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Autore Discussione: Paolo FLORES D´ARCAIS..  (Letto 74001 volte)
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« inserito:: Gennaio 05, 2008, 12:17:36 am »

Chiagne e fotte

Paolo Flores d´Arcais


«Chiagne e fotte» (anche contratto in «chiagn’e fotte») è una delle più note espressioni del dialetto napoletano. Indica una persona che gode di privilegi e ciononostante si lamenta, quasi fosse discriminato. Un privilegiato a cui non basta mai, insomma. Non utilizzeremo questa perspicua ed efficacissima manifestazione del logos partenopeo a proposito della recente uscita del cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Santa Romana Chiesa (quasi un vice-Papa, per capirsi), perché le attuali norme sul celibato ecclesiastico renderebbero di cattivo gusto accostare a un prelato un qualsiasi riferimento sessuale, fosse anche giocoso o metaforico. E tuttavia, sentirlo dichiarare solennemente che «il Partito democratico non deve mortificare i cattolici», quando lo sport quotidiano in detto partito sembra semmai quello del «bacio della pantofola» e di ogni altro esagerato ossequio verso la Chiesa gerarchica, lascia davvero senza parole.

Cosa vuole di più il cardinal Bertone dal neo-segretario Veltroni, con il quale dice di essersi lamentato per le «derive» («laiciste», ça va sans dire) del nuovo partito, tali che gli fanno rimpiangere Gramsci e Togliatti (sic!)? Non gli basta che il centrosinistra abbia già scaricato in soffittaun pur timidissimo disegno di legge sui Dico o Pacs o come altro li si vuol innominare? Non gli basta che dopo aver doverosamente ascoltato la richiesta dell’Europa, che chiede a tutti i Paesi membri di non accettare discriminazioni tra le diverse preferenze sessuali (richiesta che l’Europa avanza col sostegno di gran parte delle forze politiche di destra), il centrosinistra si sia già rimangiato quel gesto di elementare civiltà, con risibili scuse tecnico-procedurali? Non gli basta che il governo continui a traccheggiare di fronte a una legge ignobile, che costringe le coppie che ricorrono alla fecondazione artificiale a rischiare di concepire bambini con gravissime malformazioni, legge che per fortuna più di un tribunale ha interpretato alla luce della Costituzione? Non gli basta che il centro-sinistra continui a impinguare e locupletare le scuole clericali, in spregio di un articolo della Costituzione che più chiaro non si può? Non gli basta che nella scuola pubblica (pubblica?) siano stati fatti entrare in ruolo migliaia di insegnanti di religione nominati dalla Cei, che potranno eventualmente passare a insegnare filosofia, storia, italiano (sempre restando di ruolo, senza concorso)? Non gli basta che in barba alla famosa commissione Levi-Montalcini, si continui a NON insegnare il darwinismo nei primi anni di scuola e fino all’adolescenza (contribuendo a farli restare bamboccioni)?

Non gli basta un meccanismo truffaldino dell’otto per mille che regala alla stessa Cei ogni anno qualcosa come un miliardo di euro (per non parlare dell’esenzione dall’Ici e altre regalie feudali)? Non gli basta una televisione pubblica (a chiacchiere) dove l’editorialista quotidiano dei Tg non è un giornalista, per lottizzato che sia, ma il Sommo Pontefice (di cui ci viene propinato ogni discorso, dichiarazione, elucubrazione, anatema, glossa) e dove la fiction ormai ha superato in devozione la «Legenda aurea» di Jacopo da Varazze, e in ogni dibattito “scientifico” è presente un esorcista?

Non gli basta. Tutta la Chiesa gerarchica - e il Papa in primo luogo - si accontenterebbe infatti solo di un programma davvero minimo: l’imposizione per legge a tutti i cittadini dei «valori non negoziabili», cioè della morale clericale su vita, morte, sessualità, educazione, ricerca scientifica. E questo centro-sinistra su qualche dettaglio ancora recalcitra. Sempre meno, del resto, visto che di fronte all’affondo anti-aborto del trio Ferrara-Ruini-Bondi (in ordine rigorosamente cronologico) e alla dichiarazione sanfedista della senatrice Binetti che voterà con Forza Italia, nessuno ha pronunciato l’ovvio “non possumus” laico, col suo inevitabile corollario: o lei (e altri sanfedisti come lei) o noi.

Le pretese di Bertone (che sono poi quelle di Ratzinger) non fanno che riportare in auge gli anatemi del Sillabo. I «valori non negoziabili» sono gli stessi di allora, solo che ora non li si invoca più contro le democrazie, si vorrebbe che diventassero la Costituzione stessa delle democrazie. Di fronte a tanta totalitaria pretesa, quello che lascia sgomenti è proprio la mancanza di reazione di chi si professa democratico.Perché, la laicità o il laicismo coerenti, che esigono uno Stato neutrale rispetto alle diverse morali di gruppo e personale, dove dunque si legiferi secondo il principio di Grozio («Etsi Deus non daretur», come se Dio non ci fosse), non costituiscono un estremismo ateo di segno analogo e contrario all’estremismo clericale che vuole imporre a tutti la propria morale per legge. L’opposto speculare di tale pretesa sarebbe quella di uno Stato che pretenda di imporre per legge, a tutti, l’aborto in caso di malformazione, o dopo «x» figli (per via della sovrapopolazione). O vieti l’insegnamento della religione, e a scuola abbia un’ora di «ateismo» settimanale. O in nome di una morale edonista esiga l’eutanasia per tutti i malati terminali in balia della sofferenza. O che, per stroncare la piaga delle ragazze madri, renda obbligatorio l’uso della pillola per tutte le minorenni. E via costringendo.

Tutte cose che un laico non si sognerebbe mai di chiedere. Perché laico significa democratico, e democratico significa laico. In una democrazia liberale i due termini si implicano a vicenda. E significano uno Stato che non impone a nessuno la morale di altri, ma rispetta la morale autonoma di ciascuno (fino a dove non distrugge l’autonomia dell’altro, ovviamente). Dunque, uno Stato che non impone a nessuno il divorzio, ma a nessuno impone l’indissolubilità del matrimonio. A nessuno impone la contraccezione, ma non impone le contorsioni dell’Ogino-Knaus a chi la contraccezione (sicura) la vuole praticare. A nessuno impone l’aborto terapeutico, ma a nessuno impone la nascita di un figlio non voluto. A nessuno impone l’eutanasia, ma a nessuno impone la tortura di una sofferenza terminale inenarrabile. A ciascuno, invece, garantisce la libertà di scelta.

Questa è l’autentica moderazione del laicismo più intransigente, il suo «giusto mezzo»: non tollerare che una parte della società imponga all’altra la propria morale, che un gruppo prevarichi facendo del proprio volere morale il dovere della totalità dei cittadini, ma rispettare l’autonomia morale di tutti e di ciascuno. Questi sono gli unici valori non negoziabili che dovrebbero accomunare, senza se e senza ma, tutti i democratici, di tutti i partiti (e più che mai di chi così ha deciso di chiamarsi).

Pubblicato il: 04.01.08
Modificato il: 04.01.08 alle ore 9.02   
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 29, 2008, 05:03:48 pm »

La mossa Montezemolo

Paolo Flores d´Arcais


La campagna elettorale è già cominciata. E i politici, quanto più hanno in mente solo i loro interessi di bottega, tanto più vociferano di «bene del Paese». Vedi Fini e Berlusconi, quest’ultimo addirittura minacciando oceaniche marce su Roma se il presidente Napolitano non indice le elezioni seduta stante.

Eppure, anche i sassi sono consapevoli che una campagna elettorale con la attuale «legge porcata» (definizione dei suoi autori di centro-destra, non nostra) sarebbe foriera solo di un aggravarsi della situazione italiana già precaria, più che precaria, quasi disastrosa. Che andare subito alle urne sarebbe una iattura non lo dice solo Veltroni (che potrebbe parlare pro domo sua) ma un qualsiasi osservatore europeo conservatore e di destra.

Ma il Presidente Napolitano ha le mani legate, si dirà. Se il padrone di Forza Italia non vuole, nessun “governo per un anno” è impossibile fare altrimenti. Non è così. Una adeguata “moral suasion” renderebbe il Cavaliere di Arcore non solo disponibile al “governo per un anno”, ma ne farebbe anzi un entusiasta di tale ipotesi.

Siamo perfino in grado di dimostrarlo. Eugenio Scalfari ha autorevolmente ricordato domenica su la Repubblica che se dalle consultazioni non emerge nessun nome in grado di ottenere la fiducia in Parlamento, il Presidente della Repubblica non è affatto tenuto ad indire le elezioni con il governo attualmente in carica. Ha tutto il diritto, se ritiene che così si salvaguardino meglio gli interessi della nazione (della cui unità la Costituzione lo rende garante), di affidare l'incarico ad una nuova personalità. Se poi le forze politiche si assumeranno la responsabilità di bocciarla, è con questo nuovo governo che si andrà alle elezioni.

Poniamo che il Presidente Napolitano faccia capire che, in assenza di una maggioranza bipartisan su un nome istituzionale “per un anno”, è sua intenzione incaricare una personalità fuori del Parlamento, e con questo governo, se i partiti lo insisteranno con i loro interessi di bottega (e lo bocceranno) si andrà alle elezioni. Non in primavera ma in estate, nella data più lontana che le leggi consentano.

Poniamo che faccia capire che questo nome è quello di Luca Cordero di Montezemolo, il quale gli consegnerebbe una lista di ministri di una quindicina di personalità di altissimo profilo, tutte estranee ai partiti (e magari per metà donne). Cioè esattamente lo stato maggiore del famoso nuovo Partito di Centro di cui si parla da oltre un anno. Sono (quasi) certo che sarebbe lo stesso Berlusconi a proporre il governo istituzionale “per un anno” (col programma minimo di una nuova legge elettorale, che magari restituisca agli elettori un briciolo di potere, e altre essenziale misure urgenti), minacciando magari oceani di folle a Roma se il Presi-dente della Repubblica non accoglie la “sua” proposta.

Un governo Montezemolo a me non piacerebbe affatto, sia chiaro. Ma a Berlusconi piacerebbe ancora meno. Con quasi quattro mesi di esposizione mediatica massiccia, e con il discredito di cui gode l’intero ceto politico (ciascun segmento presso il proprio potenziale elettorato di riferimento), il governo di un centro confindustrial-sindacal-ecclesiale (Pezzotta e il suo family day, nuove leve alla Marcegaglia e tecnocratici del calibro di Mario Monti), che al momento di presentare le liste diventasse Partito, toglierebbe al Cavaliere la maggioranza dei suoi elettori. E per Berlusconi, politicamente, sarebbe la fine.

Un governo Montezemolo risulterebbe detestabile anche al centro-sinistra, probabilmente. Significherebbe una sconfitta ancora più cocente di quella che i suoi dirigenti sembrano ormai avere messo in un rassegnato conto. L’ostilità nei confronti del Presidente Napolitano sarebbe quindi perfettamente bipartisan, ma il Presidente avrebbe tutto il diritto di passarci sopra (Scalfari docet, e un’ampia casistica nei sessant'anni passati), se i grandi partiti di destra e di sinistra non sono in grado di proporgli una soluzione comune “per un anno”, e lo costringono a indire comunque le elezioni. Non possono costringerlo, infatti, ad andarci col governo che loro preferiscono.

Fantapolitica? E perché mai? Di fronte al vero e proprio avvitamento della crisi italiana, che è morale, sociale, economica, politica, solo l’esercizio di una notevole “immaginazione istituzionale” (per parafrasare un grandissimo sociologo dell’immediato dopoguerra) può evitare la catastrofe. Il Presidente della Repubblica è autorizzato dalla Costituzione ad esercitarla.

p.s.

Se invece tutto avverrà in obbedienza ai veti incrociati dei partiti, è bene sapere che ci si profila il seguente tunnel: Berlusconi promette a Fini che a metà legislatura gli cede la Presidenza del Consiglio, Berlusconi e Fini stravincono le elezioni (con Casini e Bossi subalterni), Berlusconi passa la staffetta al quarto anno (magari quarto e mezzo) e alla fine della legislatura si fa eleggere Presidente della Repubblica. Al termine dei suoi dodici anni di potere la democrazia italiana assomiglierà a quello che è l’ideale di democrazia da Berlusconi fin troppo sbandierato: la democrazia della Russia di Putin.


Pubblicato il: 29.01.08
Modificato il: 29.01.08 alle ore 8.15   
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 21, 2008, 04:47:53 pm »

Lettera a Veltroni: «Torniamo in piazza»

Paolo Flores d´Arcais


Caro Walter,
le ultime mosse legislative del governo Berlusconi in tema di giustizia costituiscono o no un vulnus gravissimo alle fondamenta liberaldemocratiche di una convivenza civile? La risposta che si fornisce è decisiva per il tipo di opposizione che di conseguenza si sceglierà. A me sembra che il disegno di legge sulle intercettazioni, e il decreto sulla sicurezza (con l’emendamento ad personam blocca-processi) costringa ormai a parlare di fascismo strisciante. Non credo proprio si tratti di esagerazioni polemiche.

Perfino una personalità di proverbiale saggezza e prudenza, che non ha mai amato la politica girotondina e ha sempre aperto generosissimi crediti alla credibilità dei partiti di centro-sinistra, dai tempi di Berlinguer e passando per tutte le metamorfosi del Pci fino a Veltroni (senza dimenticare l’appoggio a De Mita) - sto parlando di Eugenio Scalfari - è arrivato a dire che se quello di Berlusconi non è già fascismo è qualcosa che sempre più pericolosamente gli si avvicina e gli assomiglia. Già da molti giorni, consapevoli della gravità della situazione, tre parlamentari dell’opposizione (che prendono il termine nell’accezione del vocabolario della lingua italiana, nel quale si menziona «un’azione di contrasto e di critica» - Devoto-Oli - ma mai di dialogo), l’on. Furio Colombo, l’on. Giuseppe Giulietti e il sen. Francesco Pardi detto Pancho, hanno reso pubblica attraverso il sito www.micromega.net una lettera a te e Antonio Di Pietro, nella vostra qualità di capi del Partito democratico e dell’Italia dei valori, nella quale vi invitavano ad indire una manifestazione pubblica (a scendere in piazza, insomma) che vedesse insieme opposizione parlamentare e società civile (quella definita «giustizialista», sottolineavano i tre parlamentari, a scanso di equivoci). Lettera sostenuta da personalità come Margherita Hack, Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, e da migliaia di cittadini che stanno firmando sul sito www.micromega.net.

Antonio Di Pietro ha risposto positivamente, a nome del suo intero partito. Di una tua risposta, invece, sui due principali quotidiani di giovedì 19 giugno, non c’è ancora traccia alcuna. Forse perché la nota che hai diramato alle agenzia costituisce un perfetto esempio di risposta-non-risposta. In essa infatti si legge che «il leader del Partito democratico condivide le ragioni che hanno spinto a promuovere l’appello. Rispetto all’iniziativa di piazza, tuttavia, almeno per il momento Veltroni non aderisce». Almeno per il momento. Che vuol dire? Che in futuro potresti? E quando, se non ora?

Oggi che tutti fanno a gare per dichiararsi cristiani, credo che un tratto squisitamente evangelico dovremmo assumerlo tutti, politici in primis: «il tuo dire sia sì sì no no, perché il di più viene dal maligno» (Matteo, 5,37). Oltretutto, in politica la scelta dei tempi è cruciale, e rispetto al disegno di legge sulle intercettazioni, che fa strame del principio secondo cui «la legge è eguale per tutti», e rende di fatto impossibile ogni indagine per tutti i crimini di establishment, la scadenza per una manifestazione è dettata dal calendario parlamentare.

Questa legge-canaglia va in discussione tra due settimane, o si scende in piazza un minuto prima che la discussione inizi oppure vuol dire che alle manifestazioni si vuole rinunciare. E per manifestare tra due settimane, e in modo unitario, opposizione parlamentare accanto a società civile «giustizialista», bisogna cominciare a lavorare subito, a organizzare subito, a mobilitarsi subito. Altrimenti è preferibile un chiaro e rotondo no, in cui ciascuno si assume le sue responsabilità (per atti od omissioni) di fronte al baratro morale e costituzionale in cui Berlusconi sta trascinando il paese.

I cittadini democratici, per i quali «la legge uguale per tutti» non costituisce un optional, troveranno comunque i modi per testimoniare pubblicamente, anche da soli, contro questo strame di legalità. Ma le forze politiche che questa protesta lasceranno senza rappresentanza in parlamento perderanno per sempre ogni credibilità di fronte ai tanti, tantissimi elettori (sempre più ex-elettori), che non capiscono l’ossimoro di una «opposizione che non esclude il dialogo».
Un caro saluto

Pubblicato il: 20.06.08
Modificato il: 20.06.08 alle ore 8.37   
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« Ultima modifica: Luglio 12, 2008, 11:10:16 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 02, 2008, 06:31:50 pm »

Appello a Veltroni: Malgrado tutto andiamo uniti

Paolo Flores d´Arcais


Walter Veltroni non verrà alla manifestazione che Furio Colombo, Pancho Pardi e io abbiamo lanciato per l’8 luglio, a Roma, alle ore 18 a piazza Navona, contro le leggi-canaglia con cui Berlusconi vuole mettere la parola fine al libero giornalismo e al principio irrinunciabile di ogni civile convivenza, la legge eguale per tutti.

Il rifiuto di Veltroni mi ha addolorato ma non mi ha stupito.

Senza perifrasi voglio però dire che mi hanno invece stupito (e indignato) le parole usate per pronunciarlo, quel rifiuto (sempre che non si tratti di parole inventate dai giornalisti, nel qual caso immagino sarà già partita la smentita di Walter). Che senso ha parlare dei promotori come dei “soliti noti” se non un senso volutamente dispregiativo? E che senso ha aggiungere che un grande partito come il Pd non partecipa “aggratis” a manifestazioni indette da altri (che poi sarebbero i “soliti noti”, cioè Furio Colombo, Pancho Pardi e io)? Prendo le parole dalla cronaca di Repubblica, non da una testata scandalistica.

Un tono così offensivo mi spingerebbe a rispondere per le rime, a dire che “in cambio”, visto che “aggratis” non viene, siamo disposti a offrire tutto quello che abbiamo, anche se le nostre risorse sono solo la credibilità democratica e la coerenza civile di un’intera vita, e dunque non saranno mai, per genere e quantità, paragonabili a quelle che offre Berlusconi...

Ma non risponderò invece alle offese, perché qui è in gioco il cuore della Costituzione, e di fronte alla minaccia più grave che la nostra democrazia ha corso nell’intero dopoguerra tutto diventa secondario e risibile, e l’unica cosa essenziale diventa la necessaria unità per dire NO!, tutti insieme, alle leggi-canaglia del governo Berlusconi.

E per dire questo no! ORA.

Se non ora, quando? Ora infatti, non a ottobre, il governo sta facendo strame della libera stampa, dell’indipendenza della magistratura, della legge eguale per tutti. A ottobre sarà troppo tardi, ci sarà già un’altra Italia, sfigurata, e un’altra Costituzione di fatto, irriconoscibile rispetto a quella voluta sessant’anni fa dai padri costituenti usciti dalla Resistenza.

Per evitare un suo processo, Berlusconi impone la sospensione, almeno per un anno, di tutti i processi per reati che vanno dal sequestro di persona all'associazione per delinquere, dallo stupro all’usura, dal traffico dei rifiuti ai maltrattamenti in famiglia, passando ovviamente per la bancarotta fraudolenta, la corruzione in atti giudiziari, il peculato, le frodi fiscali...

In Italia la giustizia è già intasata, la certezza della pena una chimera, la sospensione (almeno per un anno) è per i delinquenti una pacchia, una manna, una promessa di impunità. Staranno brindando.

Con questa logica, volta a volta, con legge ordinaria, la maggioranza di governo deciderà quali reati perseguire e quali no. Alla faccia della “tolleranza zero”. E di fronte a questa vera e propria legge di “istigazione a delinquere”, è davvero “eccessivo” scendere in piazza ORA? Oltretutto la seconda legge-canaglia, che va in discussione alla Camera proprio l’8 luglio, è se possibile ancora più pericolosa.

Toglie alla magistratura, per una serie lunghissima di gravi reati, la possibilità di fare intercettazioni, cioè uno strumento essenziale per scoprire quegli stessi reati. E impedisce ai giornalisti di rendere conto delle poche intercettazioni legali residue. Non solo di pubblicarle, si badi, ma perfino di farne cenno. Pena alcuni anni di galera.

Con questa legge non avemmo mai saputo dell’esistenza di Tangentopoli o dell’ospedale-macelleria di Milano, dei furbetti del quartierino e di tutto il marcio di questi anni. Diventeremmo cittadini ridotti come le tre scimmiette: ciechi, sordi e muti.

E di fronte a fatti così inauditi, inconcepibili in qualsiasi sistema liberale occidentale, anche il più conservatore, è “eccessivo” scendere in piazza ORA?

Furio Colombo, Pancho Pardi ed io crediamo il contrario. E con noi i tantissimi che stanno aderendo alla manifestazione. Andrea Camilleri l’8 luglio dal palco di piazza Navona leggerà alcune delle sue nuove “poesie incivili” (quindici di esse aprono il numero appena uscito di MicroMega), da quel palco Marco Travaglio spiegherà la nascita di una vera e propria “Costituzione ad personam” e con loro parleranno Moni Ovadia, Lidia Ravera, e tanti altri le cui adesioni si stanno accumulando ora per ora, anche mentre scrivo.

E ci sarà Antonio Di Pietro, e l’intera “Italia dei valori”, che fin dall’inizio hanno dato pieno e generoso sostegno alla manifestazione. Partecipano “aggratis”, e anzi di più, senza corporativismi di partito.

E ci saranno, credo, numerosi parlamentari del Partito democratico, perché, cito sempre da Repubblica, lo stesso Veltroni ha sottolineato che “ovviamente ciascun piddì è libero a livello individuale di fare come crede”. Io tuttavia, continuerò ogni giorno, con un video dal sito www.micromega.net, a invitare Veltroni a darmi una sola “buona ragione” per non partecipare, ad accettare un pubblico confronto, a ripensarci. Che senso ha parlare della necessità di una dura opposizione e poi rifiutarsi di manifestare oggi? Solo lottando uniti da subito le lotte potranno avere in autunno maggiore efficacia. Disertare la piazza oggi significa indebolire già oggi quella di ottobre. Spero che alla fine il richiamo dell’unità, il valore più tradizionale di tutta la storia della sinistra, trascinerà anche Walter in piazza con noi l’8 luglio.

Pubblicato il: 02.07.08
Modificato il: 02.07.08 alle ore 8.18   
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 12, 2008, 11:09:21 pm »

Quello che Nanni non sa

Paolo Flores d´Arcais


Ho evitato ogni polemica, nei giorni precedenti la manifestazione di Piazza Navona - benché non mancassero le falsità, le manipolazioni, le insinuazioni (e perfino gli insulti) cui replicare -, per non offrire pretesti a chi questa manifestazione voleva ostacolare. Eviterò ogni polemica ora, dopo che una partecipazione di cittadini andata al di là delle più temerarie speranze ha dato vita a una giornata di straordinaria risposta democratica e di resistenza civile al gorgo di «putinizzazione» nel quale Berlusconi, a forza di leggi-vergogna, sta trascinando l’Italia.

Una partecipazione di cittadini clamorosa per numero, almeno centomila, con la piazza stipata modello «sardine» e le vie circostanti piazza Navona colme di persone che non riuscivano a entrare. Ed emozionante per generosità, passione politica, indomita volontà di non assuefarsi alle sirene confortevoli del conformismo e della passività. Alla grande tentazione che sempre minaccia le democrazia, quella della «servitù volontaria». Molti cittadini sono venuti da città lontane, perfino dalle isole, sacrificando un giorno di ferie, spendendo tempo e denaro, pur di non rimandare a quando potrebbe essere troppo tardi, il loro grido di libertà e di dignità. Poiché mi sono imposto di evitare polemiche, per rispetto dei centomila cittadini che hanno manifestato a piazza Navona, registro e accantono acriticamente le affermazioni di Nanni. Ma visto che, contro la putinizza-zione dell’Italia, sarebbe necessario scendere in piazza ogni giorno, sono certo che la prossima grande manifestazione democratica sarà Nanni - generosamente - a organizzarla.

Nessuna polemica, dunque. Qualche riflessione tuttavia si impone, «sine ira et studio». Quanti sono i mass-media che hanno riferito in modo onesto della manifestazione? Ce ne sono stati certamente, e non parlo solo dell’Unità, ma quanti? E stando alla Tv-Unica sembra invece che in quella piazza siano risuonate solo alcune frasi di due o tre interventi. E tutto il resto? E le altre tre ore e oltre? E le straordinarie poesie incivili di Camilleri? E le vere lezioni di democrazia «poetica» di Moni Ovadia e Ascanio Celestini? E il collegamento di commovente lucidità di Rita Borsellino? Tutti gli interventi, uno per uno, andrebbero citati, per la ricchezza di spunti che hanno offerto. E non doveva forse essere il silenzio dei media su tutto questo il principale motivo di indignazione? Non voglio però evitare di affrontare i temi che sono stati presi a pretesto per un linciaggio della manifestazione spesso precostituito in anticipo. Dunque, Beppe Grillo avrebbe offeso il capo dello Stato. Non ripeterò le argomentazioni sulla differenza tra offesa e critica, già svolte ieri analiticamente da Marco Travaglio. Voglio solo ricordare una circostanza di fatto. Una settimana fa il quotidiano Il Manifesto è uscito con una prima pagina dove campeggiava una foto enorme di Giorgio Napolitano e, a mo’ di unico titolo, una grande e inequivoca scritta: «L’ammorbidente». È più pesante il Napolitano-Morfeo evocato da Grillo o il perfido strale satirico delManifesto? Eppure nessuno dei media, per fortuna, si è stracciato le vesti per quella prima pagina assolutamente eloquente. A cosa è dovuto questo ennesimo «due pesi e due misure»?

Detto questo, a me lo stile e la logica politica di Beppe Grillo non piacciono. Non ho partecipato ai suo «V-day». Non considero il «vaffa» una conquista nella storia dell’eloquenza democratica. Ma abbiamo accettato, tutti noi promotori, che portasse in diretta il suo saluto alla manifestazione. Che Grillo porti un saluto alla Grillo mi sembra una tautologia, era del tutto immaginabile. Rispetto al suo standard di «vaffa» si è anzi contenuto, basta visitare il suo blog quotidiano per rendersene conto. Fargli portare il saluto è stato un erro-re, una concessione allo show-business, come scrive Curzio Maltese su Repubblica? È possibile, come tutte le cose controverse. Se non lo volevamo, però, dovevamo deciderlo prima e non invitarlo.

Quanto alla satira di Sabina Guzzanti, il suo stile attuale appartiene ad un genere «cattivissimo» che negli Usa (e non solo) ha pieno riconoscimento di legittimità, grandissimo spazio e milioni di spettatori, e nessuna «unanime indignazione». Durante la recente visita di Ratzinger negli Stati Uniti, oltretutto, si sono dette e scritte - in quella democrazia da tutti ipocritamente proclamata a modello - contro il Romano Pontefice cose infinitamente più pesanti della «condanna all’inferno» pronunciata da Sabina. Ma di quegli attacchi, il regime di Tg-Unico nulla ha mai fatto sapere ai telespettatori italiani. Del resto, chi dissente in genere fischia, lo hanno fatto perfino i commercianti con Berlusconi. A piazza Navona fischi non ce ne sono stati. Resta però, cosa di cui si preferisce non parlare ma di cui è doveroso parlare - col nostro linguaggio e il nostro stile - il problema della firma del Presidente della Repubblica al lodo-Alfano. Io voglio attenermi allo stile inderogabile della logica. E allora: cento costituzionalisti, a partire da numerosi presidenti emeriti della suprema corte, hanno alcuni giorni fa stilato un appello che dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio come il lodo-Alfano sia anticostituzionale. Di più: nello stesso appello hanno dimostrato analoga anticostituzionalità della norma cosiddetta blocca-processi. Tale appello è stato controfirmato sul sito web di Repubblica, al momento in cui scrivo, da oltre 136 mila cittadini. Saranno molti di più quando leggerete questo articolo.

Ora, delle due l’una. Posto che il Capo dello Stato è, secondo una definizione da tutti ripetuta, il «custode della Costituzione», o hanno ragione i cento costituzionalisti (la stragrande maggioranza della comunità degli studiosi della disciplina) e allora il presidente Napolitano non deve firmare le due leggi anticostituzionali in questione. Oppure non è censurabile che le firmi, anzi il suo è un atto dovuto, e allora hanno torto marcio quasi tutti i costituzionalisti italiani, e poiché tra loro ci sono numerosi ex-presidenti della Consulta, vorrebbe dire che la più alta corte della Repubblica è stata per anni in mano ad incompetenti. La logica non lascia scampo. Si scelga il corno dell’alternativa che si preferisce, ma non possono essere entrambi veri. Personalmente, gli argomenti dei cento costituzionalisti mi hanno convinto al centouno per cento.

Pubblicato il: 12.07.08
Modificato il: 12.07.08 alle ore 14.12   
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 14, 2008, 05:48:02 pm »

Clamoroso sondaggio: un terzo degli elettori con gli “estremisti” di piazza Navona


 di Paolo Flores d'Arcais


Renato Mannheimer ha pubblicato sul “Corriere della sera” del 13 luglio un sondaggio clamoroso sulla manifestazione di piazza Navona. Sulla base di un campione rappresentativo – per sesso, età, titolo di studio, professione, area geografica, ampiezza del comune di residenza - dell’intero corpo elettorale, solo il 55.3% giudica la manifestazione negativamente, il 15,3% non esprime giudizi, e un incredibilmente alto 29,4% la giudica positivamente.

Si badi, questi giudizi non vengono espressi sulla base di una conoscenza diretta di quanto avvenuto a piazza Navona (una diretta tv, per esempio), ma di una informazione (per la maggior parte degli italiani esclusivamente televisiva) che ha violentemente manipolato e distorto i fatti, ha “demonizzato” l’evento, ha cancellato come inesistente la maggior parte degli interventi, e ha ridotto quella che – se fosse giornalismo - dovrebbe essere una cronaca imparziale, ad alcune battute estrapolate da due interventi di due comici.

Malgrado questo, malgrado la tv abbia fatto di tutto (e di più) per presentare la manifestazione come ignobile, vergognosa, estremista (senza mai dire nulla dei suoi veri contenuti), le cifre del giudizio del corpo elettorale lasciano felicemente sbalorditi. Proviamo a confrontare i numeri di Mannheimer con i risultati elettorali di alcuni mesi fa. Il 15,3% che si astiene dal giudizio corrisponde, se si votasse, a chi non si reca alle urne, o vota scheda bianca e scheda nulla. Perciò il 29,4% che approva la manifestazione equivarrebbe, in termini di voti validi, al 34,7%. Il partito di Veltroni, alle scorse elezioni, ha ottenuto il 33,2.

Altro che estremisti isolati, dunque. Oltre un terzo del corpo elettorale che si esprime, sta dalla parte di piazza Navona. Neppure ai tempi di piazza san Giovanni nel 2002 il riscontro di opinione era stato tanto positivo. E allora i cittadini avevano potuto seguire la manifestazione in diretta su “La7” e i telegiornali, benché non abbiano praticato neppure allora una “imparzialità anglosassone”, erano restati ben lontani all’indecenza di manipolazione del TgUnico dei giorni scorsi.

Ma ancora più clamorosi sono i dati di Mannheimer nella loro forma disaggregata, riferita ai vari settori del corpo elettorale. Sempre trascurando gli astenuti, e quindi ricalcolando le percentuali in relazione ai soli “voti validi”, il 23% degli elettori leghisti (praticamente uno su quattro!) “vota” per piazza Navona. E a favore della manifestazione si esprime perfino il 14% degli elettori di Berlusconi/Fini (probabilmente molti di più tra gli ex di Alleanza nazionale che non di Forza Italia). E’ evidente, insomma, che un’opposizione coerente e intelligente, capace di mostrare come “giustizialismo” e “garantismo” siano due facce di una sola medaglia, quella di una intransigente POLITICA DELLA LEGLITA’, può strappare consensi popolari, di massa, nello schieramento opposto, tra cittadini illusi dalle sirene populiste ma rapidamente delusi (se l’opposizione si oppone, anziché dialogare e offrire puntelli) dalla evidente logica dell’interesse “particulare” di Berlusconi a cui si piega tutta la sua coalizione.

Infine, tra noi “estremisti” di piazza Navona (ripeto: nella versione demonizzante delle tv) e Veltroni che quella manifestazione condanna, la maggioranza degli elettori di Veltroni non ha dubbi, sta con piazza Navona, 48,2 contro 39,2, il che, ricalcolato senza tener conto del 12,4 di astenuti, significa 55% con piazza Navona contro il 45% col segretario del Pd. Che dunque, contro un candidato di piazza Navona, perderebbe oggi le primarie dentro il suo stesso partito!
Chi ha parlato di fallimento della manifestazione, e di irresponsabilità di chi l’ha promossa, ha materia su cui riflettere, se gli resta ancora qualche oncia di buonafede. Perché un conto è sostenere che in una manifestazione politica si preferirebbe ascoltare certi accenti e toni piuttosto che altri, fin qui siamo nel campo delle preferenze soggettive (io stesso ho le mie, molto nette). Un conto è parlare di fallimento e di irresponsabilità, con il che, in genere, si pretende di dare un giudizio “oggettivo”, che trascura le intenzioni (anche le migliori) e guarda alle conseguenze, ai risultati (voluti o non voluti, previsti o non previsti: non averli saputi prevedere costituirebbe, appunto irresponsabilità).

I risultati sono ora sotto gli occhi di tutti. Lo stesso Mannheimer ne sembra impressionato, e riconosce che “un orientamento critico verso l’operato del Cavaliere … sta emergendo anche all’interno la maggioranza” il che “rappresenta un fatto nuovo nel panorama politico che si è evidenziato proprio a seguito dell’evento di piazza Navona” (sott. mia).

Tutto questo grazie all’impegno di quattro gatti per un paio di settimane, impegno che è bastato a far da catalizzatore alle infinite energie sopite della società civile democratica, che si sono rapidamente auto-organizzate con generosità e sacrificio personale.

Che cosa potrebbe fare un’opposizione degna del nome, con le gigantesche risorse del Pd e non dei quattro gatti, lo capisce chiunque. Ecco perché ho parlato tante volte di “inciucio per omissione”.

Ma temo che ora Veltroni, D’Alema, Rutelli, di nuovo in reciproco sgambetto permanente, abbiano deciso qualcosa di peggio: l’alleanza organica con il Partito di Cuffaro (pseudonimo: Udc). Speriamo che i militanti del Pd sappiano - prima che il Pd sia definitivamente ingaglioffito a nuova Dc - lanciare l’ultimatum: “Usque tandem abutere patientia nostra?”.

(14 luglio 2008)


« Ultima modifica: Luglio 14, 2008, 05:49:33 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 07, 2009, 12:32:50 pm »

Eluana, quale volontà?

di Paolo Flores D'Arcais


«Sia fatta la volontà di Eluana» o «sia fatta la volontà di Dio»? La famiglia Englaro aveva chiesto il silenzio stampa. "Famiglia cristiana” lo ha rotto, per mettere a frutto (clericale) le emozioni delle festività natalizie, con un editoriale tanto lugubre quanto falso (“Tutto pronto per l’«esecuzione»”) che ha un solo e irrinunciabile merito, aver posto in modo netto e non più aggirabile che due soli sono i termini del dilemma: appunto, «sia fatta la volontà di Eluana» o «sia fatta la volontà di Dio»?

Tra queste due possibilità si tratta di scegliere, al di là di questo singolo e terribile caso, mettendo al posto di Eluana il nome di un qualsiasi cittadino, per legiferare. Risulta infatti ormai evidente come la prima linea delle obiezioni clericali (la volontà di Eluana non è stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio) fosse poco più di un pretesto. Fosse stata anche messa per iscritto, filmata, certificata presso un notaio, l’ostilità clericale alla decisione dei magistrati sarebbe restata tale e quale. Tanto è vero che la legge che il governo proporrà, grazie all’attivismo infaticabile del sottosegretario Eugenia Roccella incoraggiato dai quotidiani interventi di oltretevere, stabilisce che il nutrimento artificiale sarà comunque obbligatorio, anche contro la volontà solenne del paziente.

Ogni ricamo retorico è ormai perciò inutile e non potrebbe confondere nessuno. La volontà del cittadino o la volontà di Dio? Questa, e nessun’altra, è la decisione che si deve prendere. In uno Stato laico la risposta dovrebbe suonare ovvia. La volontà di Dio si esprime sempre e solo attraverso la voce di un uomo, la volontà finitamente umana di chi pretende di parlare in Suo nome, e ha un significato solo per il credente e non può vincolare che lui, e del resto è diversa quanto diversi sono i gruppi di credenti a la loro ermeneutica della volontà divina. I cristiani valdesi ammettono il diritto all’eutanasia, e altrettanto fanno cristiani cattolici come Hans Küng, Giovanni Franzoni e tantissimi altri nell’Urbe e nell’Orbe.

La Costituzione italiana, non a caso, stabilisce in modo inoppugnabile che è diritto di ogni cittadino rifiutare qualsiasi genere di cure, anche se tale rifiuto porta a morte certa, e ripetute sentenze della magistratura, fino alla Cassazione, hanno ormai sistematicamente applicato il principio. La giaculatoria ricorrente, secondo cui la vita è un bene “indisponibile”, è solo l’ultimo sotterfugio con cui si tenta colpevolmente di rovesciare il dettato costituzionale. Applicare o togliere una macchina, senza la quale la vita cesserebbe, è sempre una decisione, che verrà perciò presa da qualcuno. La decisione, e la vita, è sempre e comunque, perciò, nella disponibilità di qualcuno, ci si trovi di fronte al malato terminale o al neonato che abbandonato alla “natura” non sopravviverebbe.

Perciò, se la tua vita non è nella tua disponibilità, caro lettore (adulto e titolare dei diritti di cittadino), sarà inevitabilmente nella disponibilità di qualcun altro, essere umano finito e fallibile come te. Dichiarare che di fronte alla possibilità di accanimento terapeutico il tuo testamento biologico non può dire “no” anche alla nutrizione artificiale (che come dice la parola stessa non ha nulla di “naturale”), perché la tua vita è comunque “indisponibile”, è solo il modo ipocrita per dichiarare che essa è a disposizione degli ideologi clericali e della decisione che essi vogliono imporre a te come sovrana. Ipocrisia, ma anche viltà: dichiarano la vita “indisponibile” perché non hanno più neppure il coraggio di affermare che la tua vita non appartiene a te ma appartiene a Dio, e che della volontà di Dio, che perfino a molti credenti appare indecifrabile (e a ogni teologia risulta imperscrutabile quanto al senso del male), essi sono gli unici depositari autorizzati.

Trascuriamo pure i sintomi di delirio di onnipotenza che sarebbero lecitamente sospettabili in chiunque presuma di conoscere la volontà di Dio, cioè di un Essere per definizione non assimilabile alla finitezza della ragione umana (e tra un essere finito e infinito non è questione di gradi ma di salto ontologico). Qui si tratta semplicemente di decidere tra libertà democratiche e pretese di teocrazia. Il nudo fatto che se ne debba discutere dimostra già l’incredibile abisso di arretramento storico e civile che sta vivendo il nostro paese. Su diritti così elementari come la propria vita non dovrebbe potersi mai esercitare la volontà di altri, fossero pure una schiacciante maggioranza (altrimenti perché non anche sulle decisioni come matrimonio, professione, partito politico, religione, ecc., che costituiscono solo aspetti della propria vita?). Ma se l’oltranzismo clericale arriverà alla dismisura di voler davvero imporre per legge, a tutti, diversamente credenti e diversamente miscredenti, la loro – relativa e parziale - morale di fine vita, e non ci fosse una Corte Costituzionale capace di abrogare all’istante un così inqualificabile tentativo di restaurazione teocratica, bisognerà che tutti i cittadini democratici si sentano fin da ora mobilitati al referendum.


06 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #7 inserito:: Marzo 17, 2009, 04:04:29 pm »

Il cardinale Barragán non è un pedofilo
(esattamente come Beppino Englaro non è un assassino)


di Paolo Flores d'Arcais, da l’Unità, 13 marzo


Se un personalità italiana molto importante, e magari con un altissimo incarico istituzionale o governativo, per alcune settimane si permettesse in modo sistematico, attraverso comunicati stampa, interviste ai quotidiani, dichiarazioni televisive, di sostenere che “il cardinal Barragán è un pedofilo”, i nostri politici e i loro media giudicherebbero tali esternazioni come la lecita manifestazione di una libera opinione, oppure troverebbero normale che parta una denuncia per diffamazione e calunnia, con l’augurio di una condanna esemplare? Noi staremmo dalla parte di Barragán, toto corde.

Ora, la pedofilia è un crimine gravissimo e odiosissimo, anzi mostruoso, ma non risulta che l’omicidio sia poi tanto meno grave. Eppure, per settimane il cardinal Barragán, e altri cardinali, e un codazzo di parlamentari e di “buoni maestri” di tutte le risme, non hanno fatto altro che trattare da assassino, omicida, killer, Beppino Englaro, e i medici e gli infermieri, e i magistrati di tutte le istanze (fino alla Cassazione) che hanno infine consentito che le volontà di Eluana Englaro sul proprio corpo fossero rispettate.

Nessuno si è stracciato le vesti. Nessuno si è indignato per una diffamazione con i toni del linciaggio. Nessuno nell’establishment, vogliamo dire. Anzi, l’accusa di omicidio formulata da un gruppo di cittadini di una delle tante organizzazioni clericali che usurpano il diritto di parlare “a nome della vita”, salvo voler togliere a ciascuno la possibilità di decidere sulla propria e arrogarselo per sé (millantano infatti un filo diretto con Dio), ha dato luogo da parte della procura di Udine all’iscrizione di Beppino Englaro nel registro degli indagati. Come “atto dovuto”, si è detto.

E quando Beppino Englaro, tacciato da delinquente, ha fatto sapere che i suoi avvocati stanno decidendo se e come far partire una serie di querele (che nel caso ovviamente riguarderebbero anche i cardinali calunniatori) il tono prevalente sui media ha oscillato tra l’imbarazzo e la deprecazione: Beppino Englaro è un esagerato, come minimo, in realtà ora si mette a far politica, ad aggredire la Chiesa con gli strumenti giustizialisti, eccetera.

Se fossimo cristiani dovremmo sottolineare che tutti questi cardinali (e onorevoli al seguito) sembrano decisi fino alla protervia nel praticare una regola (“fai agli altri quello che NON vorresti fosse fatto a te”) che rovescia completamente quanto i vangeli attribuiscono alla predicazione di Gesù il Galileo. Dunque, o non conoscono i vangeli, o li detestano.

Speriamo che qualche cristiano si ribelli, e soprattutto che la giustizia di una Repubblica che dovrebbe essere laica e democratica rifiuti i “due pesi e due misure”.

(13 marzo 2009)
da temi.repubblica-online.it
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« Risposta #8 inserito:: Aprile 30, 2009, 05:07:35 pm »

Laicità

La piscina col velo islamico, ovvero la santa alleanza dei clericalismi


di Paolo Flores d'Arcais

La decisione della piscina “Siloe” di Bergamo, di riservare un’ora al nuoto “islamicamente corretto” (solo donne, costume testa-piedi approvato dai mullah) costituisce l’ennesimo episodio di sudditanza della convivenza civile al clericalismo. Il fatto che si tratti di clericalismo islamico non cambia nulla: sempre una resa dello Stato laico è. Un clericalismo di minoranza non cessa di essere clericalismo, e la somma di due clericalismi non diventa tolleranza, e meno che mai integrazione. L’integrazione si realizza solo sulla base del pieno dispiegarsi dei diritti individuali, della autonomia di ciascuno (uomo e donna), non sul moltiplicarsi delle sudditanze e dei divieti. E la ghettizzazione delle donne è l’esatto opposto della autonomia. E’, al massimo, servitù “volontaria”, dove il carattere “volontario” va corretto dalle infinite virgolette di una condizione materiale, sociale, culturale, che vanifica la possibilità di libera scelta.
Che la piscina in questione sia di proprietà della curia di Bergamo, sia insomma uno degli infiniti beni immobili della Chiesa cattolica gerarchica, è sommamente significativo. L’ora natatoria islamico-clericale, promossa dai vertici diocesani clerico-cattolici, verrà sbandierata come un fulgido esempio di dialogo interreligioso, di iper-ecumenismo, alla faccia dei critici (soprattutto cristiani) di Papa Ratzinger, che hanno osato parlare di un suo “abbandono” del Concilio Vaticano II. E di un ancor più fulgido esempio del magistero civile della Chiesa, ultimo baluardo ormai agli egoismi, divisioni e derive di razzismo che stanno saturando la società italiana.
Balle. Quali che siano le intenzioni (che vogliamo considerare buone, anzi eccellenti, e perfino progressiste, aprioristicamente), ciò che si è realizzato è solo una santa alleanza dei clericalismi che ribadisce la subordinazione della donna in seno a una parte (probabilmente non piccola) delle famiglie di immigrati, e anzi tale subordinazione legittima e santifica, lanciando così un messaggio ai tantissimi nostalgici italici delle prevaricazioni di sesso (ancora fin troppo correnti, malgrado la parità giuridica). A conferma, se ce ne fosse bisogna, che laicità ed eguaglianza fanno corpo unico, non si può ricercare l’una senza l’altra. E che non si può combattere un clericalismo e difenderne un altro (sia detto per i leghisti d’ordinanza, che per gli immigrati non vogliono l’eguaglianza laica ma la falsa “integrazione” cattolica).

(30 aprile 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Maggio 21, 2009, 02:53:18 pm »

21/5/2009

Fini, i laici e i diktat vaticani
   
PAOLO FLORES D'ARCAIS


Sullo strappo del presidente Gianfranco Fini, «La fede fuori dalle Camere» (La Stampa di martedì) abbiamo pubblicato ieri una lettera di Giovanni Gennari, il Rosso Malpelo corsivista dell’«Avvenire». Oggi interviene Paolo Flores d’Arcais, direttore di «MicroMega».

Il presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha pronunciato nei giorni scorsi un’assoluta ovvietà, che la legge dello Stato non deve ispirarsi ai precetti di una religione. Ovvietà in democrazia, beninteso. In una teocrazia farebbe notizia e scandalo (nell’Iran khomeinista con un’affermazione del genere finisci in galera, se ti va bene). Ora, l’ovvietà di Fini, anziché passare inosservata, è finita sulle prime pagine, ha fatto scandalo, ha scatenato lo «stracciarsi le vesti» ormai d’ordinanza. Applichiamo perciò la logica più elementare: se quella che in democrazia è un’ovvietà, ma in una teocrazia è una notizia, da noi suscita clamore, vuol dire che questo Paese già non è più una democrazia, e che nell’establishment le pulsioni teocratiche sono assai forti, e in Parlamento addirittura maggioritarie.

Va da sé: la pulsione teocratica in Italia non si esprime nella forma khomeinista canonica («il Corano è la nostra Costituzione» - anche perché: ve li immaginate Berlusconi e Bagnasco a prendere sul serio il Vangelo?), ma come servitù volontaria ai diktat del Vaticano. Che hanno solo la sottigliezza teologica di non presentarsi come precetti della fede, dogmi del Ratzinger di turno, ma come «evidenze» della «natura umana». Se non è zuppa è pan bagnato: la «natura umana» secondo un laico libertario ha «evidenze» opposte a quelle della Chiesa gerarchica. I laici libertari non appartengono dunque al genere «sapiens sapiens»?

Ora, benché sfugga ai Gennari, Formigoni e altre Roccella, in una democrazia liberale la maggioranza dei voti non è tutto, prima di tutto viene l’autonomia di ciascuno sulla propria vita e la propria libertà. Se una maggioranza parlamentare, anche schiacciante, votasse il battesimo cattolico obbligatorio per ogni nascituro, noi non saremmo più una democrazia, meno che mai se un successivo referendum ratificasse plebiscitariamente questa teocratica violenza.

A maggior ragione sulle questioni «eticamente sensibili». Sulla tua vita (e dunque anche fine-vita), amico lettore, o decidi tu o decide un altro. Ma se sulla nostra vita può decidere sovranamente l’on. Lupi, sulla sua potrà domani decidere la tua volontà, o la mia, o di chiunque detenga una transitoria maggioranza. Mostruosità. Che i nipotini di don Giussani (o di mons. Escrivá de Balaguer) accettano solo in una direzione. Stalin voleva imporre a tutti l’ateismo di Stato. I catto-khomeinisti di Berlusconia vogliono imporre a tutti i malati terminali (o vegetativi permanenti) la tortura di Stato. No.

da lastampa.it
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« Risposta #10 inserito:: Luglio 09, 2009, 10:23:42 pm »

9/7/2009
 
Marino, il Pd e la quadratura del cerchio
 
 
 
 
 
PAOLO FLORES D'ARCAIS
 
Ignazio Marino, candidato alla segreteria del Partito democratico, è solo un «terzo incomodo» o ha delle effettive possibilità di riuscire? Provo ad esaminarle, queste possibilità, sine ira et studio, prescindendo cioè da ostilità o simpatia verso la politica e le qualità umane del candidato (benché, per trasparenza: la mia simpatia è netta e dichiarata).
Basandoci sulle precedenti esperienze, se le primarie saranno un successo vedranno una partecipazione popolare oscillante tra i quattro e i sei milioni di cittadini. Marino, per diventare segretario, dovrà raccogliere due o tre milioni di consensi. Una cifra enorme, in apparenza assolutamente proibitiva per chi non dispone di nessun apparato e meno che mai di significativi appoggi mediatici.

Impresa da superman
Tra quanti si recheranno ai gazebo vi sarà una quota di cittadini che alle scorse elezioni hanno votato Pd in modo convinto. Tra loro Marino non potrà raccogliere consensi, in questo settore saranno Bersani e Franceschini a dividersi l’en plein. Diversamente tra quanti hanno votato Pd «turandosi il naso». Qui Marino dovrà essere in grado di competere e magari superare i suoi antagonisti, di risultare più credibile come innovatore radicale rispetto alle divisioni tradizionali di una nomenklatura tanto rissosa quanto sclerotica (e sistematicamente perdente). Ma neppure questa notevole performance basterebbe a farlo prevalere nel conteggio finale.

Per vincere Ignazio Marino dovrà essere capace di un autentico exploit: portare ai gazebo centinaia e centinaia di migliaia di cittadini (in realtà più di un milione, almeno) che ormai il Partito democratico neppure lo votano, che di quel partito detestano l’intera casta dirigente, che alle europee hanno preferito votare Di Pietro (magari con mille riserve) o i due partitini della sinistra (malgrado la quasi certezza di un mancato quorum), o addirittura sono restati a casa, condannando Pd e Berlusconi come sostanzialmente equivalenti.
Se non riesce in questo, Marino è condannato a una presenza di testimonianza. Più o meno dignitosa ma programmaticamente perdente. Buona per garantire un futuro e una forza di «corrente» a qualche ambizioso «giovane» o meno giovane, ma nulla di più. Ignazio Marino è stato tuttavia tassativo: questo obiettivo non lo interessa. Vuole diventare segretario per voltare pagina e dare vita ad un Pd con una sola corrente, quella dei circoli, dei militanti di base, del popolo delle primarie.

Tiriamo le ineludibili conseguenze logiche. Il 25 ottobre Marino dovrà aver convinto due o tre milioni di persone, in larga misura cittadini «anti-politica» o «anti-partito», secondo le definizioni correnti e d'ordinanza (altamente ingannevoli, in realtà). E molte decine di migliaia dovrà addirittura convincerli ad iscriversi al Pd entro il 21 luglio, cioè subito, per partecipare alla prima fase congressuale (nella quale si deve raggiungere una certa percentuale di delegati, altrimenti si viene esclusi dalle primarie).

Dalla parte dei sognatori
E’ dunque a questi cittadini, in genere stigmatizzati dai vertici Pd come girotondini, giustizialisti, sognatori estremisti, e chi più ne ha più ne metta, che Marino deve in primo luogo e prevalentemente rivolgersi, se davvero vuole vincere. Di più: deve convincerli, coinvolgerli, galvanizzarli, entusiasmarli. Essere ai loro occhi assolutamente e costantemente credibile, poiché si tratta di cittadini che fin troppe volte si sono spesi con passione civile e generosità e sono stati sistematicamente delusi e traditi da vertici che santificano un solo principio: «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare».

Si dirà che è la quadratura del cerchio, perché Marino è un moderato e «quelli» sono estremisti. Falso. Il presunto estremismo di girotondi e giustizialisti si riduce nel considerare l’applicazione coerente della Costituzione il programma massimo per oggi e per domani, e la legge eguale per tutti, cioè egualmente garantista (o severa) per lo scippatore da strapazzo o gli infiniti Madoff nostrani, una politica irrinunciabile e non una chiacchiera retorica. E il welfare un bene da radicare e allargare, non da gettare al macero. E ogni posto e concorso da assegnare secondo merito, non secondo nepotismo (o peggio, «mignottocrazia», secondo la definizione di un berlusconiano d’annata quale Paolo Guzzanti, vicedirettore di Il Giornale).

Non credo proprio che Ignazio Marino trovi qualcosa di estremista in queste articolazioni di patriottismo costituzionale. La sua differenza radicale, quasi antropologica, rispetto a uomini e donne di nomenklatura e casta, è la serietà, la coerenza tra dire e fare, il sì sì, no no del vangelo di Matteo, «perché il di più viene dal maligno». Che è anche la bussola girotondina e giustizialista. Marino può farcela, la quadratura del cerchio è possibile. Basta che lo voglia.


da lastampa.it
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« Risposta #11 inserito:: Agosto 02, 2009, 02:56:39 pm »

Pd: istruzioni dettagliate per estromettere i dirigenti con cui “non vinceremo mai”


di Paolo Flores d'Arcais

Cari amici e compagni, ma soprattutto concittadini, vi chiedo solo alcuni minuti di attenzione. Con questi dirigenti (del Partito democratico) non vinceremo mai. Se non vogliamo tenerci Berlusconi a vita, dunque, questi dirigenti dobbiamo estrometterli tutti. Il meccanismo del congresso e delle primarie lo consente. Oltre ai due candidati di nomenklatura ve ne è un terzo, Ignazio Marino, che viene dalla società civile.
Il regolamento congressuale prevede che ogni candidato possa essere sostenuto da più liste. Propongo di dare vita ad una lista dal nome provvisorio “girotondi per Marino”, per indicare un sostegno che viene da quanti hanno rifiutato con le lotte ogni ipotesi di inciucio, perché giudicano quello di Berlusconi un regime putiniano che sta riducendo l’Italia in macerie (morali, istituzionali, sociali, culturali, economiche…).
Per questa lista propongo undici semplici ma irrinunciabili impegni programmatici, che potrete leggere qui sotto. Un programma esaustivo imporrebbe molti altri temi, ma di programmi chilometrici e puntualmente disattesi ne abbiamo visti fin troppi.
Il meccanismo per presentare una lista impone che si trovino mille candidati per l’Assemblea nazionale (che verrà eletta dalle primarie), divisi nei diversi collegi elettorali. Tali collegi corrispondono in genere alle province, tranne alcune province dove in proporzione alla popolazione vi saranno più collegi. Queste liste di collegio dovranno essere controfirmate da cinquanta iscritti al Pd dello stesso collegio. Grosso modo si dovranno trovare circa 7/8 mila firme. Il tutto entro settembre.
Tutto ciò è difficile ma non è impossibile.
Per questo chiedo a coloro che condividono gli undici punti e sono iscritti al Pd di mandare all’indirizzo girotondipermarino@gmail.com nome, cognome, provincia e città di residenza, circolo del Pd a cui si è iscritti, disponibilità a firmare ma anche ad essere candidati, e altri elementi della propria biografia di impegno politico che ritengano utile comunicare.
A loro, e a coloro che non sono iscritti al Pd, chiedo di far circolare il più possibile questo appello (pubblicato anche su facebook) attraverso tutti i canali di cui dispongono: indirizzari mail e sms, siti web, gruppi di facebook, ecc.
Coinvolgere ottomila persone, senza uno straccio di apparato organizzativo, per pura passione civile, senza prospettive di cariche e prebende, sembra una follia. Ma sono milioni i concittadini democratici che vorrebbero un nuovo partito senza i dirigenti con i quali “non vinceremo mai”. Nell’ultimo anno l’esodo dei voti dal Pd ad altre liste o al non-voto è stato esattamente di quattro milioni. Questa follia è dunque possibile. Possiamo estrometterli dal Pd e fare di questo partito uno strumento per cacciare Berlusconi. Se ciascuno di voi si impegna davvero ci riusciremo. E allora il Palavobis, piazza san Giovanni, piazza Navona, e tante altre manifestazioni, non saranno state inutili. Aspetto con fiducia le vostre mail.

UNDICI PUNTI

1 - Misure anti-Casta: abolizione delle province, una sola Camera legislativa di cento deputati, un Senato di “difensori civici” formato dai sindaci delle prime 50 città e da quelli di altre 50 a sorte e rotazione fra tutti i comuni con più di 5 mila abitanti. Riduzione del numero dei consiglieri nelle assemblee regionali e comunali, e nessuna retribuzione (neanche sotto forma di rimborsi spese). Limitazione o abrogazione delle varie assemblee di circoscrizione o municipio. Proibizione di consulenze, le istituzioni si servono dei loro funzionari. Tetto al numero di impiegati comunali, e soprattutto di dirigenti e manager, in rapporto al numero di abitanti (oggi in Sicilia 5 o 6 volte di più rispetto a comuni “virtuosi” del nord). Abolizione di benefit per gli ex (oggi un ex presidente del consiglio di un’era fa ha ancora diritto all’autista). Legge elettorale con primarie incorporate al primo turno e dunque vincolanti.

2 - Opposizione intransigente e sistematica, senza alcuna tentazione di inciucio anche soft. Utilizzazione di tutti gli strumenti legali, parlamentari e nella società civile (dal filibustering parlamentare alle manifestazioni di piazza, alle campagne telematiche di denuncia, alla creazione di una televisione d’opposizione sul digitale…), per liberare l’Italia dal regime putiniano di Berlusconi, che sta riducendo il paese a un cumulo di macerie sotto il profilo morale, costituzionale, sociale, culturale, economico.

3 - Per il Partito democratico, proposta di tenere primarie di coalizione per la scelta dei candidati già alle prossime regionali (con ciò si apre già all’unità con i potenziali alleati, tra i quali NON può essere l’Udc di Casini e Cuffaro). Impegno generale: sì sì, no no (Mt. 5,37) e mai più “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Valutare su questo criterio le persone che aspirano a fare politica. Assoluta coerenza rispetto ai valori della Costituzione. Ovviamente nessun candidato che abbia avuto anche solo un rinvio in giudizio (tranne casi clamorosi di persecuzione politica, e per tali eccezioni assumersi la responsabilità con una campagna di denuncia).

4 - La legge eguale per tutti in garantismo e/o in severità. Di conseguenza: abrogazione di tutte le leggi ad personam, abrogazione della prescrizione una volta che ci sia il rinvio a giudizio, riduzione di un grado di giudizio (appello solo in casi “americani”, unificato con Cassazione), reintroduzione per la falsa testimonianza della severità di alcuni anni fa, aggiunta dei reati (da considerare gravi) di oltraggio alla corte e ostruzione di giustizia (manovre dilatorie, ecc.), raddoppio (o almeno incremento del 50%) delle risorse per la giustizia.

5 - Sicurezza per il cittadino comune, abolizione dei tre anni di indulto e della reiterabilità della condizionale, e delle pene ridicole per una serie di reati di violenza, a partire dal teppismo serale di gruppo. Introduzione del reato di riduzione in schiavitù, con ergastolo, per la tratta di prostitute dall’estero con inganno, minacce, violenza, e per il lavoro nei campi (raccolta pomodori, ecc.) in condizioni di ricatto e minacce. Tipologie e pene per i reati economici alla Madoff, a partire dal falso in bilancio. Speciale omicidio colposo per gli omicidi bianchi, con pene di carcere severe per tutta la filiera dei responsabili. Azione contro il lavoro nero e clandestino che colpisca il datore di lavoro al punto da dissuaderlo (unica via per diminuire il flusso di clandestini: è in questa chiave che va presentata, per disinnescare il leghismo).

6 - Azione sistematica contro l’evasione fiscale, presentata come un vero e proprio furto “ai vostri danni”. Patto esplicito di utilizzare metà dell’evasione recuperata per ridurre le tasse per i redditi fino a 40 mila euro annui. Semplificazione delle procedure per la denuncia dei redditi del lavoro non dipendente. Riduzione del 25% delle tasse per il reddito da commercio e piccolissima impresa (rispetto allo stesso reddito da lavoro dipendente o di libero professionista), ma misure semplici e rigorose, e duramente sanzionate, insomma draconiane, per l’evasione. Proibizione di conti e società nei paradisi fiscali. Salvaguardia dei piccoli negozi tradizionali e proibizione di nuovi supermercati (se non fuori dei “raccordi” che delimitano le città). Mercati rionali solo per produttori diretti e biologici (saltando le mediazioni).

7 - Energie rinnovabili e smaltimento rifiuti, applicazione in Italia di esperienze già fatte all’estero (e che alcune ditte italiane propongono senza successo, perché farebbero risparmiare, cioè ridurrebbero costi e relative tangenti per comuni, province, regioni: posso fornire alcuni contatti).

8 - Informazione: principio generale, concorrenza pluralista massima nel settore privato (vero capitalismo e vero mercato!). Servizio pubblico su modello BBC e Bankitalia, sottratto effettivamente alla politica (ma prima va fondato, su basi di imparzialità, abrogando la Rai e sostituendola con un ente completamente nuovo). Riduzione radicale degli spazi pubblicitari, al minimo consentito dalla normativa europea, in modo che molte risorse si trasferiscano al cartaceo. Abrogazione di qualsiasi sostegno pubblico alle pubblicazioni private e politiche, ma incentivazione agli abbonamenti attraverso la quasi-gratuità e la puntualità del recapito.

9 - Contro il lavoro precario, abolizione del lavoro in affitto e delle forme di intermediazione speculativa (oggi un infermiere pagato 10 riceve poco più che 5, il resto va alla sua “agenzia” che lo ha affittato, e così in tutti i subappalti). Realizzazione di una agenzia per trovare e offrire lavoro, pubblica e competitiva rispetto a qualsiasi intermediazione privata.

10 - Diritti civili a partire dal principio che nessun gruppo può imporre la propria morale, e che l’individuo decide in totale autodeterminazione per tutto ciò che lo riguarda, con l’unico limite che non leda analoga autodeterminazione altrui.

11 - Laicità, applicazione della Costituzione per le scuole private (senza oneri per lo Stato, oneri di qualsiasi genere). Abrogazione dell’ora di religione. Introduzione del darwinismo fin dalla più tenera età (vedi articolo di Pievani su MicroMega che riporta esperienze pedagogiche internazionali sull’argomento). Abrogazione della presenza di autorità religiose alle cerimonie pubbliche, e di simboli religiosi in qualsiasi luogo pubblico.

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(30 luglio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Settembre 18, 2009, 11:48:10 am »

Lo sconcertante rinvio della manifestazione di sabato 19

Flores d’Arcais: Il cordoglio e l’umana pietà per i militari italiani morti a Kabul sono incompatibili con la difesa della libertà di stampa?




Il cordoglio e l’umana pietà per i militari italiani morti a Kabul sono incompatibili con la difesa della libertà di stampa? Solo a chi coltiva a una follia del genere poteva venire in mente di spostare la manifestazione di sabato, quasi che essa, in quanto di denuncia dell’attuale governo (anzi regime) debba essere vissuta come ipso facto anti-nazionale, anziché in sommo grado patriottica, come in effetti era, poiché con l’obiettivo di salvare il paese dall’abiezione in cui il berlusconismo lo sta precipitando.
La verità è che da molti quella manifestazione era stata indetta controvoglia. Nella Federazione della Stampa convive di tutto, infatti, dai giornalisti-giornalisti agli aficionados del killeraggio mediatico contro gli oppositori del regime (o anche i sostenitori del governo che solo accennino alla fronda), passando per tutte le gradazioni del giornalismo d’establishment. Le cause milionarie (megamiliardarie, se calcolate in vecchie lire) con cui l’egocrazia vuole piegare ogni residuo di libertà critica non sono cominciate infatti con i recenti casi di l’Unità e la Repubblica. Ne sanno qualcosa Antonio Tabucchi, per il quale si sono mobilitati scrittori di tutto il mondo, o Gianni Barbacetto, per non parlare delle infinite cause intentate contro Marco Travaglio. Ma non risulta che fino ad oggi la Federazione della Stampa si sia mossa in loro difesa, chiamando a manifestare.
La verità è che la manifestazione avrebbero dovuto indirla i partiti dell’opposizione, dispiegando tutte le loro forze organizzative e comunicative, affidando poi ai tre giuristi dell’appello che sta sfiorando 400 mila adesioni, Cordero, Rodotà e Zagrebelsky, tre tra le figure più alte dell’Italia di oggi, ogni decisione sugli interventi dal palco e lo svolgimento della manifestazione.
Rinunciando alla manifestazione non si dimostra un maggior cordoglio per i soldati italiani uccisi a Kabul. Si confessa solo il timore per il linciaggio mediatico che il regime avrebbe scatenato proprio con questo aberrante pretesto. Si confessa cioè la propria inadeguatezza a contrastarlo e rovesciarlo, quel linciaggio, facendo appello alla ragione e alla passione civile di decine di milioni di italiani che sarebbero stati certamente in grado di capire, e di condannare con ancora più forte convinzione un regime che avesse cinicamente strumentalizzato i morti per oltraggiare una manifestazione di libertà.

(17 settembre 2009)
da temi.repubblica.it
di Paolo Flores d'Arcais
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« Risposta #13 inserito:: Ottobre 02, 2009, 10:59:35 pm »

Disinformacija di regime

Perché “Panorama” spaccia fiction per realtà?


di Paolo Flores d'Arcais

A Giorgio Mulè, direttore del settimanale “Panorama”

Egregio direttore,
 
leggo nel numero di “Panorama” appena uscito un articolo di Giovanni Fasanella (“Scacco a Tonino in due mosse”) che riferendosi all’inchiesta sull’Italia dei valori pubblicata dalla rivista MicroMega, che ho l’onore di dirigere, ricostruisce i “retroscena” dell’inchiesta con le seguenti parole: “Raccontano che l’attacco di Flores fosse stato progettato e preparato immediatamente dopo il risultato delle europee, in una riunione alla quale avrebbero partecipato, oltre il direttore della rivista, lo stesso De Magistris, la neo-parlamentare Sonia Alfano, il deputato campano Francesco Barbato e Marco Travaglio”.

Questa la fiction del Fasanella.

In realtà: ho visto De Magistris una sola volta, a casa mia, prima delle elezioni europee. Ho registrato con lui il dialogo che appare nello stesso numero di MicroMega per telefono, senza dargli in lettura neppure una pagina dell’inchiesta (che era in corso), inchiesta che De Magistris ha potuto leggere solo acquistando MicroMega in edicola. Conosco Sonia Alfano e Franco Barbato da lettore di giornali, non avendoli mai incontrati e neppure mai sentiti telefonicamente. Mi sento molto spesso con Marco Travaglio, che oltre ad essere da oltre 13 anni una colonna della rivista è un carissimo amico, ma anche Marco ha visto l’inchiesta per la prima volta leggendo la rivista, e la sua partecipazione ad una riunione, dati i suoi impegni, la può ipotizzare solo un giornalista di fantascienza, non un giornalista-giornalista.

Il Fasanella riporta poi le parole di Aurelio Misiti, che sostiene di conoscermi “benissimo fin dagli anni settanta”, quando a suo dire militavo in Lotta Continua, di cui può così riportare un documento del 1971 in cui si parla della necessità di “porsi all’avanguardia politica e militare” del movimento, come se io condividessi (facendomi passare – l’intenzione è trasparente - per quasi terrorista). Peccato che non solo io non sia mai stato in Lotta continua, ma che nella rivistina che dirigevo negli anni citati, “Soviet”, sia stata pubblicata l’intera ultima pagina con una “risoluzione” (28 febbraio 1971) sulla necessità della “lotta politica contro l’avventurismo”, cioè contro posizioni analoghe a quelle riportate dal Misiti.

La ricostruzione della riunione, inventata dal Fasanella, parte da un “raccontano”. Chi? Certamente si tratta di persone che “ricordano benissimo” perfino peggio di Misiti.
Il Fasanella sostiene che l’inchiesta di MicroMega riferisce solo “episodi già noti”. Buon per lui. Se per il suo articolo avesse seguito anche solo in dosi omeopatiche il metodo di Marco Zerbino, che per MicroMega ha fatto riscontri incrociati su decine di episodi, il Fasanella avrebbe evitato di spacciare fiction per cronaca. Bastava, in fondo, che mi facesse una telefonata per verificare. Nel giornalismo-giornalismo si usa ancora.

(2 ottobre 2009)
da micromega-online
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« Risposta #14 inserito:: Gennaio 03, 2010, 11:49:49 am »

Caro Di Pietro l’Idv non basta


di Paolo Flores d’Arcais,
da "Il Fatto Quotidiano", 29 dicembre 2009


Antonio Di Pietro è sempre più al centro di un vergognoso tiro incrociato di menzogne, intimidazioni, contumelie, a cui si dedicano con pari abnegazione i pasdaran berlusconiani – maestri nell’odio – e le suorine inciuciste del Pd, che alla sola parola “opposizione” intonano il “vade retro!”. Il perché di questa aggressione bipartisan è semplice: Di Pietro è ormai l’unico politico a ribadire alcune verità di fatto su cui è scesa la cappa di piombo del totalitarismo televisivo: dal carattere anticostituzionale delle leggi contro la giustizia alle frequentazioni mafiose di premier e più intimi sodali, dallo sfruttamento sempre più indecente dei ceti operai e “precari” all’arricchimento esponenziale di corrotti, grandi evasori e altri gaglioffi.

Questa semplice POLITICA DELLA VERITÀ fa paura, perché raccoglie consensi crescenti e può diventare punto di riferimento delle nuove generazioni che il 5 dicembre a Roma, con il milione e mezzo di cittadini in piazza San Giovanni, hanno dichiarato solennemente la loro volontà di contare nella vita politica.

Questa situazione offre a Di Pietro una irripetibile opportunità, ma lo carica anche di una responsabilità inesorabile. Il regime berlusconiano conta infatti su due guardaspalle: il totalitarismo televisivo e la non-opposizione del Pd. Dar vita ad una nuova opposizione è dunque un compito improcrastinabile. Opposizione larghissima nel paese, assente in Parlamento.

Ne va della salvezza, anzi della restaurazione, della stessa democrazia.

Di fronte a tale compito, un mero congresso di “rinnovamento”, da parte dell’Italia dei valori, è meno di un’aspirina per curare un cancro. Passare dal 7% al 9% non cambia nulla. L’Italia ha un DISPERATO bisogno di una grande opposizione civile, di un grande Partito della Costituzione. Di una forza che può già ora raccogliere un italiano su quattro, e in un domani non lontano ambire alla maggioranza. Mi domando perché Di Pietro tentenni ancora, di fronte alla strada maestra dello scioglimento del suo partito dentro un crogiuolo da lui stesso proposto e che veda co-protagonisti i movimenti della società civile, le lotte sindacali che si moltiplicano, le nuove generazioni “viola”, la cultura “azionista” e la scienza “illuminista”. Caro Tonino, solo se avrai il coraggio e la lungimiranza di proporre questo Big Bang – per oggi, non per un fumoso domani – diventerai lo statista che puoi essere, e un’alternativa a Berlusconi.

(29 dicembre 2009)
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