autore Discussione: Concita DE GREGORIO  (Letto 87250 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Agosto 29, 2011, 10:49:12 am »

L'INCHIESTA

La P3, la P4 e quei milioni regalati la pista del denaro porta al Cavaliere

Sei procure, sei filoni d'indagine, migliaia di pagine agli atti.

Tutte le inchieste che negli ultimi mesi hanno intrecciato il mondo della politica hanno un filo conduttore comune. Fatto di bonifici, assegni e faccendieri 

di CONCITA DE GREGORIO

La P3, la P4 e quei milioni regalati la pista del denaro porta al Cavaliere Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi
QUELLO CHE abbiamo smesso di chiederci è perché, per conto di chi. Assuefatti all'omeopatico dilagare della corruzione che ha trasformato l'Italia nel paese del "che male c'è, così fan tutti", tutti colpevoli nessun colpevole, scivoliamo distratti sui resoconti di giornata dei giornali, tanto si sa come va il mondo.

Sei Procure, sei filoni di indagine, migliaia e migliaia di pagine agli atti. Berlusconi ha regalato a Dell'Utri dieci milioni di euro? Un uomo generoso, beato lui che ce li ha. Angelucci ha estinto il mutuo da otto milioni di Denis Verdini? Ah. Walter Lavitola, curatore testamentario della un tempo gloriosa testata L'Avanti! paga uno stipendio mensile al procacciatore di protesi e di prostitute Tarantini, rimborsato dal presidente del Consiglio? Era prevedibile, Tarantini del resto ("le donne e la cocaina favoriscono gli affari", un maestro del pensiero) in qualche modo doveva essere messo in salvo. Meglio soldi che un seggio in parlamento, in fondo.

Fu Verdini ad avvisare Caldoro, allora candidato alla presidenza dalla regione Campania, che c'era un dossier "tipo Marrazzo" sul suo conto? Gentile. Del resto fu Berlusconi in persona ad avvisare Marrazzo. Voleva aiutarlo, certo. Un gruppo di faccendieri scambia le sorti politiche di Cosentino con la legge sull'età pensionabile dei giudici. Normale. Si attiva per far pagare alla Mondadori solo il 5 per cento di quel che deve alla Agenzia delle entrate? Gianni Letta segue la vicenda di persona? Vabbè, se è per pagare di meno, chi non lo farebbe, potendo.

Ecco, bisognerebbe ritrovare lo stupore, almeno. Se non l'indignazione la consapevolezza dell'enormità di ciascuna di queste notizie. Ricominciare a chiedersi: ma perché? Per conto di chi? Il Grande Corruttore ha comprato ogni cosa, persone e beni, ha disinnescato alla fine l'unica arma per lui davvero letale: l'intelligenza, la capacità di ciascuno degli italiani di darsi risposte in proprio, senza delegare.

Eppure non è difficile, basterebbe riportare tutto alla dimensione propria e ragionare sui soldi. Come se fossero i nostri, i vostri. Può una persona che guadagna 4000 euro al mese, come dice di sé uno degli indagati P3, spenderne 1000 per invitare ogni giovedì a cena degli amici? Non può, voi non potreste.

Dunque chi lo ripaga, per conto di chi lo fa, e perché? Quando qualcuno vorrà scrivere finalmente in chiaro la storia di come affondò nel pantano da lui stesso progettato l'impero di Silvio B. dovrà raccontare non di donne e di magio e, il collante del ricatto che tutti ammutolisce. Vediamo.

I PRESTITI INFRUTTIFERI
Vuol dire regalo. Non rendono niente, soldi a perdere. Abbiamo qui, venti pagine di relazione della GdF, la relazione sui soldi regalati negli ultimi tre anni da Berlusconi a Dell'Utri. Dieci milioni in tre parti: il 22 maggio 2008 attraverso il Monte dei Paschi, filiale di Segrate (la stessa che stipendiava le Olgettine), febbraio e marzo 2011 su Banca Intesa. Coprono uno scoperto di oltre 3 milioni di euro di Dell'Utri, e sette avanzano.

A cosa servono quei soldi? Perché il presidente del consiglio in carica finanzia con una somma così ingente un suo vecchio amico, certo, un uomo che in questo momento non ha altri incarichi se non la presidenza dei Circoli del Buon Governo, ironia delle parole, oltre ad una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa? Il procuratore Giancarlo Capaldo ha chiesto lo stralcio di questa parte dell'inchiesta P3. Il resto andrà a giudizio a metà ottobre, sui bonifici si continuerà ad indagare. Capaldo si è chiesto perché, in definitiva.

Si deve lavorare ancora per spiegare perché, in cambio di cosa Berlusconi paga l'uomo che gli presentò lo stalliere Mangano. Immaginarlo, indovinarlo non basta a certificare che si tratta di un compenso. Nel faldone bonifici c'è un'altra vicenda per lo meno curiosa: villa Gucci a Firenze, comprata da Denis Verdini per 8 milioni di euro - che non aveva - e in effetti pagata in tre rate dal re delle cliniche private Angelucci, denaro transitato da una società Lussemburghese sulla filiale Roma 5 del banco di Brescia.

Perché Angelucci paga i debiti di Verdini? Non basta accertare il passaggio di denaro, bisogna "chiarire senza equivoci la natura dello scambio". In questo caso, lo scambio tra due uomini che si sono fatti da soli, proprio come il Principale. Un ex portantino del San Camillo il primo, il titolare di una macelleria divenuto presidente di banca, Credito cooperativo fiorentino, il secondo.

Un miglioramento di status, quello di Verdini, che si riverbera anche nella natura dei reati che negli anni, una ventina di procedimenti, gli sono stati contestati. Dallo stupro alla concussione, che è più elegante. Chissà quanti bei ricordi di gioventù, con l'ex barelliere Angelucci, tra un passaggio di milioni e un altro. E comunque perché corrono questi denari e favori? Nell'interesse di chi?

I LUOGOTENENTI
C'è qualcuno che comanda, qualcuno che esegue gli ordini o addirittura li indovina, addestrato a prevenire i desideri. La storia del Grande Corruttore passa per le vicende dei suoi uomini, quelli che si sporcano le mani e qualche volta le lasciano in pasta, il sentimento di impunità e di onnipotenza essendo lo spirito del tempo. Le inchieste di questa stagione passano di qui, conviene conoscerli.

Sono, dirà la storia, tre modesti faccendieri. Quello di Berlusconi si chiama Denis Verdini, era in principio un macellaio di Fivizzano, divenne infine il dominus della sorte politica del suo signore per via dei denari, ovviamente: aveva una banca, teneva i cordoni della borsa e le fila dei moltissimi famigli e questuanti, dei finanziatori venuti da lontano, dalle epoche sepolte del craxismo degli esordi, delle massonerie degli affari, dei faccendieri piduisti da cui tutta questa storia trae origine.

Poi c'è Luigi Bisignani, in stretti rapporti con Gianni Letta: era un ragazzino all'epoca di Licio Gelli, è un crocevia degli affari trent'anni dopo.

Il luogotenente di Tremonti è Marco Milanese, irpino di Cervinara, una laurea assai tardiva, ombra silenziosa e avida del ministro dell'economia.

Le sei inchieste che nel 2011 minano come cariche di tritolo l'edificio già pericolante del Sistema si occupano di loro: i lobbisti a capo di una corte di figurine minori - Fofò, Mimì, Gegè, magistrati e presidenti, imprenditori e aspiranti scudieri - che parlando stretto dialetti di diversi entroterra si riuniscono indifferentemente tra gli stucchi di palazzo Pecci Blunt o sotto una tettoia di un'area di servizio autostradale, fanno a gara ad acquisire credenziali presso "Cesare", lo chiamano così, l'imperatore che tutto muove, per passare poi all'incasso.

Premono sulle corti di giustizia per favorire il lodo Alfano, dunque la di lui impunità; facilitano la nomina di un magistrato amico; fabbricano dossier su un candidato nemico, governano miliardi di appalti pubblici, si regalano barche, macchine e ville, se il mutuo è scoperto arriva presto un imprenditore in debito di gratitudine ad estinguerlo.

Sei inchieste: Milano, Monza, Firenze, Perugia, Napoli, Roma. E sullo sfondo la guerra per la successione: Gianni Letta e Giulio Tremonti, gli eredi naturali, si contendono da mesi, in verità da anni, l'eredità del berlusconismo. Letta è l'Andreotti del Duemila. Ecumenico, trasversale, amico di tutti, destra e sinistra, mediatore congenito fin dal tono di voce. Tremonti è l'uomo del Nord, pratico, antipatico, sodale della Lega di Bossi, la foglia di fico efficiente - a suo modo - in un governo di ventriloqui di modesta competenza. L'uomo dei conti.

E' dunque la storia, questa, della guerra fra Letta e Tremonti: una battaglia che oggi, estate 2011, li vede entrambi in ginocchio, azzoppati dalle inchieste in procinto di andare a dama. Fra settembre e ottobre le procure depositeranno le richieste di rinvio a giudizio dei loro uomini. Il pallino torna nelle mani di Silvio B., Cesare ormai diffidente di entrambi, mentre l'impero costruito negli anni Ottanta sul mattone e poi sulle tv, diventato infine politica allo scopo di mantenere intatte ricchezze e privilegi, tutto intorno si sfarina.

GLI ASSEGNI
La storia è scritta in un vortice di assegni e bonifici firmati da Berlusconi nell'arco di trent'anni. Il primo riemerge dalle nebbie degli esordi, è nelle mani dell'avvocato Stefano Gullo da Agrigento, classe 1923, biografia che incrocia quella di Sindona negli anni della P2. Gullo prestò, allora, un miliardo di lire a Flavio Carboni e Silvio Berlusconi ottenendo in cambio come garanzia assegni da non incassare. Non ha recuperato che 200 milioni, oggi reclama il resto esibendo - appunto - gli assegni firmati Berlusconi. Gli ultimi sono i bonifici di Berlusconi a Dell'Utri di cui si diceva. Prestiti infruttiferi.

Le carte sono agli atti, le fotocopie degli assegni e gli estratti conto in uno dei faldoni sulla scrivania del procuratore Giancarlo Capaldo. P4, P5, P55. Potremo andare avanti all'infinito ma la storia è sempre la stessa. Il sistema è quello, e non è neppure nuovo. Ricordate Evangelisti, "a Frà che te serve?". Era così ai tempi di Andreotti, che del resto è ancora assai presente sulla scena, è così oggi. Solo: a beneficio di un uomo solo.

Possiamo chiamarla P5 o P55 ma per capire il senso della sigla bisogna risalire alla P2, in fondo anche Licio Gelli era un impiegato della Permaflex, Berlusconi allora un giovane affiliato alla Loggia. "Dovrebbero pagarmi i diritti d'autore", disse Gelli anni fa a proposito di Berlusconi e Cicchitto. Più di recente, dei nuovi faccendieri sulla scena: "Dilettanti".

Anche Berlusconi ha detto di loro "pensionati sfigati". Della sfortuna si può discutere, che siano pensionati è una menzogna. Flavio Carboni, signore di Sardegna, viene direttamente dagli anni di Andreotti e di Sindona, crocevia di morti sparizioni e misteri. Arcangelo Martino, socialista napoletano, viene dagli anni craxiani del Raphael. Fu proprio al Raphael, racconta, che presentò negli anni Ottanta a Berlusconi il suo collaboratore Elio Letizia, presente Craxi. Elio Letizia, padre di Noemi. Ricordate cosa disse Berlusconi il primo giorno? "E' la figlia dell'autista di Craxi". Non proprio l'autista, qualcosa del genere.

I soldi, di nuovo - non le donne - sono la pista. I soldi e gli affari. Soldi di antica origine, debiti e sodalizi vecchi di decenni. Le radici alle origini. I frutti, poi, sono i Tarantini di Puglia, gli imprenditori sardi dell'eolico, gli Anemone dei grandi appalti e delle case ad altrui insaputa. E' come se sulla scena delle inchieste, oggi, ci fossero la prima e la terza generazione di affaristi. I "pensionati" della Prima repubblica e i giovani affaristi rampanti dell'ultima. Un passo indietro, nell'ombra, la generazione di mezzo quella delle grandi fortune: il ragazzo sveglio di allora, anziano Cesare oggi.

UNA SOLA STORIA
Il "sistema gelatinoso" dei grandi appalti, la fabbrica del fango della P3, le pressioni sui magistrati e sulla Guardia di Finanza della P4: è una sola unica storia, la storia della corruzione eletta a sistema. Quando Caldoro dice: "Mi convocò Verdini alla Camera, mi disse che c'erano storie di sesso sul mio conto. Mi disse che si sentiva in dovere di informare Berlusconi" siamo tutti in grado di leggere il sottotesto di queste parole.

Perché, in favore di chi? E quando si incontrano poi a casa Verdini per definire la candidatura di Arcibaldo Miller, l'interessato presente, Dell'Utri e Carboni. Per conto di chi? In un interrogatorio di sette ore Verdini è chiamato a dar conto di 2 milioni e 600 mila euro transitati dalla sua banca, in seguito oggetto di un'ispezione della Banca d'Italia che ne denuncia le molte irregolarità e la condanna a pagare una multa. Soldi che arrivavano da un imprenditore romagnolo dell'eolico, Fabio Porcellini. E finivano dove? "A finanziare il Giornale", risponde Verdini. Il Giornale di Paolo Berlusconi, edizione Toscana. E perché un imprenditore dell'eolico con interessi in Sardegna, regione guidata dall'amico Cappellacci, dovrebbe pagare i debiti del Giornale. Per favorire chi, oltre a se stesso?

NELL'OMBRA
Dice Arcangelo Martino di Pasquale Lombardi, il socialista e il democristiano campani protagonisti dell'inchiesta P3: "Lombardi aveva rapporti con Gianni Letta, più volte ho sentito le loro telefonate. Disse che stava aggiustando la faccenda Mondadori perché fosse trasferita alle sezioni unite della Corte". I nomi di Letta e di Tremonti - nelle 66mila pagine di un'inchiesta, le 80mila di un'altra - compaiono così, interlocutori invisibili all'altro capo del telefono. Beneficiari sedicenti inconsapevoli di appartamenti di gran lusso, mandanti mai espliciti.

Cesare è il convitato di pietra. Quando in una nota in calce a uno dei fascicoli resta l'appunto dei Carabinieri - "Cesare è il nome in codice che gli interlocutori telefonici danno a Silvio Berlusconi" - succede la fine del mondo. Per il metodo, non per il merito. Formalmente quella postilla doveva essere secretata, è rimasta per errore.

Leggiamo dagli atti. La cricca si attiva per la riammissione della lista Formigoni in Lombardia, per il dossier sul Caldoro che intralciava Cosentino in Campania, per la nomina di Alfonso Marra e il tentativo di candidatura di Arcibaldo Miller, questi ultimi magistrati perché le carte pullulano di giudici non ascrivibili alle toghe rosse, al contrario, giudici amici e compiacenti che volentieri partecipano a convegni 'all inclusive' nei più esclusivi resort della penisola, paga Carboni, paga il presidente della regione Cappellacci. Perché, nell'interesse di chi? Chi è l'utilizzatore finale?

CADUTI SUL CAMPO
Il primo a cadere, tra gli uomini di Gianni Letta è Guido Bertolaso, inviso assai a Tremonti. Il sistema gelatinoso degli appalti, il G8 e i mondiali di nuoto, Balducci, Anemone, De Santis, Della Giovanpaola, il procuratore Achille Toro, le aragoste per pranzo e l'eolico per cena, i centri benessere e gli evviva la notte del terremoto. Bertolaso declina.

Tremonti gioisce, ma subito l'inchiesta Finmeccanica - false fatturazioni, fondi neri - in un filone secondario, Eurotec, porta in luce la strana storia del suo consigliere Milanese. Questa è la vicenda di una barca ma sullo sfondo c'è un giro vorticoso di benefici galattici, di regali stellari, una vita vissuta nello sfarzo supremo mentre il paese intero si accinge a metter mano al portafogli per risanare la voragine del debito in cui è precipitato. Il ministro dell'Economia chiede enormi sacrifici agli italiani e il suo braccio destro veleggia di regalo in privilegio.

Lui stesso, il ministro, abita un appartamento da Milanese procurato. L'inchiesta, a parte i Rolex, parla di tre milioni e mezzo di tangenti per assicurarsi appalti assai più redditizi. Letta assesta un colpo alla Rai morente - perché, nell'interesse di chi? - piazza la cattolicissima Lorenza Lei alla direzione generale piuttosto che il candidato di Tremonti, Angelo Petroni. Subito Bisignani, uomo di fiducia di Letta a Palazzo Chigi, già lobbista ai tempi del tangentone Enimont e delle vicende Ior-Vaticano, finisce nell'inchiesta napoletana P4, altro giro di corruzione altre pressioni altri regali.

Il 2 agosto l'aula di Montecitorio autorizza l'acquisizione degli atti su Milanese (corruzione, associazione a delinquere, favoreggiamento) e non per Verdini su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per tentato abuso d'ufficio nella ricostruzione dell'Aquila. Un colpo a Tremonti, senz'altro: Verdini salvo, Milanese no.

Il 3 agosto Capaldo lascia l'inchiesta Enav-Finmeccanica per la storia del pranzo con Tremonti e Milanese , il 4 chiude le indagini sulla P3 e stralcia la posizione Berlusconi-Dell'Utri quanto ai bonifici di cui sappiamo. Su quelli si indagherà ancora. Intorno a Ferragosto emerge che Tarantini, il procacciatore di prostitute pugliese, è pagato un tanto al mese da Walter Lavitola, direttore de l'Avanti!, a sua volta rimborsato da Berlusconi. Per cosa? "Per generosità, perché Tarantini era disperato", risponde Cesare.

Lavitola, attivissimo nel procurare documenti sul caso appartamento di Montecarlo-Gianfranco Fini nei giorni della rottura politica tra i due fondatori del Pdl, conferma che si tratta di beneficienza. "Un uomo disperato", Tarantini. I molti disperati d'Italia sanno ora a chi rivolgersi. A patto di avere qualcosa da offrire in cambio, è ovvio. "La generosità di per sé non è un reato, bisogna certificare con precisione in cosa consiste il do ut des". Immaginarlo non basta. Un assegno, un bonifico, un prestito infruttifero. Cesare paga, in questo scorcio di fine epoca. Generosamente, "disinteressatamente".

Peccato per la concomitanza con la manovra, che gli italiani pure pagheranno un conto. Che sappiano almeno con esattezza per coprire cosa, per salvare chi. Il pantano è un pozzo senza fondo, non basteranno pochi miliardi a risanarlo. Il Grande Corruttore sarà al sicuro fino al minuto esatto in cui non cominceremo tutti a chiederci perché, a favore di chi. Senza lasciare alla magistratura la supplenza, che prima del reato c'è il delitto politico. La responsabilità morale e materiale dello scempio.

(29 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/29/news/denaro_berlusconi-20987420/?ref=HREA-1
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« Risposta #61 inserito:: Settembre 01, 2011, 08:39:57 am »

L'INTERVISTA

"Bersani non poteva non sapere cosa faceva il suo capo segreteria"

Parla il sindaco di Napoli De Magistris: "Gli affari Il limite dei due mandati? Troppo rigido. Ma non mi candiderò alle primarie del centrosinistra" 

di CONCITA DE GREGORIO

SINDACO De Magistris, esiste la "diversità etica" della sinistra?
"Storicamente è esistita. La sinistra più di ogni altra ha posto la questione morale come architrave dell'agire politico. Ultimamente la diversità etica è molto scemata".

Molto quanto?
"Assai. La politica si è persa nei palazzi e l'affarismo l'ha corrotta. Il sistema degli affari funziona allo stesso modo a destra e a sinistra".

Populismo. Demagogia. Antipolitica.
"Conosco bene il ritornello di autodifesa della casta. E' l'unico modo che è rimasto loro per preservare il loro potere: accusare chi non fa parte del loro gioco di antipolitica. Hanno una paura terribile di tutti coloro che non possono essere ricattati, provano a farlo e se non ci riescono tentano di gettare addosso la croce dell'antipolitica. Ma non c'è antipolitica nel Paese, c'è antipartitocrazia. Il sistema è ammalato gravemente e so quel che dico: il metodo è lo stesso ad ogni latitudine. Scambi fra pubblico e privato, mercato di consulenze, appalti, favori contro poltrone o credenziali. Poi non tutti lo adottano, certo. Come sempre la differenza la fanno le persone".

Esempi.
"Mi irrita la sorpresa che mostrano i leader di partito di fronte ai casi Bisignani, Penati e quant'altro. Penati era il capo della segreteria di Bersani. Bisignani l'uomo di fiducia di Gianni Letta a Palazzo Chigi. I leader sanno sempre benissimo quel che accade nel loro cerchio stretto. Sono stato ai vertici di un partito, ho trattato con i miei referenti in altre forze politiche, lo so. Del resto: sui casi di corruzione e concussione i partiti non sono mai arrivati per primi. Non ce n'è stato uno che abbia di sua iniziativa bonificato situazioni opache. E' stata la magistratura, sono stati i movimenti di cittadini a sollevare i casi".

Anche nell'Idv non sempre è andato tutto benissimo.
"Non sempre. Il reclutamento della classe dirigente è fondamentale e deve rispondere a criteri di chiarezza assoluta. Sono stato il primo a battermi per questo".

Una nuova classe dirigente. Pisapia suggerisce il limite tassativo di due mandati. E' d'accordo?
"Come principio di carattere generale sì, ma in politica le regole burocratiche non sempre funzionano. La questione morale non si risolve solo così. Avrebbe avuto senso stabilire il limite di due mandati per Enrico Berlinguer? Dopo di lui il Pd non ha più avuto un leader di quel calibro. Non è mettendo un limite temporale ai mandati che si fa emergere una generazione nuova ma coltivando in chi arriva alla politica i valori etici e morali di giustizia, libertà, trasparenza. Non cooptando persone simili e servili, gente che non faccia ombra a chi guida ma ingaggiando una gara fra talenti e progetti, valorizzando chi ha consenso e non emarginandolo. Non bisogna avere paura e scegliere le persone che sappiano fare una rivoluzione partendo dalla questione morale. Persone fuori dagli schemi, che sappiano connettersi col popolo e trovare un equilibrio fra istituzioni e movimenti civici".

Parla di sé?
"Ma no, anche se quello che è avvenuto a Napoli a Cagliari a Milano è stata una vera rivoluzione, e vedo che anziché prendere ad esempio quel modello c'è una gran fretta di dimenticarlo e marginalizzarlo. Il Paese è pieno di persone di valore che fanno politica, o che la farebbero in condizioni di aver voce in capitolo. Il fermento che c'è attorno a noi è il contrario dell'antipolitica: le battaglie della Fiom, quelle delle donne e degli studenti sono politica. Non a caso i partiti ne sono rimasti fuori, o sono stati tenuti fuori dai movimenti. Bisogna portare quella forza nelle istituzioni. Scegliere da lì le persone: quelle capaci di mobilitare, di animare speranze e di tradurle in progetti".

Chi deve scegliere queste persone? Servirà un criterio.
"Certo. In primo luogo serve una nuova legge elettorale. Siccome sono certo che questo Parlamento non la farà dico che si deve firmare per il referendum. E' ovvio. A livello locale le primarie funzionano ma non devono essere un veicolo di lotta interna ai partiti. Bisogna che entrino in gara persone libere, competenti, indipendenti e che non siano ostacolate dai correntismi ma incoraggiate".

Stento a immaginarlo.
"Appunto. Ma è l'unica strada perché la politica torni in contatto con la realtà. Bisogna creare dei laboratori politici che facciano da pungolo ai partiti. La questione morale non la risolve la magistratura. E i partiti, oggi - spiace dirlo - non hanno la capacità di affrontarla".

Laboratori politici come?
"Bisogna riattivare il controllo democratico. Partire dal basso. A Napoli abbiamo creato l'assessorato ai Beni comuni e alla democrazia partecipativa. Era una città depressa dal malaffare e dalla corruzione, che oggi è assai più grave che nel '92. Oggi la corruzione è un sistema diffuso nel quale la criminalità è penetrata attraverso società quotate in borsa. Bisogna che i cittadini sentano di avere la forza di cambiare. Incoraggiare assemblee popolari su questioni specifiche, nei quartieri. E' lì che nascono i progetti, e le leadership. Bisogna prendere l'indignazione che c'è e allontanarla dall'antipolitica, trasformarla piuttosto in energia. Scegliere dalla base chi mandare in Parlamento, per esempio. Come lei sa sono sempre stato favorevole alla battaglia sulle primarie di collegio per selezionare deputati e senatori. Non altrettanto i vertici dei partiti, ci sarà una ragione".

Pensa che si vada al voto nel 2012, che ci sarà un governo tecnico o che questa maggioranza reggerà?
"Temo che si andrà a fine legislatura. Questo governo è in grande difficoltà ma ha paura di perdere le elezioni. Del resto il centrosinistra non è ancora pronto ad avanzare un'alternativa credibile a Berlusconi: né come modello, né come leadership. Andare a votare non conviene a nessuno".

Nel caso ci fossero si candiderebbe alle primarie del centrosinistra?
"Io no, voglio fare il sindaco. E' un compito magnifico. Ancora la mattina quando esco per strada non mi sembra vero. Voglio cambiare questa città, portare la domanda dei cittadini nelle istituzioni. E poi bisogna evitare personalismi in questo momento, è stato l'errore degli ultimi mesi di Vendola. Bisogna usare il tempo per formare una generazione competente e combattiva. Poi certo, mi piacerebbe partecipare a livello nazionale a questo processo".

A livello nazionale, da sindaco?
"Certo, è dalle amministrative e dai referendum che sono venuti i più importanti segnali di cambiamento. Vorrei contribuire a creare un movimento politico organizzato che sappia tenere insieme elementi della politica e dei movimenti".

Un nuovo partito?
"No, al contrario. Un movimento che affianchi i partiti nella via del risanamento. Un movimento popolare e politico. Un luogo dove le energie e le intelligenze si sentano rappresentate e non mortificate, anche quelle critiche. E non è solo una questione generazionale, di "rottamazione": la questione morale non è anagrafica. Il rinnovamento passa certo dalle donne e dai giovani, ma anche dagli uomini e dai vecchi a patto che rispondano alla domanda di bene comune. Che facciano politica per gli altri e non per sé, non per l'interesse della loro corrente o del partito".
 

(01 settembre 2011) © Riproduzione riservata

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« Risposta #62 inserito:: Ottobre 29, 2011, 06:25:36 pm »

Il personaggio

Il wiki-sindaco a molti non piace, dal segretario Pd alla Bindi e neanche a Civati e Serracchiani, che pure l'anno scorso erano alla Leopolda con lui.

I prodiani lo sostengono, Berlusconi lo ha invitato e piace ai leghisti scontenti

di CONCITA DE GREGORIO

Da Bersani agli ex popolari del Pd ecco chi teme l'offensiva di Renzi Big Bang alla Leopolda.

PUÒ piacere o non piacere, ma è bravo. È bravo a parlare, la cadenza toscana la battuta pronta lo aiutano, e dunque a stare in tv. È bravo a capire cosa serve e cosa no per arrivare dove vuole.

È bravo a intuire i tempi e i modi, i toni che sempre risultano eccessivi ma funzionano, alla fine, in tempi di eccesso al ribasso. Allo scherno è subentrata la paura, se e quando ci saranno le primarie del centrosinistra Renzi sarà l'avversario da battere: per il segretario, per Vendola e Di Pietro se le primarie saranno di coalizione, per tutti. Si è candidato con chiarezza e con anticipo, alla battaglia per la rottamazione generazionale ha poco a poco sostituito quella delle idee, ha mosso se stesso sulla scacchiera con un gioco che deve andare a dama, quella: provincia, comune, governo.

Può piacere o dispiacere, Matteo Renzi - superstar del weekend alla stazione Leopolda di Firenze, Big Bang non solo del Pd - e a moltissimi non piace. Non al segretario del Pd Bersani ("Bersani ha un'idea del partito antica, novecentesca") nè ai suoi giovani leoni, oggi in leggerissimo dissenso dalla linea del segretario ma pur sempre dentro quel recinto, il confine segnato dall'ortodossia ex Pci ex Ds, compagine ancora forte ma in evidente sofferenza dentro un'autentica trincea difensiva ossessionata dal nemico interno. Non piace perché viene dalla Dc, e dunque nell'amalgama mal riuscita del Pd rappresenta, per i Ds, "quegli altri". Non piace neppure a una parte consistente degli ex popolari, Rosy Bindi in testa, per motivi di stile, di programma e in fondo certo di rivalità.

Renzi va a messa la domenica e in ritiro spirituale l'estate. È favorevole al nucleare controllato, non ha votato sì a tutti e quattro i referendum sicuro che sull'acqua pubblica ci fosse qualcosa da discutere, non è un paladino dei matrimoni gay ma neppure omofobo, piace agli industriali e ai parroci. Per i cattolici del Pd della vecchia guardia è un rivale temibile, imbattibile sul fronte dei social network, della banda larga e di twitter, roba che Bersani dice di "farsi governare da altri" come se fossero maiali, che poi non si butta via niente ma intanto sporcano e fanno rumore.

Non piace più un granché neppure a Civati e Serracchiani, che alla Leopolda dell'anno scorso erano con lui, anche per via di quella sua così visibile ambizione personale: Renzi vuol fare le primarie e di seguito il presidente del consiglio, "è un furbo", dicono di lui, è uno addestrato alla competizione fin dall'asilo, uno che fa melina al capitale e alle massonerie, alle nobildonne fiorentine e ai Della Valle, "non è affidabile". "Divide e non unisce", dice Rosy Bindi, "al contrario di Prodi" il quale tuttavia seppur attraverso i suoi uomini lo sostiene: sarà pure che c'è in ballo la corsa al Quirinale, che l'alleanza eventuale del Pd con Casini porta in pegno il Colle per Pierferdy e che i prodiani hanno altre ambizioni, ma insomma lo sostiene. Parisi e i prodiani alla Leopolda ci sono. D'Alema lo detesta come chiunque non sia sé medesimo o altri da lui forgiati. Veltroni sta a guardare in crescente silenzio essendo stato Zingaretti, in principio, il suo quarantenne di riferimento.

A chi piace dunque quello che con tutta evidenza sarà il candidato per così dire nuovo alle eventuali primarie di centrosinistra? Il per così dire nuovo Renzi (in politica da quando aveva 17 anni, cioè ormai quasi da venti, già presidente della Provincia, oggi sindaco) piace al centro e a destra, fra i leghisti scontenti del Bossi servile, fra i delusi del berlusconismo imprenditoriale, le partite iva e i lavoratori autonomi, i piccoli imprenditori che sono tanti. Piace a Berlusconi stesso, che lo invita a casa (Renzi ci va, pazienza per le critiche) e ne elogia le virtù che mancano a se medesimo e ai suoi alleati: non usa il dito medio, non bestemmia, non racconta barzellette sui negri e sugli ebrei, non usa metafore falliche come intercalare, non dice culona alle signore.

La rivoluzione della buona educazione. Matteo Renzi è beneducato e svelto. Furbo, ambiziosissimo. Piace, a sinistra, agli scontenti del Pd e alla sinistra di nuova generazione, a un bel po' di grillini e dipietristi, a quelli che non se ne può più della casta che finora piuttosto silenti - ma in molti - serpeggiano anche nel partito di Bersani. Roberto Benigni gli ha dato di recente la sua benedizione. Santoro lo aveva ospite frequent flyer. A Ballarò e da Lilli Gruber è di casa, la Sette il suo salotto. Nel parterre della Leopolda, la cui sigla è mutuata da una serie americana tv di grande successo, ci sono il giuslavorista Pietro Ichino e Sergio Chiamparino, Alessandro Baricco e il presidente dell'Anci Graziano Del Rio, il vincitore dello Strega Edoardo Nesi, l'inventore dei Gormiti, il fratello di Peppino Impastato, il successore del sindaco assassinato a Pollica, il mago della tv Giorgio Gori, l'inventore della Tecnogym Neri Alessandri.

Sindaci trenta-quarantenni al governo delle città. Apre i lavori Davide Faraone, deputato regionale siciliano anti-Lombardo. Li chiude lui, domenica. Ha predisposto un servizio di baby sitting e di road sharing per arrivare in stazione (vuoi ridurre l'inquinamento? Sei un pendolare? Clicca qui e chiedi un passaggio alla Leopolda, venite insieme). Ha fatto in modo che con "un aggeggino" si possa partecipare alla discussione inviando messaggi in diretta dalla tv, dunque da casa. Troppo inglese, forse, ma chi deve capire capisce. Firma l'invito alla Leopolda con: "Un sorriso, Matteo". È amico personale di Pep Guardiola, l'allenatore del Barca, e chissà che non faccia una sorpresa. Non è abbastanza, certo, per fare un leader di centrosinistra né un presidente del consiglio. È quel che basta, tuttavia, per capire a chi faccia paura, Matteo Renzi, e perché.

(29 ottobre 2011) © Riproduzione riservata

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« Risposta #63 inserito:: Settembre 12, 2012, 03:57:31 pm »


IL REPORTAGE /1

Primarie Pd e lo scontro generazionale le 4 correnti dei giovani divisi su Renzi

La sfida per il futuro del partito democratico passa dalla generazione dei 30-40enni. "La base parla solo di rinnovamento".

Ci sono quelli dell'Area Renzi, c'è il Gruppo Civati, i Giovani Turchi al fianco di Bersani e i Lettiani, l'ala liberal con forti venature cattoliche

di CONCITA DE GREGORIO


MILANO - La distanza fra la politica delle parole e i fatti della vita Stefano Fassina l'ha misurata col centimetro sulla sua pelle nell'arco di tre giorni. Il giorno 8, sabato, era al tavolo dei relatori del magnifico auditorium Loris Malaguzzi di Reggio Emilia a spiegare ad una platea di trenta-quaratenni che Bersani farà meglio di Monti, platea del resto a priori convintissima, perché non si fanno riforme senza consenso e se c'è un posto dove il Pd deve stare è quello di chi lavora: Carbosulcis, Mirafiori, Almaviva. Avanti, a sinistra. Il giorno 10, lunedì, era appunto lì, tra i lavoratori dell'Alcoa in protesta, ed è lì che è stato contestato 1: una spinta, vattene, andatevene, non sappiamo che farcene delle vostre promesse, ci avete abbandonati ora è tardi.

Se ora sia davvero tardi, questo è il punto. Se sia troppo tardi per colmare il vuoto che separa le parole dei convegni e degli articoli di giornale dai fatti che, lontano dalle sale insonorizzate, colorano di rabbia, di stanchezza, di fragilità e infine di disperazione le reali vite delle persone alle quali il Partito democratico guarda come al suo elettorato ma che sempre meno, invece, da quel partito si sentono rappresentate. Un bacino enorme di delusi che ingrossano le fila del ribellismo politico, della disillusione incapace di distinguere. Questa è la sfida. Questa la posta in gioco della campagna elettorale appena cominciata, le primarie del Pd in vista delle elezioni di primavera. Restituire credibilità alla politica, che in concreto significa: proporre come candidate a colmare quel vuoto persone credibili. Va sotto il nome di rinnovamento, questa sfida. Di niente altro ormai si parla nelle feste democratiche, nei circoli, nelle città e nei paesi percorsi in camper o in bicicletta dai candidati. Il rinnovamento, il ricambio.

Su Renzi, che del tema si è impadronito per tempo, raccontano a Ravenna questo aneddoto. Ravenna, Romagna, terra di Bersani. Alberto Pagani, segretario provinciale del Pd: "Mi avevano chiesto, come si usa, di fare due conti e vedere chi sta con chi. Ho fatto un sondaggio fra la nostra gente, segretari di circolo funzionari amministratori: tutto a posto, tutti con Bersani. Poi la sera che è venuto Renzi a parlare alla festa ho visto, in platea, il parrucchiere del mio paese, Alfonsine, è da lui che vanno a tagliarsi i capelli tutti i ragazzi. E ho visto anche il direttore della Conad, quella dove vanno le donne a fare la spesa. E poi in fondo il fratello di mia suocera, che fa l'imprenditore e che quando vuol sapere di politica chiede a me. Ho domandato al parrucchiere. Ma stai con Renzi? E lui: ma sì, è nuovo è giovane. Poi tanto sono tutti nel Pd, no? Bersani faccia il segretario, Renzi il presidente del consiglio". È così, annuisce il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, ex Pci, 55 anni: "Se chiedi ai quadri di partito è un conto, se parli con la nostra gente, anche coi vecchi, è un altro: in tanti pensano che sia venuta ora di rinnovare e io credo che in fondo in Renzi ci vedano i loro figli, i loro nipoti. Anche se non li convince fino in fondo ci vedono la generazione dei ragazzi che hanno a casa e pensano che possa dar loro una chance".
Certo che non può essere solo una questione di età: messa nei termini dello scontro generazionale "è stupida e stucchevole, sono d'accordo con Alfredo Reichlin", dice Alessandra Moretti, vicesindaco di Vicenza: "Noi non vogliamo uccidere i nostri padri. Abbiamo quarant'anni: noi "siamo" padri e madri". E tuttavia è in questi termini che la pongono tutti, ormai, a partire da Bersani: che sgombra il palco della festa di Reggio per salirci da solo, che invita i suoi trenta-quarantenni, la generazione T/Q, i giovani turchi, a farsi avanti. Tra gli autoconvocati di Reggio Emilia, al centro Malaguzzi, ci sono al completo gli uomini dello staff del segretario, uffici stampa passati e presenti, bracci destri e portavoce. C'è Aurelio Mancuso, ex Arcigay ora Equality: "Qui ci si prepara allo scontro, ci si mette in luce per una eventuale compagine di governo, ci si segnala. Troverà anche molti della corrente ex Marino, perché sui temi dei diritti civili queste sono le posizioni più a sinistra. Poi qualche ex franceschiniano, qualche lettiano. Il grosso però è formato dalla componente organica agli ex Ds: se Renzi le mette sullo scontro generazionale bisogna opporgli la stessa carta, no?". Organici, partitici, keynesiani in economia, vicinissimi alla Cgil, camussiani osservanti. Parlano uno dopo l'altro dal palco di "Rifare l'Italia" e tutti somigliano a qualcuno dei padri. Fassina a Bersani, Alessandra Moretti ad Anna Finocchiaro, Andrea Orlando a Violante, Matteo Orfini a D'Alema persino nelle pause e nel tono di voce, nelle battute sarcastiche, nella qualità del silenzio di chi ascolta. Nessuno somiglia a Veltroni "perché il vero erede di Veltroni è Renzi", sorride una giovane volontaria della Festa venuta qui, dice, solo a "dare un'occhiata: difatti Renzi in questa platea è il nemico".

Con Renzi, che si prepara a partire da Verona vento in poppa, si sono schierati finora tutti quelli che hanno molto da guadagnare e poco da perdere. Giovani dirigenti e amministratori come Matteo Richetti, Davide Faraone, Roberto Reggi. Nessun dirigente con una posizione consolidata, nessuno che abbia messo a rischio una rendita nè una promessa. Le grandi manovre si sono chiuse un paio di mesi fa, quando il gruppo che un tempo si chiamava dei "piombini" - Civati, Serracchiani, Scalfarotto, lo stesso Renzi - ha provato a puntare su Debora Serracchiani. L'ipotesi era più che concreta, dicono: Renzi diceva "dobbiamo vincere, se Debora ha più possibilità di me rinuncio, ma dev'essere una cosa ben fatta e sicura". Non è stata ben fatta né sicura, evidentemente. Serracchiani oggi corre per la presidenza del Friuli Venezia Giulia e sulle primarie si dice perplessa. Parla dal palco della festa di Reggio seduta accanto a Martina, Sandro Gozi, Nico Stumpo. "Dico che rischiamo di essere quelli che mentre il palazzo crolla si fermano a scegliere le tendine del bagno", applausi tiepidi di una platea di età avanzata, bersaniana senza se e senza ma, incerta sul cognome di Gozi. "Non ho capito bene come si chiama? Cozzi?", domanda un vecchio volontario.
Di martedì, ieri, Pippo Civati presentava a Milano con Stefano Boeri il libro di interviste a esponenti pd "Ma questa è la mia gente" di Ivan Scalfarotto, quarantenne vicepresidente del partito. "La questione del rinnovamento generazionale nasconde quella, più seria, della contendibilità del potere - dice Scalfarotto - questo è un partito in cui cambia il contentitore, anche il nome, ma mai il contenuto". Al contrario dei grandi partiti democratici dove il contenitore è sempre lo stesso, l'identità del partito più forte di quella di chi lo abita, e cambiano i protagonisti. "Il problema delle nuove generazioni è che sono fatte a loro volta di persone cooptate al potere. Non è colpa loro, funziona così: se non sei in quota a nessuno non entri in Parlamento. Si sa da dove vieni, chi ti porta. La conseguenza è che per emanciparti devi personalizzare lo scontro, fare le tue piccole battaglie in diretta tv. Battute, battibecchi, e pazienza per la credibilità del partito che è di tutti. Quando la gente da casa vede scontrarsi Boccia e Orfini, un giovane lettiano e un giovane bersaniano, e sente che poi alle primarie sono sullo stesso fronte, contro Renzi: ecco, la gente cosa capisce? E il lavoro, i diritti, l'Europa, il futuro della conoscenza e il web: non è su questo che si dovrebbe piuttosto chiedere il ricambio in nome di una coesione generazionale?".

Nessuna coesione generazionale, in effetti. Pippo Civati conduce una nuova battaglia interna buona e giusta: sostiene i "6 quesiti referendari al Pd" su questioni come il reddito minimo, la riforma fiscale, il consumo del suolo, i matrimoni gay, l'ineleggibilità di chi ha carichi pendenti, le alleanze. Non proprio dettagli, come si vede, per quanto il ricorso allo strumento del referendum (pure previsto dallo statuto) segnala che da sole, le sei grandi questioni, non si muovono. Tendono anzi a ristagnare, ad essere continuamente accantonate come incomode. Di grandissima attualità quella sulle alleanze, di questi tempi. La quale, scrive Civati sul suo blog, porta con se l'eterno rovello del sistema elettorale. Che tanto si voleva cambiare ma sinora non si cambiò, "purtroppo ancora nulla si sa del nuovo sistema elettorale ma si teme che dal Porcellum si passi al Prosciuttum, si sente parlare di liste bloccate per quote significative". Un'aggiustatina, insomma. Sarebbe proprio un peccato che finisse così: persino tra i giovani bersaniani di Rifare l'Italia c'è chi - Piero Lacorazza, presidente della provincia di Potenza - si azzarda a dire che sarebbe davvero meglio rinunciare alle garanzie e lasciare la possibilità di far scegliere gli elettori.

I giovani di Letta si riuniscono a Dro, in Trentino e parlano - Alessia Mosca, Guglielmo Vaccaro, Francesco Boccia - di quote rosa, cervelli in fuga. Propongono leggi, elaborano piattaforme: sono l'ala liberal con forte venatura cattolica, sulla carta potrebbero dialogare con Renzi ma si segnalano fedeli alla linea Bersani, invece. La fassiniana Francesca Puglisi lavora con Marco Rossi Doria, sostenitore di Ignazio Marino ora al Governo, al futuro della scuola. Ciascuno porta un pezzo e sarebbe anche interessante provare a tessere una tela comune ma è tempo di serrare le fila, ormai. Chi sta con Renzi e chi sta contro, questo ora è il punto. "Adesso", come dice perentorio lo slogan del sindaco. I sondaggi fanno paura, sottovoce si parla di altri candidati possibili. Una donna, magari. Un terzo incomodo che riapra i giochi. Chissà. Molti volevano Barca, ma Barca fa il ministro e non può. "Ragazzi, io Grillo non lo voto ma se non tirate fuori uno diverso da Renzi guardate che ci tocca votare lui", si alza dal pubblico della libreria di Milano una signora di mezza età. Applausi, sguardi di smarrimento, sorrisi. La signora, del resto, ha detto: ragazzi.

(12 settembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #64 inserito:: Settembre 15, 2012, 11:11:30 am »

L'inchiesta/2

Primarie Pd, ecco la donna che sfida Bersani e Renzi

La corsa di Laura Puppato, terza candidata alle primarie: "Un'anima bella? Eccomi".

E racconta: "Non posso vedere il mio partito dilaniarsi in una battaglia fratricida per le primarie, diventa una carneficina così.

Quante energie stiamo perdendo?"

di CONCITA DE GREGORIO


TREVISO - Eccolo, l'altro candidato alle primarie del Pd. Eccola, anzi. Laura Puppato è una bellissima donna di 55 anni, giovane alla politica. È stata eletta sindaco la prima volta 10 anni fa. Ha sconfitto la Lega in Veneto, due volte. Ha amministrato un comune strappandolo al centrodestra e rendendolo tra i più virtuosi d'Italia, d'Europa.

Il suo primo partito è stato il Pd. Ha preso la tessera quando Grillo si è fatto insistente: la voleva con sé come testimonial ai comizi "ma io avevo da lavorare, e poi non mi è mai piaciuto quel tono, quel disfattismo apocalittico. Qui in questa terra impariamo da piccoli che è più difficile e importante costruire che distruggere". Pd, dunque. Fuori dalle correnti e dalle appartenenze. Sessantamila preferenze a sorpresa alle europee del 2009, non ci credeva nessuno. Le hanno sempre preferito altri candidati: per la segreteria, per la presidenza della Regione. Questa Puppato, mah. Poi, alle regionali, ha fatto il pieno un'altra volta: quasi la metà dei voti sono andati a lei. Talmente tanti che non poteva non diventare capogruppo Pd in Regione.

Sorride. Sorride sempre e dentro il sorriso dice cose di granito. Che bisogna avere il coraggio di fare delle scelte, i partiti esistono
per questo: darsi un obiettivo, provare a raggiungerlo, se non ci si riesce ritirarsi. Che bisogna pensare a "riparare il mondo", come diceva il suo amico Alex Langer, e non a farci soldi per sé sfruttandolo ora e pazienza per gli altri. Che non è finita la politica, la vecchia politica: è finito il tempo della cattiva politica. Che non siamo in crisi economica, siamo in crisi di un modello economico dal quale nessuno sembra aver voglia di uscire, perché conviene restarci.

Poi fa esempi concreti e luminosi: una scuola, un sistema di gestione dei rifiuti, un modo per ridurre il consumo di energia che genera lavoro e felicità. Poi dice, davanti a una parmigiana di melanzane - "chè anche questa storia che la magrezza è bellezza è una bufala" - che "non posso vedere il mio partito dilaniarsi in una battaglia fratricida per le primarie, diventa una carneficina così, quante energie stiamo perdendo? Abbiamo tutti la stessa tessera, no? Allora possiamo provare a fare una proposta che si rivolga agli elettori e dica: questi siamo noi. Decidete. Mettiamoci in gioco per il bene comune, per quanto possiamo e sappiamo. Io lo faccio".

Lei lo fa. Laura Puppato si candida. "Ma non contro Bersani o contro Renzi. Per un'idea di futuro possibile. Per i nostri figli. Io ne ho una di trent'anni, sto per diventare nonna. Questa discussione sull'età è davvero curiosa. Quando è che abbiamo cominciato a credere che sia l'anagrafe a decidere se hai buone idee e buoni propositi? A me sembra un trucco per distogliere l'attenzione dalla vera posta in palio".

Qual è la vera posta in palio?
"Un'altra idea di mondo, che altro? Questo è alla fine. Non c'è salute, non c'è lavoro, non ci sono diritti. Impera la corruzione, la convenienza privata, l'interesse. Un partito deve indicare un'altra rotta. Dire qual è il suo obiettivo, nominarlo anche a costo di scontentare qualcuno. Dare contentini a tutti è facile. Bisogna avere coraggio e andare altrove anche quando tutti dicono: impossibile".

Riparare il mondo, diceva. Ha conosciuto Langer?
"Eravamo molto amici. Nel movimento ambientalista insieme. Io vengo da lì e continuo a pensare che l'anima verde sarà la salvezza del paese. Non c'è dubbio che sia così, se poi ha tempo le dico perché. Alex ci ha dato una mano quando andavamo in Jugoslavia a portare camion di viveri, durante la guerra. Abbiamo fatto non so più quanti viaggi al fronte. Mio figlio Francesco, che oggi ha 19 anni, è nato in viaggio. Lo ha battezzato un prete croato. Sono cattolica, si".

Poi è arrivata la politica.
"Mi sono candidata a Montebelluna, ho vinto. Abbiamo iniziato a parlare di salute, cultura, di raccolta differenziata dei rifiuti contro le mafie dei megaimpianti al veleno. Abbiamo mostrato che basta cambiare mentalità per sconfiggere certi interessi. Non è stato mica facile. Risparmio energetico, riciclaggio. Ci sono voluti anni. Abbiamo dato lavoro. Le pratiche virtuose creano lavoro. Se non si mettono in atto è perché ci sono interessi economici contrari. Sa quanti soldi sono a disposizione oggi per cambiare modo di vita?".

No, quanti?
"L'Europa mette 14 miliardi di euro per progetti per le smart cities, 180 per l'incremento dell'efficienza energetica. Il futuro è lì, basta tendere la mano. Parchi, mobilità sostenibile, città digitali. In media nel mondo un edificio ha un bisogno energetico di 160 kilowatt per ora. Noi abbiamo fatto un asilo che ne consuma 20, e senza pannelli solari. Solo costruendo con raziocinio. L'energia che costa di meno è quella che non consumi. Ma non parlo di stare a luce spenta, sa? Parlo di sprechi. Certo che l'Enel questo ragionamento non lo vuole sentire, ma il mondo va lì. Deve andare lì, lo dobbiamo a chi verrà dopo. Centinaia di migliaia di persone trovano lavoro nella costruzione di un mondo pulito. Certo servono anche altre riforme: la giustizia, l'amministrazione".

Cosette...
"Noi agli imprenditori dobbiamo dire. La pubblica amministrazione ti deve dare una risposta in 30 giorni. La giustizia deve emettere un giudizio in 180. Noi, partito politico, vogliamo questo: questo è il nostro obiettivo. Se non ci riusciamo avanti un altro".

Le diranno che è un'anima bella.
"Me l'hanno già detto, in effetti. Si vede che loro si sentono brutte, io preferisco stare nel primo gruppo. Li conosco i cinici. Un giorno D'Alema mi ha detto: io non mi sento più un politico, mi considero un intellettuale. Benissimo, c'è posto per tutti. Gli intellettuali sono indispensabili".

Fra Bersani e Renzi chi avrebbe votato?
"No, guardi. Servono l'energia di Renzi, la competenza di Bersani. Ciascuno faccia quello che sa fare e dica quali sono i suoi obiettivi. Mettiamo insieme le forze, non una contro l'altra.. La gente non è interessata alle battaglie di potere. Viviamo un'epoca drammatica, i giovani non hanno lavoro, i loro padri che lo perdono si uccidono. Quale dev'essere lo scopo di un grande partito di sinistra se non indicare un orizzonte di sviluppo possibile? Allora io dico: zero metri quadri. Facciamo una politica urbanistica senza un metro quadro di costruzione in più. Ristrutturiamo, restauriamo. Abbiamo il paese più bello del mondo, proteggiamolo. Creeremo lavoro, cultura, bellezza, felicità. So di cosa parlo, l'ho fatto. Quando Grillo è venuto a premiarmi come primo sindaco a cinque stelle l'ho ascoltato. Le sue denunce sono giuste, quasi tutte. Quello che è sbagliato è la rabbia, il risentimento, l'ansia di abbattere tutto, il disprezzo della politica. La politica è fatta di persone: bisogna affidare il compito nelle mani giuste, avere fiducia in chi la merita, avere coraggio. I partiti, anche il nostro, soffrono di un eccesso di servilismo: i giovani sono scelti dai vecchi non per i loro meriti ma per la fedeltà. Rompiamo questo meccanismo. Andiamo avanti, invece, lontanissimo: rinnoviamo, sì, dando fiducia al merito e al coraggio".

Con questa legge elettorale...
"Appunto. No ai pateracchi. Facciamo le primarie, per far scegliere i candidati ai cittadini. Se si va a votare con la vecchia legge lasciamo l'80 per cento delle liste agli elettori e il 20 per cento, al massimo, per figure tecniche, storiche...".

E le alleanze?
"Quello delle alleanze non può essere il tema della campagna elettorale. Noi dobbiamo essere noi. Dobbiamo crescere, essere credibili, guadagnare la fiducia degli elettori. Questo è un grande partito. Metta da parte i potentati. Abbia il coraggio di rischiare. Dica quello che vuole, e come lo vuole. Sul lavoro, sui diritti civili, sulla salute e sulla scuola, sullo sviluppo. Gli altri verranno da noi, dopo. Se non ci votano è perché non scegliamo. Diciamo parole chiare. Poi sarà su quello, su quel che diciamo che si decideranno le alleanze. Sono stanca, davvero stanca, di vedere invece che il Pd che è anche casa mia è diventato l'autobus di cui si serve chi vuole fare la sua personale fortuna per scendere alla prima fermata. Tutti vogliono vendere la loro merce. Io vorrei partecipare a un mercato comune, invece. Vorrei dire: ho questo da offrire, e voi? Vorrei sconfiggere le destre, vorrei che tutti ci ricordassimo i pericoli che abbiamo attraversato e che corriamo ancora, vorrei proporre un'idea che sia utile ai nostri figli e miei nipoti, non a me. Se serve un'anima bella - ride ordinando il dolce - ho deciso: io ci sono".
 

(13 settembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #65 inserito:: Settembre 17, 2012, 10:58:25 am »

INCHIESTA / 3

Ma a Pomigliano e all'Alcoa le primarie sono lontane anni luce

I lavoratori a rischio tra delusione e rabbia: "Alle parole non crediamo più".

Luisa, 39 anni: "I politici non hanno idea di cosa significa vivere con 600 euro al mese"

di CONCITA DE GREGORIO


CHIUNQUE si candidi alle primarie, racconta questa storia, continuerà a far girare a vuoto la ruota finché non guarderà diritto negli occhi persone come Emanuela, Giacomo, Luisa, Antonella. La classe operaia, si diceva una volta. I lavoratori chiamati a scegliere fra Vendola e Bersani, Puppato, Tabacci, Renzi. Ammesso che abbiano voglia di scegliere.

Emanuela Massaro aveva 23 anni quando suo padre, operaio di Pomigliano, votò sì al referendum. Scrisse una lettera a Marchionne, allora, e la indirizzò ai giornali. "Eccola, vede. Non è stata mai pubblicata, Marchionne non mi ha mai risposto ma io l'ho conservata. Avevo visto mio padre piangere, a tavola, quel giorno, perché aveva paura di perdere il lavoro e allora come avrebbe mantenuto noi tre, mia madre che non cammina bene e non può andare a servizio, me e mio fratello che studiamo. Io però non volevo che lui piangesse, che perdesse la sua dignità. Andiamo a lavorare noi, papà. Gli ho detto così. Poi ho scritto a Marchionne: se mio padre deve essere costretto a chinare la testa per me io preferisco rinunciare al mio futuro. Ora che Fabbrica Italia si rivela per quello che era, un inganno, un bluff per convincere la povera gente, ora vorrei che qualcuno ci dicesse almeno: avevate ragione. Perché Marchionne lo capisco, in fondo. Fa il suo mestiere. Ma i partiti politici della sinistra, quelli che allora stavano con la Fiat per il sì al referendum: ecco, quelli, che mestiere fanno?".

Emanuela
non ha smesso di studiare, suo padre non le ha dato ascolto ed è ancora lui che le paga la retta. "Non parlatemi di politica. Chi diceva 'con Marchionne senza se e senza ma' non ha vergogna, oggi, e allora sono io che mi vergogno per loro".

Pomigliano, Mirafiori, Carbosulcis, Alcoa, Almaviva. Delle "primarie dei progressisti" a chi è in procinto di perdere il posto interessa relativamente poco. Ad ascoltarli si capisce molto bene perché. La distanza che separa la politica dai fatti della vita è diventata un baratro colmo di cinismo, disincanto, risentimento. Sedute attorno al tavolo di un bar di Cinecittà Est, Roma, un gruppo di donne di Almaviva, uno dei più grandi call center d'Italia.

Una inizia la frase, l'altra la finisce. "Io capisco che abbiano fischiato Fassina, che poveraccio neppure se lo merita", comincia Barbara. "Se si presentava D'Alema, tra i lavoratori dell'Alcoa, gli andava peggio", continua Antonella. "Arrivano ora, ma arrivano tardi. Troppo tardi, alle parole non ci crede più nessuno", conclude Luisa. Almaviva ha annunciato la chiusura della sede di via Lamaro, 630 dipendenti, per aprire in Calabria dove ci sono incentivi e sgravi fiscali.

Dal punto di vista dell'azienda non fa una piega: la regione Lazio paga la cassa integrazione, la regione Calabria paga gli incentivi. Restano a casa i dipendenti, soprattutto donne, moltissime madri sole di figli ancora piccoli. Luisa Scognamiglio, 39 anni, laureata in Lettere all'Orsola Benincasa di Napoli, separata, due figli di 9 e 6 anni. Assunta al call center dieci anni fa, guadagna 9 mila euro all'anno. Più o meno quanto prendeva, in lire, all'inizio. "Non mi sento rappresentata da nessun partito politico, no. Non hanno la minima idea di cosa voglia dire prendere 600 euro, avere due figli e non sapere a chi lasciarli quando si ammalano e non vanno a scuola. Poi ci accusano di assenteismo. Io faccio i salti mortali, ma quando parlo con le colleghe le capisco: se una è da sola dove lo mette suo figlio con la febbre il giorno che ha il turno a mezzanotte? Dove sono le politiche per il sostegno al lavoro, la rete di assistenza alle donne e ai bambini, una scuola che funzioni? Parole, parole, ma nei fatti ci arrangiamo. No, io non voglio fare politica, perché dovrei? Sono una persona onesta, la politica non fa per me".

Sono una persona onesta. "Sa quanta gente alla quale chiedo di impegnarsi in politica mi risponde così", ride di amarezza Piero Coco, Rsu Cgil, iscritto Pd. Con lui Barbara Cosimi. Anche lei Rsu Cgil, anche lei iscritta Pd. Alle primarie voteranno Bersani. "E' diventato difficilissimo fare politica e sindacato nei luoghi di lavoro - dice Coco - i lavoratori pensano che siano un modo per far carriera, diffidano. Sei connivente col padrone, questo pensano". Barbara Cosimi: "Non è vero che i lavoratori dei call center siano la nuova classe operaia. Come numeri, forse. Ma la coscienza politica non c'è più. Vent'anni di incultura hanno lasciato il segno. Non è paura di perdere il posto, è anche questo ma è di più: è il qualunquismo di fondo, l'idea che la corruzione sia la norma, che ciascuno agisca solo per convenienza. Siete tutti uguali: è questa la frase che uccide".

Poi racconta: "Stamani in assemblea parlavo di una lavoratrice che ha rinunciato al contratto di apprendistato perché era per lei troppo oneroso. Una dipendente si è alzata e ha detto: allora non bisogna darle più il sussidio di disoccupazione. Capisce? Si è fatta piazza pulita di vent'anni di battaglie operaie per i diritti, siamo come dopo come uno tsunami. E' tutto da ricostruire".

Antonella Liberati, 57 anni, monoreddito, una figlia di 18. Diecimila euro all'anno. "Da ragazza facevo politica a sinistra del Pci. Lotta continua, Potere operaio. Poi nel Pci, per molti anni. Poi nel Pd, turandomi il naso". Ha la tessera? "No. Anzi sì, sì, ce l'ho. Scusi, me lo ero dimenticata. Presi la tessera del Pd-Atesia quando nel 2008 si aprì un circolo in azienda ma poi non so nemmeno com'è andato a finire, quel circolo. Ci andavano 8 persone, è morto d'inedia come un bimbo abbandonato sul ciglio di una strada. Agli scioperi sui diritti venivano in 20. Poi ora che rischiano il posto arrivano tutti... Primarie? No, grazie. Dopo la stagione del governo Prodi, Damiano ministro, non c'è stato più nulla. Tornano ora, ma è tardi. Si è persa quell'idea di politica, la dignità del lavoro. C'è un'ignoranza terribile. Io sto in cuffia da dieci anni: sento parlare la gente. Sento ragazzi di venti, trent'anni che non sanno mettere in croce due parole. Li ho sentiti peggiorare un anno dopo l'altro. Non hanno proprio il lessico, come fanno ad avere le idee? E c'è qualcuno che metta la scuola al centro della politica? Perché prima della difesa del posto di lavoro deve venire la cultura del lavoro. E questo è la scuola che lo insegna".

Un'ignoranza terribile. Racconta Coco che i lavoratori minacciati di essere messi in Cig il 22 settembre vanno da lui a fargli domande così: ma lo sciopero è retribuito? Ma mi possono licenziare? Se entro e faccio due ore di straordinario e poi faccio sciopero va bene? Devo avvisare, se sciopero? "E come si fa a fare le battaglie sull'articolo 18, sul diritto di sciopero se si parte da qui? Persino a Mirafiori e a Pomigliano, che hanno la storia che hanno, è andata come sappiamo".

Su Mirafiori e Pomigliano Giorgio Airaudo, Fiom di Torino, ha un'idea nitida: "I lavoratori sono stati lasciati soli dalla politica. Gente che guadagna 1200 euro al mese. I referendum non erano liberi. Noi del sindacato non vogliamo entrare in politica benché in questa logica malata, binaria, non ci creda nessuno. Siamo stati costretti a fare da supplenti ai partiti che stanno sempre dalla parte del più forte. La vicenda Fiat è la prova della debolezza dei partiti: Marchionne ha esercitato il suo ruolo ma chi doveva chiedergli conto per il bene del paese e non solo di quello dell'azienda che ruolo ha esercitato? Renzi, che diceva 'con Marchionne senza se e senza ma' e che vuole che si lavori la domenica e il primo maggio, che ruolo esercita? La politica deve dire, deve scegliere: se si lasciano soli i lavoratori diventa una prateria. E non è vero quello che pensa chi è cresciuto nel Pci, che tanto alla fine resteranno tutti qui. No, non restano".

Nelle assemblee, dice Airaudo, le voci si dividono fra quelli che non credono più a niente - e che non votano più - e quelli che dicono 'mandiamoli via tutti', e vanno ingrossare le fila della rabbia. "Quella che altri chiamano antipolitica non è che questo, vista dalla fabbrica: disillusione assai ben motivata. Terra bruciata. Per ricoltivarla ci vorrebbero impegno, coerenza, perseveranza e molto tempo". Chi si è fidato ed è caduto non si fida più.

Giacomo Firinu ha 27 anni, lavora alla Carbosulcis. Suo padre lavorava all'Alcoa. "Se la sono svenduta per un piatto di lenticchie, l'Alcoa. Lo sapevano che stavano solo rinviando il problema. Era che non volevano fare brutta figura loro, hanno detto chiuderà fra tre anni e chi se ne frega. Così tre anni dopo hanno mandato a casa la gente che si era fidata di loro e li aveva votati. Mio padre è andato in depressione, ha cominciato a soffrire di cuore, è morto d'infarto a 55 anni. L'ho visto morire coi miei occhi. Io sono tornato in miniera, come mio nonno. Ho occupato, sì, la Carbosulcis. Ma anche qui: lo sanno bene che il nostro carbone è pieno di zolfo, e allora? Basterebbe applicare delle tecnologie che esistono, investire. Non lo fanno, rinviano. Chiedono aiuti pubblici, e poi dopo un anno siamo da capo".

La politica ci ha lasciati orfani, dice Giacomo. "Da ragazzo m'impegnavo molto, mi sono presentato in una lista civica, sono stato militante del Pd. Poi ho visto che uno come me, al partito, non serviva a niente. Altre logiche, altri progetti. Vanno avanti quelli di città, portati dalle segreterie. Allora sono andato a sentire Grillo, che quando faceva il comico non mi potevo mai pagare il biglietto. Ora che fa comizi gratis, ho detto, vado. Sì, spiega le cose, s'incazza: ma non so dire, non mi ha convinto. Non mi fido, mi sembra uno di loro anche lui. Mi dispiace, a votare non ci vado più, non mi importa delle primarie e lo so che è una cosa brutta. A volte penso che sia colpa mia, come pensano i bambini quando i genitori se ne vanno da casa. Ma invece no. E' la politica che ha abbandonato noi. Se n'è andata per gli affari suoi. Noi non abbiamo colpa, mi dico, e non ci possiamo fare niente".

(3. continua)

(15 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/15/news/ma_a_pomigliano_e_all_alcoa_le_primarie_sono_lontane_anni_luce-42572795/
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« Risposta #66 inserito:: Settembre 17, 2012, 11:00:03 am »

INCHIESTA / 4

Anche Pippo Civati accetta la sfida

"Serve un'alternativa a Matteo e Pierluigi"

Il consigliere regionale della Lombardia lancia "occupyprimarie". Lo scontro Renzi-Bersani è uno scontro di leadership. Nessuno dice cosa succede un giorno dopo le primarie. Sono solo utili a contare

di CONCITA DE GREGORIO

Anche Pippo Civati è pronto alla sfida delle "primarie dei progressisti". Pronto a candidarsi. Questo ha scritto nella mail in sette punti che ha inviato venerdì ai suoi collaboratori, una lettera "riservata ma aperta", dice. "Riservata, perché una decisione del genere si prende se è condivisa e dunque si tratta in primo luogo di capire questo, quanto è condivisa e da quanti. Aperta perché non abbiamo niente da nascondere, non abbiamo dietro nessuno e le domande che mi pongo in queste ore le pongo apertamente, appunto, e per scritto. Quello che non voglio assolutamente è aggiungere autocanditatura ad autocandidatura, in un effetto formicaio impazzito. La collezione di nani da giardino no. Se si riesce ad esprimere una candidatura unitaria che sia davvero alternativa a Bersani e a Renzi io ci sono, questo ho scritto. Ora vediamo se si riesce". Formicaio impazzito, nani da giardino.

Civati, la sua disponibilità a candidarsi arriva dopo quella di Boeri e dopo la candidatura di Laura Puppato. Venite dalla stessa area, l'effetto nani da giardino si sarebbe evitato da una candidatura unitaria.
"Appunto. Non ne parlerei al passato. In fondo non conosciamo ancora le regole di queste primarie, nè tanto meno sappiamo quale sarà la legge elettorale che - secondo il modello che sarà scelto - potrebbe renderle inutili. Sto appunto cercando di capire se si può realizzare un fronte unitario".

Lei scrive, nel primo punto
della sua mail-manifesto: "Dobbiamo essere presenti ora, con un nostro profilo, nel cammino verso il congresso del prossimo anno. Se c'è il doppio turno queste primarie sono congressizzate. Dobbiamo dirlo".
"È così. Lo scontro Renzi-Bersani è uno scontro di leadership. Nessuno dice cosa succede un giorno dopo le primarie. Sono solo utili a contare chi sta con chi, addirittura "a prescindere". Molti punti di vista non sono rappresentati, dobbiamo portarceli dentro. Occupare le primarie, riempirle di contenuti".

Arriviamo subito a "occupyprimarie", la sua proposta. Prima però il punto 2. Lei scrive. "Con nessuno dei due candidati maggiori sulla carta avremmo il nostro profilo e potremmo salvaguardare la prossima sfida: Renzi è troppo divisivo all'interno del partito, Bersani è troppo poco plausibile". Dunque serve una terza candidatura forte. Quella di Laura Puppato, dice, somiglia a quella di Ignazio Marino.
"Sì, e lo dico con la massima stima per entrambi. Conosco Laura, è una bellissima figura. È limpida e forte. Penso che dovremmo unire le energie in un progetto unitario che tenga insieme la sua esperienza e la sua proposta, quella di Boeri, Scalfarotto, Serracchiani e tanti altri che in questi anni si sono battuti sul campo, con fatica, sui temi".

Dunque potrebbe appoggiare lei Laura Puppato.
"Devo ancora parlarle. Davvero non c'è stato tempo, nessuno sapeva niente della sua decisione e credo invece potremmo far parte di uno stesso progetto".

D'altra parte alcuni dei suoi sostenitori, Civati, spingono verso Renzi.
"Lo vedo e lo sento, ma io credo che la candidatura di Matteo sia totalmente autoreferenziale. Io ho già fatto un pezzo di strada con lui. Facemmo la Leopolda e una settimana dopo lui andò ad Arcore. Non ne sapevo niente, non ero e non sono d'accordo. Sento chi dice: fate la sinistra dei renziani. Ma non è proprio possibile. Nei contenuti su moltissime questioni siamo lontanissimi. Matteo era per Marchionne senza se e senza ma, non so adesso. Era in una posizione diversa dalla nostra sui referendum. Abbiamo proposto 6 referendum al Pd, è da giugno che ci lavoriamo: riforma fiscale, incandidabilità, alleanze. Parliamo di questo".

E dunque lei propone, punto 4 della mail, occupyprimarie. Ce lo spiega?
"Penso a un occupyprimarie per costruire il Pd e il centrosinistra. I temi politici ci sono tutti: primarie parlamentari, sistema elettorale, referendum, continuità a sinistra con Monti. E c'è il tema generazionale, che dobbiamo salvaguardare, perché Renzi rappresenta alcuni, non tutti. In più c'è l'idea di una cosa collettiva, perché non ci sono mica solo io. E ci sarebbero tanti altri, credo, che ora sono stati silenti".

Tipo Boeri, Scalfarotto, Serracchiani?
"La posizione di Debora è un po' diversa. Lei pensa che le primarie dividano e basta. Io la penso come Prodi, invece. Dico stiamo attenti a fare cose che servono. Se la riforma del sistema elettorale, ammesso che si faccia, sarà nel senso di eliminare il sistema bipolare a cosa servono primarie come queste? E lo dico io che sono favorevole alle primarie per principio, sia chiaro. Ma se fanno un proporzionale con un terzo di liste bloccate, un Prosciuttum...".

E se la riforma elettorale non si facesse?
"Allora dovremo fare le primarie di collegio per eleggere i parlamentari. Lo dico e lo scrivo da anni".

Lei aveva pensato anche al ministro Barca, come candidato, è vero?
"Beh non solo io. Ma sì, certo. Però non è il momento, mi pare".

Finiamo di raccontare il suo 'manifesto'. Lei dice: chiediamo a tutti i candidati di esprimersi sul sistema elettorale, sulle primarie per i parlamentari. Chiediamo le regole e il loro rispetto: che non sia uno scontro fra due persone a prescindere dai contenuti. Chiediamo di esprimersi sui diritti civili, sull'occupazione del suolo, sui sei temi concreti dei referendum pd, e di firmarli.
"Per prima cosa le regole. Cosa sono queste primarie? Matteo and Co contro Bersani e il partito? Così è una fine del mondo che lascia solo macerie. Vendola, d'altra parte, cambia alleanza ogni settimana. Sta col Pd, poi sta coi referendari dell'articolo 18... Facciamo una proposta nostra: politica, unitaria, alternativa. Allora ci sono".

Ma quanto tempo le serve ancora per capire se le condizioni ci sono?
"Poco, una settimana al massimo. Dipenderà dalle risposte che arriveranno. Renzi dice che la dava per scontata, il solito simpaticone. Io non do per scontato nulla, vedo molto bene la forza mediatica ed economica di Matteo, conosco il suo talento televisivo, vedo che si è impadronito di alcune delle nostre battaglie. Il limite di mandati, il rinnovamento, la lotta alla cooptazione e al corporativismo. poi c'è dell'altro, però. Non si governa, in Europa, solo con questo".

Lei chiude il suo "manifesto" dicendo che Adesso! è uno slogan che brucia tutto. Quale sarà il suo, invece?
"Noi andiamo "Avanti". Come un candidato che ci piace davvero, dall'altra parte dell'oceano".

(17 settembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #67 inserito:: Settembre 26, 2012, 02:22:04 pm »

L'INCHIESTA

Prof, sedicenni e "spie" dei rivali ecco il melting pot del Renzi show

Molti i neofiti fra il pubblico: "Cerchiamo una sinistra lontana dalla Fiom".

Dal tecnico del suono ai filmaker, Matteo ha scelto persone più brave di lui

di CONCITA DE GREGORIO


ROMA - Cambio di prospettiva. La campagna elettorale di Matteo Renzi bisognerebbe provare a guardarla dal palco: spalle al protagonista e occhi negli occhi al pubblico. Proprio come fa il fotografo - bravissimo - che ad ogni tappa dà il visto si stampi ad un'immagine sempre uguale e ogni volta diversa: Matteo di spalle, camicia bianca e pantaloncini affusolati, che parla alla folla inquadrata di prospetto e col grandangolo, assiepata nei teatri e nelle piazze. Effetto: un uomo solo e la moltitudine. Nelle foto gli sguardi delle cuoche della festa di Ravenna, i capelli col gel dei ragazzini di Monza, la messa in piega delle anziane signore del Politeama di Varese, i giovanotti con la borsa a tracolla e le insegnanti trentenni dell'Auditorium di Roma. Una foto, lo sa bene Renata Polverini, può decretare l'inizio e la fine di ogni cosa. Molto più delle cronache di giornale, delle analisi, dei mille commenti in chat. Una foto che dice, per esempio, che nell'autunno in cui alle Feste del Pd si è segnato il minimo storico di presenze (perché erano tante e tutte insieme, certo, perché faceva freddo e pioveva, sì, perché alle feste ci vanno solo i militanti mentre nei teatri e nelle piazze ci vanno tutti, d'accordo) ecco negli stessi giorni, però, guardate bene in faccia la platea di Renzi. Di qua, ai dibattiti di partito, militanti di mezza età inoltrata seduti composti sulle sedie. Di là ai comizi di Matteo, giovani e vecchi seduti ovunque, per terra e sulle scale, amici nemici e curiosi, addetti stampa degli
avversari venuti a prendere appunti con l'Iphone e ragazzini non ancora in età di voto che "mi interessa perché domani c'è assemblea, a scuola, e così racconto cosa dice". Potete non crederci, che ci siano sedicenni che vanno in gruppo ad ascoltarlo, ma ci sono.

A Ravenna è venuto a sentire il parrucchiere del paese vicino, Alfonsine, che "le ragazzine sono pazze di lui, vorrei capire perché". A Forlì la cuoca della Festa dell'Unità "che potrebbe avere l'età di mio nipote mi fa tanta tenerezza, mi dà speranza". A Monza l'imprenditore ex socialista "che non so, ci devo pensare ma certo la destra ormai fa schifo e a sinistra ci sarà pure qualcuno che non parla solo la lingua della Fiom". A Varese, culla leghista, la vecchina coi capelli blu che vorrebbe farsi autografare la sua foto "perché mi piace un casino". Dice così, la settantenne: un casino. Certificato dai video.

Visto dal palco, letto negli occhi di chi guarda, lo show di Renzi funziona. Fa ridere e scalda, coinvolge, non annoia. Perché questo sono, i comizi di Renzi. Uno spettacolo: un format studiato nei dettagli - colori sul palco, rosso e blu come Obama, luci, regia, quattro pillole di video, sempre le stesse, tre o quattro immagini che lui chiama sul maxischermo a comando con la confidenza del tu all'interlocutore invisibile alla consolle: "mi dai Curiosity?, ce l'abbiamo?". Certo che ce l'abbiamo, che domande. Ecco Curiosity, il rover della Nasa che cammina su Marte, "ho controllato, è costato meno dei lavori alla Salerno Reggio Calabria". Risate, applausi. Le battute sono sempre le stesse, dall'ampolla del dio Po all'alzate la mano se pensate che spendiamo troppo per il pubblico impiego. Le pillole in video anche, scelte con sapienza televisiva: alleggeriscono, emozionano. Arrivano dove lui da solo non arriverebbe. Troisi che a "ricordati che devi morire" risponde "ora me lo segno", per dire dello sconfittismo di certa sinistra, riscatta anni di cupezza nei cinquantenni che "Non ci resta che piangere" lo videro in prima visione. Cetto La Qualunque nella gag dello scontrino fiscale scatena i venti-trentenni dello sciagurato ventennio della furbizia al potere. Will Smith che dice al ragazzino "non permettere a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa" illanguidisce le giovani madri e le nonne. Crozza con l'orsetto che fa il verso al bambino Renzi fa ridere il pubblico televisivo, cioè tutti. Obama che parla della bimba Christina uccisa a Tucson - obiettivamente: superlativo - chiude lo show, due minuti di silenzio solido in platea e standig ovation, commenti all'uscita su quanto è bravo Obama, mamma mia, piccoli capannelli nel foyer, "Ma hai sentito quando dice che bisogna tenere in vita le aspettative dei bambini?". E sì era Obama, non Renzi, ma è uguale.

Perché almeno in una cosa, sicuramente in questa sì, Renzi ha già sconfitto tutti gli avversari: si è circondato di persone più brave di lui. Non ha avuto paura che gli facessero ombra, i collaboratori. Ha preso su piazza i migliori: lo spettacolo dell'Auditorium, chiunque abbia mai allestito anche solo un palco di paese lo sa, è un oggetto teatrale semplicissimo e sofisticato, costoso, studiato e provato nei particolari. Il regista, il tecnico del suono, gli autori dei testi, i filmaker che riversano sul blog le interviste fatte per strada, l'organizzatore che prende al volo la sala una settimana prima. Tutto funziona meglio di quando non accada agli altri, basta dare un'occhiata il giorno dopo sul web per verificare. Non è solo Gori, anche se Gori è molto. Non sono nemmeno le risorse, cioè il denaro: anche gli altri ne dispongono in sufficiente quantità. E' una rete di competenze al lavoro, e la differenza si vede. Il pubblico applaude con convinzione, ed è un pubblico davvero misto per età e formazione, per provenienza politica. A Varese, nel teatro strapieno, c'è "una minoranza di ex leghisti, pochi del Pd", annota sul taccuino la giornalista locale che i militanti politici li conosce quasi tutti di persona. Il resto "sono gente qualunque, quella è la mia vecchia prof del liceo. Quella la libraia del corso. Quello lì un avvocato, democristiano mi pare. Gli altri non so, alle manifestazioni politiche non li ho mai visti". A Roma, alle nove di sera a due passi dal Vaticano, ci sono gli ex addetti stampa di D'Alema, di Franceschini e di Prodi, gli uomini del Campidoglio di Veltroni e quelli di Alemanno, i pdl Fabrizio Santori e Gianluigi de Palo assessore alla scuola del Comune. "Questo ha già vinto", si dicono i collaboratori di Alemanno dando un'occhiata alla sala. "Macché, sono tutti curiosi", rispondono dal capannello bersaniano.

Tutti no. In massa si fermano a firmare gli otto referendum per Roma proposti dai radicali, poi dentro in sala tutto pieno fino in galleria. Renzi batte e ribatte sulla scuola, gli asili nido e la formazione, il merito e i professori che fanno il mestiere "più bello e più importante del mondo". Tre video su cinque (Crozza, Will Smith, Obama) parlano di bambini e lui stesso manda di sé questo messaggio: racconta del figlio undicenne, poi diventa in proprio il portabandiera dell'innocenza e del coraggio di un bambino. In platea, tra i tanti, tre sedicenni compagni di classe. Mattia Fiorilli, David Valente, Federico Stefanutto. A Federico piace, a Mattia per niente, David è dubbioso. "Siamo venuti a sentire, così poi possiamo discutere meglio". La madre di un loro compagno di scuola passa e li riconosce, li saluta, si compiace. Mattia dice che "però tutta questa roba è fuffa, è solo buona per la tv". Federico si accalora, non è vero, David ascolta. Una giovane donna, il doppio dei loro anni, si ferma a guardare la scena. "Ma ragazzi, voi l'avete mai sentito un uomo politico parlare di asili nido?", domanda. Vorrebbe fermarsi a parlare con loro ma s'è fatto tardi, scusi signora, domani c'è scuola e fra mezz'ora chiude la metro.

(26 settembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #68 inserito:: Settembre 30, 2012, 02:12:54 am »

L'INCHIESTA

Schierati e dubbiosi le primarie dei sindaci

Viaggio tra gli amministratori del Pd. "Il Paese vero è altrove".

Minervini, giunta Vendola: "Questo voto servirà solo a ridefinire i rapporti di forza interni"

di CONCITA DE GREGORIO

LA ROGNA di questa baldoria finirà per ricadere su tutti, dice Salvatore Adduce sindaco di Matera, 57 anni, politico di professione e dalemiano di lungo corso in una regione, la Basilicata, dove tutti nel Pd a domanda oggi rispondono: Bersani. "Io sono pronto a ritirarmi, se serve: non c'è nulla di male nell'andare in pensione. A un certo punto, anzi, si deve".

È un giro d'orizzonte fra sindaci e amministratori locali del centrosinistra, questo, che riserva qualche sorpresa. Tra chi fa politica misurandosi coi fatti trovi sindaci dell'ortodossia Pci pronti a farsi da parte, sindaci usciti dalle primarie che chiedono un Monti bis, amministratori del sud desolati dallo scontro di potere interno al partito. Nello scontro vacilla l'Emilia, roccaforte del segretario: è sempre più lunga la lista di quelli che guardano a Renzi. Nella città di Bersani il sindaco è Paolo Dosi, che ha sconfitto alle primarie il candidato proposto da Migliavacca, l'ex Ds Francesco Cacciatore. Dosi, area cattolica, è delfino di Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e oggi capo dello staff di Matteo Renzi. A Renzi hanno dato sostegno esplicito il sindaco di Finale Emilia, comune terremotato, Fernando Ferioli; il capogruppo Pd in consiglio comunale a Parma Nicola Dall'Olio; il modenese Matteo Richetti presidente del consiglio regionale emiliano; il sindaco di Reggio Emilia e presidente dell'Anci Graziano Del Rio. Un certo smottamento si avverte a Ravenna (il sindaco Fabrizio Matteucci
sente forte "la richiesta di rinnovamento"), a Cesena e a Forlì.

Roberto Balzani, attuale sindaco di Forlì, è un docente universitario eletto dopo aver sconfitto da outsider alle primarie la candidata sostenuta dal partito, Nadia Masini. Ha appena pubblicato col Mulino un libro, "Cinque anni di solitudine. Memorie inutili di un sindaco". Non ha sciolto la riserva su Renzi, "al momento voterei scheda bianca, spero in un Monti bis. Conosco l'ancien regime di partito: c'è un blocco di ricambio da rompere". Racconta a titolo d'esempio l'istruttiva vicenda dell'aeroporto di Forlì. Costruito negli anni '30 da Mussolini "quando voleva trasformare i romagnoli in aviatori". La società che lo gestisce in concessione dall'Enac, la Seaf, è partecipata al 49 per cento dal comune. "Ci sono nel raggio di mezz'ora altri due aeroporti: Bologna e Rimini. Per mantenere aperto quello di Forlì si è fatto un accordo con la Wind Jet di Pulvirenti. Un certo numero di biglietti prepagati in cambio del mantenimento dello scalo. Così abbiamo comprato una montagna di biglietti per la Polonia e per la Russia, voli naturalmente vuoti. Poi Wind Jet è fallita. Il comune ha avuto perdite mostruose, 5 milioni di euro nel 2010. Seaf è un centro di potere che serve anche a ricollocare la vecchia classe dirigente. L'ultimo presidente è l'ex sindaco della città".

Un andazzo, commenta Graziano Delrio sindaco di Reggio Emilia e presidente dell'Anci, destinato a finire. "Si è militarizzato il primo livello ma non il secondo. Un quarto dei sindaci italiani hanno meno di 35 anni, moltissimi sono stati eletti nelle liste civiche anche a centrosinistra. Si sentono liberi". Delrio respinge come "velina di apparato" la notizia che lo vorrebbe sostenitore di una legge in favore di Renzi: l'abolizione della norma secondo cui sei mesi prima delle elezioni chi si presenta deve dimettersi da sindaco. "Una proposta presentata più volte da chi mi ha preceduto. Non riguarda Renzi, tra l'altro: non si sta candidando in Parlamento".

Sta con Bersani Salvatore Adduce, sindaco di Matera. A 17 anni segretario della Fgci, migliorista quando Ranieri era segretario della federazione regionale della Basilicata, poi dalemiano. Per 15 anni presidente della lega Coop. "La più grande corrente del Pd è quella che non esiste: quella di D'Alema", ride. Poi ricorda che quando il suo leader era al governo "facemmo l'accordo sul petrolio, i fondi sarebbero andati a finanziare il piano di mobilità per collegare Matera alla rete ferroviaria nazionale. E' arrivato Berlusconi e si è fermato tutto, anche il treno". Ad agosto Adduce ha sciolto la sua giunta "fatta a regola d'arte con manuale Cencelli" fra Pd, Idv, lista civica, Sel, Udc e socialisti. "Era paralizzata dalla litigiosità interna. Ho messo dentro tre tecnici. Ho voluto dare un segno. Non si può più andare avanti se ciascuno usa il governo per costruire il consenso. La mia generazione, lo so, è l'ultima di un ciclo".

E' donna di partito anche Ilda Curti, 48 anni, assessore a Urbanistica Integrazione e Periferie del comune di Torino. "Una donna del Novecento", dice di sè, cresciuta nell'ultima leva del Pci. Fa parte della rete di Pippo Civati "Prossima Italia", guarda con interesse alla candidatura di Laura Puppato. "Ma non mi metto nelle tifoserie senza sapere qual è il gioco. Dei leaderismi diffido. Queste sono, per ora, primarie in supplenza di congresso. C'è una distanza siderale dalle cose. Qui abbiamo bisogno di risposte concrete: possiamo o no dare la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri? Questo serve, non fare la conta".

Una conta oltretutto inutile a governare, dice Guglielmo Minervini. Assessore Pd nella giunta Vendola, cattolico con don Tonino Bello, dirigente di Pax Christi, fondatore delle edizioni la Meridiana. Tra i più votati nel Pd nel 2010. Siede in piazza, a Bari, tutti si fermano. "Viviamo uno scorcio di presente che fatica a morire. La riforma in senso proporzionale segnerà un ulteriore indebolimento della politica. La sera delle elezioni scopriremo di non avere un governo. La riforma conviene all'Udc e a quella parte del Pd che ha in mente l'alleanza con l'Udc, il governo di unità nazionale, qualche scambio con la presidenza della Repubblica. Quelle cose che si scoprono dopo.
Dopo Monti vedo solo un altro Monti. La disperata domanda di alternativa e il bisogno di futuro del Paese non sono l'oggetto del confronto". Saranno primarie, dice, "utili solo a definire i nuovi rapporti di forza dentro il partito. Ciascuno parla al suo esercito. Ho già vissuto due volte, con le primarie di Vendola, lo scontro fra apparato ed energia vitale. Ma ogni volta è più difficile, ogni volta la gente è più stanca". Gli piacerebbe, dice, che "si ascoltasse chi fa politica affondando le mani ogni giorno nelle piccole cose della vita. E' nelle piccole cose il seme della grande speranza. Ma lo dico perché sono ottimista patologico. Perché devo continuare a crederci se voglio alzarmi da questo bar, fra cinque minuti, e tornare a guardare negli occhi la gente".

(29 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/29/news/sindaci_primarie-43500723/?ref=HREC1-4
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« Risposta #69 inserito:: Ottobre 01, 2012, 09:33:35 am »

   
L'inchiesta

Primarie, la scelta dei montiani Pd "Non serve un nostro candidato"

Il "Partito trasversale" dei supporter del premier si affaccia nella "Corsa" democratica: voteremo chi sta con il Professore.

Follini: "Liberare Bersani dalle secche di Fassina, Vendola e Fiom, e evitare Renzi"

di CONCITA DE GREGORIO


ROMA - Nella partita delle primarie per il Monti bis gioca una squadra senza maglia. Mimetica, trasversale, invisibile agli occhi di chi del cielo politico non conosca anche il pulviscolo: renziani doc, ex veltroniani ora con Renzi, bersaniani antifassiniani nel senso di Fassina, rutelliani del Misto, ex dalemiani ora con Montezemolo, riformisti puri, antivendoliani sostenitori della riforma Fornero, ex radicali oggi centristi. E poi Tabacci, naturalmente, fuori dal Pd. E ancora più al centro i terzopolisti, ancora più a destra un pezzo di finiani ma qui siamo già fuori dalle primarie del centrosinistra, evidentemente: siamo in un terreno che passa dalle gerarchie ecclesiastiche e dagli ambasciatori delle grandi potenze d'Occidente e arriva, come sempre, a Gianni Letta.

Il gruppo in abiti borghesi e senza insegne che dentro il centrosinistra anima in queste ore il movimento sotterraneo al campo di gioco ha, sugli spalti, una tifoseria da far spavento. Tifano per Monti dopo Monti la Chiesa, se con Chiesa si intende la Cei, l'America di Obama, la Germania di Merkel, la grande industria di Marchionne e Squinzi. Ora che Monti stesso ha dato la sua disponibità a "restare, se serve", il lavorìo perché resti e perché serva si fa visibile anche in quel congresso del Pd a cielo aperto in cui le primarie si sono provvisoriamente trasformate in attesa di conoscerne le regole e il senso. Senso che dipende, tutti ne convengono, da quale sarà la nuova legge elettorale, se ci sarà.
 
Riuniti al Tempio di Adriano, ieri, i quindici parlamentari Pd firmatari dell'appello pro-Monti hanno invitato amici di varia provenienza tutti curiosi di sapere se ci sarà un candidato di area, che fosse Enrico Morando o Pietro Ichino o altro ancora, ed hanno chiarito intanto che no, per il momento di un candidato dell'agenda-Monti "non si avverte il bisogno", ha detto lo stesso Morando. Piuttosto quel che c'è da fare è lavorare, trova Marco Follini, a "disincagliare l'area Bersani dalle secche dove lo portano Fassina, l'alleanza con Vendola e con la Fiom". È chiaro che nessuna agenda Monti si farà con chi vuole il referendum sull'articolo 18 e la riforma della legge Fornero. E vuole anche, Follini, "evitare lo tsunami Renzi che azzererebbe storie tradizioni e carriere di questo partito". I bersaniani sono tuttavia qui in minoranza: solo Follini e Cabras, tra i promotori. Nutrito il gruppo dei veltroniani o ex (Tonini, Peluffo, Maran, Gentiloni, Morando, Vassallo, Ceccanti) alcuni dei quali hanno lavorato al programma di Renzi. Tra gli "amici ospiti" Andrea Romano di Italia Futura, Linda Lanzillotta di Api, Benedetto della Vedova di Futuro e Libertà, Giulio Zanella di "Fermare il declino", movimento di Oscar Giannino. Il tema è: giocare le primarie per far vincere chi sia più adatto, nel Pd, a sostenere un governo Monti. Ceccanti: "Le primarie sono il dito che indica la luna. Monti è la luna. Scegliamo il dito che la indica".

Ecco, questo. Tonini usa la metafora della tossicodipendenza: la politica è ammalata, Monti può guarirla sebbene con metodi non amabili, un po' come Muccioli. "Se non si cura il male attraverso la politica succederà contro la politica". Andrea Romano interviene per dire ai riformisti di smetterla di "contarsi anziché contare", li invita a giocare nel "mare aperto della contendibilità del partito".

Suona come un invito a sostenere Renzi, sottolinea Ivan Scalfarotto. Claudio Petruccioli, veemente, dice che "l'agenda Monti è un modo per non raccontarsi balle", teme che se la politica non sarà in grado di governare questo passaggio "non ci sarà più bisogno di noi". Chiarisce Gentiloni: "Un governo Monti sostenuto da Alfano Bersani e Casini non sarebbe una buona notizia per gli elettori. Il Pd deve vincere e governare in continuità con l'azione di Monti". Ichino difende la riforma Fornero, Morando paventa la disgregazione del sistema: "La crisi di rappresentanza può diventare crisi della democrazia. Un modello Grecia, dove si vota ogni 15 giorni".

Fuori fuma il sigaro Roberto Giachetti, segretario d'aula del gruppo Pd esperto di regolamenti, smagrito dallo sciopero della fame che conduce contro il Porcellum. "La legge elettorale non cambierà  -  profetizza  -  i capigruppo il 9 ottobre la metteranno in calendario per fine mese. Arriverà alla Camera un testo di compromesso e alla Camera sulle preferenze si vota a scrutinio segreto: quanti sono i parlamentari di quest'aula che con le preferenze non sarebbero rieletti? Voteranno contro, dovrà tornare al Senato, si arriverà alla soglia dello scioglimento delle Camere e sarà tardi. Anche col Porcellum d'altronde rischia di non esserci una maggioranza al Senato. Vedo una strada difficilissima, le riforme si dovevano fare prima. E quel che trovo intollerabile è che chi ha fallito non riconosca le sue responsabilità. Che non dica: non siamo stati capaci, la finiamo qui".

(30 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/30/news/primarie_la_scelta_dei_montiani_pd_non_serve_un_nostro_candidato-43559008/?ref=HREA-1
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« Risposta #70 inserito:: Novembre 14, 2012, 05:19:22 pm »

IL RACCONTO

Il duello americano del centrosinistra "Questa volta possiamo cambiare davvero"

Nel confronto in stile "debate", tutti in piedi davanti al leggio trasparente, il favorito era Renzi.

Un confronto serrato e civile, costruttivo e istruttivo fra candidati di uno schieramento che torna a esister.

Il segretario parla da "fratello maggiore", dal sindaco slogan efficaci

di CONCITA DE GREGORIO


MILANO - Che bello spettacolo, la politica che parla delle cose, i candidati che non si insultano, nessuno che grida, qualcuno che si alza dal pubblico e fa domande vere, dirette.

Domande tipo: Vendola, se lei non fosse candidato chi voterebbe? Vendola che risponde: non ce la faccio, scusate, e ride. Ridono tutti. La sostenitrice di Vendola che chiede a Renzi del nucleare e si emoziona, Renzi che le risponde chiamandola per nome  -  "Vedi, Serena..."  -  e lo stile dell'uomo è già tutto qui. Aveva torto chi aveva paura di questo confronto e ha fatto di tutto perché andasse in onda su un canale dove lo vedono in pochi, sia detto per il futuro: sbaglia sempre chi ha paura.

Dalle otto e mezza di ieri sera per due ore si è visto su Sky un confronto serrato e civile, costruttivo e istruttivo fra candidati di un centrosinistra che finalmente torna ad esistere anche fra leader così come esiste fra gli elettori: persone diverse ma affini, preparate, serie, appassionate, con punti di vista diversi ma con un orizzonte comune, in grado di discutere dei destini del Paese e non solo di se stesse. L'idea geniale e feroce di chi ha organizzato il confronto fra i cinque candidati alle primarie del centrosinistra negli studi di X Factor poteva essere l'anticamera della definitiva resa della politica alla grammatica della tv, è stata invece una riscossa. Bersani, Renzi, Puppato, Vendola, Tabacci sono entrati proprio come fanno Simona Ventura e Morgan, Elio e Arisa, persino con la possibilità di confonderli. I giudici-professori universitari che giudicano la veridicità delle loro parole, l'intervento del pubblico. Tutto secondo format. Invece le parole della politica hanno vinto, seppure costrette nel minuto e mezzo a testa di cui ciascuno aveva disponibilità e dunque poco, certo, molto poco ma abbastanza invece per capire di cosa stiamo parlando, di chi.

Nel confronto all'americana, tutti in piedi davanti al leggio trasparente, naturalmente il favorito era Renzi: uomo televisivo per eccellenza, bravissimo nel tempo breve, capace di usare il corpo e lo sguardo diretto in camera "all'americana". E difatti di Renzi sono state forse le battute più efficaci, una per tutte: "dobbiamo dire ai giovani: troverai lavoro se conosci qualcosa, non se conosci qualcuno". Il sindaco aveva una cravatta viola come la sua Fiorentina, una pettinatura da bambino per bene, una bella giacca.

Bersani ha fatto la parte del fratello maggiore, ha chiamato tutti i suoi avversari per nome come fossero vecchi amici e chi segue la politica sa che non tutti sono amici davvero, ha scelto di mostrarsi affidabile e rassicurante, ha parlato con calma usando il suo linguaggio - "è farina del diavolo", tipo - e sorridendo parecchio ogni volta che era il turno di Renzi.

Vendola è arrivato da Vendola, presentato nella bio come "compagno di Eddy": chi dubitava della sua convinzione ha dovuto ricredersi.
Era appassionato e sincero, citava Spinelli, è riuscito persino ad essere sintetico.

Laura Puppato, nuova per la grandissima parte del pubblico e fin qui completamente oscurata come un'improbabile outsider, ha mostrato di essere  -  lei pure  -  quel che è: una donna autentica, francescana come lei stessa si è definita, portatrice di valori e di proposte importanti e profondamente radicate nella sua esperienza di amministratrice. Ha parlato di tutela del suolo, di sprechi, di economia, di donne e di gay, di lavoro facendo riferimento sempre alla sua storia di sindaco, con un linguaggio desueto come quello del veneto contadino, quello di chi dice veicoli anziché macchine quando parla di auto. Tina Anselmi e Nilde Iotti, ha detto, i suoi riferimenti politici. "La mia storia parla per me  -  dice alla fine  -  ed è una storia di coraggio e concretezza".

Tabacci ha scelto come "padrini" De Gasperi e Marcora, uomo della vecchia Dc capace ancora di parlare in modo convincente di "crisi morale ed etica". Sanguigno, competente, "montiano prima di Monti", orfano.

Bersani, alla fine, ha detto che nel suo Pantheon c'è Papa Giovanni, perché "cambiava le cose rassicurando". Vendola ha scelto Carlo Maria Martini. Renzi ha chiuso quasi con un rap, "ho 37 anni sono un ragazzo fortunato". A Marchionne ha quasi scritto una lettera: "Mi hai deluso". Ha parlato ai bambini: "La politica è una cosa bella per la quale vale la pena di impiegare del tempo". Vendola: "Vedo il mio paese sprofondare nel fango, anche in quello del cinismo. Penso ai disabili, ai carcerati, al femminicidio delle donne uccise dai maschi proprietari", ha parlato di solitudine. "Vorrei un'Italia più gentile", quasi una poesia per me che sono un'"acchiappa nuvole". Bersani: "Ho creduto e credo in queste primarie che fanno bene a noi e al Paese. Riavviciniamo i cittadini alla politica. Con la rabbia sola e con l'indignazione non si risolvono i problemi. Ci vuole un cambiamento". Aveva una cravatta rossa come la sua storia. "Non vi chiedo di piacervi, vi chiedo di credermi", ha detto.

È difficile che le due cose vadano separate in questa Italia, in questa politica, in questa tv. Ma il dibattito di ieri sera - due ore in cui si è parlato di tasse, di casta, di lavoro, di privilegi, di diritti - è stato forse il primo atto di un modo nuovo di parlare agli elettori.
Di un linguaggio nuovo, di un nuovo stile. Per sconfiggere la disillusione di chi non va a votare o ci va solo per protesta è questo che serve. Il confronto gentile, direbbe Vendola. La serietà, la competenza, il coraggio. Una bella squadra di persone diverse. Quel che non aiuta è la paura.

(13 novembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #71 inserito:: Novembre 28, 2012, 11:25:08 pm »


27
nov
2012

Rettili e minerali

Concita De Gregorio


Anche a non essere lombrosiani, e diventa ogni giorno più difficile, lo spettacolo dei volti dei Riva  padre e figlio  e del loro ufficiale pagatore Girolamo Archinà dice della vicenda Ilva almeno quanto, forse più delle parole. Che l’erede di una fortuna costruita sulla morte per cancro di centinaia di operai dica al telefono ‘Due tumori in piú? Una minchiata’ e’ un’enormità non tanto aggravata quanto illustrata dalla sua faccia. Rettili, questo sembrano i tre affiancati in foto. Archinà, l’equivalente del ragionier Spinelli, come ciascuno in città sa aveva a libro paga non Olgettine ma arcivescovi e cardinali.

Che per 52 anni la chiesa tarantina si sia lasciata zittire con una mancia mensile é della storia il dettaglio più indecente. Con una mano si avvelenavano i lavoratori e con l’altra si costruiva, nel quartiere della morte – i Tamburi – la chiesa di Gesù divin lavoratore con un mosaico in stile socialismo reale dove i dirigenti della fabbrica e gli operai, i pescatori e i padroni, tutti insieme, rendono omaggio al dono del lavoro portato dal Cristo. All’ombra di quel mosaico e in cambio dei denari avuti per altre magnificenti opere di carità i preti hanno per anni consolato le vedove e le orfane, che vuoi ragazza mia, e’ il volere del Signore. Se gli uomini morivano a 40 anni, se i bambini nascevano con la leucemia. Una fatalità, preghiamo.

Saggi, intanto, gli amministratori e i politici che si sono succeduti nelle decadi si sono ben guardati dall’aprire a Taranto un centro pubblico di oncologia pediatrica:  i bimbi  malati meglio mandarli a curarsi e a morire fuori ,così non entrano nel conto in carico alla città e non fanno statistica. I bambini: gli stessi che nei loro disegni dipingono la fabbrica che sputa ‘ minerale’ come un drago. I bambini che tornano da scuola con la faccia che luccica di polvere, i ‘minori’ che secondo l’ordinanza del sindaco è meglio non far giocare per strada, ai Tamburi. Teneteli a casa.

Come al solito le parole sulla tragedia della chiusura dello stabilimento e della perdita del lavoro per una città intera sono fuori luogo. Pare trattarsi  di una catasofe naturale: un terremoto, uno tsunami improvviso, la mano di un giudice dissennato, un imprevedibile accidente. Ma che a Taranto si muore di cancro e che la fabbrica che dà da vivere è la stessa che stermina famiglie intere lo sanno tutti da decenni e lo sopportano: gli ultimi perché non hanno alternative, tutti gli altri perchè gli conviene. Chiunque ti spiega il ‘peccato originale’ quale sia stato: aver deciso di collocare la zona di stoccaggio e di lavorazione a caldo a ridosso della città e non dal lato opposto come sarebbe stato logico. Perché? Per risparmiare qualche metro di nastro trasportatore dei materiali dal porto. Per spendere meno, insomma, e pazienza se le fornaci che sputano veleno minerale stanno a ridosso delle case. Quando? 52 anni fa, nel 1960. Mezzo secolo.

Ce ne sarebbe stato di tempo per chiedere ai padroni dell’acciaio, da ultimo  ai Riva,  interventi di bonifica drastici, per obbligarli con le leggi, per evitare di lasciarsi comprare e per denunciare i corrotti. Per evitare che si arrivasse al punto in cui a pagare sono come sempre quelli che hanno da vendere soltano il loro lavoro,  la vita compresa nel prezzo, e di entrambi restano senza. Le lacrime di coccodrillo, parlando di rettili, sono una pratica ignobile e in tempi come i nostri insopportabile. Suscitano rabbia e furore, legittimi. Se fossi un candidato premier oggi sarei all’Ilva a parlare con gli operai che la occupano: soprattutto sarei lì ad ascoltarli e pazienza se insultano. Hanno ragione loro e bisogna dirglielo. Assumersi le proprie responsabilita, scusarsi senza dar le colpe ad altri che le colpe politiche si ereditano e si scontano, ascoltarli e dire: avete ragione.

da - http://de-gregorio.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1
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« Risposta #72 inserito:: Dicembre 04, 2012, 12:17:01 pm »

Più libri meno cellulari per salvare i nostri figli

Allarme di Save the Children: in Italia brillanti ma sfiduciati.

Tra i giovani uno su quattro non studia né lavora e uno su tre non cerca più un'occupazione.

Ma riescono a ottenere risultati anche partendo da condizioni avverse

di CONCITA DE GREGORIO

DI FUTURO parlano tutti. Che non è più quello di una volta, che non c'è eppure è lì che stiamo andando ma insomma poi di cosa parliamo davvero quando diciamo: futuro? Parliamo di dieci milioni e duecentomila persone, in concreto. Persone piccole, che hanno meno di dieci anni, e persone giovani, che ne hanno meno di 18.

Dieci milioni e duecentomila bambini e ragazzi che il rapporto 2012 sull'infanzia italiana di Save the Children descrive così: dieci volte più scoraggiati che in Grecia eppure più bravi a scuola che in Germania, impareggiabili scalatori di condizioni avverse. Senza l'opportunità di aprire un libro, andare al cinema, allenarsi in uno sport, connettersi ad Internet: più di 300 mila di loro in specie da Napoli in giù. Gli stessi, però, tutti col telefonino a 6 anni. Disconnessi, una parte, e iperconnessi, un'altra metà. Davanti al computer ogni giorno, entrambi i genitori assenti da casa. Appassionati di saghe senza adulti, come in "Gone" di Michael Grant, giochi film e fumetti dove i bambini sono orfani, non hanno memoria del passato, devono cavarsela da soli. Delirium, Meto, Feed, Hunger games. Titoli così.

Da questo "Atlante sull'infanzia a rischio", ecco da dove chi si candida a guidare il Paese dovrebbe cominciare a scrivere un progetto per l'Italia. Bambini, ragazzi, scuola, salute, impiego delle loro intelligenze e sostegno alle difficoltà. Il destino dei giovani di seconda generazione - figli di stranieri - che sono già adesso il 10 per cento del totale, la cura dell'ambiente in cui questi ragazzi vivono. E invece. C'è qualcuno che pensi a cosa sarà dell'Italia fra vent'anni? Che misuri quel che è utile non in mesi ma in decenni, non sul suo proprio destino ma su quello di chi verrà? Ecco, questo sì sarebbe rivoluzionario. Questo davvero avrebbe "profumo di sinistra". In questi ambiti tutto il denaro che si impiega non è una spesa ma un investimento. I finanziamenti al Piano per l'infanzia, che ancora oggi in Italia non ci sono, dovrebbero essere scorporati dal debito pubblico esattamente per questa elementare ragione. Non sono una spesa, sono un investimento. Come quando un'azienda compra un macchinario nuovo, proprio così. Sono, inoltre, investimenti capaci di generare lavoro. Persino Confindustria è d'accordo e lo certifica.

I dati del rapporto, qualche spunto. Nel 2012 sono nati 60 mila bambini in meno rispetto all'anno scorso. L'aspettativa di vita, per contro, aumenta di due mesi ogni anno. Fra vent'anni ciascuno vivrà quasi due anni in più e ogni nuovo nato dovrà farsi carico di sei persone anziane e inattive. Mezzo milione di neonati sono venuti al mondo, quest'anno, con 3 milioni e mezzo di debito pubblico a testa. I bambini saranno presto più preziosi del petrolio. Questa la scena. Vediamo cosa accade sul palco.

C'è, specialmente al Sud, un numero impressionante di ragazzi chiamati dal rapporto "disconnessi culturali". Più di trecentomila persone sotto i 18 anni non hanno mai fatto sport, non sono mai andati al cinema, non hanno mai aperto un libro o un pc. Non è vero che i ragazzi sono tutti su Internet: il 33 per cento, uno su tre, non ha accesso alla rete. Accade in Campania, Sicilia, Calabria, in Puglia: un ragazzino su quattro non fa nessuna attività sportiva, uno su cinque non varca la soglia di un cine, quasi la metà non legge libri. Nelle stesse regioni tre bambini su dieci fra quelli che hanno meno di dieci anni possiedono un cellulare. Il telefono è l'unica cosa che hanno. Oltre alla tv, certo, naturalmente.

Le scuole italiane sono tra le più vecchie d'Europa, come edifici, gli insegnanti pure. Tra i giovani sotto i 24 anni uno su quattro non studia né lavora, la disoccupazione cresce soprattutto fra i laureati, siamo il primo paese d'Europa come tasso di "scoraggiamento": un ragazzo su tre rinuncia a cercare lavoro, una media dieci volte più alta di quella greca. La maggioranza degli under 34 vive coi genitori, soprattutto al Sud. 359mila minori sono in condizone di povertà assoluta. I prestiti bancari alle giovani coppie, alle famiglie o ai ragazzi con reddito cosiddetto flessibile - che ipocrita eufemismo - sono più che dimezzati in un anno. Il rapporto parla di distopia, il contrario dell'utopia. Significa nessuna speranza, nessuna attesa, inedia e insieme rabbia.

Più della metà di questi bambini vive in città o paesi ad altissimo rischio di contaminazione ambientale: una cartina dei bambini cresciuti affianco all'Ilva, al quartiere Tamburi, parla per tutte. Il 7 per cento dei nostri figli cresce accanto a impianti chimici, petrolchimici, aree portuali e insediamenti industriali, discariche e zone a rischio non bonificate, illegali rispetto alle normative europee. La loro salute è compromessa alla nascita, le spese sanitarie saranno a loro carico. L'interruzione scolastica è la più alta d'Europa. Il virus della violenza domestica, i padri contro le madri, in aumento, e quello della pressione delle mafie esercita su di loro la forza di un esempio, li costringe reclute.

Nonostante questo i ragazzi italiani hanno il più alto indice di "resilienza": la capacità di ottenere risultati (scolastici, scientifici) nella norma o spesso sopra la norma partendo da condizioni avverse. Un'indole che ha qualcosa in comune con l'ostinazione con cui gli elettori del centrosinistra credono nella forza della democrazia e della rappresentanza nonostante le ripetute delusioni. È lo stesso Paese, quello descritto nelle 77 mappe dell'Atlante, in cui Federico Morello a 13 anni è stato capace di convincere il suo comune in Friuli a dotarsi della banda larga; in cui un professore dell'Itis Majorana di Brindisi ha saputo mettere in rete 800 insegnanti di 70 scuole per realizzare e stampare in classe i libri: un progetto - Book in progress - che fa risparmiare alle famiglie 300 euro di spese per i testi; è il Paese dove gli studenti gestiscono on line la più grande scuola gratuita, Oilproject, lezioni materiali ed esercizi condivisi; dove gli stessi studenti per la prima volta in Italia studiano un piano di mobilità da e verso la scuola (Mobilty manager studentesco) in modo che i bambini e i ragazzi possano muoversi da soli e non, come oggi accade in un caso su tre, essere accompagnati a scuola e persino all'università in auto. Un'Italia due passi avanti a chi la governa.

Ecco, il vero banco di prova di chi si candida oggi a guidare il Paese è questo: investire nei bambini e nei ragazzi, coloro che siederanno domani dove oggi noi siamo seduti, che giudicheranno le nostre azioni e omissioni, che ci chiederanno conto di dove eravamo e cosa abbiamo fatto. Il Piano nazionale per l'infanzia approvato con grande ritardo non è stato mai finanziato ed è rimasto lettera morta. All'investimento sul futuro è destinato l'1,4 per cento del prodotto interno lordo. Niente. Eppure ogni singolo elettore, ogni famiglia italiana vive nell'angoscia del futuro dei suoi figli. Pensa che rivoluzione sarebbe dare una risposta proprio a loro, cioè a ciascuno di noi. Pensa che campagna elettorale, che musica per le orecchie di chi ancora ostinatamente spera, che magnifica sorpresa sarebbe dire: non m'interessa il mio futuro, m'interessa il vostro.

(04 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/cronaca/2012/12/04/news/piu_libri_meno_cellulari-48025107/?ref=HREC1-5
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« Risposta #73 inserito:: Dicembre 08, 2012, 05:02:47 pm »


7
dic
2012

Di spalle a Grillo

Concita DE GREGORIO

Voltando le spalle a Grillo si vede l’Italia com’è. Fossi un politico, oggi, o un analista o un consigliere di quelli che con notevole autostima e uso di mondo definiscono se stessi spin doctor suggerirei a chi si candida a guidare il Paese di non rifare lo stesso errore commesso nel tentativo di decifrare il successo di Silvio Berlusconi. Di non rifarlo a così breve distanza da allora, per giunta. Suggerirei di non tenere la camera fissa sul leader, insomma, per rivelarne nefandezze delitti politici e grottesche debolezze ma di voltargli le spalle, appunto, e di inquadrare chi lo vota. Berlusconi non ha governato l’Italia da dittatore, è stato più volte eletto dalla maggioranza di coloro che sono andati a votare. Con evidenza quelle nefandezze quei delitti e quelle debolezze grottesche non sono state sufficienti a dissuadere chi lo ha votato. Non fino ad oggi, almeno – la maggioranza in parlamento è ancora la sua. Per il futuro siamo ai sondaggi, alle speranze. Per capire l’Italia e gli italiani conviene osservare il Paese e chi lo abita assai più di chi lo guida. Del resto mille volte abbiamo detto, ed è vero, che gli italiani – quelli che mandano avanti il Paese con generosa ostinazione – sono migliori di chi li rappresenta. Basta pensare al governo della scuola, e poi pensare agli insegnanti. Basta pensare alle maestre di Scampia.

Con Grillo è di nuovo così. Un populista, un demagogo, un comico dispotico, un antieuropeista, uno sciamano del web agitatore dell’antipolitica. Questi i giudizi sull’uomo, in genere, argomentati e pertinenti. Per giunta è in calo nei sondaggi, in specie dopo le primarie del centrosinistra, circostanza che nei medesimi osservatori suscita comprensibile sollievo. Però poi, a dargli le spalle, si possono vedere coloro che ha di fronte e che si riconoscono nell’opportunità che offre loro. Quella di fare un passo avanti e provarci, di impegnarsi non contro la politica ma nella politica: cambiarla. “Rifare l’Italia”, dice una di loro.

I video dei candidati del Movimento Cinque Stelle usciti dalle ‘parlamentarie’ e dunque grosso modo destinati ad essere eletti in Parlamento mostrano un pezzo d’Italia che sarebbe un errore grossolano denigrare o irridere. Al contrario, sono persone quasi sempre molto giovani degne della massima attenzione, di rispetto. Bella gente, e non capisco molto i continui riferimenti al loro essere anime belle, naif. Giulia Sarti, 26 anni, di Rimini, è avvocato e lavora da anni nell’antimafia. Mara Mucci, di Imola, licenziata quando era incinta, si batte per i diritti delle donne precarie. Matteo Dall’Osso, di Bologna, per la lotta alla sclerosi multipla (la ricerca, la sanità). Federica Daga, 36, è una paladina delle battaglie per l’acqua pubblica. Laura Castelli, laureata in economia aziendale, ha lavorato per inasprire le pene contro i crimini ambientali in Piemonte. Fabiana Dadone, 29 anni, di Mondovì, lavora in un’associazione contro la tratta delle donne che – dice – “sono poi costrette ad esercitare qui nel nostro territorio nell’indifferenza della popolazione”. Donata Agostinelli, di Jesi, è laureata in legge e si è battuta contro la speculazione e per la tutela della sua terra. Paola Carinelli, Milano, si occupa di mediazione linguistica in un paese già multietnico a dispetto di chi vorrebbe recintare i confini, delle Alba Dorata nascenti. Dice: “Mi rivolgo ai giovani, il futuro è nelle nostre mani, noi lo possiamo cambiare”. Moltissime sono donne. Insegnanti, infermiere, economiste. Moltissimi, prima di questa esperienza, non avevano mai fatto politica: non erano attratti da ‘quella’ politica. Non andavano neppure a votare, come in molte regioni d’Italia fa quasi la metà dei cittadini. Non si riconoscevano nella proposta dei partiti tradizionali. Per molte buone ragioni, in effetti. Per difetto di democrazia di base, per esempio.

Le primarie, che pure sono nello Statuto del Pd, costa ogni volta moltissimo farle ed ogni volta sembra una sorpresa quanto profitto portino in termini di credibilità e consenso. Le primarie di collegio e di circoscrizione, quelle per scegliere i parlamentari, furono oggetto nel 2010 di una raccolta di firme e di varie insistenze di alcuni giovani dirigenti del partito, insistenze accolte con fastidio dai vertici e cadute nel nulla. Oggi di nuovo si promette che si faranno, dopo aver molto a lungo insistito che si sarebbe fatta piuttosto, prima, la riforma della legge elettorale: in prevedibile mancanza della seconda vedremo se il tempo che resta da qui alle elezioni consentirà di realizzare le prime.

Se le stesse persone che hanno partecipato alle Parlamentarie di Grillo fossero state chiamate al lavoro da Di Pietro, che ha invece riempito le sue liste di personale politico di scarto e di risulta, spesso discutibile. Se fossero state invitate a farsi avanti nelle cento elezioni circoscrizionali o comunali o regionali dai più grandi partiti della sinistra, anziché premiare regolarmente portavoce portaborse e staff nel consueto iter che da segretario fedele o addetto stampa ti trasforma in deputato. Se insomma le competenze, le energie, le istanze, la voglia di fare e di cambiare che si legge nelle parole di quei candidati Cinque Stelle fossero stati, prima, raccolti e messi a frutto dai partiti non saremmo certo arrivati a questi livelli di disamore per la vecchia politica, di astensione, di rabbia. Ma il tempo della semina torna ogni anno. C’è ancora tempo. Serve il coraggio di cambiare le cattive abitudini e la generosità di non aspettarsi profitto immediato per sè. Una nuova generazione, se gli si aprono le porte, crescerà.

Infine. Ogni volta che accostiamo Grillo a Berlusconi, anche con ottimi e fondatissimi argomenti, ricordiamoci di voltare loro le spalle e guardare chi hanno di fronte. Tra la deputata Elvira Savino detta la Topolona selezionata alla Camera in virtù della sua abilità nel reclutamento delle ospiti delle ‘cene eleganti’ a casa Berlusconi e la ragazza di Mondovì che si batte contro la tratta delle schiave c’è differenza. E se la risposta è che la Topolona è più furba perché così va il mondo allora è meglio pensare che il mondo invece può cambiare. Pazienza se vi sembra naif. C’è un’Italia pronta a ripartire, vince chi la ascolta.

DA - http://de-gregorio.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER1-1
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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 13, 2013, 10:40:48 am »


11
gen
2013

Mariangela


Concita De Gregorio

Ho riletto l’intervista di Gianni Mura a Mariangela Melato. L’avevo messa via nella cartella: stare al mondo. E’ quella dove archivio tutto quello che è molto di più di quello che sembra – un pezzo di sport, un racconto, un fatto di cronaca – quella dove, più di tutto, si impara dagli altri come stare al mondo, appunto. Come fare un’intervista, per esempio, anche, di passaggio. Ho rivisto le foto. Quel modo di tenere la sigaretta, la luce in quella casa. Lei. Se avessi potuto scegliere che aspetto avere avrei voluto il suo. Se avessi potuto scegliere una voce avrei chiesto la sua. Uno sguardo, quello. Le mani, le sue, da uomo. Un’anima dal catalogo, quella.

Tanti anni fa ero a New York a seguire un viaggio di Irene Pivetti, allora Presidente della Camera. Mi cercò Renzo Arbore, era in città anche lui. Mi chiese la cortesia di domandare alla presidente di incontrarla anche solo per qualche minuto. Ci vedemmo a cena da Tavern on the green, neanche quello c’è più. Una strana serata, tutti in leggero imbarazzo. In un momento in cui Pivetti si era alzata per telefonare chiesi ad Arbore, che per tutta la cena l’aveva guardata quasi senza parlare, cosa avesse da dirle. “Niente, è solo che mi ricorda un po’ Mariangela”, rispose. Poi, con un sorriso malinconico. “Le somiglia un poco. In certi momenti. Vagamente. Così volevo vederla da vicino, sentire la sua voce”.

Non ho mai sentito una dichiarazione d’amore così pudica, così bella.

E’ una giornata in cui la malinconia affiora e riaffiora, questa di oggi. Siamo andati a letto ieri sera con la sensazione triste di vivere ancora prigionieri del secolo scorso, incatenati da narcisismi e vittimismi, con quei due in tv. Ci siamo svegliati stamani che la Signora non c’era più. Quando si resta più soli si ha bisogno di voltarsi a guardare qualcosa a cui appoggiarsi anche solo un momento. Una canzone, una persona, un verso. E così, rileggendo le parole di Mariangela Melato che parla di gratitudine, di indipendenza con quella sua grazia ruvida ho pensato che un piccolo antidoto, stasera potrebbe essere quello di condividere qualche regalo recente che tenga tesi quei fili. A proposito di gratitudine, le parole di Lorenzo Jovanotti Cherubini nel suo libro bellissimo, quel che scrive presentando con modestia la sua musica. “Indipendenza”, come una delle canzoni di Niccolò Fabi, un’altra anima da catalogo. Grazia ruvida, come quella delle poesie di Patrizia Cavalli e la sua voce nella canzone “Al cuore fa bene far le scale”, che in un mondo bello da immaginare vincerebbe Sanremo e si suonerebbe in tutte le radio, così da farci alzare la mattina pieni di sensato buon umore. Sì, sono piccole cose. Era solo per dire che bisogna fare con quello che c’è, sempre, e provare a mettere un mattone per quello che manca. O un fiore di carta, in questo caso.

da - http://de-gregorio.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER3-1
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