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Autore Discussione: Mimmo Arezzo IL PARTY  (Letto 765 volte)
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« inserito:: Novembre 18, 2022, 10:28:52 pm »

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Mimmo Arezzo
 
IL PARTY

A vivere avvolti da una atmosfera così intensa, particolare, privilegiata, dal punto di vista sociale e culturale, si rischia di dimenticare quando siano delicati, strani, a volte buffi i meccanismi dei rapporti fra colleghi di “ranghi” diversi.
In Matematica vige la convenzione che per la carriera valgano solo le pubblicazioni con risultati originali.
Questo appare a priori molto saggio e selettivo, ma dà alla nostra professione un carattere particolare, che rende difficile, a volte, il rapporto con i colleghi di altre discipline.
Per esempio, i ricercatori di una disciplina umanistica tendono a contare il numero delle pubblicazioni mentre per noi matematici portare a termine una pubblicazione richiede a volte tempi lunghissimi.
I grandi temi sono molto difficili; tanta gente dei massimi livelli ha dedicato ad essi energie e capacità. Più facile è orientarsi su temi nuovi, magari di dubbia significatività.
Per questo è particolarmente importante avere la fortuna e l’intelligenza di aggregarsi a un gruppo aggiornato sui temi e i metodi elaborati di recente e che quindi poter coltivare la speranza di far progredire almeno un poco le conoscenze in un argomento interessante e significativo.
Allora sai che il tuo argomento è studiato anche da altri, nello studio accanto al tuo o dall’altra parte del mondo. E ti struggi non solo per la Scienza, ma anche per l’orgoglio di dire anche tu in essa qualche cosa di significativo.
Si stabilisce allora fra te e il tuo direttore di ricerca e gli altri collaboratori un legame del tutto particolare, che di solito sfugge al cosiddetto “immaginario collettivo”, che vede prevalentemente il rapporto di subordinazione fra l’aspirante alla carriera e il “capo”.
Tutto questo ebbe una volta, ad un congresso, a Salsomaggiore, il suo magnifico tribuno in Giovanni Prodi, fratello maggiore di Romano:
“Abbiamo vissuto tutti la fase nella quale eravamo ‘gli assistenti’, spesso confusi con ‘gli attendenti’, i portaborse dei nostri direttori di ricerca.
Ma che ne sanno, loro, del fuoco che ti arde dentro, che ti impedisce di dormire, perché sei sicuro che la cosa che insegui da mesi sia vera ma la dimostrazione ancora ti sfugge.
E tu sai che c’è accanto a te una persona che saprebbe forse come salire lo scalino che a te ancora manca per raggiungere la tua meta.
Che ne sanno, loro, del fatto che a uno così tu porteresti volentieri la valigia alla stazione, non per servilismo, ma per ammirazione, complicità, affetto, devozione, …, perché è uno che ha fatto le tue stesse scelte, alcuni anni prima, e a lui è andata bene”.
Ricordo bene quell’applauso liberatorio durato dieci minuti.
Questi sono i sentimenti normali fra “capo” e “allievo”.
Ma naturalmente ci sono poi tutte le deformazioni del caso, dipendenti dai caratteri delle persone.
È una situazione che mette in luce, fra l’altro, la signorilità delle persone, perché il vero “signore” non è la persona che ha un gran titolo o tanti soldi, ma quella che non approfitta delle situazioni di potere per trarre qualche beneficio o gratificazione dalle persone in qualche modo a lui subordinate, magari solo perché più giovani e ai primi approcci alla carriera.
L’ingegno è invece ugualmente distribuito fra le persone e quindi non è raro il caso nel quale una persona ha molto potere, scientifico o di relazioni, e non ha la signorilità necessaria per utilizzarlo nel modo più giusto e gradevole.
Capita quindi che il “capo” malintenda, o finga di malintendere, il suo rapporto con l’allievo e gli chieda di sostituirlo a lezione perché lui non ne ha voglia, quando non gli chiede qualche cosa di peggio. E naturalmente c’è anche l’allievo poco signorile a sua volta che spera di fare più rapidamente carriera se porta veramente la borsa, al suo capo, fisicamente o in un voto assembleare, …
E poi ci sono i compositi rapporti fra colleghi. Spesso, se manca quella signorilità, essi sono sempre tesi a mostrare il loro valore, come se ogni occasione di rapporto con gli altri fosse un concorso da vincere, mentre i più timidi sono più tesi a evitare ogni occasione di fare una figura negativa.
Tutto ciò, in un anno sabatico, va in soffitta: nessuna riunione di Consigli di Facoltà, di Dipartimento, di Corso di Laurea, … si studia, si studia, si ha la fortuna di ascoltare, di lavorare con persone di cui si è apprezzata infinitamente una idea geniale espressa in un lavoro, presentata in una conferenza, scritta in un libro. Il resto non conta niente.
E a un certo punto arriva il party, il party americano, e quindi con tutte le amplificazioni naturali di quella terra.
Allora rivedi la galleria dei tipi e delle situazioni che avevi dimenticato: l’allievo che non sa dove piazzarsi e sta aderente al muro e non consuma niente perché teme che in quel tramezzino ci sia l’oliva “e poi il nocciolo dove lo metto?”, quello che non sapeva come vestirsi e alla fine ha fatto la scelta peggiore, risultando il più elegante o il meno elegante di tutti, quello che ride rumorosamente al racconto di una barzelletta, ma un attimo prima che essa sia realmente conclusa (e tutti si voltano subito verso di lui), quello che non la capisce e parte a ridere in ritardo, quando ha visto che gli altri ridono, ma dal suo sguardo si vede bene che non ha capito niente, ….




E poi c’è il padrone di casa; e può capitare che sia un buzzurrino che per imperscrutabili disegni di Dio è oggettivamente più dotato degli altri nel capire e nel gestire la Matematica, ma che rimane solo un buzzurrino bravo.
A lui non importa niente che la gente sia contenta della serata: egli curerà soprattutto il fatto che la sua figura ne esca migliorata e che tutto vada in linea con il suo grande prestigio.
Egli, attraverso la parete di vetro che separa la sua grande living room dalla sponda del grande fiume, mostra orgogliosamente il suo prato perfettamente raso e fa in modo che non sfugga il fatto che in mezzo ad esso c’è il palo con la casettina per gli uccellini, che naturalmente non si vedono, mentre sulla sponda, stancamente inclinata su un lato c’è la canoa sulla quale porta, ogni tanto, sua moglie e la bambina in quella specie di lago.
Ricordo una scenata composta, ma esagerata, fatta a un collega che aveva acceso una sigaretta e che determinò una dotta conferenza sugli effetti del fumo durata quanto la metà del party. Immagino che dopo i primi dieci minuti di conferenza il ‘responsabile’ sia stato preso dalla voglia di ingoiare la sigaretta e di dirgli “Taci! L’ho ingoiata, per non sentirti più! Non ti basta?”.
Anche le portate seguivano l’atmosfera della circostanza, con la padrona di casa che si vantava di avere elaborato una salsina originale, da spalmare sulle coste di sedano, della quale avrebbe pubblicato la ricetta nel giornalino parrocchiale la settimana successiva e a cui aveva dato il nome della figlia.
E infine il momento centrale, quello della sorpresa, quello nel quale il grande scienziato si mette al pianoforte non per la musica, ma per dimostrare al mondo intero che il suo genio non si limita alla Matematica, ma si spande senza frontiere.
Mi piacerebbe dire che massacrò Bach, perché sarebbe in linea con il resto del racconto. Ma io sono una persona per bene, o almeno mi sforzo di esserlo, e devo dire che non aveva scelto certo un brano particolarmente impegnativo, ma lo suonò molto bene.
I saluti che ci furono alla fine di quel party mi ricordano una canzone di Charles Aznavour, che alla fine di una serata tremenda dice alla moglie: “Ma no, cara; è solo un po’ di stanchezza; al contrario, è stata una bella serata, anzi, una magnifica serata”.
E tutti a casa, a vedere se c’è per caso ancora qualche cosa, nel frigorifero.
La frase di Aznavour, l’indomani, echeggiava in ogni angolo del Dipartimento, ad ogni incontro con il padrone di casa, attentissimo nel raccogliere la gloria: “È stata veramente una bella serata, anzi, una magnifica serata”.

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