Massimiliano Bondanini
Sull'abbaiare della NATO alle porte della Russia. Ma è vero?
"In nessun Paese d’Europa centrale e orientale entrato nella Nato dopo la fine della guerra fredda sono stati installati missili balistici terra-terra (cioè atti a colpire obiettivi sul suolo nemico). Non solo.
In nessun Paese europeo sono installati oggi missili balistici della Nato, neanche nella parte occidentale del continente. Il solo Paese ad avere questa capacità è la Francia (anche degli M51 con una gittata fino a 8.000 chilometri, secondo il Center for International and Strategic Studies), ma essa è indipendente dalla catena di comando della Nato". Segue articolo di Federico Fubini. Per la sua lunghezza viene ripreso nei commenti.
L’Ucraina era davvero vicina all’ingresso nella Nato? L’Alleanza Atlantica minaccia la Russia con i suoi missili? E ha provocato la Russia con le esercitazioni congiunte con Kiev?
Qualche giorno fa Volodymyr Zelensky si è lasciato sfuggire l’ammissione più esplicita di sempre di qualcosa che era nell’aria da mesi, se non da anni: «È inteso che l’Ucraina non è un Paese membro della Nato. Lo comprendiamo — ha detto il presidente assediato nel suo bunker di Kiev —. Per anni abbiamo sentito parlare delle cosiddette porte aperte. Ma adesso abbiamo sentito che non possiamo andare fino a lì».
In altri termini, Zelensky stava togliendo apertamente da tutti i tavoli negoziali anche solo l’ipotesi che fra un certo numero di anni l’Ucraina sarebbe potuta entrare nell’Alleanza atlantica accanto agli Stati Uniti, alla Polonia, all’Italia o alla Francia.
Se questa aspirazione fosse stata la causa della guerra, queste parole avrebbero dovuto essere abbastanza per far tacere le armi. Dopotutto nel suo discorso di undici pagine del 24 febbraio del sull’«operazione militare speciale» Vladimir Putin era stato chiaro: «Non intendiamo imporre niente su nessuno con la forza – aveva detto il presidente russo –. Gli eventi attuali non hanno niente a che fare con il desiderio di violare gli interessi dell’Ucraina e del popolo ucraino. Sono legati alla difesa della Russia da coloro che hanno preso l’Ucraina in ostaggio e cercano di usarla contro il nostro Paese e il nostro popolo». E ancora: «In quello che, devo notare è il nostro territorio storico (l’Ucraina, ndr), una “anti-Russia” ostile sta prendendo forma. Totalmente controllata dall’esterno, fa di tutto per attrarre forze armate della Nato e ottenere le armi più avanzate». In realtà nel suo lungo saggio storico del luglio scorso (22 pagine) intitolato «Russia e Ucraina sono un solo popolo», Putin aveva scritto che le due «fanno parte della stessa nazione» – parole del dittatore del Cremlino – «come Roma e Bergamo in Italia».
Se questo è vero, togliere l’adesione alla Nato dalla discussione – come aveva fatto Zelensky – sarebbe dovuto bastare almeno per l’inizio di una tregua. Avrebbe dovuto sospendere i crimini di guerra contro quello che, per Putin stesso, è una parte del suo stesso popolo. Ma non è andata così: nelle ore seguenti alla svolta di Zelensky, l’aggressione è proseguita su tutto il fronte. I soldati russi hanno sparato sulle persone in fila per il pane a Chernihiv. Un missile ha colpito un teatro di Mariupol, dove si erano rifugiati oltre mille fra anziani, donne, bambini.
Ma davvero è il progetto d’ingresso dell’Ucraina nella Nato che ha causato questa guerra? E tale ingresso avrebbe realmente posto un problema di sicurezza alla Russia? Questo articolo cerca di fornire elementi per rispondere a queste domande. E tutti i fatti disponibili mostrano risposte diverse da quanto si sente ossessivamente ripetere in queste settimane in Italia. Ma andiamo con ordine.
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
Candidatura sospesa
Il primo punto da ricordare è che l’Ucraina, fino al 23 febbraio, alla vigilia della guerra, non stava per entrare nella Nato. Non era in corso alcuna accelerazione in questo senso e la prospettiva restava remota. Come tutti i Paesi, la Russia ha le proprie legittime preoccupazioni di sicurezza e ha tutto il diritto di esprimerle. Ma ancora per molti anni l’adesione all’Alleanza atlantica sarebbe rimasta per Kiev solo un’aspirazione e Mosca – in ogni eventualità – aveva davanti a sé spazio e tempo molto ampi per negoziare arrangiamenti che le avrebbe fornito le garanzie richieste. Non solo. Quand’anche l’Ucraina fosse entrata nella Nato, i fatti sul terreno suggeriscono che la probabilità di veder collocati sul suo territorio missili in grado di minacciare la Russia era tendente a zero. Su questo, la situazione di sicurezza vista da Mosca non sarebbe cambiata.
Per capire perché sia così, ricostruiamo gli eventi. Dal 1994 l’Ucraina fa parte della «Partnership for Peace» che la Nato offre a governi con i quali è in buoni rapporti e dal 1997 esiste la Nato-Ukraine Commission per far avanzare la «cooperazione» fra le parti.
Dal 2009 questa commissione cerca di far avanzare il processo d’integrazione e di recente a più riprese (nel 2017, nel 2019 e nel 2020) le autorità di Kiev hanno preso iniziative politiche per avanzare la propria candidatura all’ingresso nell’Alleanza atlantica. Avevano fretta di entrare sotto l’ombrello difensivo della Nato che stabilisce – con l’articolo 5 del Trattato – che un attacco a un Paese è un attacco a tutti e tutti dunque sono tenuti a rispondere. In altri termini, l’Ucraina aveva fretta di entrare nella Nato per proteggersi da quanto avvenuto in queste settimane: la Russia avrebbe esitato di più ad attaccare, se avesse saputo in anticipo che l’intera Alleanza sarebbe stata tenuta a difendere lo Stato aggredito. Questo è esattamente ciò che Zelensky voleva. La realtà però è che agli ultimi vertici della Nato nel 2021 all’Ucraina non era stata offerta neanche una cosiddetta «road map» o un «Membership Action Plan» in vista dell’adesione. In altri termini si riconosceva la candidatura, sì; ma si offriva a Kiev una strada o un calendario di azioni da compiere e misure da prendere – durano sempre svariati anni – per raggiungere l’obiettivo dell’adesione.
Francia e Germania si stavano opponendo al «Membership Action Plan» per l’Ucraina. Fra le ragioni inconfessate di questa resistenza c’erano l’occupazione della Crimea da parte di Putin e lo stato di guerra in Donbass, alimentato dal 2014 dalla Russia: in Europa non si voleva fra i membri della Nato uno Stato non ancora pacificato ai suoi confini orientali, che rischiava di obbligare gli alleati a un intervento. Gran parte della frenetica attività diplomatica delle settimane prima dell’attacco non riguardò dunque la scelta sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Il dubbio non era se Kiev dovesse aderire o no. Piuttosto, si incentrava su come comunicare agli elettori ucraini che Kiev – almeno per il tempo prevedibile – non sarebbe entrata. Di questo parlò il presidente francese Emmanuel Macron con Putin e Zelensky l’11 e 12 febbraio scorso, secondo varie ricostruzioni di diplomatici. Il presidente francese si scontrò con il collega ucraino perché il primo voleva che fosse Zelensky ad assumersi la responsabilità di rinunciare ufficialmente alla propria candidatura. Zelensky invece sfidava Macron e gli europei a chiudergli loro stessi la porta in faccia, perché non voleva essere lui a tradire il mandato ricevuto dai suoi elettori.
Olaf Scholz, in visita a Mosca nove giorni prima della guerra, trovò a suo modo la quadratura di questo cerchio. Disse il cancelliere tedesco della candidatura dell’Ucraina alla Nato, stando in piedi a fianco di Putin: «Questa non è una questione che probabilmente incontreremo finché siamo in carica. Non so quanto il presidente intenda stare in carica – aggiunse Scholz guardando l’uomo del Cremlino –. Ho l’impressione che sarà a lungo». In pratica, poiché Putin ha fatto cambiare la costituzione russa per restare al potere almeno fino al 2036, il cancelliere tedesco stava dicendo che di far entrare l’Ucraina nella Nato non si sarebbe parlato per almeno altri 14 anni. Non esattamente un buon motivo per colpire a freddo una nazione nel cuore dell’Europa, facendo strage di civili. Putin stesso dev’essersi reso conto della fragilità dell’argomento, perché nel discorso del 24 febbraio ricorre a una strana analogia con la Seconda guerra mondiale per giustificare l’attacco.
Allora, ha detto, «il Paese non era pronto a contrastare l’invasione della Germania nazista che attaccò la nostra Madre patria il 22 giugno 1941» e «i tentativi di assecondare l’aggressore prima della Grande Guerra Patriottica si dimostrarono un errore che il nostro popolo pagò a caro prezzo». Conclude Putin: «Non faremo questo errore la seconda volta. Non ne abbiamo il diritto». Anche se – in verità – paragonare l’America di Joe Biden o la Germania di Scholz in tempo di pace alla Germania di Hitler in tempo di guerra sembra un doppio salto mortale della fantasia.
Minaccia missilistica?
La dichiarazione sull’«operazione militare speciale» fa comunque continui riferimenti alla minaccia che la Nato presenta per la Russia in Europa, che andrebbe respinta sul suolo ucraino. Ma è davvero così? Pierluigi Barberini del Centro studi internazionali di Roma, presenta un quadro dal quale si possono trarre conclusioni diverse. Del resto, è lo stesso quadro che emerge dalla banca dati sui missili schierati nel mondo tenuta da Center for International and Strategic Studies di Washington.
In nessun Paese d’Europa centrale e orientale entrato nella Nato dopo la fine della guerra fredda sono stati installati missili balistici terra-terra (cioè atti a colpire obiettivi sul suolo nemico). Non solo.
In nessun Paese europeo sono installati oggi missili balistici della Nato, neanche nella parte occidentale del continente.
Il solo Paese ad avere questa capacità è la Francia (anche degli M51 con una gittata fino a 8.000 chilometri, secondo il Center for International and Strategic Studies), ma essa è indipendente dalla catena di comando della Nato. I soli missili dell’Alleanza installati in Europa sono quelli del programma Aegis Ashore a Deveselu in Romania e, dalla fine di quest’anno o nel 2023, in una seconda sede in Polonia. Ma in questo caso si tratta di missili con scopi esclusivamente difensivi. «Sono intercettori terra-aria senza carica esplosiva, disegnati per distruggere in volo missili o aerei nemici che invadono il territorio – spiega Barberini del Cesi –. Per come sono concepiti non possono essere diretti per distruggere bersagli sul suolo nemico».
Del resto la Nato ha buone ragioni per volersi difendere, perché invece la Russia ha migliaia di missili a corto raggio, raggio medio, intermedio e intercontinentale che possono raggiungere l’Europa in qualunque momento. Solo sull’Ucraina nei primi venti giorni di guerra sono stati lanciati dal suolo russo circa 900 Iskander, missili di precisione di 92 centimetri di diametro e 7,3 metri di lunghezza che volano per 500 chilometri con una carica di 480-700 chili di esplosivo. Dall’enclave russa di Kaliningrad, gli Iskander tengono sotto tiro tutti i Paesi baltici, metà della Polonia, una parte dello Schleswig-Holstein tedesco e parte della Scandinavia. Per non parlare di altri 18 modelli di missili anche a gittata di decine di migliaia di chilometri, in grado di trasportare le 1.500-1.800 testate nucleari russe.
Naturalmente anche la Nato ha testate nucleari sul suolo europeo ma – si stima – non più di un centinaio. Sono messe a disposizione dagli Stati Uniti, ma sono utilizzabili solo su aerei militari di Italia, Turchia, Germania, Belgio e Olanda. Tutto questo porta a concludere che un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato – benché oggi sempre più irrealistico – non cambierebbe niente nel teatro europeo da punto di vista della minaccia missilistica nei confronti della Russia. Le esercitazioni (di tutti con tutti)
Si è detto che tre esercitazioni dell’Ucraina con la Nato o alcuni dei suoi Paesi membri nel 2021 avrebbero provocato la reazione di Putin. Ma anche questo argomento, al quale il dittatore fa cenno nel suo discorso del 24 febbraio, appare fuorviante.
Non solo perché la più grande esercitazione militare mai svolta negli ultimi 40 anni in Europa («Zapad 21») è stata eseguita dalla Russia con la Bielorussia a ridosso dei confini ucraino e polacco a settembre scorso.
E la sola esercitazione di dimensioni significative della Nato in Ucraina è avvenuta solo in seguito, forse come segnale di sostegno al Paese. Ma soprattutto, perché fra eserciti tutti si esercitano regolarmente con tutti. Alleati e no. (segue nel primo commento)
Da Fb del 8 maggio 2022
Commenti: 39
Paolo Migliaro
Paolo Scaroni ex Eni appena intervistato dalla Palombelli ha detto che l’Ucraina è il cortile di casa della Russia e che la Russia sbagliando si è comportata così per impedire che entrasse nella NATO. Ma suvvia, allora bastava che Putin avesse fatto un negoziato onesto e chiaro con Zekenskyj e mettendo di fronte il fatto dell’Operazione Speciale agli ucraini. Invece Putin ha mentito sino alla fine. È stato un pretesto. I fatti conosciuti, esercitazioni in comune e ufficio NATO a Mosca testimoniano che è una balla. Putin poteva allora negoziare la neutralità. La NATO non voleva che l’Ucraina vi entrasse, era troppo rischioso per la pace. Invece la verità è che Putin si voleva pappare l’Ucraina con i pretesti che lui stesso ha fomentato da anni. Ed ecco il denazificare e il deucrainizzare. E la questione NATO in ultimo piano. Forse anche Scaroni ha qualcosa da temere?
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Massimiliano Bondanini
ALTRA INTERVISTA A KARAGANOV.
I GOVERNI FILORUSSI ERANO PAGATI DA NOIStavolta del 2016, Der Spiegel.
Stavolta non la pubblico e non la traduco dal Tedesco (troppa fatica), metto solo il link nel primo commento.
Sostanzialmente, dice le stesse cose di quella del Corriere. Conferma i tempi di Kissinger sugli avvisi della Russia "o fate quello che diciamo noi o attacchiamo". Ribadisce che sia l'annessione della Crimea che l'attacco alla Georgia, sono azioni di difesa avanzata. Insomma, tutti quegli stati non possono scegliere di essere difesi. Se si fanno difendere dalla NATO, la Russia la prenderà come un'aggressione. La Russia ignora il fatto che questi Stati, immediatamente dopo la caduta dell'URSS, sono corsi a cercare l'ombrello protettivo NATO. Erano così felici di essere protetti dall'URSS (o di farne parte)...
Ma la cosa importante di questa intervista sono altre due.
1: «E noi vogliamo lo status di un grande potere. Sfortunatamente, non possiamo rifiutarlo: questo status negli ultimi anni 300 è diventato parte del nostro genoma. Vogliamo diventare il centro di una grande Eurasia, una zona di pace e cooperazione. Anche l'Europa del subcontinente farà parte di questa Eurasia.» [originale nei commenti]
Mi sembra non serva commento.
2: «Negli ultimi anni non abbiamo avuto una strategia politica nei confronti dei nostri vicini, le altre ex repubbliche sovietiche. Non capivamo cosa stesse realmente accadendo lì. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato sovvenzionare questi paesi e corrompere le loro élite con denaro che è stato poi rubato, presumibilmente insieme [gemeinsam ossia rubato da loro e da noi, è la parola per "in comunella"].» [originale nei commenti]
C'è la serafica ammissione del metodo di politica estera. I governi filorussi erano comprati. Colpo di stato un paio di ciufoli. Amen. Karaganov, non delude.
(LUCA SCHIEPPATI)
https://www.facebook.com/1058254425/posts/10222457493160295/?d=n