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Autore Discussione: Luigi Bonanate - Il fantasma del Tonkino  (Letto 2308 volte)
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« inserito:: Gennaio 08, 2008, 06:42:34 pm »

Il fantasma del Tonkino

Luigi Bonanate


Il confronto nelle acque del golfo di Hormuz è tanto pericoloso (e potevamo aspettarcelo, prima o poi) quanto, per fortuna e per ora, inconsistente. Ma dov’è avvenuto, e tra chi? Le acque che attraversano lo stretto di Hormuz bagnano, da una parte, l’Iran e, dall’altra, gli Emirati Arabi Uniti. Il diritto internazionale ha sempre codificato i princìpi delle acque territoriali a partire dalla gittata dei cannoni, ma superato questo criterio oggi si è attestato sul principio generale delle 12 miglia marine dalla costa.

Ma le conformazioni geografiche non sono sempre lineari e semplici, cosicché violazioni, controversie e polemiche sull’avvenuta o meno, volontaria oppure no, violazione delle acque territoriali di un paese da parte di un altro, per motivi commerciali oppure militari, si sono sempre avute.

Ma il punto-chiave è che dove le acque territoriali finiscono iniziano quelle internazionali, utilizzabili cioè da tutti da dovunque giungano. Proprio questo incrocio, tra gli interessi di uno stato costiero e quelli di uno stato proveniente da chi sa dove, è quello che ha sempre creato i maggiori problemi e, più che altro, si è rivelato sintomatico di più ampie crisi.

L’esempio più clamoroso è rappresentato da quello che nell’agosto 1964 venne chiamato «l’incidente del golfo del Tonkino», quando due petroliere statunitensi invasero (o no?) le acque del Nord Viet Nam. Ne conseguì, in breve, che da quel momento in poi, il conflitto conobbe quell’escalation che portò alla fase più cruenta della guerra e a quella che si può ricordare come la guerra in cui lo stato più potente del mondo fu sconfitto dallo stato più debole del mondo! Per fortuna, sabato scorso (a quanto solo ora viene rivelato) non si è sparato un colpo di fucile, non è successo altro che una specie di ridicolo balletto tra alcune imbarcazioni da spiaggia e tre navi della Marina militare statunitense: minacce, sberleffi, ingiunzioni, e poi per fortuna l’allontanamento delle parti. Ciascuno dirà di avere ragione: l’Iran perché le tre navi avrebbero sconfinato; gli Stati Uniti perché le navi sarebbero rigorosamente e doverosamente restate al di qua dei limiti.

Ancora oggi non si sa bene come sia andata nel golfo del Tonkino: non vorremmo aspettare un altro mezzo secolo per sapere chi aveva ragione nello stretto di Hormuz. Valga comunque la regola generale che nelle situazioni geograficamente e strategicamente più sensibili del mondo (e al netto appunto dei confini giuridici delle acque) il mare è un bene comune dell’umanità e le restrizioni al suo utilizzo devono essere ridotte al minimo.

Ma tale analisi rischia di diventare accademismo retorico perché in realtà ciò che sobbolle sotto tutto ciò è la tensione crescente tra Iran e Stati Uniti, cioè tra un cosiddetto stato-criminale e un altro che è noto come il gendarme del mondo. Una bella coppia, non c’è che dire, a ciascuno dei componenti della quale dovremmo chiedere ormai con una certa perentorietà di fare un passo indietro. Infatti, così come è inaccettabile che ci siano dei capi di Stato come Ahmadinejad che negano l’Olocausto e il diritto a esistere di Israele, analogamente non è per nulla chiaro con quale diritto gli Stati Uniti facciano solcare da navi da guerra gli oceani di tutto il pianeta con sguardo truce e sospettoso.

Tutti sappiamo quanto intricata e delicata sia nel complesso la situazione mediorientale e quanto invadente appaia alla maggior parte dei paesi dell’area la presenza americana. Facessimo l’elenco delle tensioni bilaterali in cui gli Stati Uniti sono coinvolti con paesi mediorientali, vedremmo che purtroppo essi hanno inanellato una serie impressionante di errori, fraintendimenti, e incidenti. Essere lo stato più potente del mondo non può far dimenticare agli Stati Uniti che essi sono anche (o soprattutto) un paese democratico e tale dovrebbe essere anche la loro politica estera in base alla quale non possono imporre la loro concezione a chiunque senza neppure che ne abbiano discusso insieme.

Spinger navi nello stretto di Hormuz, cioè mostrare i muscoli, è facilissimo per chi li ha tanto grossi e forti, ma sappiamo tutti benissimo che proprio a chi ha più forza tocca l’impegno di imparare a limitarsi e a usarla soltanto in caso estremo. La crisi con l’Iran, storicamente determinata almeno a partire dal 1979 e dai tempi di Khomeini (per non andare troppo indietro), è stata fatta montare da entrambi i lati, come sempre succede, anche se con motivazioni diverse.

L’attuale regime iraniano non è tra i più amabili e apprezzabili del mondo, ma a noi rimane il rimpianto (o la colpa) di non aver aiutato i predecessori dell’attuale Presidente a continuare il cammino verso la democrazia che era stato intrapreso con alcuni significativi passi.

Non vorremmo mai che quelle che precedono fossero però considerazioni consolatorie per chi, seduto su un vulcano, incomincia appena a sentire dei sobbalzi: l’Iran di oggi e gli Stati Uniti di oggi hanno pochissimo di amabile e accattivante per la società mondiale presa nel complesso: il contenzioso artificioso che tra essi sta incancrenendosi non può essere contemplato taciturnamente da tutti noi. Che l’Iran sia più esplicito nel dimostrare che la sua politica nucleare è pacifica e gli Stati Uniti dimostrino di sapersi comportare benevolmente anche con chi non la pensa (e ha il diritto democratico di farlo) come piacerebbe loro.

Certo, a guardar sulla carta geografica la conformazione dello stretto che è attraversato da migliaia di petroliere non può che prenderci l’ansia: e se il prezzo del barile di petrolio crescerà ancora? E quanto il petrolio ancora custodito nel sottosuolo statunitense aumenterà di valore? Scenari che sarebbe meglio non dover neppure immaginare se non fosse che ignorarli sarebbe da irresponsabili.

Pubblicato il: 08.01.08
Modificato il: 08.01.08 alle ore 8.44   
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