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Autore Discussione: Il New York Times: “Ha creato le premesse del populismo trumpiano”  (Letto 2084 volte)
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« inserito:: Giugno 15, 2023, 12:04:46 am »

Silvio in prima pagina divide la stampa mondiale.
Il New York Times: “Ha creato le premesse del populismo trumpiano”

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Arlecchino Euristico
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https://www.ilriformista.it/silvio-in-prima-pagina-divide-la-stampa-mondiale-il-new-york-times-ha-creato-le-premesse-del-populismo-trumpiano-362427/

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« Risposta #1 inserito:: Giugno 17, 2023, 05:25:01 pm »

Di Silverio (Anaao): “Non lasceremo disgregare il Ssn, pronti a tutto, anche a dimissioni di massa” - Quotidiano Sanità
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 17, 2023, 05:31:35 pm »

Sandro Veronesi
Provare dolore per la morte di Berlusconi

13 Giugno 2023

Può la morte di Berlusconi far soffrire anche chi l’ha combattuto per una vita? Sì, perché ora siamo obbligati a fare i conti con quei tratti che lui esibiva senza vergogna ma che appartengono a tutti noi.

Non è in pubblico che bisogna fare i conti con la morte di Silvio Berlusconi, ma in privato. Dico questo perché quando, alle dieci e mezza del mattino, sono stato informato che Silvio Berlusconi era morto, con mia somma sorpresa mi sono commosso e ho provato dolore. Una fitta. Profonda. Lunga. Non compassione, non pietà cristiana, non cordoglio: dolore. Mio. Personale. Ma come, mi sono chiesto? Com’è possibile che la morte di Berlusconi addirittura mi addolori? Mi sono messo a riflettere, in attesa di portare, l’indomani, la questione alla mia psicoanalista. Frattanto, mio figlio e mia moglie mi mandavano in pratica lo stesso messaggio: “Non andrai a ballare sulla sua tomba, vero? Dimmi che non lo farai”. Perché questo avevo promesso, in privato, ai miei cari, negli anni duri e frustranti del suo potere: se quando morirà sarò ancora vivo andrò a ballare sulla sua tomba. Ho lasciato la Mondadori nel 1994 per non avere nulla a che fare con lui, e quando, nel 2016, la Mondadori si è comprata la casa editrice dove mi ero rifugiato, insieme a Umberto Eco, Elisabetta Sgarbi e ad altri irriducibili ne ho fondata un’altra, per rifugiarmi in quella. Questo era Berlusconi, per me. Ho sempre combattuto le sue idee, i suoi modi, la sua faccia tosta, la sua visione del mondo, con tutte le mie forze, e nulla è cambiato nelle mie opinioni, eppure laggiù, nel profondo del mio cuore, quello che la sua morte ha causato è dolore. Perché?

Mi sono ricordato di una pagina che ho scritto anni fa, che forse poteva darmi una risposta, e ho fatto una cosa che non faccio quasi mai: sono andato a rileggermi quella pagina, all’interno di un mio romanzo. E in effetti la risposta è lì, ragion per cui ora farò una cosa da fanatico, una cosa che davvero non ho mai fatto, una “berlusconata” – e cioè citerò me stesso. Ecco qua il passaggio:

“Una volta ho fatto un sogno. Ero in treno, i posti a sedere erano finiti e dovevo viaggiare in piedi. Nello scompartimento di seconda classe davanti a me era seduto Berlusconi: un Berlusconi sconfitto, rovinato, finito, non più ricco né potente, del quale da tempo ormai non si sentiva più parlare. Non so dire come ma, vedendolo, avevo l’istantanea certezza che stesse viaggiando senza biglietto. Stava raccontando barzellette, le persone nello scompartimento lo ascoltavano ridendo, ma a un certo punto si sentiva la voce del controllore che chiedeva il biglietto ai passeggeri, proveniente dalla testa del vagone. Berlusconi allora s’interrompeva e mi guardava, poi mi sorrideva e mi diceva “Signora, la prego, si sieda al mio posto”, e si alzava in piedi. Signora. A me. Mi veniva davanti, mi prendeva le mani nelle sue e con dolcezza mi diceva, tutto profumato di cosmetici: “Mi scusi tanto, signora, non l’avevo vista. Si sieda, si sieda al mio posto”, e mentre lo diceva sbirciava con la coda dell’occhio verso il controllore, in cima al vagone. Gli altri occupanti dello scompartimento ritiravano le gambe e mi invitavano a entrare. Una giovane donna addirittura mi sorreggeva per un braccio, come fossi davvero una vecchia inferma. Io avevo capito tutto, sapevo che era un trucco per non farsi beccare senza biglietto, ma non riuscivo a dirlo e mi comportavo esattamente come se fossi stato quella vecchia: mi lasciavo sorreggere, mi sedevo. E Berlusconi, prima di sparire, mi guardava con un’espressione trionfante, colma di fierezza e di forza, l’espressione di chi sa che non morirà mai, perché continuerà a vivere in ognuno di noi”.

“Com’è possibile che la morte di Berlusconi addirittura mi addolori?”

L’inconscio è il luogo privato per eccellenza, e questo sogno dice chi era Berlusconi per me. Non quello che sento dire da ore a reti unificate sulle TV e sulle radio e sui blog di tutto il paese nel rosario delle reazioni pubbliche, quelle che non contano nulla perché si affidano a parole predefinite a seconda di chi le pronuncia – uno statista, un innovatore, un genio, un fiero avversario, un visionario, un martire, un combattente, un pioniere, un padre, un fratello maggiore, una figura controversa, un grande imprenditore: per me Berlusconi non era quello. Per me, come dice il mio sogno, Berlusconi era un pezzo di me. Nel Vangelo Gesù dice: “non è quello che entra nell’uomo che corrompe l’uomo, ma quello che esce da lui” – e Dio solo sa quanto io l’abbia tenuto dentro, rinchiuso, imprigionato, il Berlusconi che è in me. Però c’era, e c’è ancora, e stamattina ha provato dolore per la propria morte, e si è commosso.
Provare dolore per la morte di Berlusconi -

Se però fosse solo una questione privata tra me e lui non avrebbe alcun senso renderla pubblica. Il fatto è che io credo che questo valga per tutti. Sì, e quando dico tutti intendo proprio tutti: non solo per i maschi italiani, ma per tutti i maschi dell’Occidente; e addirittura non solo per i maschi dell’Occidente ma anche per le donne dell’Occidente – e forse anche fuori dall’Occidente, forse per tutta l’umanità. Sì, forse ciò che Berlusconi ha incarnato senza vergogna si trova dentro ogni essere umano: nessuno nasce senza le pulsioni che lui ha spudoratamente lottato per soddisfare, e ora che lui non c’è più quelle pulsioni ci sono ancora, e noi dovremo continuare a lottare, ogni giorno, chi per seguire il suo esempio e soddisfarle il più possibile, chi per tenerle incatenate dentro di sé senza mai farle uscire. Per questo ho parlato di me, perché credo di essere uguale agli altri, e soprattutto credo che gli altri siano uguali a me. Come nel dipinto di Charles Robert Leslie che raffigura il Duca di Wellington che fissa il busto di Napoleone, in realtà a fissare Napoleone siamo noi che guardiamo il quadro. E in quel silenzio (è uno dei quadri più silenziosi che siano stati dipinti) proviamo tutti un dolore molto difficile da provare.

Poche ore dopo è morto anche Francesco Nuti, ma lì provare dolore è stato molto più facile, perché era un mio caro amico.

Questo pezzo è stato commissionato all’autore da «Le Monde», che lo pubblicherà giovedì 15 giugno.

Sandro Veronesi

Sandro Veronesi è scrittore. Collabora con il «Il Corriere della Sera» e altre testate. Il suo ultimo romanzo è Il colibrì (La Nave di Teseo, 2019).

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