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Autore Discussione: DA STUDIARE PER NON RICASCARCI.  (Letto 624 volte)
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« inserito:: Giugno 17, 2023, 06:38:42 pm »

•   Il Punto del Direttore
 Silvio protagonista pop fra politica e tivù, così ha cambiato il Paese
Senza Silvio. L’Italia perde il protagonista della storia recente che più di chiunque altro ne ha interpretato e incarnato, ma anche plasmato e talora distorto, i caratteri viscerali, profondi e al dunque autentici
Oscar Iarussi
13 Giugno 2023
Senza Silvio. L’Italia perde il protagonista della storia recente che più di chiunque altro ne ha interpretato e incarnato, ma anche plasmato e talora distorto, i caratteri viscerali, profondi e al dunque autentici. Una specie di Fregoli o di Alberto Sordi, se volete. Un genio visionario e un po’ grottesco da Milano 2 a Palazzo Chigi, in grado di battezzare con il suo nome «il ventennio berlusconiano» in cui primeggiò nella politica, dal 1994 in poi.
Ma a ben vedere la lunga stagione azzurra comincia prima della discesa in campo con Forza Italia e copre ormai più di mezzo secolo, dall’avvento di Canale 5 nel 1980 («Corri a casa in tutta fretta c’è un biscione che ti aspetta») al governo che inaugura la Seconda Repubblica dopo il cataclisma di Tangentopoli, fino alle «cene eleganti» (leggi «bunga bunga») e all’autunno del patriarca. Un tramonto che si consuma fra voci di presunte congiure e aspiranti eredi, invero mai contemplati sul serio da Berlusconi e perciò tutti puntualmente bruciati.
Silvio uno e trino - imprenditore, leader, peccatore - è stato il contesto e il pretesto per polemiche senza fine, un duraturo passatempo da Bar Sport che ha coinvolto tanto i fanatici adepti del verbo di Arcore quanto gli strenui oppositori del Caimano, come lo definì Nanni Moretti in un film. Echi di Petronio e di Boccaccio, e naturalmente della Dolce vita felliniana evocata/equivocata dal Cavaliere, hanno scandito il passaggio dell’Italia nel terzo millennio neanche fosse il III secolo a.C., all’insegna del fescennino parodiato da Cetto La Qualunque / Antonio Albanese del «chiù pilu pe’ tutti».
Atlantista e amico della Russia, Berlusconi ha anche tutelato il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo
In ciò che resta del Paese più cattolico del mondo, il corpo è un capitale da spendere - annotò Marco Belpoliti in un saggio dedicato al culto della personalità di Berlusconi. Temere lo scandalo? Macché, anzi, lo scalpore è in fondo funzionale al «partito personale» di cui parla un libro rivelatore di Mauro Calise (Laterza 2000). La crisi dei partiti del ‘900 e delle grandi narrazioni (il marxismo e il cattolicesimo popolare) rivela in filigrana una novità travolgente: le identità plurime in una stessa biografia. Identità anfibie, provvisorie, spesso contraddittorie... Sicché Silvio poteva essere e fieramente è stato cattolico e adultero, statista e goliardico, potente e vittimista, ricchissimo e idolo dei poveri.

È una dimensione della post-modernità che egli intuisce e concreta per primo, con l’irruenza mercantile e una libido via via più senile e quindi per certi versi impotente. Ma riguarda anche la sinistra: «Noi non siamo innocenti se è nato il populismo», scriverà Alfredo Reichlin.
Tale orizzonte antropologico culturale, nonché politico, corrisponde a una realtà mosaicata, eterogenea, chimerica, eppure disperatamente in cerca di un insieme, di una speranza, di un appiglio contro la solitudine, di un’armonia perduta. Berlusconi lo sa, memore dei primordi da venditore immobiliare di futuro (cos’altro è una casa se non il futuro?), e gli riesce il prodigio di «colonizzare il subconscio» di un popolo intero. Cavalcando i successi di Mediaset fonda la sua egemonia culturale, o «sottoculturale» secondo Massimiliano Panarari, che coniuga Gramsci visto da destra e il Gabibbo «situazionista», la paura del comunismo e la Ruota della Fortuna, le Veline e il Milan... Les jeux sont faits. Del resto, già Enzo Jannacci nel 1975 motteggia in milanese: «La televisiun la g’ha na forsa de leun, la televisiun la g’ha paura de nisun...».
Così il leone catodico diventa il più longevo presidente del Consiglio dalla nascita della Repubblica nel 1946, ancorché sconfitto due volte da Romano Prodi. A proposito, mai visto un dittatore perdere nelle urne, nonostante le larvate accuse di fascismo che a lungo gli rivolsero taluni showman e intellettuali di sinistra, magari gli stessi che pubblicavano libri con la Mondadori acquistata da Berlusconi o che apparivano sulle reti del «satrapo» una sera sì e l’altra pure. Un meccanismo diabolico, questo, che paradossalmente coincide con l’essenza del berlusconismo: il ribellismo mediatico, il consenso e la fama trasformati in valori sul mercato o in Parlamento. Molto più seria resta l’analisi del filosofo Maurizio Viroli dedicata al Cavaliere: «Si difende con l’immenso potere dei suoi mezzi di comunicazione, non con la pressione poliziesca. Più che impaurire vuole persuadere, oltre che comprare con i favori. Vuole essere insomma più amato che temuto».
Berlusconi ci è riuscito, a conti fatti è stato più amato che temuto. Ora l’Italia resta orfana di un personaggio pop dai contorni epocali e con una proiezione ben oltre i confini nazionali (Trump e Putin per aspetti diversi ne hanno emulato qualcosa). Vedremo come i leader di oggi – a cominciare da Giorgia Meloni – sapranno rigenerare l’immaginario, se guardando al futuro o ripiegandosi sul passato che non passa. Riposa in pace Silvio.

Da - https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/il-punto-del-direttore/1403560/silvio-protagonista-pop-fra-politica-e-tivu-cosi-ha-cambiato-il-paese.html

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