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Autore Discussione: Marcella Ciarnelli - Rea: «Riesplode l’irrisolta questione meridionale»  (Letto 3720 volte)
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« inserito:: Gennaio 10, 2008, 11:00:01 am »


Marcella Ciarnelli


«L’emergenza spazzatura è solamente l’aspetto all’onore delle cronache di una questione più ampia, più generale e mai risolta che una volta si chiamava questione meridionale». Ermanno Rea, lo scrittore che di recente ha dato alle stampe “Napoli ferrovia” ed ha scritto, tra gli altri, “Mistero napoletano” e “La dismissione” in cui sfondo e protagonista è sempre Napoli, parla della sua città sofferente. Analizza lucidamente problemi e responsabilità. Senza lasciarsi andare a sterili sentimentalismi.

E, allora, Rea che si può dire davanti alle immagini di questa città dolente?
«Innanzitutto bisogna fare attenzione a isolare l’emergenza immondizia come se fosse a sé stante, un evento dopo il quale non c’è più niente di cui allarmarsi. No, Napoli è un insieme di problemi, di guai, talvolta di disastri, che sono tutti figli di un male più generale che si chiama illegalità diffusa che è diventata cultura dell’illegalità. A Napoli ormai nessun problema si risolve più secondo le regole stabilite, le norme che altrove disciplinano la vita civile e sociale. Per tutte le questioni ci sono sempre scappatoie, vie traverse, transiti obliqui».

Il dramma di questi giorni è la conseguenza di problemi antichi?.
«Io ricordo, in questi ultimi tempi sempre più spesso, che nel 1950, quando fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno, Giorgio Amendola fece un discorso molto forte alla Camera dei Deputati motivando le ragioni per le quali la sua parte politica, il Pci, non condivideva la nascita di quella istituzione. E quali furono gli argomenti portati da Amendola? Che fino a quando la questione meridionale non fosse diventata una questione nazionale, anzi la questione nazionale numero uno, sarebbe stato inutile distribuire denaro a pioggia, elemosine più o meno consistenti ed altri interventi del genere per risolvere problemi che potevano essere risolti solamente se interiorizzati dal Paese nel suo insieme, fatti propri dall’Italia tutta in un quadro globale. Sono passati quasi sessanta anni. Direi che il pensiero di Amendola di allora è di un’attualità bruciante più che mai».

Il governo sta cercando di trovare rimedi. Basterà?
«Sì, ho sentito nei giorni scorsi il presidente del Consiglio dire che il governo centrale si assumeva il peso della questione. Povero Prodi. E’ sommerso da problemi a non finire e si trova a dover gestire questa questione vecchia di più di sessant’anni. Io ragiono così: esiste una questione meridionale di cui la monnezza è una subquestione come lo sono la camorra, la mafia, il sottosuolo che frana, l’ acqua, la mancanza di lavoro, il degrado. Ogni volta un nome diverso. La parte di un problema più complessivo. Ora delle due l’una. O questa piaga che investe una fetta così cospicua della nostra penisola è un problema nazionale, si assume come tale, e allora l’Italia potrà dirsi un Paese pari agli altri, oppure forse alla fin fine non ha più senso parlare di Italia come Paese unico. Se la questione meridionale, o come si chiama adesso, viene ridotta a questione napoletana o palermitana, solamente locale, allora probabilmente finisce con l’avere ragione Bossi. L’Italia non esiste più».

A Napoli, nella Regione Campania, in Italia governa il centrosinistra. Cos’è che non ha funzionato?
«Tutte le forze politiche, tutte senza eccezione, hanno un grave difetto. Quando raggiungono la cosiddetta stanza dei bottoni, hanno l’abitudine di rassicurare. Di dire adesso ci sono io, ci penso io, state tranquilli. Mentre sarebbe auspicabile che bandissero crociate per la conoscenza profonda dei problemi. Se Bassolino ai suoi tempi, quando diventò sindaco e promosse una campagna di speranza avesse fatto anche una campagna di conoscenza dicendo ai napoletani “comincia un’avventura ma non si sa come va a finire quindi vi dovete rimboccare le maniche” probabilmente non saremmo a questo punto. Napoli non conosce se stessa. Tant’è vero che ora tutti cadono dalle nuvole. Tutti si chiedono come mai, davanti ai cumuli di monnezza, a cominciare dal mio amico Dudù La Capria che scrive “io non so, io non capisco”. C’è una carenza di conoscenza. Perché un uomo pur illuminato come Bassolino, e anche altri, non hanno, una volta insediati sulle loro poltrone, promosso una mobilitazione generale della città per conoscere se stessa, i propri guai, gli immigrati, i non immigrati, la monnezza, il sottosuolo, le dismissioni delle fabbriche, il tirare a campare. E di che cosa? Di illegalità. Ecco, bisognava fare una grande campagna contro l’illegalità. Antonio Bassolino si è trovato a recitare la parte del pilota di una speranza mentre si sfarinavano i grandi centri di potere, andavano in galera fior di notabili, crollava l’apparato che aveva tenuto in piedi questa illegalità. Quale avrebbe dovuto essere allora la parola d’ordine fondamentale: lotta per il recupero della legalità. Ma questo non è stato fatto».

Lei trasmette l’immagine di una città in dismissione, parafrasando il titolo di un suo bel libro. Ma c’è speranza?
«La possibilità di recupero c’è sempre. L’uomo ha superato nella sua storia millenaria ostacoli insormontabili. Sulla breve distanza sono pessimista. Ci troviamo di fronte ad un territorio in cui c’è la cultura del degrado ed in cui l’illegalità è diventata strumento di sopravvivenza. Sradicare queste radici profonde sarà un’opera difficile. Ma sulla lunga distanza Napoli, che è una grande metropoli europea, può farcela. Ha tutti i numeri per risorgere facendo appello anche alle proprie tradizioni giacobine. Ma basta con questa cultura della tolleranza. La cartolina ci dipinge sempre come il popolo della bonomia. Questo è veleno allo stato puro perché tutto diventa lecito, tollerabile, accettabile. Ed invece una democrazia moderna non può vivere senza un pizzico di severità, di ordine, di legalità vera. Marciare contro mano, non rispettare i semafori, sono piccoli indizi di una grande malattia. La legalità non è separabile come un salame che tagli a fette quando ne hai voglia».

L’ottimismo del cuore e dell’intelligenza l’avranno vinta?
«Lavorando tutti insieme. Se ne esce solo se tutti, potenti e non, si mettono a faticare seriamente liberandosi dei demoni della tolleranza e dell’illegalità. Mi raccomando, niente rassicurazioni e niente vendita sottocosto di speranze».


Pubblicato il: 09.01.08
Modificato il: 09.01.08 alle ore 14.30   
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 14, 2008, 02:46:43 pm »

«Sparateci, così fate prima...» Enzo e Titti, beffati a Pianura

Marcella Ciarnelli


«Sparateci, così fate prima». L’indicazione disperata è scritta con il pennarello nero su un lenzuolo steso verso l’ex discarica di Pianura che potrebbe ritornare ad essere lo sversatoio dei rifiuti di Napoli e non solo. È appeso al primo piano della casa di Enzo Pipolo e Titti Piccirillo, una coppia di «ragazzi» quarantenni che qui ci vivono dal novembre del 2006 con i loro bambini, Riccardo di sei anni e Claudio di tre. Lui è una sorta di Willy Wonka, ha una piccola fabbrica di cioccolato in città, a Fuorigrotta, e rende la vita più dolce a tutti i suoi clienti. Lei è casalinga, con la passione per il canto. Ora fa le barricate e va anche in tv. «Eravamo felici, convinti di aver fatto un investimento per la vita. Ed ora ci troviamo a confrontarci con l’emergenza di tanti che ci colpisce in tutto quello che abbiamo».

La loro abitazione è lì. Ad un passo dalla discarica che si stende apparentemente innocua. L’ultimo edificio in fondo a Via Cofanara. A dividere il giardino di casa ed il contestato sito c’è un muro interrotto da un piccolo cancello. Che potrebbe aprirsi verso l’inferno. Da una parte la normalità della vita di tutti i giorni, i giocattoli dei bambini in giardino, il cane Ninja che controlla la situazione un po’ perplessa, un Babbo Natale che si arrampica ancora perché da prima di Capodanno i padroni di casa sono impegnati nella lotta contro la riapertura della discarica. Hanno partecipato al presidio, insieme con tutti gli altri. Notti al freddo, la tensione davanti alla polizia schierata, la delusione quando è stato aperto un altro accesso ed hanno temuto di soccombere alla forza, l’attesa della decisione del consiglio comunale ma anche del supercommissario sulla loro sorte. Parla lui. «Una mattina all’alba, ai primi di gennaio, ci siamo trovati davanti a casa più di trecento agenti. Uno a guardia del cancello. Gli altri sparsi tutt’intorno. Pensavo che fossero i soliti cavalli che di solito portano a passeggio da queste parti. Sono invece arrivati camion che affondavano incerti sul fondo morbido e i teloni per ricoprire i quintali di spazzatura in arrivo. Ho gridato tutta la mia disperazione. Ho cercato di difendere come ho potuto tutto quello che ho. E che non è ancora mio. Ho il mutuo da pagare. Ho fatto debiti, mi sono impegnato pur di realizzare un sogno».

Un sogno. Ad un passo da una discarica. «Qualcuno me lo fa notare. Ed io ripeto fino alla noia che ormai da quattordici anni ne era stata decisa la chiusura. Che ogni tentativo di riaprirla si era scontrato con posizioni ufficiali anche della Prefettura che la dichiaravano non idonea. Che qui intorno sarebbe dovuto sorgere un parco urbano, un maneggio, perfino un campo da golf con 18 buche. A cui accedere, magari, proprio da quel cancello. Ad un passo c’è il parco dei Camaldoli e la riserva del Wwf. Pensare che quando ho fatto i lavori di ristrutturazione sono stati bloccati perché avevo fatto un piccolo abuso edilizio. Cosa da poco. Ma il comune mi ha contestato che era stato fatto in una zona sottoposta a vincolo ambientale, archeologico e paesaggistico. Ho dovuto provvedere all’immediato ripristino. Ora suona paradossale. Ma è andata proprio così».

La casa di Enzo, Titti e dei loro due bambini è un avamposto. Il punto quasi simbolico della battaglia che la gente di Pianura sta combattendo ormai da tanti giorni. È stata comprata poco più di tre anni fa, direttamente dagli ex proprietari della discarica, che possedevano quasi tutti gli edifici nei pressi della loro «industria» e di cui si sono liberati quando non hanno avuto più alcun interesse in zona. Anche senza guadagnarci, pur di liberarsene. Così è andata anche per la casa di via Cofanara, lì in cima alla collina. Piano terra, primo piano. È stata rimessa a posto con molta cura e «ottime rifiniture» perché «è la nostra casa per sempre, ci piace il posto, abbiamo tanti amici che abitano da queste parti». Invece ci hanno scaricato d’improvviso sul davanti i teloni per coprire la spazzatura che potrebbe arrivare. Poi l’operazione è stata bloccata.

Ma l’attesa è di quelle da togliere il fiato. C’è in gioco l’investimento di una vita. E pensare che da quel cancello si sarebbe dovuto accedere direttamente al campo da golf. «Meglio non chiuderlo» aveva consigliato qualcuno esperto della zona. Potrebbe rivelarsi un affare. Il diritto di transito…

Ed invece, adesso Enzo e Titti ogni sera vanno a dormire pensando che potrebbero essere risvegliati dal rumore di altri camion. «Ma voglio essere ottimista, non posso immaginare che si possa verificare un tale scempio. Sono contrario alle discariche perché penso che siano dannose e ormai arretrate. Penso, invece, che è necessario arrivare ad un sistema moderno dello smaltimento dei rifiuti senza più creare tanto dolore e tensione». I bambini giocano. Sono piccoli ma hanno capito che i grandi hanno un sacco di problemi in questo pomeriggio di domenica. Il più piccolo accumula sul tappeto giocattoli, scatole, contenitori: «Sto giocando alla discarica».

Pubblicato il: 14.01.08
Modificato il: 14.01.08 alle ore 8.32   
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