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Autore Discussione: Berlusconi, 20 anni fa la discesa in campo. Con la regia di Craxi e Dell’Utri  (Letto 47343 volte)
Admin
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« inserito:: Gennaio 10, 2008, 10:54:08 am »

«QUesto mese farò un discorso alla Camera su giustizia, democrazia e libertà»

Berlusconi: «Riforme? Io aspetto Ma Walter metta d'accordo i suoi»

Il leader del Pdl: «A Veltroni ho detto: sono il tuo Messia, ti libero dall'abbraccio mortale della sinistra»

DAL NOSTRO INVIATO

 
ANTIGUA — «Dobbiamo davvero parlare di legge elettorale? Ho qui in mano le agenzie, vista da lontano la situazione rischia di apparire comica. E per di più, della legge elettorale, alla gente non importa nulla. Agli italiani importa solo che questo governo vada a casa al più presto e che si torni subito al voto. Oppure interessano situazioni come quella di Napoli: se gli amministratori locali fossero stati dei nostri a quest'ora porteremmo loro le arance. E lei sa dove».

Green Island annuncia a chi viene da Nord la baia deserta di Half Moon. È una minuscola isola, si sporge dalla costa di Antigua quanto basta per lasciarsi corrodere dalla confluenti correnti del Mar dei Carabi e dell'Atlantico. Le rocce, scolpite dalle tempeste e levigate dalle onde, fanno da sfondo al dondolio di yatch miliardari. Dalla grande vetrata dello studio di Berlusconi la vista è nitida ed il panorama toglie il fiato. Alle 9 del mattino villa Blue Horizons è spazzata da una leggera brezza ed immersa in un cono di abbacinante luce tropicale.

Dalla poltrona il Cavaliere si gode uno spettacolo unico: «Meglio di villa Certosa? Qui siamo più in alto, viene quasi un senso di vertigine. Questa è una delle più belle baie dei Caraibi, di sicuro una delle più spettacolari». Ananas e frutti tropicali a colazione. Lo studio dista almeno 50 metri dalla sala da pranzo. Mussole di garza, come candide vele, avvolgono i letti a baldacchino delle camere da letto. Una cameriera sta rigovernando, alcuni skipper americani sono in attesa dietro la porta. Una teoria di terrazzi scopre panorami sempre diversi. Nel mare della baia si staglia solo Morning Glory: «È una barca bellissima, non ci mettevo piede da sette anni, ieri abbiamo provato le vele sino a St. John. Oggi pomeriggio usciamo di nuovo ». A 100 metri dallo scafo una lingua di sabbia bianchissima, punteggiata dalle palme. Si ammira meglio dalla piscina più grande della villa, quella che ha un accesso diretto dalla camera del Cavaliere. Le altre sono per gli ospiti delle tre ville che si affacciano al piano di sotto: «Guardi qui che spettacolo, quell'altra casa su quel promontorio è di Shevchenko. Altri ragazzi del Milan hanno intenzione di investire qui. Ci sono state praticate ottime condizioni perché i nostri nomi fungono da calamita per il mercato europeo ed americano. Ma la decisione finale l'ho presa per dare un sostegno al mio amico Gianni Gamondi che è il regista di tutto l'intervento per quanto riguarda la progettazione ambientale e architettonica. Hanno lavorato anche a Natale per consegnarmi la casa per l'Epifania, davvero non potevo deluderli».

Il tour della casa richiede tempo. Berlusconi è rilassato, abbronzato, indossa una camicia di lino celeste, alcuni suoi ospiti lo aspettano in uno dei tre grandi saloni che si aprono alla vista, varcato l'ingresso principale. Sulla scrivania dello studio le carte che Berlusconi ha portato da Roma: «Sto preparando un discorso sulla democrazia, sulla giustizia e la libertà in Italia, lo terrò alla Camera prima della fine del mese. Una denuncia forte su cui dovranno riflettere i nostri concittadini e i nostri rappresentanti in Parlamento. Ciò che succede in Italia con le intercettazioni è davvero inammissibile. Più di 100 mila persone sono costantemente ascoltate in Italia anche per indagini su reati minori, che non presentano alcun pericolo sociale. Si spendono 500 miliardi delle vecchie lire ogni anno. Se si aggiunge che questa maggioranza ha realizzato una sorta di colpo di Stato in forma democratica, prendendo per sé tutte le istituzioni della Repubblica, si ha un quadro dell'emergenza in cui siamo. Fra l'altro pretendere di continuare a governare con il 17% dei consensi sovverte il concetto stesso di democrazia».

Sta lavorando anche all'organizzazione del nuovo partito?
«Sì, certo, ma eviterei la parola partito. Il Popolo della Libertà non deve essere di parte, deve mettere insieme tutti i moderati e i liberali d'Italia, tutti gli italiani che non si riconoscono nella sinistra e che condividono quei valori che hanno garantito la crescita del benessere e della libertà in tutte le grandi democrazie occidentali. Saranno dei giovani, solo dei giovani, a fondarlo dando inizio alla fase costituente. Guardiamo all'esperienza dell'Ump di Sarkozy. Chiederemo agli elettori di approvare e fare proprio il Manifesto dei valori del Ppe, il Partito del Popolo europeo, la grande famiglia della libertà e della democrazia in Europa».

I suoi alleati però continuano a chiederle del programma e sembrano prendere strade diverse.
«Mi viene da sorridere quando si parla ancora di programma come di qualcosa da riscrivere daccapo. Certo, chiederemo agli elettori anche le priorità programmatiche. Ma la ricetta per l'Italia la conoscono tutti. Bisogna garantire la sicurezza dei cittadini, cosa che oggi lo Stato non fa. Abbattere la spesa pubblica per diminuire una pressione fiscale ormai insopportabile. Far lavorare di più gli italiani, perché non si può andare in pensione a 58 anni, costringendo le nuove generazioni a mantenerti per almeno una ventina di anni, se non di più. E poi ritornare a investire nel turismo e nelle infrastrutture. Più del programma è importante l'impegno a realizzarlo davvero. E a proposito di turismo devo dire con dispiacere che perdere la nostra compagnia di bandiera rappresenta una sorta di suicidio per il nostro turismo».

E con Fini e Casini come va, vi siete sentiti?
«Li ho chiamati per gli auguri di Natale, con amicizia e affetto. I nostri elettori vogliono che stiamo uniti. Nello stesso movimento o almeno in una federazione in cui vigano le regole della democrazia, dove in assenza di unanimità le decisioni si mettono ai voti. Io non mi stancherò mai di fare appelli all'unità. Noi stiamo realizzando qualcosa che gli elettori vogliono, abbiamo i voti degli italiani e se siamo uniti costruiremo una forza politica che in Parlamento sarà una valanga».

E il dialogo con Veltroni a che punto è?
«Gli faccio i migliori auguri, quando l'ho incontrato gli ho detto, testualmente: "io sono il tuo Messia perché posso liberarti dall'abbraccio mortale con la sinistra estrema". Ora noi stiamo alla finestra aspettando che trovino l'accordo tra loro, poi ne discuteremo. A noi va bene la soluzione più semplice possibile. Siamo pronti a discutere di tutto purché si decida per uno sbarramento efficace contro l'inaccettabile frazionamento delle attuali coalizioni».

Alle dieci del mattino il sole si è alzato oltre il promontorio ed ora illumina l'intero specchio della baia. Una lingua di luce bianca filtra sino alla scrivania di Berlusconi: «Pensi che io ora devo lasciare tutto questo e rimettere piede nel mio studio a Palazzo Grazioli, al quale sono affezionato, ma dove sono costretto a tenere sempre accesa la luce elettrica perché il Palazzo mi toglie quella naturale». Fa capolino il cuoco, Michele, inseparabile dal Cavaliere: «Ecco lui è uno che vorrebbe restare qui per sempre, vorrebbe che glielo mettessi per iscritto, mi sa che anche questa volta non ce la fa».

Ma lei si è mai dato un tempo limite, mettiamo altri tre o quattro anni in politica non di più?
Per un attimo l'ex premier resta in silenzio, poi dice qualcosa che gli costa, almeno a leggere nei suoi occhi: «Non credo di essere presuntuoso, ma non vedo un altro leader in grado di tenere uniti i moderati italiani. Quando arriverà sarò felice di farmi da parte. Per ora e purtroppo mi sembra di non essere fungibile, sono costretto a continuare per difendere la nostra libertà e la nostra democrazia. Guardi cosa è successo appena abbiamo cominciato a dialogare con Veltroni, le procure si sono rimesse in moto, da Palermo a Napoli sino a Milano, per bloccare il dialogo. Questa è oggi l'Italia: il capo dello Stato chiede cose sacrosante, a cominciare dal dialogo e dalle riforme, e un ordine dello Stato cerca di impedirlo».

Si riferisce ai magistrati?
«Io ho ancora fiducia nella magistratura. Dopo lunghi anni di accuse fantasiose e di processi stravaganti sono stato sempre assolto con formula amplissima. In Italia esiste una magistratura giudicante alla quale si può solo portare rispetto. Il problema grave è costituito da quei magistrati che usano il loro potere non a fini di giustizia ma a fini di lotta politica».

Ha più sentito Saccà?
«Non recentemente, ma lo considero un validissimo professionista e gli sono amico da oltre 20 anni».

A Napolitano cosa ha detto nella telefonata di fine anno?
«Gli ho garantito che per quanto mi riguarda il dialogo con Pd non si interromperà, nell'interesse generale del Paese. Ma ora facciamo una pausa, venga qui fuori, le faccio vedere un'altra cosa». Dalla terrazza a nord della villa Berlusconi descrive minuziosamente i lavori in corso ad Emerald Cove. La sua è solo una delle tante ville, l'unica terminata: «Vede quello spiazzo, lì ci sarà una grande piscina-lago, poi i negozi, la Marina, il golf da 18 buche, il ristorante. Davvero un posto da sogno. Lo è già ora, pensi quando i lavori saranno completati. Ieri ero a pranzo con il premier di Antigua, Baldwin Spencer, gli ho chiesto il voto per l'Expò di Milano. Abbiamo parlato anche di questo complesso, sarà uno dei fiori all'occhiello dell'isola, il problema è la lentezza delle maestranze e delle dogane locali, ma la bellezza della natura fa superare ogni difficoltà. Guai a lamentarsi».

Ora Berlusconi guarda il mare e sorride: «Vede questa baia, ha un nome strano, Nonsuch Bay, sembra napoletano, nun saccio, per ovviare Spencer ha buttato lì un'idea: cambiargli il nome. Farla diventare, in mio onore, The President Bay. Per tanta cortesia si può anche tollerare qualche inconveniente doganale e soprattutto non posso che ringraziare». Rientriamo nello studio. Sulla scrivania campeggia un fotomontaggio dei leader del G8: «Questo è un regalo di un amico, a quel meeting io non c'ero, c'era Prodi, solo che "qualcuno" ha tolto la sua foto e messo la mia. Così, per farmi sorridere; mi ha detto che sentiva la mia mancanza».

Un ospite annuncia intanto una visita pomeridiana a Devil's bridge, un ponte naturale di rocce dove le correnti sparano gli spruzzi delle onde a decine di metri di altezza: «Devo rispettare il programma». I ventilatori con enormi pale rivestite in legno ronzano pigramente dai tetti delle sale. In una delle sale da pranzo è ancora apparecchiato per 12. I piatti hanno richiami floreali, firmati da Richard Ginori per Berlusconi, con dedica acclusa. Le jeep della scorta si fermano all'ingresso della villa. Tra mezz'ora Morning star prenderà il largo. «Le dico solo un'altra cosa, su Napoli e l'emergenza rifiuti».

Prego? «Ho letto le parole di Ciampi sul Corriere, ha ragione, si è tirato a campare per troppo tempo. Però c'è da aggiungere almeno una nota di non poco conto».

Ovvero?
«Uno Stato che non garantisce la legalità e tollera, per di più così a lungo, una situazione come quella di Napoli, pericolosa per la salute dei cittadini e dannosa per il turismo, e quindi per l'economia dell'intero Paese, non è più degno di chiamarsi Stato, in quanto ha perso la sua legittimazione. E poi…».

 E poi?
«In 15 anni questi signori che hanno amministrato Napoli e la Campania approfittando dell'emergenza hanno costruito, con migliaia di assunzioni e con enorme spreco di soldi pubblici, un colossale e inammissibile sistema di clientele. Se fossero stati di Forza Italia avremmo avuto già da tempo la preoccupazione di portargli le arance. E invece siamo qui ancora a discutere se devono dimettersi o no».

Marco Galluzzo
09 gennaio 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Marzo 09, 2009, 10:46:01 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 11, 2008, 11:25:45 pm »

Il segretario del PD: «ci vuole solo un po' di buona volontà».

«Legge elettorale, siamo a un passo»

Veltroni incalza sulle riforme: «Possibile l'accordo». Berlusconi: «Walter resista al fuoco di sbarramento»

 
ROMA - Il rinnovamento della legge elettorale dovrà avvenire in un clima nuovo a favore di una «democrazia dell'alternanza». Per il segretario nazionale del Pd, Walter Veltroni, il nuovo sistema elettorale sarà «probabilmente di transizione, di passaggio verso un assetto compiuto». Intervenendo davanti a una platea di oltre 300 militanti modenesi del Pd, Veltroni ribadisce le condizioni per arrivare presto ad un rinnovo del «porcellum».

RIFORME - Occorre «una massima differenza programmatica e valoriale e la massima capacità di convergenza nella scrittura delle regole per le istituzioni democratiche - dice il segretario - spero di poter contribuire alla creazione di un paese nel quale ci sono schieramenti politici alternativi, che sono e che rimangono alternativi e al tempo stesso assumono su di sé quel senso di responsabilità». «Abbiamo bisogno - insiste il sindaco di Roma - di creare un nuovo clima per una democrazia bipolare dell’alternanza con un sistema elettorale che sarà probabilmente un sistema di transizione, di passaggio verso un assetto compiuto, che è il sistema che in questo momento, nelle condizioni date, è possibile fare. E siamo ad un passo dal farlo. Ci vuole solo un po' di buona volontà».

BERLUSCONI: WALTER RESISTA - Sulla riforma elettorale è intervenuto anche Silvio Berlusconi. «La vera partita Veltroni la gioca ora...» ha spiegato l'ex premier ai suoi. «Spero che prevalga lo spirito riformista ma l'esito è tutt'altro che scontato - ha aggiunto il leader di Forza Itala - perché è chiaro che il leader del Pd dovrà resistere al fuoco di sbarramento» dei 'nanetti' del centrosinistra per arrivare al risultato. Berlusconi ha più volte spiegato di voler aspettare una proposta definitiva prima di discutere con gli alleati del centrodestra, ma il fatto che Veltroni non voglia 'blindare' il testo viene visto come un buon viatico per approdare ad un testo conclusivo.

CASINI OTTIMISTA - Ottimista sul cammino delle riforme anche Pier Ferdinando Casini. «La riforma elettorale - ha dichiarato il leader dell'Udc - mi sembra che stia marciando, con qualche difficoltà, ma il cammino è comunque aperto. Diceva Mao "La strada è a zig-zag e il futuro è luminoso". Non so se questo è il caso, ma certamente mi sembra che si siano accorciate di molto le distanze e abbiamo qualche speranza che possa andare in porto. La legge elettorale - ha proseguito Casini - è bene farla al più presto e poi, in questo modo, vedremo cosa capiterà, perché noi continuiamo una dura battaglia contro il governo Prodi che secondo noi è completamente incapace di gestire la situazione».

AVVERTIMENTO DI MARONI - In casa Lega, Roberto Maroni vede invece vicino il referendum sulla legge elettorale e lancia un avvertimento al partito del Cavaliere: «Agli amici di Forza Italia dico che se si arriva al referendum diventa ancora più difficile cercare di ricostruire un'alleanza che, in questi ultimi mesi, si è molto sfilacciata». Per Maroni, infatti, «il referendum sarebbe un elemento di ulteriore perturbazione», anche se nessuno nel centrodestra «ha interesse a creare ulteriore divisione». L'unica persona, secondo Maroni, in grado di sbloccare la situazione è Silvio Berlusconi. «Se c'è una persona in Italia che può dare un contributo decisivo per fare le riforme - ha aggiunto il capogruppo della Lega - e superare tutte le resistenze, questa si chiama Silvio Berlusconi. Se Berlusconi scende in campo e dice che si fa una legge elettorale con questi principi, la legge si fa. Gli abbiamo chiesto di prendere l'iniziativa perchè è lui il personaggio chiave che può sbloccare la situazione».

FIBRILLAZIONI NELL'UNIONE - Se dunque, oltre a Fi e Udc, anche An e Lega aprono alla possibilità di un'intesa, i problemi per Veltroni e il Pd sono nella maggioranza, con l'Udeur, l'Idv, il Pdci e i Verdi che annunciano ostruzionismo. La prossima settimana sarà decisiva per capire le sorti della riforma elettorale: da un lato l'attesa decisione della Consulta sul referendum, dall'altro il vertice di maggioranza ed il probabile voto sul testo Bianco al Senato. Se per il Pd la priorità è portare il testo il prima possibile in aula, il ministro per le Riforme Vannino Chiti, che lunedì rappresenterà il governo, crede ancora che «un'intesa sia possibile anche nella maggioranza», venendo incontro alle richieste del 'fronte del no': Udeur e Idv, per una volta concordi nel preferire il referendum, Pdci e Verdi, che insistono nel chiedere che la legge sul conflitto di interessi anticipi quella sulla legge elettorale. Priorità che da Malta il premier Romano Prodi conferma, invitando ad evitare «manfrine». Il fronte dei sì registra ufficialmente la disponibilità anche di Sinistra Democratica, in sintonia con Rifondazione che preme sull'accordo tanto quanto il Pd. «Se c'è un po' di saggezza - auspica il ministro Fabio Mussi - c'è una certa chance di successo per la bozza Bianco».

11 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 11, 2008, 11:27:34 pm »

Sd ha presentato una memoria oppositiva contro l'ammissibilità del referendum elettorale (12 gennaio 2008)

Il referendum elettorale è una spada di Damocle sulla democrazia italiana

di Sofia Ciardiello


Sinistra Democratica da' un giudizio fortemente negativo sulla legge elettorale che uscirebbe dal referendum. In vista della riunione della Suprema Corte che deve decidere sulla costituzionalità dei quesiti ha presentato oggi una memoria oppositiva nella quale vengono sollevate cinque obiezioni contro l’eventuale legge che scaturirebbe dall’esito favorevole della consultazione referendaria.

Fabio Mussi, in una conferenza stampa cui hanno partecipato anche i capigruppo di Senato e Camera, Cesare Salvi e Titti Di Salvo, presente anche Massimo Villone, ha detto che 'c'e' il totale rispetto dell' autonomia della Corte ma questo non esclude che vengano presentate memorie oppositive sull' ammissione dei requisiti'. 'Sono - sottolinea il ministro dell'Universita' e della Ricerca - una base utile di riflessione a chi ha costituzionalmente il dovere di decidere. E non siamo gli unici ad aver presentato dei documenti su un referendum che ha numerosi profili di inammissibilita''.

'Se si fa il referendum si chiede di accettarne il risultato ed e' una stupidaggine dire che ha solo una funzione di stimolo' osserva Salvi, che avverte: 'Se passa una legge in base al referendum, sara' peggiore dell' attuale porcellum e peggiore della legge Acerbo, che fissava almeno un limite del 25% per far scattare il premio'.

Su questo punto, Mussi interviene avanzando un'ipotesi che 'puo' essere realistica'. 'Se si presentano 10 liste e tutte prendono meno del 10% e solo una supera quella soglia, con una legge in base al referendum, quell' unica lista meno piccola delle altre prenderebbe il 51% dei seggi, un'assurdita''.
La memoria oppositiva depositata stamani alla Corte costituzionale e' stata redatta dal professor Massimo Luciani.

Ecco le cinque obiezioni:
-    inammissibilità per violazione del principio del carattere democratico della rappresentanza. Riguarda il premio di maggioranza alla lista che ha ricevuto più voti: dalla Costituzione si desumono infatti limiti alla distorsione del principio del rispecchiamento dei voti  ottenuti nei seggi assegnati (art.1, 2, 3 e 48). Se il premio di maggioranza è in astratto legittimo, soprattutto in elezioni locali,  il suo eccesso è invece intollerabile nel caso di elezioni politiche nazionali, nelle quali è in palio il governo del Paese. La distorsione diventa evidente data l’assenza di una soglia minima di accesso al premio. In un sistema nel quale non esistono formazioni politiche capaci di organizzare liste che da sole sfiorino la maggioranza assoluta – è scritto nella memoria – sarebbe ben possibile la conquista del premio da parte di una lista che ottenga circa il 30% (come è plausibile ipotizzare alla luce degli ultimi risultati elettorali e dei sondaggi). Avremmo dunque un premio che potrebbe superare il 25% dei seggi. Come questo possa conciliarsi con il principio democratico sancito dalla Costituzione è arduo comprenderlo.
Nella memoria si ricorda il serio rischio che - in caso di ammissione del quesito per un esame esclusivamente formale e di successivo voto popolare favorevole - la normativa venga successivamente contestata proprio sul piano della costituzionalità; la Corte dovrebbe quindi tornare a esprimersi sulla legittimità democratica della normativa.

-    Inammissibilità per disomogeneità. Al corpo elettorale vengono infatti posti due quesiti ben distinti (che si potrebbero sintetizzare così: “volete voi l’abrogazione della possibilità di collegamento fra liste?” e “volete voi l’abrogazione della possibilità di attribuire il premio di maggioranza ad una coalizione di liste?”) messi – secondo la memoria – “artificiosamente insieme”, il che significa “sottrarre agli elettori la loro libertà di scelta”, in violazione della stessa logica dell’istituto referendario.

-    Inammissibilità per difetto di autoapplicatività ed operatività della normativa di   risulta: a causa di un combinato di abrogazioni chieste ed altre, invece, non richieste, si corre il concreto rischio della non assegnazione di tutti i seggi in palio nella competizione elettorale (per la mancanza di meccanismi atti a compensare l’eventuale deficit numerico dei candidati di lista), rischio gravissimo e non tollerabile.

-    Inammissibilità per difetto di chiarezza. Nella memoria si contesta che gli elettori non sono messi in condizione di comprendere l’effettiva portata delle modifiche richieste, anche a causa delle reiterate dichiarazioni dello stesso Comitato referendario, che hanno più volte affermato di volere una buona riforma elettorale con larghe maggioranze parlamentari, e di considerare l’esito referendario irrilevante rispetto a tale obiettivo, inducendo così gli elettori a considerare i quesiti uno “stimolo”, e non a considerarne i concreti effetti normativi.

-    Inammissibilità per eccesso di manipolatività, poiché si tratta di “frammenti” di norme e non di norme compiute. 
Ovviamente  Sinistra Democratica ritiene che una legge elettorale che sostituisca il “porcellum” sia assolutamente indispensabile. Ma, come ha ricordato Titti Di Salvo, capogruppo alla Camera,  la legge elettorale è certamente importante ma le priorità per il Paese sono molte a cominciare dalla questione dei salari e della redistribuzione del reddito, e certo non si può rompere l’Unione su un tema come questo. Proprio per taleragione Sd ha provato a trovare una composizione tra i soggetti che danno vita alla Sinistra Arcobaleno in materia elettorale”.
A questo proposito il ministro dell'Università, Fabio Mussi non sbarra la strada alla bozza Bianco e intravede la possibilità di un accordo con le altre forze politiche su alcuni punti di modifica, ha infatti affermato: "Se c'è un po' di saggezza, si possono operare sulla bozza Bianco delle modifiche che possono far avviare la procedura di approvazione di una nuova legge con qualche chance di successo".

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 30, 2008, 10:57:47 pm »

Bettini: «Se Berlusconi insiste pagherà un alto prezzo...»

Simone Collini


«La nostra priorità è evitare elezioni anticipate, che sarebbero in questo momento una sciagura per il Paese, anche se sottolineo che non ne abbiamo paura», dice il coordinatore del Partito democratico Goffredo Bettini. «Abbiamo fatto un appello a tutte le forze politiche del Parlamento per un governo trasparente che abbia uno scopo: approvare una nuova legge elettorale, una modifica dei regolamenti parlamentari e una riforma istituzionale sui punti discussi nelle commissioni apposite di Camera e Senato».

A giudicare dalle dichiarazioni dei leader del centrodestra il vostro appello è finito nel vuoto. Perché rilanciare con la proposta di votare a giugno?

«Perché se il sospetto della destra e di Berlusconi è che noi vogliamo rimandare il confronto elettorale ad un tempo indefinito, lontano, ora abbiamo dimostrato che siamo disponibili a valutare anche un governo a termine, con tempi più stringenti, ma che faccia almeno la riforma elettorale. Oggi non hanno più alibi».

Però si discute da mesi della legge elettorale, senza aver raggiunto un accordo...

«Il giorno prima che si aprisse la crisi si erano fatti passi in avanti con la bozza Bianco, anche sul piano tecnico. Si era trovato un equilibrio per una riforma che riportasse al proporzionale, con uno sbarramento al 5% e con una spinta a uno schema bipolare premiando i partiti maggiori».

Tra le forze con cui stava lavorando il Pd c’era Forza Italia, ora Berlusconi dice che non c’è nient’altro che il voto, con questa legge elettorale.

«Se Berlusconi continua su una linea di rifiuto pagherà un prezzo di fronte all’opinione pubblica. Tutti sono ben consapevoli che l’attuale legge elettorale non dà stabilità, produce alleanze eterogenee che non possono poi governare con la dovuta unità, speditezza e capacità di decisione. Noi chiediamo di modificarla e di votare a giugno».

Due mesi dopo quello che chiede Berlusconi.

«Due mesi che consentirebbero di votare con una legge elettorale che semplifica il sistema politico, dà la possibilità ai partiti di presentarsi in modo limpido con i loro programmi e però anche quel tanto di spinta maggioritaria che garantisce il bipolarismo».

Come valuta l’apertura dell’uddiccì Baccini?

«Apprezzo, ma credo che di fronte alla situazione attuale del Paese ci voglia uno sforzo più corale per un governo che abbia trasparenza, solidità, chiarezza nella durata e consenso necessari per fare la riforma elettorale».

Quando si andrà al voto, il Pd correrà da solo?

«Intanto, l’espressione va spiegata. Non abbiamo una pretesa boriosa di voler fare tutto da soli. Abbiamo posto in modo netto un problema, e cioè che bisogna voltare pagina rispetto ad una storia politica che è stata imperniata su alleanze con l’obiettivo di prendere un voto in più. Legate quindi soltanto da una sfida contro qualcuno e incapaci di proporre riforme veramente incisive e poterle poi realizzare una volta vinto. Abbiamo parlato di questo, della necessità di ripartire dai programmi, dalla proposta che un grande partito come il Pd deve fare al Paese. Le alleanze vanno poi cercate sulla base di una coerenza molto forte rispetto alla impostazione che si vuole portare avanti».

Quindi la prossima volta non ci sarà l’Unione o simili?

«Per quanto ci riguarda, non torneremo mai più ad alleanze carovana, che partono da Mastella e finiscono a Turigliatto, che si presentano con 280 pagine di programma. L’Italia ha bisogno di altro, di una forza veramente riformista che scommetta sul cambiamento del Paese, che abbia il coraggio di presentare un suo programma e che su questo cerchi di aggregare la maggioranza degli italiani. Questa è la vera novità».

La caduta prematura del governo di certo non vi aiuta in questo senso: siete ancora alle prese con la fase costituente...

«Intanto, noi abbiamo avuto un risultato straordinario con questa prima fase di costituzione dei circoli, perfino inaspettato. Circa il 30% di quelli che hanno votato il 14 ottobre hanno aderito alla fondazione dei circoli. E in prospettiva, visto che questo dato va paragonato a quanti hanno partecipato ai congressi di Ds e Margherita, finiremo con un milione e duecentomila cittadini che avranno fondato il partito in tutte le pieghe della società. Quindi abbiamo quadruplicato la forza dei due partiti messi insieme. Un fatto grandissimo, che ci dice come il Pd non è affatto un evento mediatico legato soltanto a un leader, ma è un soggetto politico che si radica in tutta la società italiana».

Resta il fatto che rischiate fortemente di andare al voto con un partito in costruzione, non crede?

«Ma infatti ora dobbiamo accelerare ulteriormente la conclusione della fase costituente del partito, cioè fondare tutti gli altri circoli e, dove è possibile, eleggere gruppi dirigenti stabili. Il lavoro che dobbiamo fare diventa anche prezioso per orientare i cittadini sulla crisi, per far capire le ragioni della nostra proposta politica. Quindi utilizzeremo la fase costituente anche come strumento di grande battaglia politica ed elettorale, se non ci dovesse essere la possibilità di fare un governo per le riforme. E ho la sensazione che già dopo i primi mesi, che non sono stati facili, una speranza si è riaccesa e nella società italiana già si respira aria nuova, che abbiamo portato noi».

Avrete portato anche aria nuova, ma finora i sondaggi hanno sempre dato vincente il centrodestra.

«Se dovessimo andare alle elezioni non le avremmo affatto perdute in partenza. E questo per il fatto che oggi siamo nella condizione esattamente inversa rispetto al ‘94».

Che intende dire?

«La gioiosa macchina da guerra che andò verso la sconfitta, che allora era la sinistra, i Progressisti, oggi la rappresenta Berlusconi con un’alleanza che è un’accozzaglia di forze politiche e di leader vecchi, che parlano linguaggi vecchi, molto diversi tra di loro. Al contrario noi possiamo rappresentare un linguaggio nuovo, una speranza nuova, l’orgoglio di una novità che può anche risollevare il Paese. Ecco perché io penso che il Pd debba coniugare fortemente il processo della sua formazione all’ambizione della nazione di riprendere a correre, a competere sul piano internazionale. Il Pd è una forza politica costituente di una nuova democrazia, di un nuovo patto tra gli italiani, di una nuova voglia di valorizzare ed esprimere i suoi talenti».

Insiste molto sul nuovo. Sulla forma partito D’Alema ha invitato a fare attenzione al “nuovismo”, e per settimane si è trascinata la disputa tra i cosiddetti partitisti e chi voleva un partito per così dire leggero.

«Ho sentito D’Alema al convegno di Italianieuropei, ha fatto un discorso ricco e assai bello. Il nostro sforzo è stato quello di costruire un partito totalmente nuovo, che non tornasse indietro rispetto al 14 ottobre, anche nelle sue forme di democrazia e di partecipazione dei cittadini. E che però nello stesso tempo si organizza e si radica dove la gente vive, lavora, studia, si diverte. Un partito aperto, federalista e pluralista».

Non sono stati così i partiti finora?

«Noi abbiamo un enorme bisogno di riprendere a lavorare sulla società italiana, di comprenderla meglio, di rimettere al lavoro tante competenze che sono state troppo silenti negli anni passati, mentre la politica è stata troppo sorda rispetto a loro. Per questo non abbiamo più in Italia intellettuali con l’ambizione di proporre una visione complessiva del mondo e che invece si chiudono negli specialismi. Così come abbiamo una politica che in assenza di un rapporto con loro si chiude in tecnica, e spesso in puro esercizio di potere. Il Pd deve mettere al lavoro le energie migliori in un dibattito vero delle idee. Non abbiamo bisogno di un partito di capibastone e di correnti ossificate di fedelissimi, perché in fondo questa è stata la rovina della democrazia italiana. Quella cioè di avere nella sfera pubblica un eccesso di comando, di sete di potere, di accaparramento di posti, completamente staccato dalle idee, da una visione del mondo. Alla fine si è ridotta a pura macchina».

Se il Pd correrà da solo a livello locale, ci sarà una rottura delle giunte in cui governate con Rifondazione e gli altri?

«Non c’è nessun automatismo. Ogni livello istituzionale ha la sua specificità. Ricordo che la sinistra ha governato insieme per tanti anni quando era divisa a livello nazionale, perché il Pci stava all’opposizione e il Psi governava con la Dc. Poi noi abbiamo parlato della necessità di costruire a livello nazionale alleanze che siano fondate su un’omogeneità programmatica. E a livello locale il centrosinistra governa sulla base di programmi comuni che in gran parte del Paese hanno trasformato in meglio città, province, regioni. Sarebbe davvero un atto politicista e contraddittorio, rispetto alla logica di governo che vuole affermare il Pd, voler rompere a livello periferico coalizioni che nella maggior parte dei casi si mostrano coese e lavorano bene. D’altra parte questa mi pare anche l’opinione prevalente nella maggior parte dei nostri alleati, a cominciare da Rifondazione comunista».

Ne è sicuro?

«Anche loro sentono l’esigenza di rappresentare più liberamente un pezzo di elettorato, che non si riconosce più nella vecchia alleanza dell’Unione, l’esigenza di dare una nuova rappresentanza democratica a pezzi della società che esprimono una critica più radicale alla modernità. E debbo dire che questo tentativo che sta conducendo in particolare Bertinotti è molto importante, dal punto di vista culturale e politico. Perché consente di incanalare nella battaglia democratica tante energie che altrimenti potrebbero andare in rivoli di esasperazione, di rinuncia, persino di violenza. Senza contare che dar vita a un soggetto unico nuovo significa anche lì rompere le incrostazioni di piccoli ceti politici che vivono di rendita sui simboli, e invece cercare di costruire anche in quell’area una cultura nuova».

C’è chi, come Mussi, sostiene che andare da soli al voto significa consegnare il Paese a Berlusconi.

«Il modo migliore per dare il Paese a Berlusconi è ripresentare esattamente l’alleanza come prima. Non ci crederebbe nessuno, dopo l’esperienza che abbiamo avuto. E daremmo paradossalmente a Berlusconi, che è il vecchio, la patente di chi può ripresentarsi come un elemento di innovazione. Questa porterebbe ad una sconfitta sicura».

E invece andando da soli no?

«Sarei un bugiardo a dire sono sicuro di vincere. Ho molte speranze. E combatto. Ma se mi si chiede: sei sicuro di perdere con la vecchia alleanza, risponderei che sì, sono sicuro di perdere».

Pubblicato il: 30.01.08
Modificato il: 30.01.08 alle ore 16.15   
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 01, 2008, 06:12:01 pm »

Strappi e liti, nuovo stop alla rinascita del Centro

Nasce la Cosa bianca ed è subito in crisi

Casini si riallinea a Berlusconi: i voti arrivano solo se si è alternativi alla sinistra


È dal '94 che ogni tentativo fallisce, da quando il Ppi di Martinazzoli finì stritolato nella morsa elettorale del Polo berlusconiano e dei Progressisti di Occhetto, vittima del sistema maggioritario che proprio i post democristiani avevano elaborato: il Mattarellum.

Da allora la rinascita del centro è rimasta una suggestione che periodicamente si alimenta con il varo di progetti destinati a non concretizzarsi o a dissolversi nelle urne. Anche stavolta la costruzione di una «Cosa Bianca » pare crollare prima di aver gettato le fondamenta. Pezzotta - animatore dell'ultimo disegno - volge l'indice contro «l'insipienza del Pd», che «demonizza il centro accusandolo di puntare alla politica dei due forni, e al tempo stesso prospetta per sé alleanze di nuovo conio. Ma se non accetta di reintrodurre il proporzionale, con chi le fa queste nuove alleanze?».

È questa la «contraddizione » che l'ex segretario della Cisl addebita a un Pd «schizofrenico». Ed è un problema che appare senza soluzione. Il centro è destinato così a rimanere terra di conquista, «perché è accertato e sperimentato — sostiene il mastelliano Fabris — che la sinistra non consentirà mai di ricostruire ciò che spazzò via grazie anche alla magistratura»: «D'altronde Veltroni ce lo disse nel corso dell'ultimo incontro. Ci spiegò che avremmo potuto trovare un accordo con lui, anche di tipo federativo, "a patto — parole sue — che abbandoniate per sempre l'idea della Cosa Bianca". Al contrario D'Alema era favorevole, perché la sua cultura comunista di stampo togliattiano prevede lo schema di un'intesa Dc-Pci, in cui centro e sinistra si alleano ma restano distinti».

Insomma, secondo Fabris, uno spazio ci sarebbe stato se avesse vinto la linea dalemiana. Ma la tesi non convince del tutto l'ex segretario del Ppi, Gerardo Bianco: «D'Alema, è vero, ne era convinto. Mi confidò che avrebbe lavorato per un ritorno al proporzionale perché puntava su Casini e pensava a un accordo post-elettorale di governo con l'Udc. Ma a parte il nodo del sistema di voto, c'è un problema culturale prima che politico: quello dell'egemonia, che i post comunisti vogliono imporre sugli alleati. E ci sarà un motivo se dal '98 in poi — da quando cioè arrivarono a palazzo Chigi— il centro alleato con la sinistra è sempre più diventato residuale».

Perciò il caffè bevuto ieri alla buvette con Casini ha avuto per Bianco un sapore amaro. «Sei tornato con Berlusconi, Pier...». «A parte il fatto che la questione del centro si riproporrà nella prossima legislatura — è stata la risposta — cosa dovremmo fare con questa legge elettorale? Suicidarci? Dillo ai tuoi amici del Pd che non hanno voluto il sistema tedesco». Una stilettata, quella di Casini: «Io — commenta Bianco — non mi ricandiderò, ma la cosa peggiore è che alle elezioni non saprò per chi votare. Certo non per il Polo, ma neppure per i Democratici». L'ex leader del Ppi aveva sperato nella rinascita del centro. Casini ci aveva lavorato. A cavallo delle ultime due legislature si prodigò con Rutelli, «quante volte ne parlammo », ha raccontato a un amico: «Poi però lui non si trovò più nelle condizioni di andare avanti». Più recentemente ha tentato di nuovo, e «insieme a Montezemolo — ha confidato — saremmo stati in grado di costruire un progetto molto forte. Ma se non ci sono le condizioni tecniche per farlo, non si può andare contro la realtà delle cose. Perché il centro, per aver successo, deve essere alternativo alla sinistra o finisce per diventarne schiavo e non prendere voti». E l'ex presidente della Camera non intende diventare la «crocerossina del Pd», semmai punta a sfruttare la nuova intesa con il Cavaliere. Nemmeno le avances di Marini, per un'estrema trattativa sul sistema elettorale, pare l'abbiano smosso: «È preferibile ormai andare al voto». Ovviamente con Berlusconi.

La «Rosa Bianca» di Tabacci e di Baccini gli sembra appassita, non la definirà mai «un crisantemo» come ha fatto Fini, ma la considera «irrilevante ». Tabacci non è della stessa idea, infatti ci proverà, «perché gli italiani devono capire che l'attuale bipolarismo ci ha consegnato un Paese debole, specie a livello economico. Altrimenti vorrà dire che si acconceranno a votare per Berlusconi e le sue 26 liste, o per Veltroni che dice di voler andar da solo alle urne e invece furbescamente sta stringendo accordi di desistenza con la sinistra estrema ». Dopo 14 anni i centristi restano ancora senza terra, «ed è paradossale — dice Pomicino — che chi ha vinto la battaglia della storia con i comunisti, non riesca a rimettersi in piedi». Ma per l'ex ministro andreottiano il nodo non è solo legato al sistema di voto, «il problema è che l'attuale classe politica post-dc è andata avanti con l'idea dei partiti proprietari».

 Nel suo ultimo libro, La politica nel cuore, racconta di un incontro avvenuto nel dicembre del 2004 al Pirellone, nello studio di Formigoni: «C'erano anche Cuffaro e Lombardo, e Casini e Mastella erano informati. Dopo tre ore di discussione mi alzai e dissi: Ragazzi, me ne vado. E meno male che nel '43, quando a casa di Spataro si incontrarono per mettere in piedi la futura Dc, c'erano De Gasperi e Gonella. Se ci fossimo stati noi, povera Italia».

Francesco Verderami
01 febbraio 2008

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Febbraio 06, 2008, 11:23:28 pm »

Realacci: «Berlusconi può essere battuto»

Andrea Carugati


Per lui che di mestiere è capo della comunicazione del Pd, sono in arrivo due mesi terribili. Eppure Ermete Realacci sembra entusiasta del lavoro che sta per travolgerlo. Per spiegare che campagna farà il Pd parla di Obama e di Guerre Stellari, per dire che «bisogna crederci fino in fondo», e non fidarsi troppo dei numeri della partenza. «Il protagonista del primo Guerre Stellari, fidandosi solo della propria forza, colpisce l’astronave aliena, la Morte Nera. Ecco, Berlusconi potrebbe fare la fine dell’astronave. Di sicuro, chi a destra pensa di avere la vittoria in tasca soffrirà molto in questi due mesi».

Allora onorevole, che campagna elettorale farete?
«Partiamo dal discorso di Veltroni al Lingotto: lì in nuce c’è il taglio della nostra proposta all’Italia. Il protagonista della nostra campagna non sarà Berlusconi, ma l’Italia, i suoi cittadini, i loro bisogni, le speranze e le sfide del futuro. Punteremo molto sui territori, senza trascurare nessuno dei quasi 6mila piccoli Comuni. E anche un forte uso di Internet, con un centinaio di forum per dialogare con i cittadini».

Organizzerete un treno, un pullman?
«Sicuramente sì. Io propendo per il treno».

Suonerà solo Veltroni o un’orchestra più ampia?
«Lui ha un investitura personale fortissima, e per questo può beneficiare del protagonismo di tanti altri».

Che idea di Italia proporrete?
«Un’Italia che ritrovi la fiducia nei propri mezzi, che scommetta su se stessa, orgogliosa della sua identità e capace di fare dei talenti e della bellezza la chiave per affrontare le sfide del futuro».

Che uso farete dell’eredità del governo Prodi?
«Rivendicheremo i risultati positivi ottenuti, a partire dall’aver messo in ordine i fondamentali del Paese. Ma al centro ci saranno le idee per il futuro».

Le vostre liste avranno la metà di donne?
«Credo di sì, sarà una fatica mostruosa ma ce la faremo».

Secondo lei che farà Berlusconi, vi dirà che siete i soliti comunisti?
«Sono sicuro che alla fine il tic gli scatterà, come al Dottor Stranamore di Kubrick scattava il saluto nazista. Lui ha sempre fatto una sola campagna elettorale, ha una sola marcia».

Cosa farete per convincere gli incerti, i delusi, gli astenuti?
«Non credo all’esistenza di una grande quantità di persone di centro in senso classico. C’è invece una massa crescente di persone che può votare sulla base di una suggestione. Noi ci rivolgiamo a questi voti liberi, a chi cerca una novità, anche tra chi ha scelto il centrodestra».

Poniamo che il Pd vada molto bene, però da solo parte già perdente. O no?
«Se si mette davvero in moto una speranza non ci sono limiti. Guardo a Obama, che era considerato super perdente. Negli incontri pubblici gli applausi più forti scattano sempre quando Veltroni dice che la nostra sarà una proposta semplice e chiara, non mediata con altri. È con la novità e il coraggio che possiamo mettere in difficoltà una destra che si presenta con lo stessa faccia del 1994. In Italia c’è una risorsa di passione, generosità, senso civico che la politica non intercetta più. Noi punteremo su questo. Non faremo più una campagna come nel 2006, con la sommatoria di tutte le schegge»...

Non farete nemmeno degli accordi tecnici al Senato con la sinistra?
«Non mi pare che siano possibili tecnicamente, e non capisco come lo spiegheremmo agli italiani».

E Di Pietro e i socialisti?
«Non lo escludo, ma solo se c’è coerenza. I socialisti hanno passato gli ultimi mesi ad attaccarci su delle sciocchezze: devono cambiare atteggiamento. Non possiamo avere intorno della gente che ci punzecchia per ricavarsi un microspazio».

Pubblicato il: 06.02.08
Modificato il: 06.02.08 alle ore 19.00   
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 18, 2008, 08:54:05 pm »

A destra il partito di Babele

Stefano Ceccanti


Ma il Pdl coi suoi alleati sarebbe davvero pronto a governare? Non sono solo degli scricchiolii casuali a far venire dei seri dubbi, l’ultimo e più importante dei quali è il lancio di una proposta pensionistica a Cernobbio da parte di Berlusconi, poi rapidamente rientrata, e che faceva seguito ad analoghi problemi sulle missioni internazionali, sull’Alitalia e sulla scelta di alcuni candidati imbarazzanti a fini elettoralistici immediati, approvata da Berlusconi col dissenso di Fini e Bossi. C’è qualcosa di più profondo, di costante, di cui queste sono solo alcune manifestazioni. Il Pd è un partito già strutturato, prima delle elezioni, dotato di un regolare Statuto, di un manifesto, di un gruppo dirigente legittimato democraticamente e di un programma su cui ha fatto un patto chiaro con altre due forze politiche.

La scelta elettorale è conseguenza di un modo di essere, è lo specchio di una realtà preesistente, viva e vitale, strutturata intorno a una cultura di governo. Il Pdl come tale è solo una lista, che risulta dalla volontà di partiti al momento ancora del tutto diversi, resa tale dalla vicinanza della scadenza elettorale, in cui può trovare spazio chi ha brindato in Senato in modo scomposto per la caduta del Governo Prodi (nonostante le promesse di esclusione) con quella che è stata fino ad ieri la sottosegretaria alla Giustizia del Governo Prodi medesimo. E’ una promessa di partito. Se fosse però solo questo, la situazione potrebbe essere sanabile nei prossimi mesi con un lavoro serio, sia pure in ritardo. Un lavoro che sarebbe positivo ai fini della stabilizzazione del sistema e che si fa comunque meglio all’opposizione, senza i vincoli derivanti dal dover sostenere insieme il Governo: un ottimo motivo anche per elettori di centro-destra di scegliere almeno stavolta il Pd per dare tempo al proprio schieramento di darsi un assetto più credibile.

Ma c’è, purtroppo, qualcosa di ancor più profondo: il Pdl ha costruito un patto con altre due forze, la Lega Nord e il Movimento per le Autonomie, che non ha una effettiva base programmatica. Infatti esiste un programma del Pdl con le cosiddette "sette missioni per il futuro del paese"; di esso però non c’è traccia sul sito della Lega Nord. Esso, che si presenta ancora come sito della "Lega Nord per l’indipendenza della Padania", presenta un programma del tutto autonomo approvato il 2 marzo dal cosiddetto Parlamento del Nord, che in più punti è in radicale contraddizione col primo. Per fare solo due esempi sul tema cruciale del federalismo, il programma del Pdl appare addirittura minimalista, non accennando neppure alla necessaria riforma del Senato che completerebbe quella del Titolo Quinto, ma proponendosi solo di attuare per via legislativa ordinaria il vigente articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale. Viceversa il programma della Lega ripropone la vecchia soluzione di Miglio della sostanziale "disgregazione e dissoluzione dello Stato nazionale" che si tradurrebbe nella nascita di "tre Euroregioni", ciascuna delle quali con "sovranità esclusiva…in termini di potere legislativo, amministrativo, giudiziario", detto in altri termini il progetto di tre staterelli debolmente confederati. Una proposta che, peraltro, oltre a creare problemi dentro la coalizione di centro-destra, rende difficile pensare a una legislatura capace di aggiornare la Costituzione perché in evidente conflitto coi suoi principi fondamentali, a meno che il Pdl non se ne discosti esplicitamente. Il leader della Lega Bossi ha detto nei giorni scorsi che gli è stato proposto di nuovo di fare il Ministro per le riforme, ma sulla base di quale dei due programmi divaricanti? Il sito del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo richiama invece solo la quinta missione del programma di Berlusconi ("Il Sud"), che sottolinea tra le altre l’idea guida del "federalismo fiscale solidale". Come ciò si concili però con la proposta della Lega Nord del ritorno a casa del 90% del gettito fiscale delle regioni padane "attribuibile al proprio territorio" è impresa sostanzialmente impossibile perché priva di una base materiale di risorse, tenendo anche conto che alla Sicilia torna già il 100% e che i progetti di Lombardo tendono a chiedere ancora di più. Non è quindi un caso se la presentazione delle liste da parte dello schieramento del centro-destra prevede che dove vi sia il simbolo della Lega Nord ad affiancare il Pdl non vi sia mai quello dell’Mpa e viceversa. Una riedizione della logica già vista nel 1994 quando vi erano due diverse coalizioni territoriali con messaggi-chiave divergenti: Forza Italia e Lega a Nord, Forza Italia e Alleanza Nazionale a Sud. Durò pochi mesi perché fondere dal Governo, dopo il voto, logiche programmatiche divaricanti in una visione di politica nazionale non è impresa agevole.

Il centro-destra ha quindi costruito una coalizione più piccola del solito, ma non ha in realtà cambiato logica, almeno per ora: si tratta con tutta evidenza di una coalizione per vincere le elezioni, ma che non potrebbe governare né efficacemente né per molto tempo. Penso che in queste condizioni, dobbiamo ricordare a tutti gli elettori, anche i più distanti da noi, che nelle grandi democrazie parlamentari il voto non è tanto un segno di appartenenza, per vedersi solo rispecchiati in Parlamento, come una fotografia più o meno riuscita, è anche e soprattutto una scelta per il Governo, per valutare caso per caso chi è più pronto a guidare il Paese, a renderlo credibile all’interno e all’estero.

Stavolta, nell’offerta politica, chi ha cambiato davvero fino in fondo è solo il nuovo Pd.

Pubblicato il: 18.03.08
Modificato il: 18.03.08 alle ore 12.11   
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« Risposta #7 inserito:: Marzo 23, 2008, 11:25:11 pm »

23/3/2008 (7:Fico - RETROSCENA

"A me gli imprenditori hanno sempre detto no"

Il premier e la cordata italiana

FABIO MARTINI
ROMA


Da quattro giorni la deriva della vicenda Alitalia lo indispettiva ogni ora di più, anche se ieri mattina Romano Prodi è stato momentaneamente “distratto” dall’ultima campagna de Il Giornale sulla presunta scomparsa dei regali ricevuti dal premier durante il suo mandato. Ieri mattina Prodi, nella sua casa di Bologna, stava per mettersi in viaggio per Bebbio - sull’Appennino reggiano - dove il Professore si ritrova a Natale e Pasqua con i tanti fratelli e i tantissimi nipoti, ma l’articolo ha prodotto su lui (e sulla moglie Flavia) una rabbia fiammeggiante: chi ci ha parlato racconta di un’indignazione per certi versi «superiore» a quella suscitata dall’annuncio di Clemente Mastella sulla fine del suo sostegno del governo.

Ma la rabbia per il tentativo del quotidiano di Paolo Berlusconi di chiamarlo in causa su vicende che ne possano minare la credibilità personale ieri pomeriggio sembrava sbollita e la sorte dell’Alitalia aveva ripreso a tener desta l’attenzione del premier. Sulla vicenda Prodi non intende intervenire in modo formale né informale e a chi gli chiede cosa ne pensi veramente, ripete: «C’è una precedura in corso e non è proprio il caso di parlare». Ma, sia pure a mezza bocca, si toglie un sassolino: «Se si manifesteranno novità, vedremo. Ma nel corso dell’anno appena trascorso, gli imprenditori italiani in qualche modo coinvolti hanno dato tutti la stessa risposta: Alitalia? E che siamo matti?».

Di più Prodi non dice e non vuol dire. La sua battuta, del tutto informale, non sembra un “j’accuse” specifico nei confronti di questo o quell’imprenditore, anche perché alcuni sono usciti allo scoperto e altri si sono limitati a sondaggi preliminari. Certo, alla fine del 2006, l’imprenditore più vicino al Partito democratico, il patron del gruppo Espresso Carlo De Benedetti, era sembrato essere interessato ad Alitalia. Un interessamento breve, più dichiarato che concreto e comunque esaurito negli ultimi giorni del 2006. Il 6 dicembre l’Ingegnere chiese un appuntamento a palazzo Chigi con Prodi e in quella occasione spiegando che per lui poteva valere la pena imbarcarsi nell’operazione, soltanto avendo mani libere. Una rinuncia determinata dai paletti posti dal governo: salvaguardia dell’interesse nazionale e dei posti di lavoro. Certo, non hanno fatto piacere a Prodi le parole pronunciate alcuni giorni fa da Carlo De Benedetti, che ha detto: «La trattativa per la vendita di Alitalia è stata condotta nel modo peggiore possibile: pensavano di vendere un’azienda “in bonis” e invece Padoa-Schioppa ha parlato di rischio di commissariamento, cosa che avrebbe dovuto fare un anno fa». In compenso pare che non gli siano dispiaciute le parole dell’ex presidente dei giovani industriali (ora candidato del Pd) Matteo Colaninno: «Alitalia è ad un punto di non ritorno. Io sono fuori, ma se mio padre facesse un’offerta, lo guarderei con preoccupazione». Un modo allusivo per dare del matto a chi, in Italia, volesse imbarcarsi ora nell’operazione-Alitalia.

Ma, l’approssimarsi di un passaggio importante (il 31 marzo scade il termine per un accordo tra sindacati e Air France), renderà ancora più ermetico Prodi. Il premier non ha pronunciato una sola parola neanche durante la campagna elettorale, per non sovrapporsi a Walter Veltroni. Certo, l’oscuramento che il Pd ha imposto al governo e al suo Presidente e il mancato coinvolgimento di Prodi in iniziative di campagna elettorale non hanno fatto piacere al Professore. Che sta meditando una piccola “sorpresa”, come dice lui stesso: «Il 9 aprile Walter chiuderà a Bologna: se un impegno internazionale me lo consentirà, farò il possibile per esserci».

da lastampa.it
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« Risposta #8 inserito:: Aprile 01, 2008, 12:04:42 am »

Giovanni di Lorenzo: «Qui in Germania, un ritorno di Berlusconi è considerato surreale»

Cinzia Zambrano


A voler esagerare si potrebbe anche dire che Berlusconi è una sorta di leit-motiv nella vita di Giovanni di Lorenzo. Sull’ascesa mediatica del tycoon milanese, di Lorenzo, 49 anni, mamma tedesca papà italiano, ha scritto la sua tesi di laurea. Alcuni anni dopo si è ritrovato di nuovo ad occuparsi di Berlusconi. Stavolta però, nella veste di direttore di «Die Zeit», autorevole settimanale tedesco che dirige dal 2004, e dalle cui colonne non ha risparmiato critiche al Cavaliere versione premier.

Di Lorenzo, in Italia i sondaggi danno favorito Berlusconi. È la quinta volta che si candida a guidare il Paese. La prima volta era nel ‘94, allora in Germania c’era Kohl, in Spagna Gonzalez, in Francia Mitterrand. Oggi abbiamo Merkel, Zapatero, Sarkozy... E noi ancora con Berlusconi. Lei, da italiano, ma anche da osservatore estero, come vede questa candidatura?

«Il fatto che Berlusconi si presenti per la quinta volta alle elezioni è talmente incomprensibile ai tedeschi, che c’è persino una certa resistenza a spiegarlo. In Germania una cosa simile è impensabile, un cancelliere che viene sconfitto sparisce per sempre da un’eventuale futura corsa alla Cancelleria. Come è stato incomprensibile qui il fatto che l’ultimo governo fosse costituito da 9 partiti, di cui 2 dichiaratamente comunisti. Anche per queste ragioni le elezioni passano inosservate sulla stampa tedesca».

Anche sul suo giornale?

«In parte sì».

E per cos’altro ancora?

«La mancanza di ricambio della classe politica. In Germania si fa molta fatica a trovare un politico che abbia più di 65 anni e sia ancora attivo. In Italia, no. Oltretutto mi sembra di percepire un vero abisso tra la classe politica e la realtà del Paese. Devo ammetterlo, per noi giornalisti c’è una certa difficoltà a capire alcune cose e dunque anche a spiegarle ai nostri lettori».

Esempi?

«La candidatura di Berlusconi per la quinta volta, un conflitto di interessi irrisolto, che non è rintracciabile in nessun’altra democrazia nel mondo. Se Berlusconi dovesse vincere, il problema si proporrà in forma ancora più drammatica, perché forse ci sarà qualche conto da saldare. A meno che, non si vada verso una Grande Coalizione...».

Lei vedrebbe di buon occhio una Grande Coalizione?

«Sempre meglio che il ritorno alla spaccatura del Paese. A Veltroni si riconosce una spinta nuova, la rinuncia per esempio di correre da solo sganciandosi dalla sinistra radicale, ma non si può sostenere che è un personaggio nuovo. Quello che mi preoccupa è la sfiducia e lo sconforto della gente, erano decenni che non percepivo un tale smarrimento e una disaffezione politica».

Il Wall Street Journal ha bocciato Berlusconi e ha fatto invece un’importante apertura di credito a Veltroni. Die Zeit cosa farà?

«Faremo un articolo di fondo questa settimana...».

Mi anticipa il contenuto?

«Spiegheremo la situazione politica in Italia. La tesi di base è che un ritorno al governo di Berlusconi, Fini e Bossi, per tutti gli ambienti politici tedeschi, conservatori e socialdemocratici, è surreale. Di certo non ci sarà quell’apertura e quel rinnovamento di cui l’Italia invece avrebbe tanto bisogno».

Si ritroverà a fare titoli come: «Bella Berlusconia, l’Italia si trasforma in un paese autoritario», come in passato...

«Un titolo precedente alla mia direzione della Zeit, che speriamo di non dover rifare. Ma rimanere critici con Berlusconi è facile: basta vedere la sua presa di posizione sull’Alitalia, un conservatore che diventa protezionista è un controsenso. Io però mi auguro davvero di poter segnalare dall’Italia qualcosa di nuovo. Per quanto riguarda Veltroni, ho la sensazione che la “rivoluzione” che lui vuole attuare abbia fatto breccia solo negli ambienti a lui già vicini. C’è da dire comunque che all’estero dà una buona impressione, poi bisogna vedere nei fatti. Veltroni ha di buono il fatto che vuole conciliare il Paese, dall’altra parte però ha una certa propensione ad accontentare tutti. Questo non funziona. Schröder ha rinnovato il Paese ma ha pagato un prezzo molto alto. L’Italia è in una situazione talmente grave che chi andrà al governo dovrà prendere decisioni drastiche per risanarlo. Le promesse inutili non servono».

Ultima cosa, è vero che ha fatto una tesi di laurea sull’ascesa mediatica di Berlusconi?

«Sì, ma faccio un’autocritica: a quei tempi avevo capito ben poco».

Pubblicato il: 31.03.08
Modificato il: 31.03.08 alle ore 9.22   
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« Risposta #9 inserito:: Aprile 01, 2008, 10:27:10 pm »

Walter Vitali: «No al voto disgiunto, confonde e fa danni»

Andrea Carugati


Senatore Vitali, c’è chi propone un voto disgiunto nelle regioni in cui il Pd è in netto vantaggio come Emilia e Toscana: votare Sinistra arcobaleno al Senato per togliere seggi a Berlusconi. È d’accordo?

«Assolutamente no e per diversi motivi. Innanzitutto noi ci battiamo per vincere queste elezioni e per governare, non per pareggiare o per impedire a qualcun’altro di farlo. Per questo chiediamo un voto convinto per il Pd alla Camera e al Senato in tutte le regioni. Non si è mai visto un partito che chiede il voto per un altro partito: è un marchingegno astruso, che disorienta gli elettori. Ognuno deve prendere i propri voti convincendo il proprio elettorato con argomenti forti, non con messaggi confusi. Il Pd è la principale novità politica di queste elezioni, e il suo risultato sarà fondamentale anche per gli assetti successivi. Non vorremmo mai che qualcuno, di fronte a un risultato inferiore alle aspettative, cominciasse a chiedersi se abbiamo davvero fatto bene a fare il Pd. Sarebbe imperdonabile se noi, con manovre furbesche e poco chiare, disperdessimo voti».

Eppure Mauro Zani, europarlamentare del Pd, emiliano come lei, ha dato questa indicazione: voterà Sinistra arcobaleno al Senato per danneggiare la destra.

«È comprensibile che parli di voto disgiunto chi, come Mauro Zani, non è pienamente convinto del progetto del Pd e non ha neppure partecipato alle primarie del 14 ottobre. Se si tratta di un voto in più alla Camera da parte di elettori poco convinti, ben venga. Ma non sarà mai un suggerimento del Pd, ci faremmo del male con le nostre stesse mani. Non solo non è utile, è dannoso».

Eppure anche il professor Pasquino, grande esperto di sistemi elettorali, suggerisce questa soluzione.

«In una regione come l’Emilia-Romagna, dove sono in palio 21 senatori, se Rifondazione superasse il quorum dell’8% potrebbe togliere uno-due senatori al centrodestra. Ma se il voto disgiunto fosse praticato in modo massiccio, nessuno può garantire che non si rivelerebbe un boomerang».

E poi, correndo da soli, anche nelle regioni rosse la distanza tra Pd e Pdl non è più così alta come tra Unione e Cdl...

«È così, si tratta di alcuni punti, non del 20%. Per questo dico: come si fa a stabilire a tavolino la percentuale esatta per garantire la vittoria del Pd e il quorum per la Sinistra? È un meccanismo ingovernabile, un rischio grave: il gioco non vale la candela».

Nelle regioni, come la Sicilia, in cui la Sinistra non ha chances di ottenere senatori, chiedete il voto disgiunto al Senato per il Pd?

«No di certo. Facciamo un altro discorso: il voto al Pd come più utile, perché siamo gli unici in grado di competere con il Pdl».

C’è un altro tema: sotto il 35% la leadership di Veltroni potrebbe essere in discussione?

«Non indicherei percentuali. Tutti gli indicatori segnalano che il Pd avrà un’ottima affermazione. Noi crediamo alla vittoria e ci rivolgeremo agli indecisi fino all’ultimo minuto. Per parlare con chi è tentato dall’antipolitica, è necessario ribadire che noi vogliamo rinnovare la politica, con atteggiamenti limpidi, comprensibili».

Vi augurate che Sa raggiunga il quorum nelle regioni rosse?

«Certamente sì, perché togliere seggi a Berlusconi è comunque positivo: ma lo strumento non è il voto disgiunto. È giusto che la Sinistra si rivolga a quei delusi da sinistra del governo Prodi, potenziali astensionisti, che non voterebbero mai Pd».

Pubblicato il: 01.04.08
Modificato il: 01.04.08 alle ore 13.10   
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« Risposta #10 inserito:: Aprile 01, 2008, 10:28:20 pm »

Voto disgiunto no grazie

Stefano Ceccanti


Per capire il senso del voto dobbiamo anzitutto comprendere bene l’offerta politica di questa tornata elettorale per le Politiche. Viste le caratteristiche oggettive del sistema elettorale, belle o brutte che siano, ci sono solo due voti che oltre a determinare l’elezione di parlamentari servono per scegliere il Governo perché farebbero scattare i premi di maggioranza: il voto che va a sostegno della candidatura di Veltroni, una proposta nuova ed omogenea intorno a un programma, e quello che ripropone il replay della quinta candidatura di Berlusconi, intorno ai programmi eterogenei di Pdl, Lega e Mpa. È pertanto alquanto ovvio che chi ragiona in termini di “voto per il Governo” (concetto molto più chiaro di quello di “voto utile”) lo voglia dare congiunto, cioè identico, sia alla Camera sia al Senato. Alla fine il Presidente del Consiglio sarà Veltroni o Berlusconi: molto probabilmente, chiunque sia, con una maggioranza più ampia in seggi alla Camera e più ristretta al Senato.

Alla fine il Presidente del Consiglio sarà Veltroni o Berlusconi: molto probabilmente, chiunque sia, con una maggioranza più ampia in seggi alla Camera e più ristretta al Senato. Se anche si verificasse il non augurabile paradosso di maggioranze opposte tra i due rami del Parlamento, questo non determinerebbe affatto un potere di coalizione post-elettorale dei minori. Si accelererebbe piuttosto il ritorno al voto dopo una necessaria riforma, in cui sarebbe comunque non aggirabile il consenso di Pd e Pdl, perché ognuno in grado di bloccarla, avendo gli uni la maggioranza alla Camera e gli altri al Senato.

Le altre opzioni elettorali rispetto a Pd e Pdl sono quindi solo relative alla composizione del Parlamento, non a quella del Governo, ad avere alcuni seggi per testimoniare una identità minoritaria, dalla Sinistra Arcobaleno, all’Udc, alle forze ancora più piccole. Bertinotti e Casini saranno comunque minoranze parlamentari, non saranno alla base né della maggioranza di Governo né costituiranno la principale forza di opposizione, candidata al ricambio futuro. L’elettore incerto che va in quella direzione rinuncia a esprimere una scelta di Governo e indirettamente favorisce la scelta opposta: chi è incerto tra Pd e Sinistra Arcobaleno e vota quest’ultima, si astiene di fatto dalla scelta di Governo e favorisce l’affermazione di Berlusconi. Può piacere o non piacere, ma non è un invenzione di un commentatore, è la logica tipica di ogni sistema elettorale che non sia proporzionale puro. Non c’è dubbio, ad esempio, che l’esito delle elezioni spagnole sia stato largamente determinato da elettori incerti tra il Psoe e Izquierda Unida che hanno votato per il primo perché scegliere il secondo avrebbe favorito il “Pp”. Questo ragionamento del “voto di Governo”, cioé del voto “per Veltroni presidente” in alternativa all’unico reale candidato alla stessa carica, Berlusconi, vale per tutte e due le schede e sarebbe peraltro scorretto e poco sensato per dirigenti, iscritti ed elettori del Partito Democratico diffondere messaggi schizofrenici diversi da territorio a territorio, come se non fosse un’elezione politica nazionale e non ci fosse comunicazione oltre i confini regionali. Alcune persone che non sono dirigenti, iscritti ed elettori del Pd, e che quindi non hanno il necessario vincolo morale e politico di lealtà reciproca nel voto, ma che si collocano a cavallo tra Pd e Sinistra Arcobaleno, pur non negando che quella sia la regola, si pongono il problema di cosa fare al Senato nelle poche Regioni in cui la vittoria sarebbe sicura (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria).

Premesso che le certezze sino allo spoglio dei voti veri sono sempre soggette a dei margini di rischio, vale la pena segnalare ad essi tre questioni, cioè un giudizio di valore e due di fatto.

Quello di valore è che noi chiediamo a tutti gli elettori un voto per governare con Veltroni, non un voto contro un Governo Berlusconi e chiediamo quindi di approvare la nostra scelta di andare liberi con un programma omogeneo di Governo, non chiediamo agli elettori di ragionare in termini di desistenza, di artifici solo per impedire la vittoria altrui. Scelgano ovviamente gli elettori, ma sarebbe ben strano se proprio noi abbassassimo subito la soglia della richiesta: altrimenti non si capirebbe perché siamo andati liberi, perché abbiamo evitato forme di desistenza con liste civetta o altro.

I giudizi di fatto, spiegabili anche questi agli elettori, sono i seguenti: è vero che se il Pd vince in quelle Regioni con meno del 55% dei voti usufruisce del premio andando al 55% dei seggi e che il Pdl, se qualche forza minore supera l’8%, è costretto a spartirsi con queste ultime la torta del 45% restando danneggiato. Tuttavia è anche vero che se troppi elettori fanno quella scelta potrebbero paradossalmente e insperatamente far arrivare primo il Pdl: siete sicuri di voler correre il rischio di far vincere Berlusconi, anche solo nella vostra regione?

Infine: chi può escludere che lì il Pd possa andare oltre il 55% dei voti validi (al netto di quelli gettati per le forze che non raggiungono lo sbarramento) e quindi oltre il 55% dei seggi, senza aver bisogno del premio? In quel caso i seggi in più restano al vincitore. Perché privarsi di tale possibilità eleggendo i candidati che a ridosso di quelli sicuri si sono spesi nella campagna elettorale?

Queste sono le nostre ragioni congiunte per un voto anch’esso congiunto per il Governo Veltroni. Ovunque: Camera e Senato. Le risposte arrivano quando le ragioni sono esposte in modo convinto e chiaro.

Pubblicato il: 01.04.08
Modificato il: 01.04.08 alle ore 13.09   
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« Risposta #11 inserito:: Aprile 02, 2008, 02:50:36 pm »

LA NOTA

Incidente istituzionale che può lasciare un segno nel «dopo elezioni»

Una tensione affiorata dopo ripetuti affondi del Cavaliere



Paragonare il Quirinale alle «forche caudine» non è un segno di grande stima verso l’istituzione. Ma se a farlo è il candidato numero uno a palazzo Chigi, la battuta diventa gaffe istituzionale. Se poi il presidente della Repubblica replica con un comunicato ufficiale stupito e irritato, le parole possono trasformarsi in un boomerang per chi le ha pronunciate. Insomma, di colpo Silvio Berlusconi si trova in urto con Giorgio Napolitano. E tutto perché, a meno di due settimane dal voto, il leader del centrodestra ha detto durante un forum al Tempo: «Sappiamo che ogni decisione del Consiglio dei ministri dovrà passare per le forche caudine di un capo dello Stato che sta dall’altra parte. Ricordo i rapporti con Carlo Azeglio Ciampi». In teoria, è un riferimento solo al passato.

In teoria, però. D’altronde, da tempo il Cavaliere va ripetendo in campagna elettorale di avere «tutte le istituzioni contro »: a cominciare dalla Corte costituzionale al Csm, alla «grande stampa», a «parti importanti della magistratura », nel suo elenco delle recriminazioni. Anche ieri sera, in tv, non ha mancato di ricordare, in polemica con l’Unione di Romano Prodi, che nel 2006 quella maggioranza occupò ogni carica costituzionale. Su questo sfondo, il richiamo alle «forche caudine» della presidenza Ciampi è stato percepito come un messaggio rivolto solo apparentemente al predecessore; e comunque da rispedire al mittente subito. Napolitano ha sempre considerato un punto d’onore quello di essere considerato «il presidente di tutti», sebbene eletto solo con i voti dell’Unione. E ha cercato costantemente di essere attento alle ragioni dell’opposizione.

Bollare le prerogative del capo dello Stato come «forche caudine» del proprio governo, dunque, poteva apparire un avvertimento anche all’attuale inquilino del Quirinale. La difesa di Ciampi è stata immediata sia per l’amicizia e la stima reciproca fra i due presidenti; sia perché si trattava di proteggere dall’attacco l’istituzione in quanto tale: nonostante la marcia indietro precipitosa di Berlusconi. «La presidenza della Repubblica, chiunque ne fosse il titolare», è stata la reazione affidata a una nota ufficiale, «ha sempre esercitato una funzione di garanzia... senza mai sottoporre a interferenze improprie le decisioni di alcun governo. E considera grave che le si possano attribuire pregiudizi ostili nei confronti di qualsiasi parte politica».

Si tratta di una replica che non permetteva al leader del centrodestra altra strada se non una correzione di rotta. E il Cavaliere si è affrettato a precisare che non aveva intenzione di criticare Napolitano, «col quale ho un ottimo rapporto e a cui porto affetto e stima che so essere condivise». Ma evidentemente le sue parole pubbliche non sono bastate. E poco dopo il portavoce berlusconiano, Paolo Bonaiuti, ha annunciato che il leader del Pdl aveva telefonato al capo dello Stato per spiegarsi meglio. L’incidente, tuttavia, può lasciare il segno. E non tanto per l’attacco arrivato subito dal Pd e da Pier Ferdinando Casini, convinto che «non serve al Paese la riapertura di una nuova stagione di conflitti istituzionali».

L’impressione è che gli stessi alleati vogliano chiudere l’incidente al più presto. «Il povero Berlusconi nella sua vita politica è rimasto scottato da Scalfaro e da Ciampi, ma Napolitano ha dimostrato di essere di un`altra pasta », cerca di assolvere entrambi il leghista Calderoli. Ma con le sue parole, il Cavaliere rischia di incrinare il rapporto eccellente che aveva instaurato in questi due anni con il capo dello Stato; e di ridare fiato a voci velenose, moltiplicate dal clima elettorale: quelle di chi, nelle file della sinistra, vuole vedere in una probabile vittoria del centrodestra l’inizio di un’offensiva per destabilizzare il Quirinale. Per Berlusconi, il contraccolpo negativo potrebbe arrivare non dalle urne, ma dopo le elezioni.

Massimo Franco
02 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #12 inserito:: Aprile 02, 2008, 02:52:15 pm »

«Permetteremo le intercettazioni solo per terrorismo e criminalità organizzata»

Berlusconi: «Se vengo ancora intercettato ed escono registrazioni, lascio l'Italia»

«Se le tasse sono troppo alte, è giusto mettere in atto l'evasione o l'elusione fiscale»

 

ROMA - «Continuo a usare il telefonino con la più ampia libertà, ma se escono di nuovo fuori registrazioni lascio questo Paese». Lo ha minacciato Silvio Berlusconi al congresso dell'Ance (Associazione nazionale costruttori edilizi) spiegando di avere pronta una legge. «Permetteremo le intercettazioni solo per reati di terrorismo e criminalità organizzata». Il nuovo provvedimento prevederà «cinque anni di carcere per chi le ordina, per chi le fa e per chi le diffonde, oltre a multe salatissime per gli editori che le pubblicano».

«SE TASSE ALTE, GIUSTA EVASIONE» - Secondo Berlusconi il prelievo fiscale corretto si aggira intorno a un terzo del reddito, se invece le «tasse sono tra il 50 e il 60% come accade per le imprese, è giustificato mettere in atto l'elusione o l'evasione».

PONTE MESSINA - «Vogliamo avere l'orgoglio di realizzare un'opera così importante, tutta con il lavoro italiano», ha detto il Cavaliere a proposito del ponte di Messina. «Ero riuscito ad avere il 20% dei finanziamenti dall'Unione europea, ma lo abbiamo perso. Spero di poterlo riavere».

NUCLEARE - «Il nucleare sarà il sistema del futuro anche perché i combustibili fossili, da cui oggi dipendiamo, finiranno», ha previsto il candidato premier del Popolo delle libertà. «Per andare avanti dobbiamo partecipare alla ricerca sul nucleare di quarta generazione».

RUSSIA - «Ho avuto un ruolo di una certa importanza nel riavvicinamento della Russia agli Stati Uniti e dell'Europa. La politica internazionale in questo momento è in un periodo veramente difficile: con le dichiarazioni di Bush, che vuole Ucraina e Georgia nella Nato, la Russia si sente circondata e rischiamo, dopo che abbiamo fatto tanti sforzi per farla diventare parte dell'occidente, di rovinare tutto», ha affermato Berlusconi.


02 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Aprile 05, 2008, 10:19:52 pm »

POLITICA

Il Cavaliere getta la rete per il dopo voto

"Accordo con i democratici per sbloccare il paese"

Nei piani di Silvio un'offerta al Pd

di CLAUDIO TITO

 
GLI ultimi sondaggi lo preoccupano non poco. Silvio Berlusconi continua a leggere nei numeri che gli vengono portati quotidianamente la vittoria alla Camera, ma vede anche che la "lotteria" del Senato potrebbe riservargli un biglietto non vincente. Ecco perché negli ultimi giorni è ripartita la strategia del dialogo con il Pd, con il grande mediatore Gianni Letta che si è rimesso in moto. Passo dopo passo il Cavaliere tesse la tela, prepara il terreno per lanciare subito dopo il voto l'offensiva per irretire Walter Veltroni e costringerlo a collaborare, a condividere la responsabilità di un governo che dovrà affrontare la recessione economica e aprire "la stagione delle riforme". Una stagione che potrebbe anche creare le condizioni per portarlo al Quirinale.

Convinto che, a prescindere dal risultato, la prossima legislatura sarà una delle più difficili che il Paese abbia mai affrontato, Berlusconi ha ripreso con forza questi ragionamenti con il gruppo più ristretto dei suoi fedelissimi. "Noi vinceremo e saremo noi a fare il governo - tranquillizza i suoi uomini - ma non possiamo pensare di cambiare il Paese avendo tutti contro". Le incognite del Senato, poi, si confermano sempre più un brutto sogno per il leader forzista. Una coalizione blindata a Palazzo Madama non è più una certezza per Berlusconi.

Ma gli interrogativi riguardano pure "il Paese fuori dalle Camere". E lì, a suo giudizio, l'elenco dei potenziali "rematori contro" resta lungo: i sindacati, la pubblica amministrazione, i salotti della finanza, i cosiddetti "poteri forti", i vertici istituzionali. Compreso il capo dello Stato che il Cavaliere non riesce a considerare completamente neutrale. Tante rischiano di essere pure le spine, come l'Alitalia. Nodi che Berlusconi non vorrebbe sciogliere da solo.
"Se vogliamo davvero cambiare il Paese - è il refrain ripetuto in ogni staff meeting - bisogna costruire un clima di dialogo". Prima di tutto in Parlamento. "Senza una maggioranza ampia, non si può fare niente".

E l'idea di fare i conti con la crisi economica, le liberalizzazioni e le riforme istituzionali in un'atmosfera conflittuale, non lascia affatto tranquillo Berlusconi. "Non voglio ritrovarmi imbrigliato come lo è stato Romano Prodi in questi due anni". Tutto il suo staff ancora ricorda le parole piene di comprensione pronunciate dopo aver incrociato il premier uscente ad una cerimonia militare: "In fondo lo capisco, non è stato e non è facile stare in quella posizione". Non è un caso, allora, che in una recente cena a Milano si sia sfogato meravigliando i commensali: "Se potessi io cercherei in ogni caso, visto che la mia vittoria sarà piena, un grande accordo anche sull'esecutivo. Ma non so se sarà possibile".

Negli ultimi giorni il Cavaliere non dà nemmeno per scontato che la legislatura duri effettivamente cinque anni: "Non ho lo sfera di cristallo", sospira davanti alle domande. Se poi il risultato del Pdl sarà meno brillante di quanto gli dicono i suoi sondaggisti e il pareggio si rivelasse realtà il 14 aprile, allora il percorso di un governo tecnico sostenuto insieme al Pd diventerebbe un'opzione inevitabile. "È ovvio - ha ammesso in pubblico cinque giorni fa - che in caso di pareggio non ci può essere un governo di parte".

Così, il faccia a faccia di dicembre con il segretario democratico per Berlusconi è una sorta di architrave su cui costruire i prossimi cinque anni. Lo considera un momento di "svolta" per i rapporti tra gli schieramenti. Da allora non hai mai smesso di versare miele, in privato, sul suo "avversario". Lo ha fatto persino l'altro ieri nel corso del ricevimento con gli ambasciatori dell'Unione europea organizzata a Villa Almone, sede della diplomazia tedesca. Davanti alle feluche si è scagliato contro la sinistra radicale, ma nei confronti di Veltroni e di Prodi solo commenti ovattati. Da tempo Berlusconi spiega ai suoi che "Walter è il meglio che una sinistra moderna possa offrire in Italia".

Frasi puntate, appunto, in primo luogo a "sdoganare" il rapporto con l'ex sindaco di Roma. Del resto, con lo scioglimento delle Camere il leader forzista ha decisamente virato su una campagna fatta di colpi di fioretto piuttosto che di clava. Non è più il '94 o il '96, e non è nemmeno il 2001 o il 2006. Tant'è che negli ultimi giorni si è lamentato dei toni, a suo dire, troppo hard del segretario Pd: "Perché esagera così? Perché insiste sulla mia età? Non ce n'è bisogno".

Il suo obiettivo resta comunque quello di non ritrovarsi il 14 aprile con un Parlamento in "stato di guerra". "Altrimenti le riforme non le facciamo e il Paese non lo cambiamo". Non per niente, la lista dei ministri che già si trova nella sua tasca sembra stilata proprio per non indispettire l'eventuale futura minoranza. Basti pensare che Gianni Letta - se il Pdl vincerà - sarà il vicepremier unico, un moderato come Franco Frattini andrà agli Interni e agli Esteri un "quasi-tecnico" come Gianni Castallaneta, il suo ex consigliere diplomatico quando sedeva ancora a Palazzo Chigi, poi nominato ambasciatore a Washington, ma non sostituito da Massimo D'Alema.

Ogni passo, dunque, è studiato per pervenire ad "una convergenza almeno sui grandi temi". Lo ha spiegato pure ai diplomatici europei mercoledì scorso: "Lascerò da grande statista dopo aver fatto le riforme". E molti di quelli che lo ascoltavano hanno pensato che fosse il primo atto ufficiale per una candidatura al Quirinale. Che, secondo i fedelissimi della prima ora, è ormai diventata una "ossessione". Al punto che c'è chi gli rimprovera di compiere ogni mossa in quell'ottica: "Corteggia Veltroni per essere sdoganato".

(5 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Aprile 05, 2008, 10:20:44 pm »

POLITICA

Il regista incontra il pubblico all'Istituto Grenoble di Napoli ed elenca, lettera per lettera, le sue idee sull'Italia di oggi

Il sillabario di Nanni Moretti "B come bugie di Berlusconi"


TRA politica, cinema e vita privata il "Sillabario della felicità" di Nanni Moretti. Il regista porta con sé a Napoli alcuni suoi cortometraggi: dopo l'incontro il pubblico, circa seicento persone divise in due sale, li guarderà con attenzione. Moretti lascia Napoli con una copia della raccolta di racconti di Andrej Longo "Dieci", regalo degli organizzatori. Ma ecco il Sillabario personale del regista romano.

Antipatia - "Per le persone di spettacolo che non vanno a votare sostenendo che non hanno tempo. E in genere per tutti quelli che dicono che tanto i partiti sono tutti uguali".

Berlusconi, Bugia, Brogli, Boomerang - "In un'intervista a Newsweek, Berlusconi ha detto che mai nei suoi giornali e nelle sue televisioni viene attaccata la sinistra. Chi parla continuamente di brogli mina le base della democrazia. Qualunque cosa si dica in campagna elettorale, può diventare un boomerang".
oerenza - "Trovo stupida e prepotente la frase: la coerenza è la virtù degli imbecilli".

Elezioni - "Non voglio ferire la sensibilità di nessuno, ma ho una speranza precisa".

Felicità - "Quando nel traffico qualcuno non ti guarda con odio. Quando un barista fa bene e con dignità il suo lavoro".

Grillo - "No, proprio no".

Italia - "È anche quella dei dodici docenti universitari che rifiutarono l'adesione al fascismo. Dodici su millecento".

Linguaggio - "Le parole sono importanti, come ho detto nel mio film "Palombella rossa". Tanto importanti che di questo potremmo parlare per ore".
Messaggio - "Non c'entra con il cinema, è troppo univoco".

Nemico - "Ne ho già parlato alla voce Newsweek" (cioè Berlusconi).

Opinione pubblica - "È la cosa che manca di più in Italia, ogni giorno di più".

Paura - "La mia paura è che oggi il disprezzo delle regole sia un dato biologico degli italiani".

Qualità - "La ricerca della qualità è sempre vincente. Se una televisione si ponesse questo obiettivo, si scoprirebbe con sorpresa che sono in molti a seguirla".

Rete - "Per me la Rete non è democrazia".

Televisione - "Vedi alla B di boomerang: oggi nessuno ricorda che c'è un candidato premier che possiede tre televisioni".

Terrorismo - "Dieci anni fa interpretai e produssi il film di Mimmo Calopresti "La seconda volta". E quando ai dibattiti dicevo che erano assassini andava bene, quando poi dicevo che erano anche idioti per il tipo di comunicazione che diffondevo, i ragazzi si ribellavano. Penso che i terroristi siano stati assassini e anche scemi".

Terapia - "Fare film per me non è mai stata una terapia, talvolta alcuni miei lavori sono nati da mie nevrosi, ma per me non è mai stato terapeutico".

Zavorra - "Alla fine del film "Aprile", con mossa abile il mio personaggio si libera dei ritagli di stampa tirandoli fuori dal bagagliaio della Vespa. Quella è la zavorra, tutti ce ne dobbiamo liberare: è un elogio della leggerezza, intesa non come comtrario della serietà, ma come contrario della pesantezza"

Veltroni - "Non c'è la V di Veltroni? Peccato".

Vittimismo - "Uno dei peggiori vizi italiani: la colpa è sempre di un altro".

(5 aprile 2008)

da repubblica.it
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