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Autore Discussione: Da qualche tempo in qua, però, il merito è diventato sospetto, e con qualche ...  (Letto 3432 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Novembre 21, 2022, 10:09:21 pm »


Jack Daniel
 
Riporto questo post perché alle mie orecchie suona come un corto circuito e un controsenso che, però, vedo molto spesso spuntare in molte discussioni. Merito ed eccellenze figlie di classe e buona sorte? Veramente è più il contrario, storicamente il merito si contrappone a censo. A partire dall'homo novus di Cicerone, passando per la Rivoluzione Francese, il merito era l'opposto della cicogna, vale a dire del principio che per poter assurgere alle vette, per esempio del Governo, fosse indispensabile nascere nobile tra nobili. Quindi il merito come valore positivo che favoriva l'ascensore sociale; anzi: era l'ascensore sociale, oltre che il rinnovamento della società.

Da qualche tempo in qua, però, il merito è diventato sospetto, e con qualche ragione, per il fatto che le condizioni di partenza sono diverse e, quel che è peggio, sono sempre più diverse mano a mano che passano gli anni. Per cui capita che il favorito dalla cicogna nasca in una famiglia che sin dai primi vagiti lo indirizza verso un percorso di istruzione esclusivo, a partire dagli asili fino alla laurea e alle prime esperienze lavorative. Il meno favorito dalla cicogna, invece, seguirà un percorso ordinario e magari, pur essendo parimenti sveglio del favorito, non potrà mai arrivare ad avere la stessa qualità formativa. Il tutto tacendo del fatto che, grazie a conoscenze sempre favorite dalla cicogna, avrà cominciato a muoversi nel lavoro da posizioni più confortevoli. La conclusione è che se prendete quelle due persone a 30 anni, capita che il favorito della cicogna "oggettivamente" ne sappia più dello sfavorito. A parità di tutto il resto, il favorito "oggettivamente" conoscerà più cose, più lingue, avrà visto più posti, avrà avuto esperienze più formative. Se tutte queste maggiori conoscenze ed esperienze vengono quindi considerate come merito individuale dell'amico delle cicogne, frutto esclusivamente del suo lavoro e impegno, allora ecco che la parola merito assume un connotato come minimo sospetto e un po' antipatico.
Fin qui siamo tutti (o quasi) d'accordo, credo. Il problema nasce subito dopo: è questa una ragione per denigrare il merito? O non è invece proprio la ragione per riaffermarlo riportandolo alla sua carica originaria? Se noi ci stiamo rendendo conto che gli ascensori sociali tendono a rallentare, se non bloccarsi, non sarà quello il problema? Se il merito non è più sinonimo di impegno personale, ma figlio di disparità di partenza, il problema non sono le disparità?
Don Milani (e Dario Fo)  "L' operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone". Qual era il problema? Le 1000 parole? Il fatto che a conoscerle fosse il padrone? O il fatto che l'operaio ne conoscesse solo 300 e fosse solo il padrone a conoscerne 1000? E la soluzione giusta al problema quale sembrava, mezzo e oltre secolo fa, ridurre tutti a 300 parole o fare in modo che si potesse, tutti, indipendentemente dalla cicogna, conoscerne 1000? Non c'erano dubbi: fare in modo che tutti ne potessero conoscere 1000. Sostituiamo merito a 1000. La soluzione è no alle 1000 parole? Il fatto che si riconoscesse che le 1000 parole erano figlie della cicogna (e delle classi) era buona ragione per rifiutare l'ideologia delle 1000 parole? Ma manco per sogno, le 1000 parole andavano benone, il problema è che solo in pochi potevano conoscerle.
Il corto circuito nasce quindi spesso, mi pare, dal confondere il merito dalla sua usurpazione. L'usurpazione è ciò che si diceva sopra: la cicogna fa sì che, "oggettivamente", a 30 anni, si possa essere su un piano diverso di conoscenze e quindi, di numero di parole conosciute. Se ciò uno se lo intesta come proprio merito, compie un abuso. Il merito, se non è figlio dell'impegno individuale, ma della cicogna, diventa un'altra cosa, diventa un'usurpazione di significato. E quindi si condanna il merito o la sua usurpazione? Si condannano le 1000 parole o il fatto che a conoscerle siano sempre più i beniamini della cicogna? Si condannano le eccellenze, o il fatto che raggiungere l'eccellenza presupponga sempre più spesso una cicogna come amica?


Non so se fosse l'intenzione di chi ha scritto questo post, ma a me suona come un'ammissione di storica sconfitta. Come dire: una volta che abbiamo capito che la società non permette a chiunque di poter arrivare a conoscere 1000 parole, allora rifiutiamo le 1000 parole, rifiutiamo l'eccellenza, rifiutiamo il merito.  E' questa una visione progressista? O, al contrario, una visione progressista dovrebbe far suo il merito da contrapporre alla cicogna, dovrebbe rendere l'eccellenza raggiungibile da chi è veramente eccellente e non solo (o quasi) da chi è nato in una situazione eccellente?

Nadia Cuffaro
Jack Daniel ho visto che era il suo compleanno però forse lei e' giovane Si ricorda le battaglie "antimeritocratiche" sensattottine? Eppure era un movimento di primi della classe.. lo striscione è bellissimo e riassume anni di dibattito accademico e studi empirici sul declino ahimè del merito e sulla trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza dell'alta letteratura economica (soprattutto Usa Francamente qui da noi l'ascensore sociale basato sul merito è sempre stato non proprio prevalente)

Jack Daniel
Nadia Cuffaro Veramente il mio compleanno è tra qualche giorno. Non ricordo il '68, ma gli anni'70 (seconda metà) sì.
Non mi è chiaro come lo striscione riassuma anni di alta letteratura economica, sinceramente.

da Facebook del21 novembre 2022
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 18, 2022, 03:09:07 pm »

Le 5 giornate di Milano

Ogni sabato mattina approfondimenti di cronaca, politica, cultura e costume con le firme della redazione del Corriere Milano

Ben ritrovati lettori del Corriere Milano,
torna l'appuntamento del sabato mattina con la newsletter Le cinque giornate di Milano. Giampiero Rossi, nella settimana dell'anniversario della strage di Piazza Fontana, racconta un luogo simbolo sempre più utilizzato come ribalta per rivendicazioni anziché come spazio di memoria. Dopo l'inchiesta sulla "locale" di Pioltello, Cesare Giuzzi descrive il volto nuovo della mafia infiltrata in Lombardia, ben modellata alla realtà imprenditoriale del Nord. Le feste si avvicinano e per il 31 dicembre non è previsto alcun evento organizzato in piazza del Duomo. Dopo i disordini dello scorso anno, con le molestie a diverse ragazze, è un'occasione persa di presidio del territorio: ne scrive Massimo Rebotti. La cultura arriva in periferia grazie a un palinsesto ad hoc: un articolo di Francesca Bonazzoli. Infine, i consigli di Eleonora Lanzetti per il tempo libero: conto alla rovescia per il nuovo anno a teatro.

Buona lettura
 
L'ANNIVERSARIO

Piazza Fontana, un luogo della memoria "occupato" da rivendicazioni ingombranti
 
di Giampiero Rossi
Piazza Fontana non è soltanto una piazza, il 12 dicembre non è soltanto una data e la commemorazione della strage del 1969 non è soltanto un rito. Tutti insieme rappresentano un pilastro della memoria collettiva di questa città e del Paese intero. Quel giorno e quel luogo, dunque, hanno acquisito una sorta di sacralità laica, sancita anche dalle lapidi e dalle formelle che ricordano tutti insieme e uno per uno i 17 morti della bomba neofascista esplosa quel venerdì di 53 anni fa alla Banca nazionale dell’agricoltura.
Succede però che al di là dei revisionisti in malafede - cioè quelli che per ragioni di casacca politica vorrebbero strappare qualche pagina scomoda dal grande libro che racconta cosa e chi si sia mosso dietro alla madre di tutte le stragi – quando arriva il 12 dicembre c’è chi non resiste alla tentazione di utilizzare quella piazza come palcoscenico per qualcosa d’altro, qualcosa di proprio, qualcosa che comunque non c’entra  nulla con la testimonianza instancabile dei familiari delle vittime e di tutti coloro che non smettono di adoperarsi per custodire e rafforzare la memoria di ciò che è stato e che tutte le generazioni dovrebbero sapere.
Quest’anno, cioè lunedì scorso, sono stati gli anarchici che, in modo palesemente premeditato, hanno scelto proprio il momento dei comizi per portare all’attenzione del mondo la vicenda di Alfredo Cospito, detenuto in regime di 41 bis. Ogni volta che il sindaco Giuseppe Sala iniziava il suo discorso gli hanno coperto la voce con urla e slogan. Lo stesso Sala e uno dei familiari delle vittime hanno chiesto rispetto per i morti, ma i disturbatori hanno lasciato il campo soltanto dopo aver tenuto la scena per qualche minuto ancora.
 

Un anno fa, però, era stato lo stesso primo cittadino a usare l’occasione del 12 dicembre per un messaggio che nulla aveva a che fare con la circostanza: accennando allo sciopero proclamato da Cgil e Cisl per pochi giorni dopo, lo ha definito «sbagliato», suscitando la reazione di non pochi tra i partecipanti alla manifestazione ingaggiando lui stesso un battibecco con alcuni di loro: «Non dico cazzate, rispetto innanzitutto». Andò molto peggio, tuttavia, nel 2009, quando si celebrava il quarantesimo anno dalla strage: tra le autorità chiamate a intervenire c’erano il sindaco Letizia Moratti e il presidente della Regione Roberto Formigoni e la contestazione, tutta politica, nei loro confronti fu tale che nemmeno l’appello di Paolo Silva, figlio di uno dei morti della bomba nera e vicepresidente dell’associazione dei familiari, sortì alcun effetto. E a dover lasciare la piazza furono proprio i parenti delle vittime e le istituzioni.
E allora per il futuro valga un appello, forse temerario e ingenuo, ma di buon senso civico e storico: piazza Fontana, il 12 dicembre e quella memoria non sono e non possono essere usati come un qualsiasi «speaker corner»: sono un patrimonio collettivo importante ma delicato. Quindi da rispettare e tutelare.

LE INFILTRAZIONI DEI CLAN
 
La 'ndrangheta è  viva, anzi in ottima salute. E si è ben adattata al modello economico lombardo
 di Cesare Giuzzi
 Più di cinquanta arresti in venti giorni. La conferma che la ‘ndrangheta è viva e – purtroppo – in ottima salute anche nel difficile periodo del post pandemia. Ma le inchieste della squadra Mobile sui “locali”, le cellule della mafia, di Rho e Pioltello hanno una caratteristica interessante. I cognomi degli indagati, almeno nelle posizioni di vertice, sono gli stessi di quindici anni fa. Prima, insomma, della maxi retata Infinito che nel 2010 ha portato all’arresto e alla condanna di quasi 300 affiliati. La circostanza non deve stupire perché decenni di indagini confermano, specie per la mafia calabrese, che i legami criminali e familiari sono spesso inscindibili. E anche, va detto, l’inefficacia degli strumenti “rieducativi” in carcere e fuori.
Ma se i nomi sono gli stessi (Bandiera e Maiolo), cambia e tantissimo il modo di agire della ’ndrangheta oggi. In una intercettazione dell’inchiesta su Pioltello uno degli affiliati consiglia “stai fermo, stai fermo, non fare la guerra”. E sì che nell’indagine sono molti gli episodi violenti documentati, compreso il tentato omicidio di un albanese. Però oggi le cosche guardano soprattutto agli affari, leciti e illeciti. La droga resta il core business, ma è il mondo delle imprese a fare gola. Anche quello di altissimo livello, come i rapporti con il colosso delle spedizioni Gls. “La ‘ndrangheta si è modellata alla realtà imprenditoriale lombarda”, scrivono gli inquirenti: “Gli indagati adottano tecniche operative e commettono illeciti tipici del settore economico con cui vengono in contatto, apprendendo il modus operandi della criminalità economica”.
Quindi “il virus brutto e cattivo della mafia che ha contagiato il Nord” (riprendendo uno stereotipo molto in voga nella passata narrazione) non solo ha trovato un terreno fertilissimo a Milano e in Lombardia, evidentemente prive di anticorpi, ma una certa gestione imprenditoriale nostrana ed eticamente molto carente ha perfino favorito l’evoluzione e il potere della ‘ndrangheta padana. La mafia è un mostro che si adatta, apprende, si evolve, e impara dai propri errori. Mentre noi, purtroppo, non lo facciamo mai.

 
LA SICUREZZA
 Il concerto in piazza del Duomo "spento" dal caro bollette: un'occasione di presidio persa (si poteva inventare qualcosa)
 
di Massimo Rebotti
 “Nessun concerto in piazza Duomo per l’ultimo dell’anno. Gli ultimi soldi disponibili li abbiamo usati per le luminarie”. Per tempo, era il 1 di dicembre, il sindaco Beppe Sala aveva avvertito milanesi e turisti. Con un’argomentazione strettamente legata ai magri bilanci e alle necessità di Feste più sobrie ha così chiuso il discorso: “Anche i fondi del Comune, come quelli di ogni famiglia, sono in grande difficoltà”.
Eppure, dopo il periodo del Covid e le molestie di gruppo nella notte di Capodanno dell’anno scorso, la piazza “vuota” di quest’anno merita una riflessione in più. Il motivo economico è certamente solido ma la festa pubblica in piazza Duomo la notte dell’ultimo dell’anno era diventata una consuetudine e la sua cancellazione non è un fatto come un altro.
L’anno scorso, a causa del Covid, il concerto non si fece. Migliaia di persone scelsero comunque di vivere il passaggio d’anno nel centro di Milano: festeggiare collettivamente in piazza invece che in luoghi privati è comune a molte città europee, un modo di stare insieme anche tra sconosciuti. Purtroppo a Milano il Capodanno del 2022 in piazza Duomo e dintorni è stato segnato anche da una serie di gravi episodi di molestie di gruppo ai danni di donne. Non a caso, infatti, il sindaco, mentre annunciava il no al concerto, aggiungeva che quest’anno la zona sarà “molto presidiata” dalla polizia.
Ora, non è affatto detto che un evento pubblico in piazza scongiuri il rischio di episodi di violenza, ovviamente. Ma non è detto nemmeno il contrario, e cioè che una piazza vuota di eventi garantisca di per sé una serata più tranquilla. Negli ultimi anni il concerto di fine anno era filato via liscio, senza grandi problemi e con la partecipazione di migliaia di persone (nel 2019 suonò  Gabbani, nel 2020 Myss Keta e lo  Stato sociale). Nessuno nega le ristrettezze di budget, ma forse un’idea, anche al risparmio, si poteva tentare. A Torino, per dire, quest’anno ci saranno i Subsonica.

NON SOLO SCALA
L'anima della periferia che fa vivere la cultura e la cultura che fa vivere l'anima della periferia
 
di Francesca Bonazzoli
 Dal centro fino ai quartieri che si espandono oltre la circonferenza disegnata dalla linea 90/91 (candidata a entrare prima o poi nella mitologia milanese per le storie della sua malafama), il percorso della cultura non dovrebbe essere difficile. Milano si autocelebra come una città con eventi di richiamo europeo, eppure l’impresa di raggiungere i margini di un centro molto piccolo rispetto ad altre metropoli rappresenta ogni anno una conquista all’interno di una battaglia finale non ancora vinta.
Quest’inverno la tradizionale mostra natalizia gratuita allestita a Palazzo Marino dove sono esposti lavori di Filippo Lippi, Sandro Botticelli e Tino da Camaino (già visitata da circa 11.500 persone) si estende anche alle biblioteche di zona degli otto municipi che ospitano altrettante tele sul tema: quattro del Seicento e quattro dell’Otto/Novecento.
Se pure molto lontano dalla qualità di quelle accolte in centro, lo sforzo fatto per esporre queste opere va apprezzato, anche se tutto sommato non è gran cosa rispetto all’impatto culturale. Piuttosto merita maggior encomio l’aver portato la prima della Scala in spazi sempre più diversi della città, come avvenuto quest’anno.
Ma soprattutto, la direzione giusta è stata presa dal cantiere “Milano è viva”, varato la scorsa estate e finanziato ad hoc con 2,5 milioni di euro dal Ministero della Cultura. La sovvenzione statale ha supportato più di 50 rassegne e festival con 1.150 eventi distribuiti su oltre 80 quartieri dei 9 municipi della città. Un ottimo rodaggio per l’edizione invernale ripartita a dicembre e che, fino al 6 gennaio, raggiungerà con più di 150 eventi anche i quartieri esterni come Dergano, Baggio, Casoretto, Forze armate, Quintosole, Stadera, Quarto Oggiaro, Crescenzago, Chiaravalle, Giambellino, Gratosoglio.
Non solo, dunque, ci saranno più teatro, musica, danza, cinema e arti visive ai bordi della città, ma, altrettanto importante, le associazioni culturali e le cooperative coinvolte hanno avuto la possibilità di lavorare e attivarsi nel territorio. Questo aumenta il coinvolgimento della cittadinanza e delle giovani energie creative che spesso non trovano spazi e quindi fanno fatica a sopravvivere. È proprio questo, alla fine, lo scopo di un palinsesto culturale che non si appoggi ai soliti attori del centro (sia nel senso di artisti che di spazi).
L’impegno del Comune per la cultura dovrebbe essere quello di aiutare la crescita di nuovi talenti e imprese culturali; quello di individuare e mettere a disposizione spazi a basso costo, creare punti di riferimento sempre aperti per la creatività dei giovani, avvicinare allo spettacolo chi non può permettersi i biglietti del centro. In periferia c’è tanta energia ma non ci sono i luoghi per metterla in circolo. Berlino era rinata proprio con questa ricetta ai tempi della riunificazione. Poi anche lì la speculazione edilizia ha finito per espellere la creatività e dunque l’anima della città.
 
CONSIGLI PER LA FESTA
Un brindisi lontano dalla tavola imbandita? C'è il menu dei teatri
 
di Eleonora Lanzetti
 A Capodanno si va a teatro. Chi preferisce trascorrere l’ultima serata del 2022 lontano da tavole imbandite e cenoni al ristorante, avrà a disposizione un cartellone di proposte, dal musical ai protagonisti della comicità. Nei teatri milanesi è quasi tutto pronto, per chi all’estenuante maratona di portate e brindisi rinuncia volentieri. 
Ale e Franz saliranno sul palco del Teatro Lirico Giorgio Gaber il 31 dicembre 2022 per due repliche del loro spettacolo “NatAle&FranzShow” in programma alle 17.30 e alle 21.30. Risate anche al Teatro Manzoni con Vincenzo Salemme e il suo nuovo spettacolo dal titolo “Napoletano? E famme ‘na pizza!”, un pamphlet tratto dal suo libro più recente. Anche qui saranno due gli spettacoli in programma, uno alle 17.30 e l’altro alle 21.30.
Come da tradizione, non mancherà il Capodanno allo Zelig Cabaret di Viale Monza: una serata comica che vedrà l’alternarsi di artisti come Davide Paniate, Andrea Carlini, Silvio Cavallo, Federica Ferrero, Corinna Grandi, Cinzia Marseglia, Eddi Mirabella. Un altro grande classico della cultura popolare lombarda in chiave comica? I Legnanesi tornano al Teatro Repower di Assago con il nuovo spettacolo - rigorosamente in dialetto legnanese - bdal titolo Liberi di Sognare che andrà in scena la sera del 31 dicembre 2023 e quella del 1 ° gennaio 2023.
Se il 31 dicembre è già precettato, si può sempre andare a teatro la prima sera del 2023, e iniziare con il sarcasmo irriverente di Checco Zalone, il 1° gennaio sul palco del Teatro degli Arcimboldi con il suo nuovo spettacolo dal titolo “Amore + Iva”. Si chiude con un grande cult del Natale, il musical Sister Act al Teatro Nazionale con la regia di Michele William Barbato e le coreografie di Anna Paggiaro e Giosuè Vettorato.

da - https://api-esp.piano.io/story/estored/313/9307/-1/5383429/490299/vib-clbrk3lhp13ug01h0dqltau97?sig=269726d11ac9622b79c0a0825ed0a912528f7a9b62153dbf7a4ac456d1406b51
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