LA-U dell'OLIVO
Aprile 26, 2024, 12:47:01 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 ... 4 5 [6] 7 8 ... 10
  Stampa  
Autore Discussione: CARMELO LOPAPA  (Letto 70079 volte)
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #75 inserito:: Febbraio 11, 2012, 11:11:25 pm »

DOSSIER

Province tra abolizione e salvataggio è caos al bivio delle amministrative

Il presidente della Repubblica ha intimato un intervento: occorre prendere una decisione.

Da settimane se ne discute a Montecitorio ma l'accordo è lontano. In otto scadono a maggio. saranno commissariate

di CARMELO LOPAPA

ADDIO Province. Ma forse no. Il governo Monti le smantella col decreto Salva-Italia, in Parlamento si lavora per tenerle in qualche modo in vita. E intanto, in primavera, per le prime otto in scadenza anziché il voto arriva il commissario prefettizio, tra proteste e ricorsi alla Consulta. Sugli enti intermedi è il caos. Normativo, organizzativo, finanziario. Non a caso il presidente della Repubblica Napolitano ha intimato l'aut-aut: "Occorre fare un punto e scegliere una strada e risolvere il problema con razionalità". In commissione Affari istituzionali di Montecitorio si discute da settimane, ancora senza una soluzione, e Pd e Pdl concordano sulla necessità di una nuova disciplina che non preveda però la loro cancellazione. Il governo cerca di dare una scossa. Lunedì il ministro dell'Interno Cancellieri ha già convocato un vertice coi responsabili enti locali dei partiti. Le Province rilanciano con un loro piano per ridurre il numero da 108 a 60 e le spese per 5 miliardi. Ma la pressione dell'opinione pubblica è alta. Anche perché sullo sfondo resta appunto il capitolo costi: quello che ha acceso il caso e non da ora. Perché è vero, come emerge dai tabulati dell'Unione delle Province, che nel 2011 le spese sono state "solo" di 11 miliardi 618 milioni, con una riduzione del 14% rispetto al 2008, e che presidenti, assessori e consiglieri sono ora ridotti a 1.174 con un costo di 111 milioni l'anno. Ma è anche vero che l'ultimo
conto economico pubblicato dall'Istat dimostra come dal 1990 al 2010 la spesa pubblica per le Province è passata da 4,6 a 12,5 miliardi.

PARTITI DIVISI
In ordine sparso in Parlamento. La commissione Affari costituzionali è al lavoro alla Camera, deve produrre un testo entro il 31 marzo 2013, ma non c'è alcuna intesa tra i partiti. "Una follia prevedere la trasformazione di questi enti in organo di secondo livello, rendendolo di nomina politica" spiega il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti (Pd): "La vera riforma deve puntare alle competenze, con la riduzione del numero e il mantenimento delle funzioni di coordinamento". La proposta Pdl alla quale lavora Donato Bruno, non è molto differente: accorpamento e riduzione del numero, almeno 20-24 consiglieri da eleggere come avvenuto finora. La Lega punta al mantenimento dello status quo. Mentre l'Udc sposa la riforma appena varata da Monti. L'Idv, tranchant, è per la cancellazione proposta in una legge di iniziativa popolare già sottoscritta da 400 mila elettori. "Un peso morto, vanno abolite" sentenzia il deputato Antonio Borghesi.

IL DECRETO SALVA-ITALIA
Mai più elezioni provinciali. Sono otto le Province che vanno in scadenza tra aprile e maggio ma saranno le prime cavie a finire sotto la tagliola della cura Monti. Niente rinnovo per i consigli, nessuna elezione diretta del presidente per le amministrazioni di Genova, La Spezia, Como, Ancona, Cagliari, Ragusa, Vicenza e Belluno. È una delle ricadute più immediate dell'articolo 23 del decreto Salva-Italia. In quelle aree le Province resteranno in vita, ma le competenze di presidente e giunta saranno acquisiti da un unico commissario prefettizio o comunque governativo. L'Unione delle Province si prepara a impugnare la norma dinanzi alla Corte Costituzionale (l'organo è previsto dalla Carta e non può essere soppresso così, è la tesi). In ogni caso, entro il marzo 2013 una legge dovrà definire i destini delle altre 99 Province, per le quali comunque la norma vigente non prevede nuove elezioni.

LA CONTRO-PROPOSTA
È stato il decreto Salva-Italia dello scorso dicembre a imprimere la svolta. Cancellate le giunta, ridotti i consiglieri, abolite le elezioni per le Province, funzioni trasferite. È l'articolo 23 a dettare le nuove regole. L'ente mantiene "esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni". Resta la figura del presidente, ma eletto dal consiglio provinciale. Quest'ultimo, a sua volta non sarà eletto con le consuete elezioni provinciali ogni cinque anni, ma composto da non più di dieci componenti (oggi sono stati già ridotti a 18) selezionati dai consigli comunali del territorio di riferimento. Le funzioni verranno trasferite ai comuni o acquisite dalle regioni con le modalità definite da una futura legge dello Stato. E con i compiti vengono trasferiti anche i circa 60 mila dipendenti.

LE CIFRE
Spese triplicate. È il quadro a tinte fosche che sembra abbia spinto il premier Monti a intervenire già a dicembre senza indugiare oltre. Si tratta del conto economico delle amministrazioni provinciali per gli anni 1990-2010 elaborato dall'Istat. Non tiene conto dei "risparmi" fatti registrare dagli enti (e rivendicati dall'Upi) alla chiusura dello scorso anno. Ma è comunque significativo. Cosa emerge dalla complessa tabella? Per esempio che le spese correnti che ammontavano a 3,6 miliardi nel 1990, sono lievitate fino a 9,9 miliardi nel 2010. Sono cioè triplicate. Quelle per investimenti erano un miliardo e 40 milioni nel '90 e sono più che raddoppiate due anni fa: 2,6 miliardi. E risulta triplicato il totale complessivo delle uscite: da 4,6 a 12,5 miliardi. Un capitolo che resta aperto è cosa ne sarà - ora che lo smantellamento è avviato - dei 13 miliardi di mutui che in questi anni le Province hanno acceso con la Cassa depositi e prestiti.

I PRIMI PROVVEDIMENTI
LE 107 province italiane (molte nate negli ultimi cinque anni) sono costate ai contribuenti 11 miliardi di euro, stando al dossier Upi pubblicato nel gennaio 2012. "A regime", gli assessori delle 107 giunte sono 395, i consiglieri oggi in carica 1.272 e in totale i 1774 amministratori comportano una spesa per indennità e gettoni per 111 milioni. Ma, fanno notare i presidenti, il personale politico era di 4 mila unità nel 2010. E le spese che ammontavano a 13 miliardi nel 2008 hanno subito una riduzione del 14 per cento nel 2011: 11,6 miliardi. Ma ci sono anche le entrate tributarie percepite dalle Province, che a fine 2011 erano pari a 3,8 miliardi. Che ne sarà di quei tributi? C'è poi il capitolo personale. Le 61 mila unità, tra impiegati e dirigenti, comportano uscite per 2 miliardi e 300 milioni. Ma gli enti intermedi - dalle società degli enti locali ai consorzi, agli enti porto e turistici - costano da soli quasi quanto le Province, fa notare l'Upi: 7 miliardi 26 milioni.

MAI PIU' ELEZIONI
L'Unione delle Province non si è limitata a schierarsi contro la riforma Monti, ma ha presentato due giorni fa la sua controproposta. Riduzione del numero delle province, dalle attuali 107 a 60, istituzione di aree metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria), accorpamento degli enti territoriali dello Stato, ma soprattutto cancellazione di enti, agenzie, consorzi e la ridefinizione delle loro funzioni evitando sovrapposizioni. Nella piattaforma illustrata assieme a cinque colleghi dal presidente dell'Upi Giuseppe Castiglione (Pdl, a capo della Provincia di Catania) un risparmio stimato in 5 miliardi di euro, "a fronte dei 65 previsti dal decreto Salva Italia". La bozza sarà sottoposto alla commissione paritetica Stato-Enti locali, ma dopo la mobilitazione di fine gennaio, ora l'Unione si prepara al ricorso costituzionale in difesa dell'ente "che è costituzionale e non può essere cancellato con una norma ordinaria".

(11 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/11/news/province_caos-29684694/?ref=HREC2-18
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #76 inserito:: Febbraio 15, 2012, 11:04:06 am »

I redditi

Scaduto il termine-trasparenza solo tre ministri lo rispettano

Circolare-ultimatum ai ritardatari.

Catricalà ordina: entro martedì tutti i dati online. Hanno adempiuto all'obbligo anche i due sottosegretari alla Pubblica istruzione.

Monti aveva più volte garantito che sarebbero bastati i 90 giorni previsti dalla legge

di CARMELO LOPAPA

Scaduto il termine-trasparenza solo tre ministri lo rispettano Il ministro Francesco Profumo
ROMA - Puntuale all'appuntamento con la trasparenza annunciata si presentano giusto il ministro alla Pubblica istruzione Francesco Profumo, due suoi sottosegretari e altri due sottosegretari alla Difesa. Sono gli unici ad aver rispettato la scadenza del 14 febbraio che in un primo tempo era stata fissata dalla Presidenza del Consiglio per la pubblicazione della situazione patrimoniale di ognuno.

Prima cioè che nel Consiglio dei ministri del pomeriggio il premier Monti non fosse costretto - preso atto dei ritardi e delle inadempienze - a concedere altri sette, ultimativi giorni di tempo ai colleghi. Non senza disappunto, a quanto trapela.

Entro martedì tutte le tabelle con redditi, immobili, beni mobili, partecipazioni azionarie dovranno essere sui siti ministeriali. Non oltre. Si sono fermati a metà strada il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi e della Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Il successore di Brunetta sul sito di Palazzo Chigi non indica la situazione patrimoniale, né elenca gli immobili posseduti (tantomeno dunque la discussa casa vicino al Colosseo), piuttosto si limita a specificare in una riga il reddito complessivo lordo annuo: 205.915 euro. E così Barca: 199.778 euro. Sono quelli da ministri.

I ritardatari
Per le situazioni patrimoniali aggiornate del sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola e della Cooperazione Andrea Riccardi (impegnato all'estero) bisognerà
attendere oggi. Da qui a qualche ora Palazzo Chigi pubblicherà quella di Monti, assieme a un curriculum che integri l'attuale che - forse in nome della proverbiale sobrietà - è di una sola riga. Per tutti gli altri, corsa contro il tempo fino a martedì prossimo.

La circolare-ultimatum
E dire che lo stesso presidente del Consiglio a più riprese era stato chiaro: "Renderemo pubblici redditi e patrimoni entro la scadenza di legge", ovvero entro 90 giorni dall'insediamento avvenuto il 17 novembre 2011. Constatata una probabile ritrosia, il 9 febbraio scorso il sottosegretario Catricalà ha diramato a tutti i ministri e sottosegretari una circolare (che qui di fianco pubblichiamo) dai toni perentori: "Il prossimo 14 febbraio scade il termine di 90 giorni che ci siamo prefissati per dare pubblicità alla nostra situazione patrimoniale. Il presidente del Consiglio mi ha incaricato di chiedervi di pubblicare ciascuno sul proprio sito istituzionale tutti i dati che possono dar conto della vostra, anche al di là di quanto si è tenuti per legge a fare".

Catricalà suggerisce, in alternativa, di integrare le dichiarazioni che per legge i ministri non parlamentari devono depositare al Senato. Ma a ieri, stando alle informazioni acquisite, quelle presentate agli uffici di Palazzo Madama dai membri del governo erano davvero poche. E per evitare più o meno involontarie negligenze, il sottosegretario incaricato da Monti ha allegato alla circolare una scheda esplicativa di ben tre pagine, predisposta dalla Funzione pubblica, in cui viene elencata ogni voce che dovrà essere contenuta nella dichiarazione patrimoniale. Ovvero, altri incarichi ricoperti e beni immobili di qualsiasi tipo; auto, aerei o imbarcazioni e poi quote e azioni; cariche societarie di ogni tipologia e gestione di portafogli e un lungo elenco a seguire.

I redditi
Dunque l'unico curriculum ministeriale che a tarda sera ieri rimandava alla situazione patrimoniale era quello del ministro Francesco Profumo. Almeno in parte, dato che l'ex capo del Cnr pubblica il reddito lordo annuo che percepirà al governo (199.778 euro) ma non quello percepito finora.

Il responsabile della Pubblica istruzione, nato a Savona e residente a Torino, dichiara la proprietà di un appartamento a Savona, la comproprietà di quattro garage, quella di un appartamento ad Albissola Mare e di un altro a Torino e il 50 per cento di una casa a Salina. Lancia Lybra unica auto e poi otto tipologie di azioni o quote: 894 azioni Intesa Sanpaolo, 1.210 Montepaschi, 250 De Longhi, 262 Enel, 3.630 Telecom, 137 Finmeccanica, 5.199 Unicredit, 250 Delclima.

Al contrario, il suo sottosegretario napoletano Marco Rossi Doria, oltre alla paga che riceverà (189 mila euro), dichiara anche i 37 mila percepiti fino a novembre da docente di scuola primaria a Trento. L'altra sottosegretaria all'Istruzione, Elena Ugolini (reddito governativo da 188 mila) risulta comproprietaria col marito di una casa a Bologna e comproprietaria di altri tre immobili ereditati a Rimini.

Infine, arrivano in tempo anche i due sottosegretari alla Difesa. Gianluigi Magri (reddito ministeriale da 188 mila, tre comproprietà a Bologna, Jeep e moto Bmw, 25 mila euro di azioni Montepaschi e 22 mila di obbligazioni argentine). E il suo collega (identico reddito) Filippo Milone, con passione per auto (Classe A, Golf, Fiat d'epoca 1.500) e moto (Yamaha e Honda). Ma ora si attende tutto il resto.
 

(15 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/15/news/scaduto_il_termine-trasparenza_solo_tre_ministri_lo_rispettano-29906220/?ref=HREC1-3
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #77 inserito:: Marzo 04, 2012, 11:04:48 am »

di CARMELO LOPAPA

Da Berlusconi l'ultimo appello ai moderati


Alla vigilia delle amministrative e coi sondaggi ai minimi storici per il Pdl, Berlusconi lancia un ultimo appello a Casini per stringere un patto in nome dell'unità dei moderati, che appare sempre più improbabile. Chi divide i moderati "è colpevole di un fatto gravissimo", cioè "dare una possibile vittoria alla sinistra" è l'avvertimento al leader Udc dall'ex premier che presenzia al congresso milanese del Pdl.

Da quel palco Berlusconi conferma che il partito cambierà nome, ma non pelle. Scarica su Giuliano Ferrara la paternità del progetto "Tutti per l'Italia". Il Pdl continuerà ad esistere, sotto altra formula, e Angelino Alfano ne sarà il segretario, ripete il Cavaliere che nega di aver scaricato da Bruxelles la leadership dell'ex Guardasigilli. "Si mangia tutti gli altri segretari" dice, riscaldando i suoi in platea. L'ex premier fa mostrare anche ai congressisti il video delle sue interviste tv rilasciate dopo il vertice Ppe. Omettendo di raccontare però che lo sfogo su Alfano lo abbia fatto poco dopo, parlando coi giornalisti della carta stampata, senza telecamere vicine. Infine Berlusconi attacca il presidente della Repubblica per un episodio legato alla fase finale del suo governo: "Quando studiavamo le misure richieste dall'Europa con la famosa lettera, da lui non abbiamo avuto il via a un decreto e ci accingevamo a fare un disegno di legge". Poi la crisi e le dimissioni.

Ma gli appellia all'unità dei moderati sono destinati a cadere nel vuoto, gli ribatte Rosy Bindi, convinta che il Pd vincerà le prossime elezioni relegando Berlusconi "in panchina". E poi, "è stato lui a dividere i moderati" gli rinfaccia il finiano Bocchino. Casini per adesso si tiene a debita distanza. Impegnato anche lui a Milano ma per il congresso Udc, nega che sia in atto un'opa del terzo polo sul Pdl: "Non posso passare il tempo a discolparmi perché Berlusconi ha governato male" si limita a commentare. Augurandosi però che Alfano riprenda davvero in mano le redini del partito. Con lui stanno condividendo l'esperienza del governo Monti che "non è un'ammucchiata: stiamo salvando il paese".

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #78 inserito:: Marzo 30, 2012, 06:07:56 pm »

I COSTI DELLA POLITICA

Spese pazze per carta, colla e quadri e agli ex presidenti benefit fino al 2023

Duro scontro nell'ufficio di presidenza di Montecitorio sulle spese per le ex terze cariche dello stato.

Si sposta in avanti il calcolo, che inizierà dalla fine di questa legislatura. Hanno votato contro il Pdl, la Lega e l'Idv.

Così ad essere colpiti saranno solo Pietro Ingrao e la Pivetti

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Addio ai benefit degli ex presidenti della Camera: uffici, segretari, auto di servizio a disposizione. Sì ma dal 2023. E a Montecitorio il taglio "ad personam" diventa un caso. Anche perché il Senato poche settimane fa era stato più rigoroso: stop dopo dieci anni dalla cessazione dall'incarico, per tutti. Da quest'altra parte del Parlamento invece l'anno prossimo si chiuderanno le saracinesche solo per Ingrao (cessato nel '79) e la Pivetti ('96). Ma per Violante, Bertinotti, Casini (come per l'attuale presidente Fini) i dieci anni decorreranno dalla fine di questa legislatura, ovvero dal 2013.

E così, caso raro, l'ufficio di Presidenza si spacca. Il provvedimento passa ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato. Ma pure il vicepresidente Lupi ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale. L'idv protesta: "Una presa in giro". La Pivetti, unica delle due vittime, non ci sta: "È il risultato di un clima forcaiolo che non distingue i bersagli".

Il fatto è che l'aria, nell'organo di autogoverno di Montecitorio, è proprio cambiata, "scintille da fine legislatura" nota il segretario Lusetti. E addio all'unanimità anche quando si è trattato di approvare il consuntivo 2011 e le variazioni al bilancio interno 2012. In tre si sono astenuti (Fontana, il sudista Fallica e perfino il finiano Lamorte) per denunciare il mantenimento
di spese anacronistiche.

Dalle duemila pagine di carta intestata al mese per deputato al chilo di colla liquida all'anno, passando per le gomme. A discapito del carente aggiornamento  informatico del Palazzo. "Gli atti parlamentari anziché sul web viaggiano in quintali di carta su carrelli che i commessi trascinano in stile mensa ospedaliera" lamenta Fallica: e costano 7 milioni l'anno.
 
Fini, Bertinotti, Casini e Violante
Lo stratagemma degli ex per mantenere i vantaggi
Benefici non più a vita anche per gli ex presidenti di Montecitorio, dunque. Fini impone anche lì lo stop dopo "dieci anni dalla data di cessazione dalla carica di presidente". Ma con una postilla. "Per quanto riguarda la situazione degli attuali ex presidenti, le predette attribuzioni sono riconosciute per un periodo di dieci anni a decorrere dall'inizio della prossima legislatura" ovvero dal 2013: "A condizione che gli stessi continuino ad esercitare il mandato nella presente legislatura o abbiano esercitato l'ultimo mandato parlamentare nella precedente". È l'escamotage che consente di mantenere fino al 2023 i benefit a Violante (dieci anni scaduti nel 2011), Casini (scadranno nel 2016) e Bertinotti (nel 2018). Per gli "ex" un ufficio con 4 addetti, auto quando occorre e plafond di ticket aerei.

La cancelleria
Duemila fogli al mese ma anche 10 dvd e 20 cd
La polemica esplosa ieri a Montecitorio svela consuetudini finora sconosciute ai più. Una volta al mese il commesso bussa alla porta di ogni deputato e consegna con ragionieristica puntualità duemila fogli di carta intestata "Camera" (con relativa busta). Dunque 24 mila in un anno. Ma vengono consegnate anche sei gomme ogni tre mesi (tre da biro, tre da matita), ovvero una ogni 15 giorni. E poi 10 dvd e 20 cd quali supporti per la trasmissione di materiale informatico. Ma la dotazione per agevolare l'attività parlamentare degli onorevoli comprende anche mille fogli di carta bianca l'anno ad uso fotocopie. Questa e tante altre voci fanno lievitare a un milione di euro tondo, per il 2012, la spesa annua per "Carta, cancelleria e materiali di consumo d'ufficio".

La colla
Un chilo di coccoina all'anno per ogni deputato
"Ma vi pare che ognuno di noi debba avere ancora in dotazione un chilo e mezzo di colla all'anno? Che ce ne facciamo della colla liquida?" È il pidiellino Gregorio Fontana ad aprire il dossier delle spese non tanto inutili quanto "anacronistiche" che ancora lievitano nel palazzo. E il chilo o litro di colla liquida l'anno che i commessi consegnano agli onorevoli è solo uno degli esempi più eclatanti, in pieno 2012 quando l'uso della carta - viene fatto notare in Ufficio di presidenza - dovrebbe essere ridotto al minimo a beneficio del web. "Io e la mia segreteria l'accatastiamo, mai utilizzata" rincara Pippo Fallica (Grande Sud). Di contro, denuncia Fontana, "Non ci sono postazioni wi-fi, che ormai esistono pure a Villa Borghese, e i telefonini spesso sono schermati".

Museo Montecitorio
Spesi 150mila euro per le opere d'arte
Nel 2012 la Camera spenderà 370 mila euro per "conferenze, manifestazioni e mostre". Una spesa alla quale va sommata quella da 150 mila euro l'anno per "opere d'arte" da mantenere o, meno che in passato, da acquistare. Tutte uscite che, denunciano Gregorio Fontana, Pippo Fallica e Antonio Leone in Ufficio di presidenza, "sono del tutto fuori dal core business della Camera dei deputati: se ormai tagli bisogna operare, allora lo si faccia cominciando da ciò che esula dall'attività parlamentare in senso stretto". Sebbene, fanno notare dalla Presidenza, spese per conferenze e mostre sono ridotte rispetto agli anni passati. Come pure quelle per l'acquisto (ormai quasi nullo) di opere d'arte, si tratta però di mantenere e conservare le tante di cui comunque il Palazzo dispone.

Spese postali
Seicentomila euro per i francobolli
Nell'era del web 2.0 e dei social network, in cui tutto viaggia quanto meno via mail, adesso anche per posta elettronica certificata, succede che a Montecitorio anche per questo 2012 600 mila euro per le "spese postali". Ovvero, per inviare documenti da questo ramo del Parlamento ad altre amministrazioni dello Stato. Ma scorrendo le voci "anacronistiche" finite ieri sotto i riflettori dell'Ufficio di presidenza, ci si imbatte anche nei 50 mila euro per "spedizioni". Se è per questo, il questore Antonio Mazzocchi ha aperto il caso "defibrillatori". Ne sono stati piazzati a Montecitorio, a Palazzo Marini e a San Macuto. "Ma può utilizzarlo solo il personale medico che ha sede alla Camera: con rischio che quando serve altrove nessuno potrà mettere in funzione le macchine".

Spreco di carta
Per la stampa degli atti 7 milioni 150mila euro
Dai deputati che ieri hanno puntato l'indice contro le spese ormai da archiviare, viene additato come il vero "bubbone". Anche se ogni documento è ormai reperibile sul sito della Camera, qualsiasi atto parlamentare, ordine del giorno, emendamento, ddl, interrogazione o interpellanza viene stampato su carta. Risultato (sul piano finanziario): i 7 milioni 150 mila euro che verranno spesi quest'anno per i "servizi di stampa degli atti parlamentari". Da sommare al milione 210 mila euro l'anno per l'analogo capitolo dei "servizi vari di stampa". Il risultato sotto il profilo ambientale, in termini di spreco di carta, lo si può intuire - fa notare il deputato Fallica - "osservando gli enormi carrelli con i quali i commessi trasportano quintali di documenti".


(30 marzo 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/30/news/spese_pazze_camera-32436744/?ref=HREC1-2
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #79 inserito:: Giugno 15, 2012, 11:53:23 pm »


di CARMELO LOPAPA

Aria da resa dei conti sul fronte giustizia


La Camera approva la legge anticorruzione, ma è un testo già avviato verso un binario morto. Il Pdl preannuncia fin da ora incisive modifiche quando il provvedimento passerà all'esame del Senato, mettendo sull'avviso il Guardasigilli Severino: i berlusconiani torneranno alla carica con toni durissimi ("Uomo e donna avvisati..." arriva a dire il capogruppo Cicchitto) sulla responsabilità civile dei magistrati.

E mentre, in casa, i partiti della maggioranza si danno battaglia sulla corruzione come sulla riforma costituzionale e quella elettorale, il premier Monti prova a puntellare la tenuta dell'Italia e dell'euro, fuori casa. Prima tappa è l'incontro con il neo presidente francese Hollande, in visita a Roma. Il capo del governo italiano cerca di mettere a punto con lui una strategia comune in vista del quadrilaterale aperto alla Merkel e allo spagnolo Rajoy del 22 giugno e al Consiglio europeo di fine mese. L'obiettivo è convincere la Cancelleria tedesca ad ammorbidire la sua linea e ad aprirsi a politiche di sviluppo più generose. Impresa ardua, sotto la tempesta speculativa che sta investendo di nuovo il continente.

E le prospettive non sono delle migliori anche per quel che riguarda le riforme costituzionali. Riprenderà in aula al Senato soltanto mercoledì prossimo, 20 giugno, l'esame del testo approvato in commissione e che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. Complici gli emendamenti sul semipresidenzialismo presentati dal Pdl in aula. Il Pd chiede il ritorno in commissione Affari costituzionali del testo, proprio per esaminare quelle proposte di modifica. Così, un'approvazione definitiva della riforma rischia di non essere inserita in agenda nemmeno per la prossima settimana, quando l'aula dovrà pronunciarsi, tra l'altro, sull'arresto del senatore ed ex tesoriere della margherita Luigi Lusi.

da - http://www.repubblica.it/politica/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #80 inserito:: Giugno 18, 2012, 04:49:59 pm »

IL CASO

Incubo Pdl, scende al 15 per cento

Berlusconi: "Il partito non c'è più"

L'ultima rilevazione della Swg inchioda il Popolo delle libertà a cifre bassissime e il Cavaliere si chiede se reggerà fino alle primarie.

La Meloni lascia i Giovani

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Il Pdl in piena sindrome da 15 per cento. L'incubo diventa realtà e l'ultima rilevazione Swg di ieri cristallizza con quelle due cifre un tracollo di consensi che da via dell'Umiltà a Palazzo Grazioli temevano e in qualche misura già conoscevano. In queste ore non sono più i soli barricaderi ex An a chiedersi se il partito reggerà fino alle primarie di ottobre. Silvio Berlusconi quei dati se li rigira tra le mani, sempre più convinto che occorra "una scossa", che l'attuale baracca non basta: "Il Pdl non c'è più, esiste solo nelle teste dei nostri dirigenti" è la riflessione più amara del capo. Moltiplicare l'offerta con liste di giovani, di donne, di imprenditori e volti nuovi della società civile resta la soluzione preferita, un cantiere aperto al quale il Cavaliere in gran segreto sta già lavorando, in vista delle Politiche. Ma le elezioni sono lontane. Nel frattempo il Pdl è in piena emorragia. Ormai stabilmente sotto il 20, secondo tutti i sondaggisti, comunque terza forza alle spalle di Grillo. Viaggiava sopra il 25 in novembre scorso, all'insediamento del governo Monti. "La preoccupazione c'è, il vero problema è che manca la reazione", spiega un ex ministro sconfortato. L'ultima rilevazione registrata una settimana fa da Euromedia Research, società di fiducia di Berlusconi, dava al Pdl una forbice tra 18 e 20 per cento. "Ma tutti i grandi partiti presenti in Parlamento pagano
dazio, perdono consensi - spiega Alessandra Ghisleri, direttrice dell'istituto - E guadagna chi nelle Camere non c'è: Grillo e, in parte, Vendola". Consigli al Cavaliere sostiene di non averne forniti. "Ma un messaggio va colto: gli elettori dicono in coro che a loro non piace questo modo di fare politica, si attendono risposte immediate ai loro problemi reali".

Angelino Alfano confida nelle primarie per rilanciare il partito. Ha convocato per lunedì il tavolo "delle regole" che dovrebbe disciplinarle. E una direzione nazionale - sollecitata da tanti - per il 27 giugno. Ma del congresso nazionale non si ha notizia. Il calo di consensi lo riconduce al "sostegno al governo Monti: scontiamo l'opposizione dei nostri elettori". Ma confida sul fatto che gli elettori non siano "fuggiti altrove: li riconquisteremo". Lo dice durante la conferenza stampa convocata per ufficializzare le dimissioni del presidente della Giovane Italia, Giorgia Meloni, sostituita da Marco Perissa (classe '82, anche lui della scuderia Azione Giovani), che affiancherà la coordinatrice Annagrazia Calabria. L'ex ministro nella lettera di dimissioni rimarca la mancata convocazione di un congresso dei giovani per passare il testimone. Correrà anche lei per le primarie? La Meloni risponde solo che non lo ha preso in considerazione e che non lascia perché "è già pronta un'altra poltrona". Ma tutta l'area ex An si sta interrogando se sposare la causa Alfano o condurre una battaglia in sostegno proprio della Meloni per andare alla conta.

Il segretario, in maniche di camicia e in versione "smile" davanti ai giovani (dal 21 al 23 la loro assemblea a Fiuggi), si augura che le primarie siano le "più partecipate" possibile, che si trasformino in una "grande festa". Rivela di aver chiamato Vittorio Feltri e di averlo invitato a partecipare. Salvo essere gelato poche ore dopo dal direttore editoriale del Giornale: "Non ho ricevuto alcun invito, solo una telefonata di cortesia. Valuterò, i parlamentari sono degli straccioni, io guadagno 700 mila euro l'anno". Galan si è candidato. Daniela Santanché, forte dei sondaggi interni, è già in campagna elettorale (col placet del Cavaliere). "Certo che sono in corsa - spiega - Io non ho alcun tatticismo, nessuna strategia, solo un credo, un cuore, una passione".

(16 giugno 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/06/16/news/pdl_15_per_cento-37299527/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #81 inserito:: Agosto 12, 2012, 04:11:39 pm »

IL CASO

"Alfano un perdente, Cicchitto inadatto" I giovani pdl bocciano i big del partito

Le pagelle dei "Formattatori" che sono state rese pubbliche: Berlusconi resta da 10

di  CARMELO LOPAPA


ROMA - L'Angelino Alfano da 4,5, che "ha collezionato un anno di insuccessi e anziché formattare è stato formattato", e il "logoro" coordinatore La Russa da 3 tondo tondo. Il capogruppo Cicchitto "simbolo del vecchio", e l'ex ministra animalista Brambilla (tre anche lei), "buona solo per una lista cinque stalle". E poi la Carfagna, insufficiente, sebbene "la politica più amata dai mariti infedeli", e il Tremonti "fuggiasco", voto 2. Si salvano in pochi, nelle pagelle estive sui 25 dirigenti ed ex ministri del partito che i giovani #Formattatori del Pdl rendono pubbliche. È la fotografia impietosa di un rinnovamento mancato. Dopo che il segretario Alfano alla loro manifestazione di Pavia del 26 maggio aveva promesso al sindaco Alessandro Cattaneo, loro leader, e agli altri under 35 che tutto sarebbe cambiato. La più grande novità però è stata il ritorno di Berlusconi. La sufficienza o qualcosa in più solo per Bondi, Brunetta, Fazio, Fitto, Frattini, Galan, Gelmini, Meloni, Sacconi. Ecco le pagelle.

BERLUSCONI. "Rieccolo: voto 10 (come la maglia). C'è chi non ce l'ha e chi ne ha a volontà: questione di quid! Ha dimostrato che dopo di lui, nel partito, c'è il diluvio. Sempre protagonista: nel bene e nel male. Formattatore per eccellenza: doveva subire il parricidio e invece ha sepolto Alfano".

ALFANO. "Rimandato: voto 4,5. Ha collezionato un anno di insuccessi: doveva innovare il Pdl e invece si è trovato alle prese con la stagione delle tessere false. Doveva inaugurare il "partito degli onesti" e onestamente nulla è cambiato. Doveva vincere le amministrative e invece ha perso anche ad Agrigento, casa sua. Ha pure chiesto le dimissioni della Minetti e lei lo ha ignorato spassandosela in Sardegna. Insomma, doveva essere il vero formattatore del partito invece è stato formattato".

LA RUSSA. "Logoro: voto 3. Dinanzi al crollo del Pdl, l'unica analisi che ha consegnato alla storia è la similitudine tra Grillo e il Berlusconi del '94, smentita poi dal capo. Più gaffe che voti".

VERDINI. "Highlander. Voto: 6. Furbo, scaltro, spregiudicato come pochi. Non conosce la parola sconfitta, come alle amministrative. Anche se in Toscana, la sua regione, ormai il Pdl governa solo a Prato. Disposto a tutto pur di sopravvivere".

CICCHITTO. "Calligrafo. Voto: 5,5. "È il simbolo del vecchio. Inadatto a fare il capogruppo, troppo ruvido, scostante e respingente. Se il Pdl alla Camera è passato da 277 deputati agli attuali 209 una responsabilità ce l'avrà, o no? Competente nelle analisi politiche, scrive bei libri".

GASPARRI. "Fomentatore. Voto: 5. Aveva detto a Berlusconi che i finiani ai tempi del 14 dicembre erano quattro gatti. Il Pdl si è salvato per un voto. Poco televisivo, ma passionale. A lui preferiamo Neri Marcorè".

BRAMBILLA. "Bestiale. Voto: 3. Promuovitalia. Cos'è? Non lo sa nessuno, eppure è un'agenzia voluta dall'ex ministro per aiutare il turismo, così fondamentale da finire sotto la scure della spending review. Impegnatissima sul fronte animalista, riscuote molto credito tra i quadrupedi. Forse perché loro, non parlando, non possono replicare... Buona solo per una Lista Cinque Stalle".

CARFAGNA. "Trasformista. Voto: 5,5. Vicina agli anta, nonostante l'ingresso in Parlamento di carne più fresca, detiene ancora lo scettro de "la politica più amata dai mariti infedeli". Tutti le riconoscono il buon lavoro come ministro (soprattutto la sinistra sui gay). Si è un po' eclissata da semplice deputato: un po' frondista al governo, terzopolista nelle relazioni, velina ingrata con Berlusconi".

MATTEOLI. "Stantio. Voto: 4. Capobastone della vecchia politica, pare il rappresentante di un mondo che dovrebbe essere seppellito. Imitando i formattatori ha organizzato a giugno un incontro coi giovani, per rinfrescarsi l'immagine. Peccato che la sala fosse vuota. Siede ininterrottamente da 30 anni in Parlamento. E punta a ricandidarsi. Si goda la pensione".

PRESTIGIACOMO. "Non pervenuta. Voto: 4. Forse se lo ricordano in pochi, ma è ministro dell'Ambiente uscente. A Taranto chiude l'Ilva e l'unica cosa che lei riesce a dire è "Micciché è un ottimo candidato per le regionali siciliane"".

ROMANI. "Approfittatore. Voto: 4. I soldi per la banda larga sono spariti. L'agenda digitale non c'è stata. Ha fatto il ministro e non ce ne siamo accorti. In compenso ha perso le amministrative a Monza, città di cui è commissario".

SCAJOLA. "Incompiuto. Voto: 5. Non riesce mai a fare il ministro perché prima uno scandalo poi un altro l'hanno costretto a dimettersi. Per il cambiamento speriamo rimanga fuori dalle liste, anche a sua insaputa".

TREMONTI. "Fuggiasco. Voto: 2. Insieme con Fini, è la causa del logoramento di Berlusconi. Nonostante Aspen, libri e titoli ha dimostrato di non avere capacità di leadership abbandonando i suoi più fidati uomini (vedi Milanese) e brillando per le sue assenze parlamentari da quando non è più ministro".

VITO. "Vito chi? Ricercato. Senza voto".
 

(12 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/12/news/giovani_pdl-40811250/?ref=HREC1-4
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #82 inserito:: Agosto 12, 2012, 04:16:49 pm »

GOVERNO

"A fine agosto misure per la crescita" Monti chiede uno sprint ai ministri

Il presidente del Consiglio chiede ai responsabili dei dicasteri di presentare il 24 agosto, ognuno per il proprio settore, idee proposte e progetti definiti nei dettagli

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Due settimane di tempo perché ciascun ministero metta a punto i dossier necessari a promuovere la crescita. Quelli illustrati per sommi capi nel lungo Consiglio dei ministri di ieri non sono sufficienti, poco esaustivi. Il presidente del Consiglio Monti dà così appuntamento al 24 agosto ai componenti del suo governo. Per quella data, idee, proposte e progetti dovranno essere definiti nei minimi dettagli. Partire da allora la "campagna d'autunno" del governo tecnico, prima del rush finale.

Il pallino della crescita e la seconda parte della spending review, in cima all'agenda del premier per la ripresa. Monti presiede l'ultima riunione protrattosi per cinque ore, prima del rompete le righe ferragostano. Da oggi, sei giorni di stop per lui, qualcuno in più per i colleghi. Ma con compiti a casa per le vacanze. Durante il lungo confronto tutti i ministri sono intervenuti per accennare alle iniziative ancora possibili. Tutto rimandato a fine mese. Si torna al lavoro venerdì 24, sempre che la situazione dei mercati non riservi sorprese. Eventualità che tuttavia nel governo, con le dovute cautele, si sentono di escludere.

Un passo avanti concreto invece lo si è compiuto sul cosiddetto "golden power" destinato a introdurre una barriera anti-scalate per le aziende ritenute strategiche per lo Stato. Sicurezza nazionale e difesa, i settori messi sotto la tutela del governo. Da Finmeccanica a Telecom, dall'Eni all'Enel alla Terna. La "golden share" ideata nel 1994 era stata bloccata dai vertici comunitari. Ora non più "partecipazione d'oro" dello Stato, ma poteri speciali. Sebbene anche questo passaggio dovrà essere portato a compimento. Il decreto, infatti, è stato ieri sottoposto dal premier al Consiglio dei ministri "per informativa", per delimitare perimetro e contenuti dei poteri concessi dal governo già nel maggio scorso. Ora il provvedimento dovrà tornare a Palazzo Chigi per il varo definitivo dopo il parere del Consiglio di Stato. Ma già il Pdl, Laura Ravetto in testa, chiede all'esecutivo di rivedere i perimetri ed estendere la tutela ad altre aziende che rischiano di diventare "prede" di investitori stranieri.

Ma il provvedimento che nelle ore successive ha scatenato la bagarre politica, generando una sollevazione dell'intero fronte berlusconiano, è quello con il quale si è dato il via libera alla razionalizzazione degli uffici giudiziari. L'originario taglio dei 37 tribunali "minori" è stato portato alla soglia dei 31. "Salvati" dalla lista nera altri sei in zone ad alto tasso di criminalità organizzata: Caltagirone e Sciacca in Sicilia, Castrovillari, Lamezia Terme e Paola in Calabria, Cassino nel Lazio. E questo perché, spiega il ministro Paola Severino, nella lotta alla mafia il governo "non intende in alcun modo arretrare nemmeno sul piano simbolico". Il capogruppo al Senato del Pdl, Gasparri, a testa bassa: "Guardasigilli da cacciare, penoso il suo operato". Taglio "incommentabile" per Enrico Costa, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera. Respinta le proposte di salvataggio di molte sedi Nord. "Non a caso", protesta anche il governatore leghista del Piemonte Roberto Cota.

(11 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/11/news/agosto_misure_crescita-40753842/?ref=HREA-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #83 inserito:: Agosto 16, 2012, 07:10:45 pm »

SPENDING REVIEW

Prefetture, ecco le più spendaccione

 Isernia costa 14 volte più di Milano

Dossier dell'esecutivo sui costi degli uffici. Il capoluogo milanese costa 3,89 euro per abitante, quello molisano 42.

Patroni Griffi: ok al riordino delle Province per abbattere gli sprechi. Penultima Rieti, preceduta da Campobasso.

Virtuosi Brescia e Torino

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Qualcuno adesso dovrà spiegare perché mantenere gli uffici dello Stato a Milano e provincia costa 3,89 euro per abitante, mentre nella molisana Isernia 42,34 euro. Anzi, qualcuno dovrà spiegare perché quello che dovrebbe essere un costo standard, uguale su tutto il territorio nazionale, varia invece da città a città, da provincia a provincia. Sebbene il budget, sulla carta, sia uguale. Uguali gli orari di lavoro negli uffici e agli sportelli. Identico il costo del lavoro e dei consumi. Sulla carta, appunto. In realtà non è cosi. E i costi lievitano man mano ci si sposti verso la parte meridionale dello stivale.

L'arcano di Ferragosto - ultimo della serie nel Paese del burosauro - emerge da un monitoraggio compiuto sulle strutture dell'amministrazione statale, e dunque sulle singole Prefetture, dal ministero della Funzione pubblica, dipartimento Riforme istituzionali, guidato da Carlo Diodato. Lo stesso che sta studiando - finora un'impresa alla Don Chisciotte - modalità e tempi per riordinare, se non proprio cancellare le Province.
Lo studio tiene conto delle risorse finanziarie impiegate per portare avanti gli uffici statali, commisurate ai cittadini residenti nei rispettivi territori.

Nell'Italia dei 56 milioni 561 mila abitanti, il budget utilizzato ammonta a 565 milioni 451 mila euro, destinati agli 8.001 comuni.
La media dei costi per residente, su scala nazionale, risulta essere dunque di 10 euro pro capite. Succede tuttavia che in 24 grandi e medi comuni virtuosi la media di spesa sia inferiore. Due terzi sono centri del Nord. In testa risulta essere Milano e la sua provincia, composta da 189 comuni. Seguita a ruota da Brescia, con la media di 4,64 euro. E da Torino, con 4,82 euro. Ma non mancano le eccezioni meridionali.
Napoli ad esempio risulta settima, con poco più di 6 euro per cittadino. Seguita da Roma. Nonostante il budget a disposizione sia il più alto d'Italia (23 milioni 211 mila euro) per la prefettura della Capitale la media per abitante risulta essere di 6,27 euro. Anche Cosenza (dodicesima con 7,76 euro), Salerno, Taranto, Lecce e Catania figurano tra le top 24.

Sotto quella soglia dei dieci euro della media nazionale, il quadro cambia. Perché a Isernia si spende più di 42 euro per cittadino?
Tanto più che la pur penultima Rieti, nel Lazio, si tiene comunque a debita distanza, spendendo 27,89 euro per residente.
Terzultima un'altra prefettura molisana, Campobasso, con 25 euro pro capite di media. Poi Nuoro, L'Aquila, Matera, Enna, Vibo Valentia e, prima maglia nera del Nord, La Spezia (20,14 euro).

Come uscire da quest'altro pozzo senza fondo della spesa pubblica? La cancellazione delle Province, di alcune almeno, e con esse delle relative Prefetture, risolverebbe secondo il governo una parte dei problemi. Il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi: "La spending review ci sta consentendo di fare una grande verifica sui conti pubblici, trovare gli sprechi e gli eccessi - dice - Proprio per questo siamo sempre più convinti che occorra andare avanti con il riordino delle Province, che sarà la base per riorganizzare il nuovo assetto dello Stato".

(15 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/15/news/prefetture_ecco_le_pi_spendaccione_isernia_costa_14_volte_pi_di_milano-40969493/?ref=HREC1-2
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #84 inserito:: Settembre 11, 2012, 08:51:26 am »

RETROSCENA

Blitz Pdl e Udc sulla legge elettorale intesa su proporzionale e preferenze

Tutto pronto per il modello tedesco: "Non si può aspettare il Pd all'infinito".

Oggi incontro degli "sherpa" per accelerare sulla riforma.

Casini: ma così aiuto Bersani

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Un blitz in aula per cambiare la legge elettorale. Un patto di ferro già siglato tra i centristi di Casini e gli uomini di Berlusconi. Per mettere all'angolo e stanare il Pd. Obiettivo: mandare in soffitta il Porcellum e introdurre anche a colpi di maggioranza un sistema proporzionale. Il modello è quello tedesco. Con sbarramento e preferenze. Nella bozza, l'ipotesi di collegi elettorali ridotti alla Camera e ancor più piccoli al Senato. Soluzione che troverebbe in aula il sostegno dei leghisti.

L'accelerazione delle ultime ore segue il colloquio avvenuto venerdì sera, al fresco di Chianciano, mentre sul palco della festa Udc Ciriaco De Mita stava presentando il suo ultimo libro. In un angolo, a pochi metri, si intrattengono Fabrizio Cicchitto, Pier Ferdinando Casini e Luciano Violante. "Non possiamo attendere all'infinito, il Porcellum va cancellato, non possiamo tirarla ancora per le lunghe dopo i richiami del capo dello Stato: la soluzione migliore è il sistema tedesco con preferenze" è l'amo lanciato dal leader Udc. Cicchitto lo aggancia al volo. È una via d'uscita che stuzzica adesso più che mai i pidiellini. Addio alle velleità maggioritarie.

I contatti telefonici tra gli sherpa impegnati nelle trattative sono proseguiti nel fine settimana. Manca una convocazione ufficiale del comitato ristretto al Senato, ma non viene esclusa per oggi una ripresa dei confronti tra Verdini, Quagliariello, Cesa e il luogotenente della segreteria Bersani, Maurizio Migliavacca.
Già, il Pd.

I democratici tacciono e guardano con sospetto ai movimenti in corso. Rischiano di ritrovarsi in un angolo. Un contraccolpo che rischia di avere ripercussioni anche sugli equilibri della maggioranza che sostiene Monti. Tanto più che centristi e Pdl lavorano per un passaggio in aula da qui a breve. "Vogliamo imprimere una svolta, lavoreremo fino all'ultimo per raggiungere le più larghe convergenze - premette il capogruppo Udc al Senato, Gianpiero D'Alia - Ma è chiaro che non possiamo attendere oltre, al massimo entro la prossima settimana la partita deve essere chiusa. Il Pd purtroppo è diviso al suo interno".

Il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, si prepara a riconvocare il comitato ristretto per la riforma e avverte: "Occorre un compromesso politico alto e il tedesco rappresenta una mediazione possibile, a patto che ognuno faccia un passo indietro".

I democratici sentono puzza di bruciato. La sensazione è che dentro il Pdl l'abbia spuntata chi puntano a una legge che non garantisca alcun vincitore dopo il voto "per contare all'indomani delle elezioni", per dirla con Migliavacca. La stessa corsa alle preferenze appare al braccio destro di Bersani "uno specchietto per le allodole". Al Largo del Nazareno insomma hanno alzato la guardia. Casini certo non intende rompere l'asse costruito a fatica col segretario Pd. Il leader Udc è anzi convinto che con l'accelerazione impressa farà il gioco proprio di Bersani, dato che un proporzionale senza indicazione del premier renderebbe inutili le primarie. "Alla fine - ragiona l'ex presidente della Camera con i suoi - con questa mossa do una mano al mio amico Pier Luigi".

Ma è davvero così? Il Pd punta quanto meno a un premio di maggioranza che garantisca la governabilità. Un corposo 15 per cento da destinare al primo partito, bocciato ieri dal capogruppo Pdl Cicchitto: "Troppa grazia". Come se non bastasse, Bersani è stretto dal pressing della minoranza "rumorosa" dei prodiani, pronti alle barricate contro proporzionale e preferenze: i vari Parisi, Santagata, Zampa, Barbi artefici della proposta per il ritorno al Mattarellum.

Berlusconi dirà la sua venerdì davanti ai giovani di Atreju, al ritorno dal Kenya. Ma reintrodurre le preferenze è l'obiettivo dichiarato anche di un drappello di pidiellini, non solo ex An, che a decine hanno sottoscritto un loro ddl, dalla Meloni a Brunetta, da Crosetto alla Beccalossi. Per il Cavaliere, il ritorno al proporzionale con preferenze è l'ultima chance per evitare l'esplosione del Pdl.
 

(11 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/11/news/blitz_pdl_e_udc_sulla_legge_elettorale_intesa_su_proporzionale_e_preferenze-42316795/?ref=HRER2-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #85 inserito:: Settembre 21, 2012, 05:40:57 pm »

COSTI POLITICA

Il pranzo dei deputati? Metà lo paga la Camera

Un "regalo" che costa 3,5 milioni all'anno. I questori: non ce lo possiamo più permettere. Ma si cambierà solo nel 201.

Montecitorio vara il bilancio preventivo: nel 2013-2015 risparmio di 50 milioni

di CARMELO LOPAPA

Il pranzo è servito. E pagato. Almeno per metà prezzo lo offriranno, ancora per un bel po', le casse della Camera. Venti euro per un pasto completo a carico del deputato, altri 18 euro li integra l'amministrazione di Montecitorio attingendo al capitolo "ristorazione". Un andazzo non sostenibile, alla luce del giro di vite imposto al bilancio che sarà approvato il primo ottobre.

Ne prendono atto i questori del Palazzo che in questi giorni hanno approvato la deliberazione con cui si cambia registro. O meglio, si impegnano a cambiarlo. Ma dal 2014.

Il provvedimento avvia le procedure per l'affidamento in concessione del servizio di self service che dovrà prendere il posto dell'attuale, costoso (non per gli onorevoli e i giornalisti che lo frequentano) ristorante. Ma la procedura è lunga. Perché la burocrazia, anche quella parlamentare, necessita dei suoi tempi. Il nuovo regime entrerà in vigore nel 2014, quando si stima "un risparmio annuo di 2,5 milioni di euro", si legge nella deliberazione del collegio dei questori del 12 settembre. "Il sistema di compartecipazione al prezzo del pasto sarà rivisto - continua il provvedimento - prevedendo in ogni caso, per i deputati, che il pagamento delle consumazioni presso il self service sia a totale carico degli stessi". Ma è un avviso a futura memoria, gli attuali parlamentari potranno dormire (e mangiare) tranquilli. Il fatto è che la "compartecipazione" al pasto costa davvero tanto, troppo, per tempi di
magra.

A scorrere il bilancio interno che la settimana prossima sarà approvato dall'Ufficio di presidenza e di cui Repubblica è venuta in possesso, si scopre infatti che in questo 2012 la Camera prevede di incassare dalla ristorazione più o meno quanto l'anno scorso, ovvero 1 milione 130 mila euro. Ma spenderà 4 milioni 545 mila (uno in meno rispetto al 2011): vuol dire che occorreranno tre milioni e mezzo per integrare i pasti e garantire comunque l'alto standard della ristorazione a prezzi "pop". Risotto alla pescatora e salmone con patate lesse e bevanda a 20 euro, stesso prezzo per un filetto, un contorno e una frutta, 5 euro una pasta con vongole e bottarga, per fare qualche esempio.

Ristorazione a parte, il bilancio di previsione 2012 della Camera - messo solo adesso nero su bianco per adeguarlo alla spending review montiana - è all'insegna del lacrime e sangue. Cinquanta milioni di euro l'anno di risparmi per il 2013-14-15. Tutto connotato dal segno meno? Quasi. Dimezzati dal 2013 i contributi in favore del Circolo Montecitorio, frequentato sul Lungotevere da deputati (pochi) e dipendenti e funzionari (molti), e quelli per la Fondazione della Camera, guidata per cinque anni dall'ex presidente. Pro tempore da Bertinotti, dal prossimo anno da Fini. I bilanci della Fondazione saranno inviati in virtù del nuovo statuto alla Corte dei conti. Detto questo, resta invariato il capitolo "rimborso spese di viaggi ai deputati": 8,5 milioni di euro nel 2012. E quello destinato ai viaggi degli ex deputati (anche loro con benefit): 800 mila euro. Uguale allo scorso anno l'esborso per la manutenzione ordinaria degli edifici della Camera (13,8 milioni di euro) e per la telefonia mobile ad appannaggio di onorevoli e funzionari (550 mila euro l'anno). Stesso discorso per la buvette: anche nel 2012 costerà 540 mila euro. In calo minimo dopo anni i "servizi di pulizia" 6 milioni 930 mila euro (anziché i 7 milioni), la lavanderia di palazzo con 60 mila euro (anziché i 70 mila). Si dimezza la spesa per l'acquisto di giornali e periodici, che passa da 590 mila a 300 mila euro. Quasi centomila euro in meno per carta e cancelleria dopo le polemiche dei mesi scorsi (920 mila euro).

È stato invece raggiunto a Montecitorio ieri mattina, dopo settimane di braccio di ferro, un accordo con i sindacati dei dipendenti con cui passano i tagli da 13,2 milioni l'anno a carico del personale.

(21 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/21/news/camera_pranzo_deputati-42946548/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #86 inserito:: Settembre 30, 2012, 02:12:03 am »

IL PERSONAGGIO

La Prestigiacomo lascia il Pdl "Ormai sono disgustata"

L'ex ministro dell'Ambiente, in Parlamento da 1994 pronta ad abbandonare il gruppo Azzurro. "Non c'è traccia del sogno berlusconiano, solo gruppi di potere in lotta fra loro"

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Due sere fa era seduta in prima fila al cospetto del Cavaliere, presentazione show del libro di Brunetta. La settimana prossima formalizzerà l'addio al gruppo del Popolo delle libertà. Il dado è tratto, ha raccontato Stefania Prestigiacomo alle ormai poche amiche e colleghe che hanno tentato di frenarla. Forfait di una "forzista" della prima ora, destinato a fare rumore. Tanto più perché potrebbe portarla sulle sponde dei centristi Casini e Fini.

Tuttavia l'ex ministra non rompe con Silvio Berlusconi (che oggi festeggerà i suoi 76 anni in Provenza dalla figlia Marina). "Con lui rapporti sempre ottimi" ha spiegato. È con tutto l'establishment del partito che non si ritrova più. Rapporti azzerati. Dialogo nullo. "Sono sconcertata da tutto - ha confidato - Del sogno berlusconiano in questo partito non c'è più traccia. Siamo circondati da piccoli gruppi di potere che passano le giornate a litigare". Ecco, di fronte allo spettacolo delle ultime settimane, la deputata aretusea si definisce "disgustata". Il Pdl, così com'è, lo ritiene ormai un "partito inesistente". Nasce da qui la presa di distanza che a giorni porterà al passo dell'addio. Disimpegno intanto dalla campagna elettorale siciliana in vista delle Regionali del 28 ottobre. Oggi alle 18, al Teatro Politeama di Palermo, Nello Musumeci, candidato del centrodestra, terrà la sua kermesse. Ma Stefania Prestigiacomo (rientrata
ieri a Siracusa) non ci sarà. Più probabile a questo punto il sostegno alla corsa di Gianfranco Micciché, amico e big sponsor fin dagli esordi e candidato del Terzo polo in Sicilia.

Una vita sulla scia di Silvio Berlusconi, imprenditrice, entrata a meno di trent'anni alla Camera, è tra i pochi parlamentari in carica ad aver affiancato l'avventura politica del leader da Forza Italia nel '94 ad oggi. Ministra delle Pari opportunità nel Berlusconi ter e dell'Ambiente nell'ultimo esecutivo. Non senza scintille. È passato agli annali il pianto del 2005 quando partito e governo le voltarono le spalle sulle quote rosa, ma anche la battaglia di principio condotta e persa col referendum sulla fecondazione assistita. Come pure gli scontri con Tremonti per i fondi via via sottratti al dicastero per l'Ambiente, negli ultimi anni.

Il forfait della Prestigiacomo - che i maligni ricollegano alla molto probabile esclusione dalle prossime liste - in realtà è sintomo di un malessere diffuso. E di una corsa al "si salvi chi può" destinata a farsi frenetica nelle prossime settimane. Quel che la deputata ha escluso, parlando con i colleghi a lei più vicini, è di accettare il corteggiamento del Grande Sud di Micciché. Sembra piuttosto che i contatti e il pressing nei confronti della ex ministra siano stati altrettanto insistenti, e più fruttuosi, da parte dei centristi Casini e Fini. Ma la Prestigiacomo non è l'unica berlusconiana finita nel mirino dei cacciatori di "teste" avversari. Non da ora, per esempio, lo è anche un'altra ex ministra come Mara Carfagna. Campanelli d'allarme (i più noti) di un partito in rotta alla vigilia della resa dei conti elettorale.

(29 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/29/news/prestigiacomo_lascia_pdl-43500719/?ref=HREC1-3
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #87 inserito:: Ottobre 23, 2012, 05:51:02 pm »

L'intervista

"Così si colpisce la libertà di stampa l'editore non può entrare nelle redazioni"

Gustavo Zagrebelsky attacca sulla cosidetta legge salva-Sallusti che rischia di diventare una legge bavaglio: "Mondo politico insofferente al giornalismo d'inchiesta.

Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere"

di CARMELO LOPAPA

ROMA - "Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere. Il codice penale prevede lo schermo del direttore responsabile e tutto, da allora, è riconducibile a quella figura. Nel momento in cui però si estende la responsabilità all'editore, allora il sistema di garanzie e di diritti, il delicato equilibrio che è alla base del diritto di informare e di essere informati rischia di essere compromesso". Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nutre più di una perplessità sul testo che corre spedito in commissione al Senato e che rischia di trasformarsi in una nuova edizione della legge-bavaglio. E sono tanti i nodi da passare al setaccio.

Tutto parte dal caso Sallusti, Professore. Dal direttore del "Giornale" che rischia la galera per un articolo diffamatorio.
"Lasciamo da parte per un momento la libertà di stampa con la "L" maiuscola. Parliamo del caso specifico. La pena detentiva è prevista dalla legge penale e il problema dell'adeguatezza della pena è annoso, non nuovo. Va detto, però, che nel caso dell'articolo in questione non si tratta di opinioni, ma dell'attribuzione di fatti determinati risultati palesemente falsi. Il reato consiste nell'omessa vigilanza circa un fatto che non riguarda la libertà di opinione. Si può discutere se il carcere sia la misura più appropriata".

Ecco appunto, lo è?
"Siamo di fronte a una valutazione politica, di opportunità: stabilire se il carcere è adeguato, proporzionato o utile. La mia risposta è no. Il carcere non è adeguato. In questo, come in tanti altri casi, non è la misura opportuna. Sulla qualità delle pene adeguate a un paese civile si discute da tempo e poco o nulla è stato fatto. Il carcere, come misura normale, è un fatto d'inciviltà. Discutiamo di questo".

Quali sarebbero le sanzioni adeguate, secondo lei?
"Innanzitutto, quella pecuniaria, come risarcimento del danno morale derivante dalla lesione dell'onorabilità delle persone: un bene importantissimo, quasi un bene sommo. Poi, l'intervento degli ordini professionali, cui spetta la tutela della deontologia, a tutela dell'onorabilità della professione. A me pare che le misure interdittive dell'esercizio della professione siano coerenti con questa esigenza. Poi, occorrerebbe prevedere forme processuali particolarmente celeri, processi immediati. Il diffamato che cosa se ne fa d'una sentenza che interviene dopo anni? Ciò che occorre è il ripristino dell'onore della persona offesa".

Il problema, nella legge in questione, è che l'alternativa al carcere è una sanzione pecuniaria talmente pesante da trasformarsi in un bavaglio per la stampa.
"La questione vera e grande, al di là del folclore di molti emendamenti, è la chiamata in causa dell'editore. Nel momento in cui si estende la responsabilità al proprietario dell'impresa editoriale, è chiaro che questi farebbe di tutto per prevenirla e ciò gli darebbe il diritto d'intervenire nella gestione dell'impresa giornalistica, un'impresa molto particolare, nella quale la libertà della redazione deve essere preservata dall'intervento diretto della proprietà, cioè del potere economico. L'autonomia dell'informazione, come libera funzione, è messa in pericolo da una norma di questo genere".

Se è per questo, l'editore rischia di perdere anche i contributi pubblici, in caso di condanna.
"È una previsione che, colpendo l'editore, mette a repentaglio, oltre all'azienda, anche il patto che per consuetudine viene stipulato, almeno tacitamente, tra impresa, direttore e giornalisti: la copertura finanziaria da parte dell'editore delle eventuali condanne pecuniarie dei giornalisti che operano nella sua impresa".

Diventa un'aggravante la circostanza che a firmare un articolo, ritenuto diffamatorio, siano ad esempio tre giornalisti. Siamo all'associazione a delinquere informativa?
"Quanto emerge da proposte di questo tenore è l'insofferenza che parti del mondo politico, indipendentemente dal colore, nutrono nei confronti del giornalismo di inchiesta che è un'attività che non si può svolgere da soli".

Le sue critiche si riferiscono anche all'ipotesi di sospensione del giornalista fino a tre anni, in casi estremi di recidiva nella diffamazione?
"No. Su questo sarei favorevole. Se la diffamazione è provata come fatto doloso, allora è giusta la sanzione proporzionata alla gravità dell'offesa. Per un cittadino, essere colpito nella propria onorabilità è un fatto grave, che può segnare pesantemente una vita, soprattutto delle persone per bene. Agli altri, per definizione, non importa nulla. Oggi, sembra che l'onore delle persone non conti più quasi nulla. Si tratta di ripristinare, innanzitutto nella coscienza civile, l'idea che l'onore, il rispetto, la dignità sono beni primari e la legge deve operare a questo fine. Certo, ci deve essere la prova del dolo, della macchinazione voluta per distruggere moralmente una persona. Stiamo parlando di ciò che voi giornalisti avete chiamato la "macchina del fango". E non può essere tollerata, lasciata operare senza freni. È cosa deplorata ma, di fatto, tollerata come arma da usare nella polemica politica, nella lotta per il potere. Va contrastata con ogni mezzo, anche con sanzioni molto pesanti".

La nuova disciplina rende più grave la sanzione se l'offeso è "un corpo politico, amministrativo o giudiziario", per stare ai termini della legge. La "casta" da tutelare più degli altri?
"Esistono dei reati che riguardano la tutela dell'onorabilità delle istituzioni. E questa è una cosa. Un'altra cosa sono gli uomini e le donne che operano nelle istituzioni. Questi non sono essi stessi istituzioni. Sono normali cittadini che, pro tempore, svolgono funzioni pubbliche. Bisogna distinguere. In passato, erano previste forme di tutela speciale contro l'oltraggio al pubblico ufficiale, punito in misura più severa di quanto lo fosse l'offesa arrecata al cittadino comune, ma la Corte costituzionale in tempi lontani ha fatto venire meno questa differenza. Il principio di uguaglianza deve valere per tutti e coloro che occupano posti nelle istituzioni non devono essere considerati più uguali degli altri".


(22 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/22/news/cos_si_colpisce_la_libert_di_stampa_l_editore_non_pu_entrare_nelle_redazioni-45039302/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #88 inserito:: Ottobre 29, 2012, 10:54:58 pm »

LA POLEMICA

Alfano vacilla, Silvio lo  boccia "Non capisce la pancia del paese"

Nel Pdl caos e rischio scissione.

La sorte del segretario appesa alla Sicilia: in caso di ko si dimetterà. "Così ci conteremo tra moderati e oltranzisti".

L'ira del Cavaliere su Monti e Colle: mi hanno abbandonato

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Dopo di lui il diluvio. E pazienza se oggi sarà lunedì nero per spread e Borse. "Ho fatto due passi indietro ma Monti e Napolitano hanno preferito abbandonarmi al mio destino. Ora ho il diritto di difendermi, mi vogliono in galera e non ho tempo da perdere". Nel day after, Silvio Berlusconi rincara la dose, se possibile. Il governo dei tecnici dice di non volerlo far cadere, ma "ballare" sì che lo farà ballare. A cominciare da domani in commissione, legge di stabilità con la sua "odiosa" pressione fiscale.

La giornata di festa, dopo una settimana da incubo, la trascorre ad Arcore, in famiglia. Al telefono pochi fedelissimi del giro lombardo. Il Pdl vada pure per la sua strada, ripete. Martedì i dirigenti di via dell'Umiltà si riuniranno per il tavolo delle regole sulle primarie, lui partirà per Malindi. Destinazione Kenya, ritorno al residence di Briatore e arrivederci al 5 novembre. Le primarie sono "affare loro". Il partito è attonito, governato in queste ore dal panico, scialuppa in cui tutti i dirigenti cercano la rotta per salvarsi. Partito soprattutto a un passo dalla scissione, tra berlusconiani e montiani. Solo dopo una telefonata lunga un'ora, sabato a pranzo, Gianni Letta è riuscito a convincere l'ex premier a desistere dall'annuncio in conferenza stampa del varo del nuovo partito, della nuova lista.

Ma è lì che Berlusconi andrà a parare. Il segretario Alfano tace, ricomparirà oggi
dopo il voto in Sicilia 1. Sa di avere buona parte del partito con lui, sulla sponda pro-Monti, ma una disfatta nella "sua" isola potrebbe portarlo alle dimissioni, ammettono dirigenti di via dell'Umiltà. Fosse pure per provocare una scossa e trasformare le primarie in una corsa per la segreteria e contarsi lì sulla linea: quella oltranzista del capo o quella moderata che lui, Angelino, ormai rappresenta. "Non si torna indietro da Monti" diceva ieri sera al Tg3 Maurizio Lupi. È il diktat anche di Franco Frattini, che non fa mistero di non aver gradito affatto le uscite antieuropeiste e di non sostenerle in Parlamento. "Attenti a non far saltare lo spread" avverte ormai anche il capogruppo Fabrizio Cicchitto. Perfino il fedelissimo Gaetano Quagliariello sembra quasi richiamare il leader, quando fa notare che "in presenza di elezioni non si fa dibattito interno, è un fatto di buon senso". E comunque, "la spina a Monti non si stacca" avverte il vicecapogruppo alla Camera Osvaldo Napoli.

È l'ala montiana del partito, che comprende anche Maria Stella Gelmini (pur presente a Lesmo due giorni fa) e Mario Mauro, capogruppo a Strasburgo, assai critico con la svolta anti-Ue e "suicida" con la Merkel. Sognano il Ppe italiano, si sono ritrovati all'ombra di un leader populista e nemico dell'euro. A questo punto, però, la loro è l'ala maggioritaria. Pronta ad andare alla conta se la fronda berlusconiana decidesse di staccare la spina. Una fronda che comprende i coordinatori Verdini e Bondi, gli ex An La Russa e Meloni e Corsaro tentati dalla rivolta contro Monti. E poi le "amazzoni" Santanché e Biancofiore, ma anche i dc Rotondi e Giovanardi, oltre che il coordinatore lombardo Mantovani e Paolo Romani. La sacca di resistenza che ha deciso di stare col capo sempre e comunque. La Santanché, che due giorni fa aveva provocato Alfano chiedendone le dimissioni, ieri twittava trionfante: "Le parole di Berlusconi sono state un colpo d'aria che ha fatto andar via la voce agli amici del Pdl". Qualcuno di loro suggerisce anche una grande manifestazione di piazza, come ai vecchi tempi. Ma non tira aria. Pallottoliere alla mano, sulla "stabilità" alla Camera i berlusconiani non avrebbero i numeri per opporsi. Ma al Senato - ieri si faceva di conto nel partito - ce la farebbero, assieme ai leghisti.

Molteplici e tormentate le telefonate intercorse ieri per tutto il giorno tra Angelino Alfano e il suo leader. "Perché proprio ora? Giusto alla vigilia del voto in Sicilia? È un attacco a me? Ce l'hai con me?" avrebbe incalzato il segretario, stando ai racconti di chi ha parlato con Berlusconi. Il Cavaliere lo ha rassicurato a più riprese. "Con lui sotto il profilo umano non c'è alcun problema, ma ci sono alcuni nodi politici da risolvere" ha poi spiegato l'ex premier ai suoi interlocutori. Staccare la spina al governo non lo ritiene utile, ormai: "La crisi non conviene a nessuno, al voto si va comunque a breve: io ormai sono in campagna elettorale". Quella legge che aumenta la pressione fiscale però la vuole "stravolgere". Il presidente del Consiglio è nel mirino, come lo è senza ipocrisie ormai il capo dello Stato. Non si attendeva certo un salvacondotto, Berlusconi, a sentire lo sfogo delle ultime ore, ma delle garanzie più solide, anche dal Colle. Non è arrivato: "L'anno scorso ho compiuto un sacrificio importante, ma mi hanno abbandonato in balia dei magistrati". Ora non ci sta più.

Cavaliere "galvanizzato", raccontano, che adesso alza il tiro in privato a briglie sciolte contro Monti: "Ogni volta parla di credibilità come se quelli che sono venuti prima di lui fossero dei poco di buono. Lo spread si è regolarizzato, è vero, ma grazie agli interventi della Bce, non solo grazie a lui". E continua, rivolto al Professore: "Molte scelte strategiche vengono fatte senza alcun coinvolgimento: non ha tagliato il cuneo fiscale, non ha movimentato la crescita, solo tagli". Per non dire dei ministri tecnici del governo, definiti nei colloqui confidenziali "irriguardosi", oltre che con "velleità" politiche: "Ma chi si credono di essere?"

Berlusconi si è convinto che la pancia del Paese non segua più questo governo, soprattutto il cuore del Nord produttivo, "basta sentire Squinzi". E lui, l'ex premier, pensa di poterla interpretare, quella "pancia". A differenza del segretario del suo partito. "Angelino è un caro ragazzo. Ma fa fatica ad avere presa su quella fetta di paese scontento e disperato". È lo spartiacque del leader Pdl, "chi vuole andare col governo delle tasse ci vada pure, Angelino scelga con chi stare, io ho lanciato un'operazione verità". Con lui o contro di lui, ormai è una partita a rompere.

(29 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/29/news/pdl_rischio_scissione-45477927/?ref=HRER2-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #89 inserito:: Novembre 15, 2012, 06:05:28 pm »

Il retroscena

Il Cavaliere prepara il colpo di scena "Il candidato non sarà comunque Angelino"

L'ufficio di presidenza del Pdl si è trasformato in un vero e proprio psicodramma.

Berlusconi cerca un'alternativa e studia la nuova discesa in campo: solo io posso.

Il leader del Pdl ha già fissato per il 26 gennaio la data per il secondo "predellino"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Io continuo a cercare un candidato premier. Angelino vincerà pure le primarie, ma con lui rischiamo di straperdere le politiche ". Quando in serata inoltrata i dirigenti del Pdl e poi i giornalisti convocati in conferenza stampa lasciano il parlamentino di Palazzo Grazioli, dopo cinque ore di "psicodramma" di partito, Silvio Berlusconi assicura ai suoi che quel "dinosauro" lo tirerà fuori per davvero. Che lo choc ci sarà e sarà "rivoluzione". Un leader esterno. Ma se non sbucherà dal cilindro il "Berlusconi in stile '94", allora lui stesso è pronto a giocarsi la sua partita. Lo deve agli interessi di famiglia, alla guerra aperta con la magistratura, al popolo degli elettori che ritiene ancora di rappresentare. "Da solo valgo almeno il 10 per cento", va ripetendo focus group alla mano.

La selezione dei giovani manager d'altronde è partita. Quelli incontrati in più occasioni a Villa Gernetto. Ha sondato sul serio quello che con sprezzo Alfano definisce il "gelataio", il giovane fondatore dell'impero Grom, Guido Martinetti. C'è l'imprenditore modenese Gianpiero Samorì. Il talent scout televisivo  -  e di questi tempi forse non solo tv  -  Flavio Briatore, compagno di vacanze e forse socio di futuri investimenti in Kenya. Il neoconsigliere Volpe Pasini e Maria Rosaria Rossi. E poi i pretoriani del partito. Quelli che ancora ieri, a inizio vertice, hanno provato a caricarlo a molla per spingerlo a ritornare in pista. "Presidente, ma non lo vedi che Casini ormai va col Pd, tu non devi fare un passo indietro ma due avanti per rappresentare i moderati " lo sprona la Santanché. E come lei Giancarlo Galan. Quest'ultimo spintosi fino a un duello a muso duro con Angelino Alfano in quel vertice diventato resa dei conti. E poi Paolo Romani, Matteoli e la Bernini e ancora la Carfagna, la Prestigiacomo, la De Girolamo, Biancofiore, insomma "amazzoni", come continua ad apostrofarle in privato Alfano.

Ed è bastato attendere la conferenza stampa serale  -  convocata in fretta e furia per coprire l'immagine devastante rilanciata per tutto il pomeriggio dai lanci di agenzia su quanto stava esplodendo a porte chiuse  -  per comprendere che il Cavaliere ha altri piani. E soprattutto non ha alcuna intenzione di farsi da parte. "Metto a disposizione la mia esperienza per il paese" avverte, dopo aver chiuso una volta per tutte con Monti e il suo governo dal 2013. Non senza preannunciare il ritorno presto in tv, che per lui vuol dire campagna elettorale. Certo, ci saranno le primarie, ma per come sono state partorite dal vertice decisivo, "nascono già delegittimate ", come spiega un alto dirigente del partito. L'ex premier le ha stroncate pubblicamente dicendo che, fosse per lui, andrebbero fatte in dieci giorni e mediante call center. Come dire, le facciano pure. E si faranno, a questo punto, ma lo stesso capogruppo Cicchitto deve premettere che "se ci fosse la decisione di Berlusconi di tornare in campo, saremmo tutti intorno a lui".

La macchina che dovrà produrre lo "choc", la "rivoluzione" del resto è già in moto. I consiglieri a lui più vicini sostengono che stia attendendo l'esito delle primarie del Pd del 25 novembre. Prima di allora continuerà a lavorare sotto traccia. La data segnata in rosso per un "predellino 2" è il 26 gennaio. Più o meno in concomitanza con la data alla quale Alfano avrebbe pensato per piazzare la grande convention Pdl destinata alla sua scontata acclamazione.

Berlusconi avrebbe voluto completare già ieri pomeriggio la demolizione finale avviata da tempo. Smantellare il giocattolo delle primarie e con esse spazzare via l'intero palchetto di coordinatori, capigruppo, segretario, costretti a quel punto alle dimissioni. E a inizio vertice procedeva a colpi di piccone "le primarie sono capaci solo di alimentare le faide che i nostri elettori schifano", "ho sondaggi pessimi sul loro gradimento ", chiama il Pdl "Forza Italia ". Poi, col trascorrere delle ore, la demolizione viene congelata, rinviata. Perché dopo i pasdaran berlusconiani prende la parola Alfano e alza per la prima volta la testa e la voce prendendosela con "gelatai e barzellettieri" (o barzellettati). Si spinge fino a ventilare possibili dimissioni, se le primarie venissero cancellate ("Io non ci sto"). E dopo lui tutti i dirigenti più vicini e sono tanti, da Croseto a Fitto, da Lupi ad Alemanno e La Russa, ma anche una berlusconiana come Mariastella Gelmini invita a fare ormai la consultazione e a tenere insieme il leader e il Pdl, altrimenti si va tutti a sbattere. Nel frattempo, tutti gli ex An si erano riuniti prima del vertice riesumando il progetto di "scissione ", La Russa e Gasparri arrivano per protesta in ritardo a riunione iniziata. Ma con lo psicodramma in corso nessuno se n'è accorto.

(09 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/09/news/il_cavaliere_prepara_il_colpo_di_scena_il_candidato_non_sar_comunque_angelino-46223735/
Registrato
Pagine: 1 ... 4 5 [6] 7 8 ... 10
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!