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« Risposta #2 inserito:: Giugno 22, 2023, 12:45:22 pm » |
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Tassazione rendite finanziarie: come funziona, quanto (e come) si paga di tasse
Claudia Cervi 23 Maggio 2023 - 16:36 Una guida per districarsi nella giungla della tassazione delle rendite finanziarie in attesa dell’agognata riforma fiscale che raggrupperà tutti i proventi da investimenti in un’unica categoria. Tassazione rendite finanziarie: come funziona, quanto (e come) si paga di tasse Le tasse sulle rendite finanziarie rappresentano un aspetto di grande rilevanza nel sistema fiscale, in quanto possono incidere significativamente sulla redditività degli investimenti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le aliquote di prelievo fiscale sui rendimenti e sui frutti finanziari spesso superano quelle previste per altre fonti di reddito. A differenza di altre tipologie di reddito, che possono beneficiare di una vasta gamma di esenzioni, deduzioni o riduzioni fiscali, le rendite finanziarie spesso non godono di tali agevolazioni. L’imposta viene applicata in maniera standard, senza considerare specifiche circostanze personali o detrazioni particolari. Di conseguenza, l’impatto fiscale può essere più pesante sul rendimento complessivo degli investimenti. Esistono diverse modalità di tassazione delle rendite finanziarie, che varia a seconda della tipologia di strumento finanziario e dell’intermediario utilizzato. In questa guida chiariamo come funziona la tassazione sulle rendite finanziarie e quanto (e come) si paga di tasse. Tassazione rendite finanziarie Cos’è la tassazione delle rendite finanziarie Come sono tassate le rendite finanziarie Agevolazioni fiscali per alcune rendite finanziarie Come si pagano le tasse sulle rendite finanziarie Come funzionano le minusvalenze Riforma fiscale sulle rendite finanziarie Cos’è la tassazione delle rendite finanziarie La tassazione delle rendite finanziarie fa riferimento all’imposizione fiscale applicata sui guadagni derivanti dagli investimenti in strumenti finanziari, come azioni, obbligazioni, fondi comuni di investimento e altri prodotti finanziari. Le rendite finanziarie si riferiscono ai proventi ottenuti da tali investimenti, che possono includere interessi, dividendi, plusvalenze e altri frutti. Nella maggior parte dei casi, i guadagni derivanti dalle rendite finanziarie sono soggetti a tassazione, che può avvenire in diversi modi. Ad esempio, gli interessi generati da titoli di stato o conti di deposito possono essere soggetti a una ritenuta alla fonte, in cui una percentuale dell’importo viene trattenuta direttamente dall’ente finanziario che effettua il pagamento. I dividendi distribuiti dalle società possono essere soggetti a una tassazione separata, mentre le plusvalenze realizzate dalla vendita di strumenti finanziari possono essere soggette a un’imposta sulle plusvalenze.
Come sono tassate le rendite finanziarie Le rendite finanziarie sono soggette a una specifica tassazione che varia a seconda della natura dei redditi generati dagli investimenti. In base al Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), che regolamenta l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef) in Italia, le rendite finanziarie possono essere classificate in tre categorie: ° redditi di capitale (non definiti esplicitamente dalla normativa fiscale ma regolati dagli artt. 44-45 Tuir), quando le rendite finanziarie derivano dai frutti dell’investimento, come dividendi, cedole e interessi, plusvalenze su ETF armonizzati, o da rapporti di partecipazione; ° redditi diversi (art.67 Tuir), quando i proventi sono generati da plusvalenze derivanti dalla compravendita di azioni o altri titoli rappresentativi di quote di partecipazione al capitale di imprese; ° redditi Irpef ordinari, non soggetti a tassazione separata, come le plusvalenze a ETF non armonizzati. Indipendentemente dalla classificazione, l’aliquota fiscale applicata è fissa e proporzionale, pari al 26% (tranne in alcuni casi) per le attività detenute da persone fisiche non i regime di impresa. Questo significa che la percentuale di prelievo fiscale è stabilita e non progressiva in base al livello di reddito. Pertanto, l’inquadramento delle rendite finanziarie come redditi di capitale o redditi diversi ha una rilevanza limitata ai fini pratici, ad eccezione della possibilità di compensazione delle perdite. Dal punto di vista teorico, la distinzione tra redditi diversi e redditi di capitale risiede nel fatto che i guadagni associati ai redditi diversi sono correlati ad eventi futuri ed incerti, che possono portare sia a profitti che a perdite (conosciute come minusvalenze), mentre i proventi derivanti dalla vendita di quote di fondi comuni e di ETF vengono sempre considerati redditi di capitale.
° Tuttavia, non sono ammesse compensazioni tra le due tipologie di redditi: nel caso dei redditi diversi, le minusvalenze possono essere compensate solo con plusvalenze della stessa categoria, mentre i redditi di capitale possono essere compensati anche con altri redditi di capitale o con redditi diversi.
Agevolazioni fiscali per alcune rendite finanziarie Alcune rendite finanziarie godono di un trattamento fiscale differenziato rispetto all’aliquota fissa del 26% e sono soggette a regimi particolari. Tra queste vi sono i proventi finanziari derivanti dai titoli di Stato, come i Bot (Buoni ordinari del Tesoro), i Btp (Buoni del Tesoro poliennali, tra cui il Btp Italia), i Cct (Certificati di credito del Tesoro) e i Ctz (Certificati del Tesoro zero coupon), oltre ai prodotti di risparmio postale come i buoni postali fruttiferi, sia ordinari sia a termine. Per tutte queste tipologie di investimenti, l’aliquota fiscale applicata è del 12,5%. Questa specifica aliquota agevolata rappresenta un vantaggio significativo per gli investitori, poiché comporta una minor imposizione fiscale rispetto alla tassazione standard del 26%. Tale differenza riflette l’intento di favorire la partecipazione dei cittadini al finanziamento del debito pubblico e promuovere il risparmio a livello nazionale. Anche i fondi pensione INPS e altre forme di pensione complementare beneficiano di un trattamento fiscale più favorevole rispetto ad altri strumenti di investimento. L’aliquota fiscale applicata a tali rendite è del 20%, mentre per la parte che deriva dal possesso di titoli di Stato l’aliquota è sempre del 12,5%.
Inoltre, è importante notare che l’aliquota fiscale per i dividendi corrisposti da società «figlie» italiane a società «madri» nell’ambito della direttiva «madri-figlie» è fissata al 5%. I proventi da partecipazione in Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) sono tassati al 26% ma se la partecipazione è superiore al 5% seguono invece le regole dell’Irpef. Infine, esistono alcune eccezioni che prevedono delle esenzioni fiscali specifiche. Tuttavia, queste eccezioni sono limitate e si applicano solo a determinati casi, come per esempio ai PIR (Piani Individuali di Risparmio): se vengono detenuti per almeno cinque anni, sono esenti da alcune imposte.
Come si pagano le tasse sulle rendite finanziarie Le tasse sulle rendite finanziarie sono pagate in modi e tempi diversi a seconda del regime scelto tra: ° amministrato, ° dichiarativo, ° gestito. Nel regime amministrato, l’intermediario finanziario funge da sostituto d’imposta, pagando le tasse e accreditando sul conto il risultato netto della vendita. Le imposte vengono saldate al momento del realizzo, in base al principio di cassa. Nel regime dichiarativo, le tasse sulle rendite finanziarie si pagano tramite la dichiarazione dei redditi. La dichiarazione viene presentata annualmente entro il 30 giugno e include i guadagni ottenuti e le perdite subite dagli investimenti, ma ha la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze se queste sono della stessa natura. Questo meccanismo consente agli investitori di bilanciare i risultati finanziari positivi e negativi, fornendo un certo grado di flessibilità fiscale. Nel regime gestito, l’intermediario agisce come sostituto d’imposta, gestendo l’intero portafoglio di titoli per conto proprio. L’imposta viene calcolata secondo il principio di competenza, tenendo conto del capital gain maturato nell’anno, al netto delle spese. Le minusvalenze possono essere utilizzate come credito d’imposta nei quattro anni successivi. Un vantaggio di questo regime è che anche dividendi e plusvalenze derivanti da fondi comuni ed ETF possono essere compensati con il risultato della gestione, e le minusvalenze possono essere riportate all’anno successivo come credito d’imposta.
Come funzionano le minusvalenze Le minusvalenze sono le perdite realizzate a seguito della vendita di uno strumento finanziario ad un prezzo inferiore a quello di acquisto. Le minusvalenze generano effetti fiscali diversi a seconda del regime in cui si verificano. Non tutti gli strumenti finanziari permettono infatti di recuperare le minusvalenze. Vediamo di seguito le principali caratteristiche e modalità di utilizzo delle minusvalenze in diversi contesti:
Redditi di Capitale: I redditi di capitale, come cedole obbligazionarie, dividendi azionari o le plusvalenze derivanti dalla vendita di ETF o fondi comuni di investimento non consentono di recuperare le minusvalenze.
Redditi Diversi: I redditi diversi derivano da operazioni nel mercato finanziario e hanno una natura aleatoria, pertanto possono essere positivi (plusvalenze) o negativi (minusvalenze). Le plusvalenze derivanti da investimenti in azioni, obbligazioni, Etc, certificati, derivati e criptovalute permettono di recuperare le minusvalenze.
Gestioni Patrimoniali: Le gestioni patrimoniali consentono la compensazione tra redditi di capitale e redditi diversi negativi (minusvalenze). Le minusvalenze possono essere portate in deduzione dai risultati positivi di gestione degli anni successivi, entro un limite temporale di quattro anni.
Fondi di Diritto Estero Armonizzati U.E.: I fondi di diritto estero, come quelli irlandesi o lussemburghesi, prevedono la tassazione dei redditi di capitale al 12,50% senza possibilità di compensazione, mentre la componente negativa dei redditi diversi (minusvalenza) può essere compensata con plusvalenze realizzate da redditi diversi.
Regime del risparmio gestito: Nel regime del risparmio gestito, le minusvalenze maturate durante l’anno possono essere compensate con i risultati positivi degli anni successivi, entro un limite di quattro anni. Alla chiusura della gestione patrimoniale, le minusvalenze possono essere utilizzate in compensazione in altre gestioni patrimoniali o con plusvalenze nel regime del risparmio amministrato o dichiarativo.
Regime del risparmio amministrato: Nel regime del risparmio amministrato, le perdite realizzate sono automaticamente dedotte su plusvalenze realizzate successivamente dallo stesso cliente, entro lo stesso periodo d’imposta e i quattro anni successivi. Le minusvalenze residue alla chiusura o revoca del regime possono essere utilizzate in altri rapporti in regime amministrato o in dichiarazione dei redditi, a condizione che siano scomputate solo da plusvalenze finanziarie realizzate in detto regime. È importante notare che le minusvalenze devono essere utilizzate entro il quarto anno successivo a quello di formazione; pertanto, le minusvalenze maturate nel 2019 scadranno il 31 dicembre 2023.
Regime dichiarativo: Nel regime dichiarativo, le minusvalenze possono essere riportate per ridurre eventuali plusvalenze nella stessa categoria di prodotti realizzati nei periodi di imposta successivi. Le minusvalenze devono essere riportate nella colonna 5 del rigo RT94 e la compensazione può avvenire soltanto entro il quarto anno successivo.
Riforma fiscale sulle rendite finanziarie La riforma fiscale attualmente in corso di elaborazione mira a introdurre una nuova modalità di tassazione delle rendite finanziarie al fine di evitare disparità e ingiustizie. Secondo il disegno di legge delega presentato dal Governo per l’approvazione parlamentare, tutti i proventi derivanti dagli investimenti saranno raggruppati in un’unica categoria reddituale ai fini dell’Irpef, chiamata «redditi finanziari». Questa nuova categoria supererà l’attuale distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi, che per alcuni era considerata irrazionale. I redditi finanziari comprenderanno interessi, dividendi e capital gain, ossia i guadagni ottenuti dalla vendita di asset finanziari. La tassazione di tali redditi sarà basata sul principio di cassa, ovvero il momento in cui i profitti vengono effettivamente incassati, anziché sul metodo di competenza che considera il periodo di contabilizzazione dei guadagni, indipendentemente dall’incasso effettivo. Questo nuovo approccio alla tassazione mira a rispettare meglio il principio di capacità contributiva sancito dalla Costituzione. Una delle novità introdotte dalla riforma fiscale riguarda anche la possibilità di compensare le perdite derivanti dagli investimenti finanziari. Sarà consentito sottrarre le minusvalenze per compensare i risultati positivi, consentendo così una gestione più equa e flessibile degli investimenti. Attualmente, ci sono limitazioni significative per lo scomputo delle minusvalenze, ad esempio riguardo alla tipologia di investimenti e al periodo in cui possono essere utilizzate. Con la riforma, si potranno riportare le minusvalenze negli anni successivi fino alla liquidazione dell’investimento. I contribuenti potranno anche scegliere di tassare solo i profitti effettivamente realizzati anziché quelli teoricamente maturati, comunicando la loro scelta nella dichiarazione dei redditi o agli intermediari finanziari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Simone Micocci 23 Maggio 2023 - 13:26 … In Russia c La Russia rischia una guerra civile? Questa è la domanda che in molti si sono fatti dopo l'incursione a Belgorod che è arrivata dopo che, negli ultimi mesi, sono stati diversi gli attentati e le uccisioni misteriose nel territorio russo. Molto così si è parlato dei cosiddetti “partigiani russi” che corrispondono al nome di Corpo Volontario Russo (Rdk) e Libertà alla Russia, due unità militari - la prima con una forte connotazione di estrema destra - formate da oppositori politici di Vladimir Putin. Dopo la conquista di Bakhmut da parte delle truppe di Mosca, la risposta del Corpo Volontario Russo e di Libertà alla Russia è stata una incursione nella città di confine di Belgorod, con i miliziani che in un primo momento hanno preso il controllo di alcune zone del distretto di Grajvoronskij prima di essere ricacciati indietro. Un'azione che ha fatto molto scalpore sia in Occidente sia in Russia, perché in qualche modo ha palesato un passo in avanti nell'azione di queste unità militari - da mesi inglobate tra le fila dell'esercito dell'Ucraina anche se Kiev ha sottolineato di essere estranea all'operazione - a Vladimir Putin. Ma chi sono il Corpo Volontario Russo e Libertà alla Russia? Per quale motivo combattono contro Putin? C'è il concreto rischio di una sorta di guerra civile? Cerchiamo allora di dare una risposta a queste domande. Dopo il blitz a Belgorod, l'Ucraina per voce di uno dei suoi portavoce, AndriyYusov, ha voluto subito chiarire la dinamica dell'azione: “La responsabilità di questi eventi è stata assunta da cittadini della Russia, in particolare dall'Rdk e dalla Legione Libertà alla Russia. Penso che tutti noi possiamo solo accogliere con favore le azioni decisive dei cittadini russi di opposizione, che sono pronti per una lotta armata contro il regime criminale di Vladimir Putin”. Il Corpo Volontario Russo - conosciuto anche come Rdk che ha rivendicato l'attacco a Belgorod con alcuni video pubblicati su Telegram - è una unità militare composta da cittadini russi che si è formata nel 2014. Il suo fondatore è Denis Kapustin - il suo nome da battaglia è Nikitin - un imprenditore spesso etichettato come neonazista con un passato da hooligan del Cska Mosca; per alcuni esperti si tratterebbe di uno dei punti di riferimento dei vari movimenti di destra europei.
La mission di Rdk è “il rovesciamento di Putin e la formazione di uno Stato etnicamente russo che abbandoni le ambizioni imperiali a favore del miglioramento del benessere dei russi etnici”. Il Corpo Volontario Russo sta combattendo a fianco delle truppe di Kiev fin dallo scoppio della guerra civile nel Donbass, per poi essere introdotta ufficialmente tra le fila dell'esercito dell'Ucraina nell'agosto del 2022. Libertà alla Russia invece è un'unità militare di più recente formazione, visto che è stata creta dal ministero della Difesa ucraino nel febbraio 2022 al momento dello scoppio della guerra. Al suo interno ci sono ex militari russi che hanno deciso di combattere per l'Ucraina contro Putin: il suo membro più famoso è Igor Volobuyev, ex vicepresidente di Gazprombank.
Rischio guerra civile in Russia? Anche se ufficialmente il governo ucraino ha preso le distanze dall'attacco compiuto a Belgorod, Kiev sembrerebbe fare molto affidamento su Corpo Volontario Russo e Libertà alla Russia, le due unità militari composte da cittadini russi che fanno parte dell'esercito di Zelensky. Queste a riguardo sono state le parole di Mykhailo Podolyak, il consigliere di Volodymyr Zelensky: “Il movimento di liberazione russo può diventare qualcosa che contribuirà alla giusta fine della guerra in Ucraina e accelererà significativamente l'inizio di eventi di trasformazione nell'élite politica russa. Il movimento di resistenza violenta russo, i cui architetti sono esclusivamente cittadini della Russia stessa, sta gradualmente uscendo dalla clandestinità. Sono indipendenti nelle loro decisioni, hanno una certa esperienza e sono liberi dalla paura”. Le incursioni nelle città di confine russe così potrebbero susseguirsi nelle prossime settimane, specie quando prenderà il via la tanto annunciata controffensiva ucraina della quale però ancora non si hanno tracce. In più ci sono tutti i misteriosi attentati compiuti in Russia, tra cui anche il caso dei droni che si sono schiantati sul tetto del Cremlino: tanti episodi sui quali non è stata fatta piena chiarezza ma riconducibili ad attività partigiane di gruppi russi ostili a Putin. I rischi di una guerra civile in Russia - magari foraggiata in maniera indiretta dall'Occidente - così non sembrerebbero mancare, ma tutto dipenderà dall'esito di un conflitto in atto da quindici mesi che al momento non sembrerebbe avere soluzione. Content Revolution Pensioni, non ci sono buone notizie: perché l'incontro del 30 maggio rischia di essere una delusione Simone Micocci 23 Maggio 2023 - 10:20 Riforma delle pensioni, programmato un nuovo incontro con i sindacati per il 30 maggio (ma si parlerà anche di altro). Il rischio è che possa trattarsi di una nuova delusione.
Pensioni, non ci sono buone notizie: perché l Dopo mesi di silenzio - l'ultimo incontro c'era stato il 13 febbraio - il governo torna a convocare i sindacati per discutere degli ultimi sviluppi in merito alla riforma delle pensioni. Ma non solo: nel corso del nuovo incontro, programmato per martedì 30 maggio, si discuterà anche di riforma fiscale, inflazione, sicurezza sul lavoro e produttività. I temi sul tavolo, quindi, sono molti, ragion per cui non dobbiamo aspettarci chissà quali novità dall'incontro. Tutto ciò comunque conferma quanto abbiamo più volte sottolineato: semmai un accordo sulla riforma delle pensioni dovesse arrivare lo farà prima di settembre, quando il governo dovrà valutare le risorse da stanziare con la nota di aggiornamento al Def. Ma con pochi mesi davanti difficilmente ci saranno stravolgimenti sul fronte pensioni, con quella che potrebbe essere l'ennesima beffa per coloro che sperano in un superamento della legge Fornero. L'incontro in programma il 30 maggio non sarà la prosecuzione del confronto sulle pensioni avviato a inizio anno dal governo Meloni. Lì, infatti, la riforma del sistema pensionistico era l'unico tema sul tavolo e, nonostante ciò, sono emerse subito le difficoltà di arrivare a una riforma in tempi stretti. Nel primo incontro, ad esempio, la ministra Calderone ha promesso novità per Opzione donna che tuttavia non sono poi arrivate, mentre al secondo la ministra non si è neppure presentata lasciando al sottosegretario Claudio Durigon l'onere di discutere con le parti sociali, senza però saper fornire le risposte adeguate o fissare un calendario per la riforma. Da allora - il secondo e ultimo incontro andò in scena il 13 febbraio 2023 - sulle pensioni è sceso il silenzio, tant'è che non se ne fa menzione neppure nel Documento di economia e finanza. E ad alimentare lo scetticismo ci ha pensato anche il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, il quale ha dichiarato che “non ci sono riforme possibili per la situazione demografica del Paese”.
Pensioni, non ci sono più dubbi: “La riforma non si farà”, lavoratori in allarme Finalmente però sembra intravedersi la luce in fondo al tunnel: i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, infatti, sono stati convocati martedì 30 maggio a Palazzo Chigi per “impostare il lavoro” sulle riforme istituzionali riguardanti fisco, pensioni e lavoro. Al termine dell'incontro, poi, ce ne saranno altri con i ministeri interessati. Probabile, quindi, che all'incontro prenda parte la stessa Giorgia Meloni e siamo certi che i sindacati la incalzeranno per capire quali sono le sue intenzioni a riguardo. Perché se non ci sono dubbi rispetto al fatto che nel 2024 ci sarà una riforma fiscale - che potrebbe avere ripercussioni anche sulle pensioni - non è chiaro cosa questo governo intende fare sulle pensioni. L'incontro del 30 maggio rischia di deludere sul fronte pensioni? I sindacati si aspettano risposte chiare sulle pensioni ma su questo fronte potrebbero restare delusi. Secondo indiscrezioni, infatti, sembra che la riforma previdenziale che il governo avrebbe voluto attuare per il 2024 non sia più una priorità. Quindi le cose sono due: o la presidente del Consiglio tergiverserà rimandando a incontri futuri specifici sul tema pensioni, oppure ammetterà che almeno per il momento ci sono altri temi caldi a cui il governo dovrà dedicarsi. In entrambi i casi si tratterebbe di una delusione per chi spera che per il prossimo anno possano esserci strade più flessibili per l'accesso alla pensione, i quali rischiano di doversi accontentare della proroga di Quota 103 con la quale verrà preso tempo in vista di una riforma che a questo punto potrebbe essere rinviata al 2025. Sarà comunque importante calendarizzare un programma che questa volta non preveda interruzioni: non ha senso, infatti, avviare un dibattito e non vedere la partecipazione di un ministro già al secondo incontro, come pure sospensioni di mesi e mesi che impediscono la continuità del confronto. E soprattutto, ma questo i sindacati lo chiedono da tempo, sarebbe giusto far chiarezza fin da subito su quelle che sono le risorse a disposizione per la riforma, informazione essenziale per capire cosa si potrà e non potrà fare.
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