Arlecchino
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 04, 2022, 11:27:29 pm » |
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Emanuele Fiano
Bellissimo saggio breve sull’uso della propaganda.
FRANCESCA MELANDRI
L'arma della propaganda contro la nostra democrazia.
“Per chi vive in altri paesi dell’Europa occidentale, la grande benevolenza e comprensione espressa per le ragioni di Putin da parte di tanti partecipanti al dibattito pubblico italiano è a dir poco sconcertante. Nei talk show tedeschi, per esempio, sarebbe inimmaginabile vedere riprodotti i contenuti della disinformazione russa, spesso parola per parola e senza contradittorio, in modo così acritico e pervasivo, assurde falsità che sarebbero confutabili fattualmente in un minuto dai conduttori ma che invece sono presentate come pluralismo dell’informazione. La sofisticata macchina della propaganda russa non ha certo operato solo in Italia, bensì in tutte le grandi democrazie occidentali. Ma solo in Italia è riuscita conquistare tanto spazio sui media ufficiali. Questa specifica vulnerabilità italiana alla guerra non convenzionale – sinonimo per: attiva disinformazione – del regime russo non nasce certo oggi. Ha vecchie e profonde radici, che tristemente ci distinguono come paese. Solo noi abbiamo avuto contemporaneamente al governo e a capo del maggiore impero mediatico nazionale il grande amico di Putin Silvio Berlusconi. E anche al di là del veleno che questo gravissimo vulnus vi ha sparso, le magagne dell’ecosistema sono troppo gravi e strutturali per essere descritte qui. Diciamo solo che troppo spesso i nostri media hanno standard non all’altezza di una grande democrazia quanto a verifica e incrocio delle fonti. Troppo spesso pubblicano senza rettifica pezzi di opinione che includono affermazioni fattuali false. Troppo spesso i talk show sono macchine di caos, ansia e confusione e zero informazione corretta che non hanno pari nelle emittenti pubbliche degli altri grandi paesi europei. Si aggiunga la demografia italiana tendente all'invecchiamento. Buona parte del pubblico italiano ignora del tutto l'inglese e quindi è tagliato fuori dal giornalismo d’inchiesta maturo che si pratica sulle grandi testate straniere e disponibile online. Un pubblico poco alfabetizzato al digitale, non attrezzato a distinguere i siti online attendibili da quelli creati ad arte per diffondere disinformazione, e che quindi sui social spesso contribuisce a rilanciare precisi contenuti diffusi dalla propaganda di regime – il regime russo - senza nemmeno rendersene conto, anzi, pensando di fare audace controinformazione. Sono anni che la disinformazione russa ci va a nozze, con l’arretratezza mediatica italiana. Ha capito le faglie ideologiche, le inveterate pigrizie mentali, le prese di posizione a priori. Ha capito benissimo quali bottoni schiacciare, quali ideologie assecondare per far accettare come "antisistema" e "alternative" opinioni in realtà utili solo agli interessi geopolitici di un regime cleptocratico e autoritario che di alternativo ha ben poco. Tanti italiani ci sono cascati. Quello di Putin è stato un investimento oculato e, come possiamo vedere in queste tragiche settimane, gli sta dando ricchi frutti. Questi frutti avvelenati, però, vanno ben oltre le posizioni sulla guerra in Ucraina. Hannah Arendt, persona che di totalitarismi ne sapeva parecchio, così scriveva nel 1967: "È stato spesso notato che il risultato più sicuro a lungo termine del lavaggio del cervello è un particolare tipo di cinismo: un rifiuto assoluto di credere nella verità di qualsiasi cosa, non importa quanto bene questa verità possa essere stabilita. In altre parole, il risultato di una consistente e totale sostituzione della menzogna con la verità fattuale non è che le menzogne saranno ora accettate come verità, e la verità sarà diffamata come menzogna, ma che il senso con cui ci orientiamo nel mondo reale – e la categoria di verità contro menzogna è tra gli strumenti mentali necessari a tal fine – viene distrutto. E per questo guaio non c'è rimedio. " Lo scopo ultimo della disinformazione russa non è di sostituire il falso al vero. Non è - per esempio - convincerci che sia stata l'Ucraina a invadere la Russia. Nemmeno milioni di troll potrebbero riuscire a convincere il vasto pubblico di una falsità così plateale. Invece, bastano pochi articoli ben piazzati per riuscire a convincere molta gente che la verità non sia conoscibile; che anche di fronte a fatti confermati da tutti gli osservatori imparziali non si sappia davvero come sono andate le cose. L’obiettivo della macchina della disinformazione russa è convincere il pubblico che occorra sempre "coltivare il dubbio", ad oltranza, senza alcuna speranza di mai arrivare a una reale conoscenza della realtà. Questo è lo scopo. Ma risaliamo alla fonte, e andiamo a vedere come funziona la propaganda russa in Russia. Guardiamo per esempio a come è stata gestita in patria la crisi d’immagine dell’esercito russo, se così la vogliamo chiamare, provocata dal massacro di Bucha. Ebbene, la televisione russa di stato non ha minimamente provato a occultare quelle terribili immagini di cadaveri lungo le strade. Le ha mandate anzi in onda ripetutamente, quasi ossessivamente, obbligando gli spettatori a guardarle dozzine di volte, a ogni ora del giorno. Avevano però sempre in sovrimpressione la scritta rossa “fake news”, ed erano accompagnate da varie spiegazioni in rapida successione e in contrasto con loro: si trattava di attori, anzi no, di una messa in scena ucraina costruita con cadaveri di cittadini filorussi, anzi no – e via un’altra assurda spiegazione… Queste spiegazioni non cercavano nemmeno di essere coerenti e compatibili tra loro, essere credibili non solo non era il punto, era anche indesiderato. Lo scopo non è mai stato quello di convincere che fossero vere. I russi non sono stupidi, e nessuno può aver pensato che si sarebbero bevuti tali assurdità. Lo scopo era un altro: indurli a non credere più a nessuna ricostruzione. Denunciare la propaganda di Putin ovviamente non significa dire che in occidente i media siano sempre specchiati e di totale attendibilità. Figuriamoci. Ma c’è una sostanziale differenza tra un sistema mediatico imperfetto e spesso espressione di interessi di parte ma plurale e in cui è protetta la libertà di espressione, e un sistema totalitario controllato da un unico centro di potere. La differenza non è ‘solo’ che in uno dei due i giornalisti dissidenti come Anna Politkovskaya vengono ammazzati. E’ anche che nel primo sistema il confronto e l’analisi di fonti diverse permette in genere di arrivare a un consenso non sulle opinioni, che è bene restino diverse, ma sui fatti; lo scopo finale del secondo, invece, non è solo impedire di conoscere i fatti, ma soprattutto convincere il pubblico che conoscere i fatti sia impossibile. Nel discorso pubblico italiano hanno molto spazio un gran numero di opinionisti che propugnano il dubbio per il dubbio. Essi si presentano come paladini del libero pensiero. Ma il guaio è che non presentano il dubbio come uno strumento necessario per arrivare alla conoscenza della realtà fattuale. No: il dubbio è presentato come un valore assoluto in sé. L’obiettivo finale di questo dubbio eletto a dogma non è di capire le cose del mondo, bensì di indurci a non credere più a niente. A pensare che tra fatti e opinioni non ci sia, in fondo, nessuna differenza. Del resto, Ivan Ilyin, l’ideologo adottato da Putin nella sua lotta contro l’Occidente di cui la guerra in Ucraina è solo il primo passo, dichiarava senza remore il suo disprezzo per la fattualità. Il popolo russo non deve conoscere i fatti, non deve nemmeno desiderare di conoscere i fatti né reputare che conoscerli sia possibile; deve solo avere fede nella Madre Russia e nel suo leader. ”La fattualità è l’arma dell’Occidente contro la Russia”, scriveva Ilyin. Nessuno ci ha spiegato meglio di Arendt, testimone dei concretissimi, fattualissimi orrori del secolo scorso, come questa sfiducia pervasiva nell’esistenza della realtà sia proprio lo stato psicologico di cui hanno bisogno i regimi totalitari. Cinismo, immobilismo, disillusione, mancata partecipazione alla vita democratica: sono queste le conseguenze della desolata convinzione che “stabilire come siano andate davvero le cose è impossibile”. Questa convinzione è esattamente il contrario del senso civico diffuso, basato sul diritto/dovere dei cittadini a essere informati e ad attivamente informarsi, che è fondamento della democrazia. Quindi sì, esercitiamola la sacrosanta e preziosa facoltà del dubbio. Ma non come fine, bensì come mezzo. Per esempio, chiediamoci: a chi giova, questa nebbia cognitiva in cui siamo invitati a impantanarci, cinici e annichiliti? Non certo alla democrazia per cui hanno combattuto i nostri partigiani.”
(pubblicato su "domani", 25/IV/2022)
Da Fb del 4 maggio 2022
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