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Autore Discussione: Lei è nata a Napoli!  (Letto 8260 volte)
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« inserito:: Giugno 04, 2022, 05:52:34 pm »

Gianni Gavioli
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La storia di copertina di 7 è un racconto del nuovo Sud, con un'intervista di Dario Di Vico a Luisa Ranieri, un dialogo degli scrittori Stefania Auci e Mario Desiati con Micol Sarfatti e un'analisi economica di Nicola Saldutti

Lolita Lobosco è un «cervello di rientro», direbbero i sociologi, perché ha rimesso piede come vicequestore della squadra mobile di Bari dopo un lungo periodo di lavoro al Nord, per la precisione a Legnano. Luisa Ranieri, che proprio in questi giorni è in Puglia per girare da protagonista la nuova serie televisiva dedicata a Lolita, si considera anche lei un’emigrata, anche se di corto raggio. È profondamente connessa al Sud e alla sua Napoli, ne conosce le contraddizioni e non è affatto indulgente, crede fermamente che un’evoluzione della società meridionale sia legata a un diverso ruolo delle donne. E nei suoi giudizi è facile rintracciare un leitmotiv: la mancanza dello Stato, l’assenza di un soggetto istituzionale che sia presente ovunque e si dia da fare per sviluppare l’economia o per far rispettare la legalità. Lolita in fondo somiglia molto a Luisa Ranieri, si identifica ed è un servitore dello Stato e con i suoi comportamenti sembra esprimere anche la cultura e la sensibilità sociale dell’attrice che la interpreta. Ed è con lei (l’attrice) che parliamo delle prospettive del Sud, dei suoi ritardi, delle virtù e della forza dei suoi simboli.
Il Sud subisce ogni anno un consistente drenaggio di capitale umano. Tantissimi giovani meridionali, si calcola il 23%, scelgono il Nord e disertano le università del Sud. C’è chi dà la colpa agli atenei meridionali, chi più rassegnato sostiene che nel Meridione resteranno solo gli anziani. Dove sta la ragione?
«Sono andata via dalla mia Napoli a 20 anni. Prima a Milano, poi a Parigi e alla fine mi sono fermata a Roma. Affascinata dal teatro non ho finito gli studi di giurisprudenza che avevo iniziato e non ho più ripreso, ma credo che alcune nostre università costituiscano delle eccellenze e penso sicuramente alla Federico II di Napoli. Sono anche convinta che i giovani meridionali che affollano gli atenei della Lombardia, dell’Emilia e del Piemonte lo facciano non perché al Sud non ci siano le competenze e la didattica sia scadente, lo fanno perché le famiglie e loro stessi sanno benissimo che studiando al Nord c’è uno sbocco più immediato. Molta più possibilità di trovare lavoro subito».
Nella nostra società il confronto Nord-Sud è quotidiano. I dati sulla raccolta differenziata segnalano una distanza incredibile tra Lombardia e Sicilia – per fare un esempio –mentre la risposta al Covid sotto forma di adesione alla campagna di vaccinazione ha mostrato un Sud più responsabile. La Puglia per terze dosi ha superato l’Emilia-Romagna. Eppure, all’inizio si temeva il contrario.
«È vero e mi fa piacere che il Sud abbia sorpreso i pessimisti e i no vax. Nella primissima fase dell’infezione la gente che andava a cantare sui balconi mi aveva commosso, quell’abbraccio emotivo che si stabiliva tra persone che dovevano osservare il distanziamento mi aveva colpito. Anche perché la distanza sociale colpiva al cuore l’essenza stessa della meridionalità, la sua apertura verso gli altri. Poi con il passare dei mesi si è fatta strada nella popolazione l’idea che le cose stessero peggiorando e che ci stessimo inguaiando, che qui non avevamo tanti ospedali come al Nord e quindi è maturata sul campo una responsabilità civile forse maggiore che altrove. È il modo migliore che hanno i meridionali di rispondere alla mancanza dello Stato».


Lei è nata a Napoli, vi ha girato dei film e ora sta lavorando per la tv a Bari. Che differenze trova tra le due città?
«Tante. Napoli è più aggressiva, ruggisce. Non a caso da quell’atmosfera di contrasti anche violenti sono emersi scrittori, registi, personalità artistiche. Il dramma inevitabilmente forgia. Napoli è un unicum di colori, caos, vitalità ma è anche una città feroce. Quando ci vado ho nelle prime 48 ore quasi una sensazione di paura e poi quando mi allontano sento il bisogno di tornare. Tutto è amplificato: il traffico, la gente che urla, come ci si veste e come ci si muove. Anche la gentilezza è più cruda, non ha tratti borghesi. Penso che Napoli non sia replicabile, non è globalizzabile».
Bari invece...
«La Puglia è decisamente più dolce, la trovo protettiva, quasi materna. I baresi hanno toni più morbidi. Un temperamento diverso. E anche il peso della criminalità si avverte meno che a Napoli. Ho trovato i baresi molto attaccati al loro dialetto, c’è un legame identitario con il suono delle parole. Amo i dialetti, li studio quando riesco perché sanno realizzare una connessione profonda con la pancia delle persone.
HA da passà ’a nuttata è un’espressione che tradotta in italiano perderebbe la sua forza e insieme non trasmetterebbe lo stesso sentimento di speranza»

L'intervista completa è sul N°21 di 7 in edicola e digital edition con il Corriere della Sera da venerdì 27 maggio
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