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Autore Discussione: Jack Daniel - Ma se poi alla fine fosse (anche) una questione generazionale?  (Letto 1282 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Settembre 16, 2022, 11:18:42 pm »

Jack Daniel
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"Non importa quanto muti la situazione internazionale, noi continueremo ad assicurare il nostro sostegno al Kazahstan nel proteggere la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale, così come sosterremo le riforme che state portando avanti per assicurare stabilità e sviluppo, e ci opponiamo alle interferenze di qualunque potenza negli affari interni del vostro Paese". Così parlò Xi alle autorità locali, al suo arrivo in Kazahstan, (https://tinyurl.com/2w75e83y ) la prima visita estera in era post Covid, in una Nazione storicamente alleata di ferro della Russia.
Ex stato membro dell'URSS, alla caduta del muro in Kazahstan prese il potere Nursultan Nazarbaev, esponente locale del partito comunista sovietico che, un po' come Lukashenko in Bielorussia, divenne il padrone incontrastato del Paese, tanto da cambiare, in un afflato di modestia, il nome della neocapitale Astana nel suo, in Nursultan. Affrontò diverse elezioni, tutte vinte con percentuali oscillanti tra il 90 e il 98% e poco importa che osservatori internazionali, per usare eufemismi, le considerassero non esattamente regolari.
Tutto ciò sino al 2019 quando Nursultan cedette il potere ad un suo protetto, Tomayev, mantenendo, però, ruoli chiave da padre padrone tra cui, oltre la capitale a sé intestata, una sorta di immunità perpetua. In tutti questi anni l'alleanza con la Russia è sempre stata strettissima tanto che, a inizio di quest'anno, in seguito a proteste di piazza contro il carovita, il nuovo presidente Tomayev chiese l'intervento della Russia per sedare le rivolte e tranquillizzare la situazione. Eravamo a gennaio, e da allora, anche se sono passati solo otto mesi, sembra passata un'era perché, un mese dopo, la Russia invade l'Ucraina. La posizione di Tomayev appare subito sfumata: il Kazahstan, da sempre alleato fedele, comincia a porre dubbi e il sostegno alla Russia si intiepidisce. Niente di troppo clamoroso, ma è rimarcare qualche distinguo (https://tinyurl.com/2p8f9rjz ).

In questi giorni la visita di Xi, e la sua profferta di amicizia e di protezione nel caso qualche potenza straniera voglia minare integrità e indipendenza del Paese. E quale mai può essere la potenza straniera che potrebbe attentare alla sovranità del Kazahstan? La Nuova Zelanda? Le Isole Tonga? Non credo. Nel frattempo, marcia indietro, la capitale non si chiamerà più Nursultan, in omaggio al vecchio padre padrone, da sempre l'alleato fedele di Mosca, ma ritornerà a chiamarsi Astana.
Nel frattempo, in questi stessi giorni, è ripreso il secolare conflitto tra Armeni e Azeri, conflitto che negli ultimi anni è rimasto silente perché la Russia, schierata con gli armeni, ha messo un tappo alle tensioni mandando truppe ai confini. In queste ore gli azeri (amiconi dei turchi) hanno ripreso a bombardare il territorio armeno colpendo anche qualche posto di frontiera presidiato dai Servizi russi (https://tinyurl.com/mpcha7vn ).

Ma si segnalano scontri anche al di là del Caspio, tra Kyrgyzstan e Tajikistan (https://tinyurl.com/u2vux7k4) poco dopo che i Kirgizi avevano mostrato con grande orgoglio i nuovi droni Bayraktar comprati dalla Turchia. Entambe, Kyrgyzstan e Tajikistan, fanno parte, insieme al Kazahstan e all'Armenia, del CSTO, un'alleanza militare, e una sorta di Commonwealth, dominato dalla Russia che così ha riaffermato il suo ruolo egemone nella Regione nei decenni post-sovietici.



Si tratta di vicende che hanno un comun denominatore: cominciano i grandi giochi post Ucraina. Perché, comunque vada a finire il conflitto ucraino, alcune cose sono ormai ben chiare: la Russia si è rivelata una tigre di carta. La seconda potenza militare al mondo, che si immaginava dovesse sventrare l'Ucraina in poche settimane se non giorni, non solo non sta riuscendo, per ora, nel suo compito ma, anzi, vedi Izyum, subisce pesanti rovesci. Non definitivi, certamente, e non conclusivi: l'esito finale della guerra è tutto fuorché scritto.
Fatto sta che il secondo esercito al mondo quello che, secondo la sua autonarrazione, sarebbe stato in grado di tener testa a tutti gli eserciti NATO, non riesce a spuntarla contro le forze armate ucraine che combattono con un decimo di armamenti NATO. Non vi sono, infatti, carrarmati occidentali in Ucraina, né aerei di alcun tipo, né flotte occidentali in Mar Nero. Né, soprattutto, personale militare NATO combattente. Nonostante ciò, la Russia arranca, se non peggio.
Quello che succede è quindi logico e prevedibile. Da un lato (Kazahstan) si comincia a domandarsi se non sia il caso di scegliersi un alleato (Cina), anch'esso confinante, ma molto più potente, tecnologicamente, economicamente e, forse, pure militarmente, visto quello che si vede in Ucraina. Dall'altro, al di qua e al di là del Caspio, si inizia a percepire la difficoltà della Russia che, ormai troppo impegnata in Ucraina e con le forze armate assai ridimensionate, probabilmente avrà meno mezzi e possibilità di intromettersi pesantemente nelle politiche locali. In buona sostanza, la conclusione è che si ha sempre meno paura delle eventuali reazioni di Mosca e il CSTO appare sempre più svuotato di senso e significato.
Si sta muovendo, in definitiva, un mondo che noi siamo abituati a percepire come monolitico. Noi siamo abituati a pensare alla Russia come a quell'entità che controlla ciò che succede da un po' più in là di Varsavia sino all'Alaska, e dalle desertiche e torride steppe asiatiche sino ai ghiacci artici. Questo monolite si sta incrinando e subito ingombranti e interessati vicini (Cina, Turchia, probabilmente Iran) alzano la mano dicendo "io son qui". Non dubito che presto alzeranno la mano anche altri (immagino che i servizi USA seguano il tutto con estremo interesse).
Forse qualcuno ha sbagliato lettura e interpretazione: Putin non sta sventrando l'Ucraina, sta sventrando la Russia.

da Fb del 15 settembre 2022

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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 10, 2022, 11:03:56 am »

Jack Daniel
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Sarebbe il caso di riprendere le proposte che Zelensky rivolse ai russi nelle prime settimane di conflitto, proposte cadute nel vuoto perché la Russia era convinta di avere il coltello dalla parte del manico.
In pratica Zelensky proponeva il ritiro delle truppe russe ai confini del 23 febbraio, e l'inizio di un lunghissimo negoziato per lo status della Crimea alla quale non era disposto a rinunciare ma che avrebbe potuto, tramite trattativa, giungere ad una reale autonomia, ancorché non indipendenza. I negoziati erano previsti lunghissimi (15 o 20 anni https://tinyurl.com/56m5y5s2 ) per dare tempo agli animi (diciamo così) di raffreddarsi e permettere ad una nuova generazione di governanti di definire la questione. In fondo è quello che facemmo noi con la Jugoslavia: il conflitto terminò nel 1945, ma i trattati di Osimo, quelli che definivano lo status, per esempio, di Trieste, furono firmati 30 anni dopo, quando ormai molta acqua era passata sotto i ponti e quel conflitto cominciava ad appartenere più alla storia che alla cronaca.
Le proposte di Zelensky, che comprendevano, allora, la neutralità e il non ingresso nella NATO, apparvero a molti ridicole, perché in molti davano per scontato che la Russia si prendesse non solo la Crimea, ma tutta l'Ucraina che volesse. Tanto che molti pacifisti (diciamo così) già portavano sugli scudi un Kissinger d'annata che aveva proposto la divisione dell'Ucraina in due o tre tronconi e si lanciavano in ardite composizioni cartografiche auspicando una Yalta che sancisse, mediante accordi internazionali, una frantumazione dell'Ucraina. Secondo alcuni pacifisti (diciamo così) la soluzione passava attraverso un accordo che costringesse Zelensky e parte del popolo ucraino, vittime dell'invasione, a diventare sudditi permanenti dei russi. Compito di noi occidentali, quindi, diventava quello di far pressioni, al limite della minaccia, nei confronti degli ucraini e di Zelensky perché accettassero la signoria russa su mezzo Paese: la quintessenza del pacifismo.
Dopo 8 mesi di conflitto appare però chiaro sempre di più che la Russia non sia la superpotenza che credeva e si credeva fosse, che non riesce a raggiungere e mantenere gli obiettivi prefissati e a cui rimane la sola minaccia nucleare, che altro non è che ulteriore confessione di debolezza: visto che non riesco a ottenere ciò che voglio, allora distruggo tutto, a partire da me. Soprattutto da me, perché nessuno dubita che, in caso di uso dell'arma nucleare, della Russia non resterebbe nulla.
Ora il conflitto comincia a coinvolgere anche la Crimea e, se continuiamo così, non sono da escludere prima o poi attacchi contro Sebastopoli, la cittadella fortificata della Flotta del Mar Nero, di estrema importanza strategica per i russi (oltre che toponomastica per i torinesi).
La proposta di Zelensky cominicia quindi ad avere più senso. Si sterilizzerebbe la Crimea, mettendola fuori dal conflitto. Si potrebbe pensare, in sede ONU, di avere una forza di interposizione e, con un po' di fantasia diplomatica, si potrebbe tentare di escogitare qualcosa del genere anche per certi territori del Donbas. L'Ucraina ritirerebbe la sua domanda di entrare nella NATO, o comunque verrebbe rimandata sine die, continuerebbe il suo percorso nella Unione Europea e poi, tra 20 anni, si vedrà.
Putin è ovvio che dovrebbe rimangiarsi i referendum, ma potrebbe sbandierare l'aver raggiunto la difesa della Crimea dall'assalto delle forze NATO (che non hanno mai pensato di assaltarla, ma pazienza). Potrebbe rivendicare uno status di sicurezza nel Donbas, la neutralità dell'Ucraina e potrebbe, insomma, uscirsene alla meno peggio. Fuori dalla Russia nessuno ci crederebbe, ma dentro, chissà? Fuori dalla Russia, del resto, il prestigio delle forze armate russe è ormai già crollato a zero, qualunque cosa succeda. L'Ucraina ritornerebbe in possesso di tutto ciò che aveva il 23 febbraio, con una reputazione internazionale ormai salita alle stelle. E la guerra, soprattutto, potrebbe cessare.
Premessa di tutto, però, è il ritiro delle truppe russe al 23 febbraio, condizione indispensabile perché si possa sul serio prospettare una pace. Condizione che andrebbe richiesta, oltre che dalla comunità internazionale, anche dai pacifisti di tutto il mondo.

da FB del 8 ottobre 2022
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 13, 2022, 09:45:14 pm »



Jack Daniel
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L'attacco missilistico di oggi in Ucraina è terrorismo nel senso etimologico: mira a seminare il terrore tra la popolazione civile, punta a creare una frattura tra cittadini e governanti con i primi che, preferendo la servitù alla morte, chiedano a Zelensky di arrendersi, cedendo alla Russia ciò che vuole. I missili di oggi non hanno impatto militare, non colpiscono obiettivi che possano minare la resistenza armata degli ucraini: si è visto in questi mesi che Mosca, dal punto di vista militare, non riesce a ottenere ciò che vorrebbe, al contrario degli ucraini che, colpendo, per esempio, il ponte di Kerch, hanno colpito una rilevante infrastruttura (anche) militare, perché è la principale arteria dalla quale passano i rifornimenti e i carrarmati russi diretti al fronte. Oggi un missile russo ha colpito un ponte pedonale e un parco giochi per bambini: difficile farli passare per obiettivi militare.
Servi o morti, questo sembra essere l'ultimatum lanciato da Putin e, sinceramente, non si credeva di assistere ad una tale politica portata avanti da uno Stato sovrano nel cuore dell'Europa.
Ma rispondere con il terrore ad azioni militari ucraine, che siano sul ponte o nei molti fronti in Ucraina nei quali i russi arretrano, è una manifestazione di impotenza che le distruzioni di questa mattina possono in parte nascondere a noi comuni mortali, ma certo non le nascondono a chi di dovere.
Interessante, per esempio, questa dichiarazione del ministro degli Esteri indiano in visita in Australia (https://tinyurl.com/bdd36dns ). Alla domanda: ma quali sono i legami militari con la Russia?, risponde candidamente che è vero che gli arsenali indiani sono pieni di armi russe se non sovietiche, ma questo perché gli occidentali (sottinteso: gli USA) non hanno mai rifornito l'India, preferendo una dittatura vicina (cioè il Pakistan). Come dire: non abbiamo scelto noi la Russia, ci hanno un po' costretti gli altri preferendo l'alleanza col Pakistan. La qual cosa pare proprio un invito a ripensarci. Soggiunge, poi, sibillino, che dal conflitto in Ucraina, come da ogni conflitto, arrivano importanti insegnamenti ed è sicuro che i militari del suo Paese li stiano studiando attenamente. Che vuol dire? A occhio che l'alleanza con la Russia così granitica non è, visto che in fondo (dice) è frutto del passato e delle scelte occidentali e che, dopo aver visto quello che accade in Ucraina, forse è il caso di pensarci bene. (A latere: questo dei rapporti futuri tra India e USA, anche e soprattutto per la presenza dell'ingombrante vicino cinese che l'India mal digerisce, sarà uno dei grandi capitoli da seguire nei prossimi anni).
Altro piccolo grande avvenimento interessante è avvenuto nei giorni scorsi. Da quando si dissolse l'Unione Sovietica, la Russia e alcuni ex stati sovietici divenuti indipendenti hanno dato vita al CSTO (https://tinyurl.com/vk625kb8 ) un coordinamento di tipo militare, ovviamente egemonizzato dalla Russia, che tiene periodicamente esercitazioni. A quelle che si sarebbero dovute tenere in questi giorni, il Kirgizistan si è chiamato fuori (https://tinyurl.com/2p9epxa7 ) anche in seguito agli scontri del mese scorso con i vicini Tajiki. L'Armenia, dal canto suo, è in perenne guerra con gli Azeri e, sempre il mese scorso, ha ricevuto Nancy Pelosi con tutti gli onori. Il Kazahstan, infine, non fa mistero di stringere ogni giorno contatti economici e commerciali con la Cina.
La conclusione, volendo alzare lo sguardo, è che Mosca cerca di dissimulare la sua impotenza militare con il terrore. Non è in grado di colpire obiettivi militari significanti, non è in grado di fermare le azioni militari ucraine e tenta quindi di prostrare il morale degli ucraini seminando morte tra i civili. Se la cosa è ovviamente terrorizzante, è anche un chiarissimo sintomo di debolezza che, nel mondo un tempo molto legato a Mosca, si percepisce chiaramente tanto che, a poco a poco, quella rete di alleanze militari si sfarina proprio perché si capisce che Mosca non è in grado, ormai, di essere né un valido partner né un minaccioso vicino.
Quanto infine al risultato del terrorismo russo, ho qualche dubbio che possa ottenere risultati che non siano l'opposto di quanto sperato. Fino ad un anno fa ci si baloccava pensando ad un'Ucraina divisa tra filorussi, ucraini DOCG e minoranze varie. Forse questo poteva essere vero sino al 24 febbraio (forse). Da allora in poi, però, ho la sensazione che quelle eventuali divisioni si siano in gran parte dissolte. Ogni rilevazione non fa che mostrare come gli ucraini siano determinatissimi e compatti nel respingere l'aggressione russa. L'impressione, leggendo ciò che dicono e scrivono, è che gli ucraini non stiano solo combattendo contro un'invasione, ma stiano vivendo una sorta di Risorgimento, un atto fondativo di Nazione. Qualunque cosa possa succedere da oggi in poi, nella storia dell'Ucraina ci sarà un pre e un post 24 febbraio, e ci sarà un'Ucraina pre e post 24 febbraio.
Gli atti di terrorismo possono avere l'effetto di prostrare il morale della popolazione, ma possono anche rafforzarlo perché rendono l'avversario ancora più odioso e rendono ancora meno desiderabile qualunque ipotesi di sottomissione. E ho la sensazione che, nel caso degli ucraini, prevalga il secondo sentimento, il rafforzamento.

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« Risposta #3 inserito:: Marzo 09, 2023, 06:23:32 pm »

Jack Daniel
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Ma se poi alla fine fosse (anche) una questione generazionale?
Mi riferisco all'Ucraina e alla ragione per cui, soprattutto qui in Italia, il fronte Ponzio Pilato sia così numeroso e partecipato.

C'è, nel nostro anziano e invecchiato Paese, una ottima quota di persone nate sotto Yalta, che sono cresciute dando per scontato che il mondo fosse diviso in due sfere d'influenza nelle quali la superpotenza egemone (USA o URSS) avesse sostanziali diritti d'imperio. Patto non scritto era che l'una superpotenza nel suo campo potesse fare un po' ciò che le pareva, ma nell'altro non doveva mettere becco. E così, in larga misura, e per decenni, è stato. E quindi, qualcuno formato nel secolo scorso, si chiede, magari inconsciamente, come mai, se non siamo intervenuti a Praga nel 1968, se non siamo intervenuti a Budapest nel 1956, dovremmo intervenire a Kiyv nel 2022 o 2023? Non è roba nostra, non sono affari nostri.

Anzi: nel 1968 la pace mondiale fu preservata anche per il fatto che lasciammo i cechi al loro destino, se noi oggi interveniamo è perché (forse) della pace mondiale ci interessa poco o punto. Ma, se è così, siamo noi, noi occidentali, che stiamo portando alla guerra, siamo noi che, oggi, a differenza che nel 1968, ci stiamo facendo gli affari altrui mettendo a rischio la pace mondiale (nonché la nostra incolumità). Ergo: equidistanza. Putin e Zelensky pari sono, No a Putin e No alla NATO, lui sbaglia a invadere l'Ucraina, la NATO sbaglia a impicciarsi in fatti che non la riguardano.
Non solo: nate in un mondo bipolare, queste stesse persone sono portate a pensare che sia quello l'ordine naturale delle cose. La rottura dello schema, con la libera adesione alla NATO di molti Paesi prima sotto l'imperio moscovita, appare una sorta di perturbazione della Forza. La responsabilità, ancora una volta, è quindi di chi ha sconvolto l'ordine prestabilito e, in particolare, di chi è andato a rompere le uova nel paniere altrui arruolando nella NATO Paesi che, per loro natura, non avrebbero dovuto farne parte.

Lo schema qui descritto mi pare sia quello che talvolta viene contraddistinto come "complessità", quella complessità che impedisce a fini analisti e intellettuali di prendere parte e dichiarare che l'aggressione di Putin sia colpa di Putin. Il problema è complesso, si rivela pensosi, e ricorderete certamente i primi comunicati ANPI, quelli nei quali si criticava sì l'invasione ma subito dopo, cerchio e botte, si stigmatizzava "l'espansione a Est della NATO"? Cosa si criticava, in realtà? La perturbazione di un ordine naturale che sarebbe stata la causa della reazione russa; l'espansione a Est, nell'imperium Moscovita, letta come provocazione.
Il problema, tra gli altri, è che quell'ordine bipolare non solo non è naturale, ma è pure antico e defunto. E' figlio di un mondo che non esiste più, un mondo nel quale l'URSS era una superpotenza globale, cosa che, avendo la Russia un PIL inferiore al nostro, non è più. Sta emergendo l'Asia, protagonista della storia del mondo da millenni, ma in sonno per alcuni secoli, un Continente che ospita la maggioranza della popolazione mondiale ma che a Yalta non era rappresentato. O, meglio, lo era in parte come colonia, perché Churchill non era solo Londra, ma anche India. Quella divisione del mondo bipolare, qualunque sarà la futura, oggi non esiste più e non ha ragione di esistere. Infatti, è un anno che vediamo i patetici tentativi di Putin di far rivivere quei tempi nella propaganda. Se Yalta aveva come elemento fondante la guerra al nazismo, Putin cerca di convincere i suoi (e moltissimi ci cascano anche qui) che quella in Ucraina sia ancora una guerra al nazismo. Le balle su Azov, l'acciaieria-laboratorio, gli ucronazisti (con un presidente ebreo!), le commemorazioni odierne di Stalingrado con la trita equiparazione tra la Germania odierna e quella nazista, sono un tentativo di rendere di nuovo vivo ciò che legittimò Yalta e, quindi, il ruolo della Russia come superpotenza.
Cosa che non è più, né potrà essere più, anche sul piano militare. Questo perché tutti ci stiamo rendendo conto dell'abbaglio preso nel considerare la Russia il secondo esercito al mondo. Né la potenza nucleare russa di per sé legittima il suo voler essere Impero. Innanzitutto ormai di potenze nucleari ce ne sono fin troppe, ma se dovesse passare il principio che avere armi nucleari dia diritto all'imperium sul vicino, prepariamoci ad una gigantesca corsa agli armamenti perché molti cederebbero alla tentazione di essere considerati superpotenza, a partire dagli Ayatollah iraniani, quelli che mettono in galera (quando va bene) le studentesse senza velo.
Quindi no, la Russia non è una superpotenza globale e quell'antico mondo bipolare non esiste più, se non come reminiscenza storica, un po' come il Sacro Romano Impero o gli imperi britannico e francese. Ma qui da noi, forse per via dell'età, sembra resistere nella mente di coloro che danno per scontato che quello sia l'ordine prestabilito delle cose, che sia stato messo in crisi temporaneamente dalla fine dell'URSS ma che ora, superato quel momento di decadenza, con Putin, lo si voglia legittimamente reinstaurare. Un processo logico e naturale che viene però ostacolato dalla voglia di potenza degli USA e degli occidentali che si immischiano in faccende che non li riguardano. La Forza è stata perturbata, con l'entrata nella NATO di Baltici, Polonia e gli altri dell'Est, e ora la Russia rivendica il ritorno all'armonia cosmica.
Come dicevo, è possibile che dietro questi ragionamenti fuori tempo vi siano motivazioni ideologiche ed ideali, ma comincio a sospettare che, al fondo, ci sia anche l'età e il non capire che il mondo passato è, per l'appunto, passato. Come sono passati gli anni di coloro che non riescono a concepire altro mondo se non quello nel quale sono nati e hanno vissuto la loro giovinezza.
Forse non è complessità, forse è solo non voler accettare e comprendere che quel mondo non esiste più.

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