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Autore Discussione: Come il Politecnico di Zurigo è al top del mondo sotto la guida di un italiano  (Letto 591 volte)
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« inserito:: Gennaio 23, 2023, 10:36:33 am »

Come il Politecnico di Zurigo è al top del mondo sotto la guida di un italiano

Günther Dissertori, rettore del politecnico di Zurigo.
Da piccolo voleva diventare un astronauta, oggi è un fisico delle particelle e rettore del Politecnico federale di Zurigo. Günther Dissertori, italiano, ha svolto tutta la sua carriera professionale in Svizzera, tra Ginevra e Zurigo. In un mondo scientifico che non conosce nazionalità e frontiere, per Dissertori c’è però un aspetto svizzero che permette al Politecnico di competere ai massimi livelli internazionali: gli investimenti massicci della Confederazione nell’educazione e nella ricerca. Anche se l’esclusione da 'Horizon Europe' potrebbe creare a medio termine problemi all’ateneo.

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 gennaio 2023 - 19:3022 gennaio 2023 - 19:30
Riccardo Franciolli
Günther Dissertori, classe 1969, da quasi un anno rettore del Politecnico federale di Zurigo, ci aspetta nel suo ampio ufficio al primo piano dell’edificio principale dell’ateneo. Dalle finestre si intravvede tutta la città, anche se la notte già sta calando. Il fisico italiano originario dell’Alto Adige (di Lagundo o Algund), dopo studi a Innsbruck e al CERN di Ginevra è diventato professore al Politecnico a soli 32 anni, prima come assistente, dal 2007 come professore ordinario di fisica delle particelle.
A Zurigo il professore è particolarmente amato dagli studenti, tanto che è stato insignito con quattro «Goldene Eule», il premio assegnato ogni anno dall’associazione studentesca VSETH per l’eccellenza didattica. Nel 2013 ha inoltre vinto il Credit Suisse Award for Best Teaching presso l’ETH di Zurigo.
Dal primo febbraio del 2022, Günther Dissertori è il rettore dell’ateneo zurighese, dove ha preso il posto della professoressa Sarah Springman. In questo ruolo, nel dicembre 2022, ha incontrato il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, che durante la visita ufficiale in Svizzera di due giorni, ha fatto tappa al Politecnico dove oggi tra dottorandi, ricercatori e professori ospita una ‘colonia’ di oltre 400 italiani e italiane.
In questa intervista video, il rettore del Politecnico di Zurigo esprime la sua opinione sul fenomeno della fuga dei cervelli:

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tvsvizzera.it: Professore, da piccolo che sogni aveva?
Günther Dissertori: Onestamente, da piccolo il mio sogno era quello di fare l’astronauta, come tanti altri bambini, immagino. Le scienze naturali, le tecnologie mi sono sempre interessate. Così a un certo punto ho preso la via della fisica e non l’ho più abbandonata. Una scelta che non rimpiango e di cui non mi sono mai pentito.

Lei è cresciuto all’imbocco della Val Venosta e dunque a due passi dai Grigioni: la Svizzera era nel suo destino...
La Svizzera non è mai stata lontana nella mia vita. Da bambino era come dicevamo noi, a due passi “dietro le montagne”. Poi guardavamo la televisione svizzera, soprattutto le gare di sci e ho così iniziato anche a familiarizzarmi con lo Schwiitzerdütsch. Sì, la Svizzera in un qualche modo ha sempre fatto parte della mia vita.

Ci spieghi il suo percorso accademico che l’ha portata a Zurigo?
Ho studiato fisica a Innsbruck. La scelta è stata dettata dalla volontà di studiare nella mia lingua madre, ovvero il tedesco. A Innsbruck ho avuto la fortuna di conoscere un professore con un gruppo di ricerca attivo al CERN di Ginevra. E così è cominciato, in un certo senso, il mio rapporto con la Svizzera.
"Da bambino, come dicevamo noi, la Svizzera era a due passi, dietro le montagne”.
Ho avuto poi la fortuna di ottenere una borsa di studio speciale dall'Austria che mi ha permesso di studiare a Ginevra. Il mio dottorato l'ho ottenuto all’università di Innsbruck, ma grazie alla borsa speciale ho potuto lavorare tutto il tempo al CERN durante il dottorato. E così praticamente è dall'inizio del ‘94 che sono in Svizzera e da allora non l’ho più lasciata. Dopo il dottorato infatti ho vinto un posto di ricercatore, sempre al CERN e nel 2001, un po’ a sorpresa, perché ero ancora molto giovane [32 anni, ndr.], ho vinto un concorso al Politecnico federale di Zurigo. Dunque, dal 2001 sono un professore del Politecnico e da febbraio 2022 ne sono anche il rettore.
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Edificio principale dell Ethz
Il Politecnico di Zurigo è sempre più italiano
Questo contenuto è stato pubblicato il 10 ott 201810 ott 2018 La presenza di studenti, staff e professori di nazionalità italiana all'Eth continua ad aumentare. Ma come si trovano gli italiani a Zurigo?

Sorpresa anche perché una cattedra a 32 anni non è all’ordine del giorno...
All'inizio non potevo neanche crederci. Pensavo fosse tutto un sogno, invece è diventato una bella realtà.

La scelta della Svizzera come luogo di ricerca è stato un caso?
Come tante cose nella vita, il tutto è il frutto della combinazione di vari fattori, di alcune scelte, tanta fortuna e di conoscenze giuste che ti aiutano al momento giusto. E anche nel mio caso penso che sia stato così. Però è stata anche una scelta consapevole perché la ricerca al CERN mi interessava tantissimo e quando ho avuto l’opportunità di conseguire il mio dottorato a Ginevra non ci ho pensato neppure un secondo... poi, però, ci sono cose che succedono così, che non sono proprio pianificabili. Succedono e basta. E così sono arrivato a Zurigo.

Il Politecnico è un’eccellenza elvetica nella realtà scientifica mondiale. Ha senso fare una distinzione di nazionalità oppure il mondo della scienza non conosce confini?
Direi la seconda. La ricerca ai massimi livelli vive della competizione internazionale non certo solo nazionale. E il Politecnico di Zurigo è sempre stata un'università molto internazionale, dove tanti studenti - ma anche moltissimi ricercatori e docenti - vengono dall’estero. Ma vi è però un aspetto svizzero che vorrei sottolineare, che permette al Politecnico di competere ai massimi livelli internazionali: il fatto che la Confederazione ha deciso anni fa, e continua ancora oggi, ad investire massicciamente nell’educazione e nella ricerca. Un contributo finanziario essenziale con il quale la Svizzera ci permette di mantenere il nostro eccellente livello internazionale.
Parlando di eccellenza, il Politecnico ogni anno è annoverato tra i primi dieci atenei del mondo. Queste classifiche hanno importanza?
La classica risposta a questa domanda è “sì e no”. Ha la sua importanza nell’attirare i migliori studenti a livello di master o dottorato, perché oggi gli studenti più bravi nel mondo guardano a queste classifiche prima di scegliere dove studiare. Dunque, possiamo parlare di maggior attrattività del nostro istituto grazie al fatto che siamo nella “top ten” delle università mondiali.

"Essere nella top ten delle migliori università del mondo è un effetto secondario del nostro lavoro di eccellenza".
Poi c'è il mondo scientifico. Tutti noi, nel mondo scientifico in generale, siamo abituati a lavorare in un contesto molto competitivo. In questo senso, anche questi ‘ranking’ contribuiscono ad alimentare questa corsa verso l’alto. La risposta invece è “no, il ranking non è importante” quando parliamo di educazione, insegnamento e ricerca. In questi casi noi vogliamo semplicemente essere bravi, perché vogliamo che i nostri studenti e ricercatori siano formati nel nostro istituto nelle migliori condizioni possibili e ai massimi livelli. E facendo tutto questo, non è che pensiamo continuamente al “ranking”. Semmai il “ranking” è un effetto secondario del nostro lavoro di eccellenza.

Parlando di attrattività del Politecnico, cosa significa essere esclusi dal programma scientifico Horizon Europe?
È un problema serio. Non lo nascondo. Siamo molto preoccupati e lo abbiamo spesso ribadito alle autorità competenti. C'è il grande rischio che l'attrattività internazionale del Politecnico ne possa soffrire. Una peculiarità essenziale del nostro ateneo è quello di riuscire ad attirare la gente più brava da tutto il mondo. Alla fine, sono le persone che fanno la differenza. E con questa esclusione dal programma quadro dell’Ue per la ricerca e l’innovazione, corriamo il rischio che qualcuno possa decidere diversamente, cioè di non più venire da noi in Svizzera e di andare altrove, che ne so, di accettare un'altra offerta dalla Germania. Questo sul lungo periodo potrebbe avere un effetto negativo non solo sulla ricerca, ma anche, per esempio, sull'insegnamento, perché lo sappiamo bene, gli scienziati più preparati sono spesso anche i migliori docenti. Per questo stiamo osservando con attenzione quanto succede e continuiamo a sperare che la questione si possa risolvere positivamente.

Se dovesse citare una sfida del prossimo futuro per il Politecnico, quale le viene in mente?
C’è una sfida che mi sta occupando da quando sono diventato rettore. Il Politecnico ha visto una crescita importante del numero di studenti negli ultimi 10-15 anni e questa crescita continuerà anche nei prossimi anni.

"Il numero chiuso ha anche effetti negativi. La Svizzera ha bisogno di persone specializzate, con una educazione di alto livello".

Da un lato, questa crescita è una cosa buona, perché il Paese ha bisogno di specialisti preparati. Sappiamo però anche che l’aumento delle risorse finanziarie non segue l’andamento della crescita degli studenti.
Si sta aprendo divario incolmabile che dobbiamo arginare e pensare come riuscire anche in futuro a garantire la qualità del nostro insegnamento in questo contesto molto complesso.

In ambito scientifico è pensabile un numero chiuso?
Non è possibile per tante ragioni. C’è dapprima un quadro legale: in Svizzera qualunque persona con una maturità elvetica ha il diritto di accesso alla scuola superiore. Penso che questo sia una buona cosa. Il numero chiuso ha anche effetti negativi. La Svizzera, come ho detto prima, ha bisogno di persone specializzate, con una educazione di alto livello. Il numero chiuso ridurrebbe una forza lavoro essenziale per il futuro. Il problema da risolvere è dunque quello di mantenere alta la qualità dell’insegnamento in un contesto dove il numero degli studenti aumenta più velocemente delle risorse finanziarie.

Pensa che conoscere la lingua italiana, che è una delle lingue ufficiali della Confederazione, l’abbia aiutata nella nomina a rettore?
Non credo. Forse qualcuno ha dato un certo peso a questo fatto ma in generale non sono diventato rettore grazie al fatto che parlo le lingue nazionali. Però l’importanza di parlare diverse lingue l'ho percepita tantissimo al CERN. Il fatto di poter parlare la lingua degli altri dà un enorme vantaggio nelle relazioni personali con i colleghi: non si deve usare una “lingua terza”, ci si capisce meglio e certe porte si aprono molto più velocemente. Se guardiamo la competenza linguistica sotto questo aspetto, credo che il fatto di conoscere più lingue mi abbia aiutato nella mia carriera scientifica. In generale chi cresce in luoghi dove si incontrano più lingue e culture può avere solo vantaggi.

Parliamo della cattedra di italianistica “De Sanctis”. Continuerà anche in futuro ad esistere?
La cattedra dedicata al critico letterario italiano Francesco De Sanctis è un’istituzione dinamica.
"La cattedra De Sanctis è un tassello importante dell'educazione umanistica dei futuri tecnici e scienziati"
Non è un insegnamento riservato a un professore ordinario. A ricoprire questo ruolo vengono invitate delle personalità nel campo della letteratura italiana. Oggi posso dire che la Cattedra [messa in discussione più volte, ndr.] esiste e esisterà anche in futuro, continuando a rappresentare un tassello importante dell'educazione umanistica dei futuri tecnici e scienziati che cresciamo qui al Politecnico federale di Zurigo.

Un'ultima domanda. Se le condizioni fossero date, tornerebbe in Italia?
Per il momento, onestamente, devo dire che non mi pare un'opzione seria. Sono contentissimo della mia situazione attuale qui a Zurigo. Forse un giorno potrei pensare di ritornare in Alto Adige a vivere. In fondo è dove sono nato e cresciuto, ma professionalmente sono molto felice dove sono.

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Parole chiave: SCIENZAEDUCAZIONE
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