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Autore Discussione: Tina MODOTTI nasce a Udine nel 1896 da una famiglia povera di idee socialiste  (Letto 1470 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Agosto 17, 2022, 11:20:49 pm »

Vittorina Sarzi
 Ariella Rossi
 
17 AGOSTO 1896 nasceva TINA MODOTTI

Tina Modotti nasce a Udine nel 1896 da una famiglia povera di idee socialiste. Le poche notizie che abbiamo sulla sua biografia sono solo in parte affidabili in quanto provengono dagli archivi dell’OVRA (polizia segreta fascista 1930-1945) e della GPU (polizia segreta sovietica stalinista).
La sua sorprendente bellezza influenzerà il suo modo di vedere il mondo: cresce sapendo bene come gli uomini guardano le donne, anche quelle giovanissime.
Figlia amatissima di un carpentiere, emigra in California per seguire il padre e trova lavoro nel cinema muto: i suoi colori scuri contrastano con il biondo delle protagoniste dei film americani del primo dopoguerra e, di conseguenza, compare sempre nel ruolo di amante passionale e mai in quello di moglie.
Trasferitasi a Città del Messico, collabora con i maggiori intellettuali e artisti locali: le sue principali amicizie sono Frida Kahlo, Rafael Alberti, Diego Rivera Álvaro Siqueiros ed Edward Weston. Quest’ultimo, forse il più grande amore della sua vita, è l’autore dei ritratti più belli che tuttora conserviamo di lei. Da lui e dal precedente marito Robo, impara l’arte della fotografia.
Quella di Tina è una fotografia sociale e al tempo stesso astratta: nelle immagini scattate sono molto frequenti elementi geometrici (linee, riquadri, curve, cerchi…) di una estrema semplicità. Il modo in cui il vento inarca i fiori da lei fotografati in Messico (foto 3) ricorda il modo in cui lei stessa inarca la schiena nel posare nuda per Weston (foto 1): è un richiamo astratto che difficilmente è casuale, è anzi fedele alle tendenze di quegli anni, in cui vanno di moda il Cubismo e la Bauhaus.
La fotografia di Tina è forse l’opera in assoluto che meglio rappresenta la società messicana degli anni tra le due guerre, una società fatta di lavoratori sfruttati, di indios depredati della proprie terre, di bambini e bambine di strada, di donne provenienti da classi disagiate e soprattutto di un acceso fermento sociale.
Nelle sue immagini è evidente la povertà delle persone ritratte, accentuata dalla drasticità dei tagli nelle forme e nelle luci. Coglie la miseria e la dignità, la sofferenza e la rabbia, cercando di usare la fotografia per incidere sulla società.
L’insurrezione zapatista esploderà oltre mezzo secolo dopo la sua morte, ma accostare una chitarra, una pannocchia di mais e una cartuccera di proiettili sembra già un inno ai popoli del colore della Terra, cancellati dalla Storia.
In Messico, nonostante la tanta luce, Tina, eccelsa conoscitrice della tecnica fotografica, tende a usare tempi lenti; predilige le macchine di grande formato, in cui l’immagine va pensata ed elaborata a lungo prima di essere impressa sulla pellicola.
Nei primi anni Trenta torna in Europa. In Germania scopre le macchine fotografiche di piccolo formato, le 35 mm, e i tempi molto veloci, strumenti usati per documentare l’agonia della Repubblica di Weimar in quanto discreti e silenziosi, utilizzabili in fretta e di nascosto. Ma a Tina la Leica non piace, lei non lavora bene nella fretta.
La sua militanza comunista la porta ad allontanarsi sempre più da Edward Weston.
Durante la guerra di Spagna milita nelle Brigate Internazionali, la formazione stalinista responsabile di aver soffocato la nascente Rivoluzione del proletariato spagnolo. È fidanzata con Vittorio Vidali, spietato agente della GPU e importante membro del Komintern, che in quei mesi è a capo del famigerato V Reggimento, noto per aver fucilato più anarchici che fascisti e per non aver fornito l’appoggio promesso alle milizie popolari che combattevano contro Franco. Già nel 1929 Vidali aveva assassinato Juan Antonio Mella, probabilmente amante di Tina, che cercava consensi in Messico per dar vita a una rivoluzione a Cuba.
A questo punto arte e militanza si separano: come già accadde al fotografo francese Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar, con la Comune di Parigi, Tina abbandona la fotografia per concentrarsi integralmente sull’attività politica. Durante il periodo trascorso in Spagna non scatta nessuna foto. Qui incontra intellettuali internazionali di rilievo, come Ernest Hemingway, Robert Capa, Gerda Taro e Pablo Neruda, con cui stringe una forte amicizia. All’arrivo dei franchisti, l’esercito repubblicano lascia Malaga senza tentare alcuna difesa; poi tocca a Madrid cadere, poi a Valencia, a Barcellona è il Komintern a fucilare gli anarchici al posto dei fascisti. Tina non può obiettare ma comincia a capire. Vive la guerra di Spagna con tragicità, vede continuamente i suoi compagni attaccarsi a vicenda, stalinisti contro trozkisti, e questi ultimi sparire nel nulla con frequenza. Alla fine degli anni Trenta è esausta, sfinita. Viaggia a Mosca, che è in preda alla paranoia: chiunque potrebbe essere una spia o un traditore, un trozkista o un controrivoluzionario. Stremata da questo clima, torna in Messico. Poco dopo un sicario mandato da Stalin uccide Lev Trotzki, rifugiato a Città del Messico: da tempo Vidali parlava di un «obiettivo delicato». Poi Stalin firma un patto con Hitler: questo Tina non lo può accettare. In silenzio, lascia Vidali e decide di non rinnovare la tessera del partito comunista.
Nel 1942 viene invitata a una cena a cui è presente Vidali. Subito dopo viene colpita da un misterioso malore. Sarà ritrovata morta sul taxi abbandonato che avrebbe dovuto condurla in ospedale, stessa sorte di numerosi oppositori dello stalinismo. Ma lei è una donna, e per i giornali del Komintern una donna che non sta al proprio posto è sicuramente non solo una controrivoluzionaria ma anche «una zoccola dei trozkisti».
Oggi a Città del Messico un murale di Diego Rivera la ritrae (ultima a destra) mentre distribuisce armi agli insorti, come ringraziamento per la magnifica rappresentazione della società messicana che questa donna ha lasciato all’umanità.

 Da Fondazione Feltrinelli
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