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Autore Discussione: La libertà al di là della retorica della libertà. (un parere)  (Letto 2735 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 29, 2021, 12:11:36 pm »



Claudio Sanfilippo
 Dalla pagina di Andrea Zhok

La libertà al di là della retorica della libertà
Pubblicato il 21 ottobre 2021 alle 12:39

Ieri, stremato dall’ennesimo scempio argomentativo ascoltato nell’ennesima discussione su Green Pass e dintorni avevo pensato di provare a redigere (di nuovo) una sorta di vademecum con domande e risposte, magari solo per un senso di ordine mentale. Tuttavia ho l’impressione che siamo oramai andati oltre il livello in cui questo livello di ragioni poteva avere preminenza. Se non hanno attecchito a sufficienza da due mesi a questa parte, oramai siamo arrivati ad un livello ulteriore.
Sul piano di merito al di là dei mille argomenti di dettaglio in cui ci si può perdere, per stabilire l’illegittimità del Green Pass nella sua versione italiana bastavano due argomenti, semplici, e che chiunque avesse fatto un minimo sforzo di approfondimento poteva acquisire subito.

Per definire sul piano scientifico l’illegittimità del GP basta stabilire che:
1) anche i vaccinati contagiano [1]
2) nessuno è nella posizione di garantire la piena sicurezza dei preparati da inoculare ora in uso.[2]
Non ci voleva assolutamente niente altro. Ed entrambi i punti sono accertati al di là di ogni possibile dubbio (vedi un po’ di riferimenti in nota).
Il primo punto elimina alla radice la presunzione di dover “tenere alla larga” il non inoculato in quanto potenzialmente lesivo (in effetti non godendo della protezione del farmaco il non inoculato è più facilmente la parte lesa.)
Il secondo punto fornisce ragioni per lasciare agli individui il compito di soppesare pro e contro dell’inoculazione - per sé o per le persone su cui si esercita la podestà - in quanto non ci sono da considerare solo benefici.
Sotto condizioni di ragionevolezza la discussione si sarebbe dovuta concludere qua, anzi non sarebbe neanche dovuta nascere.
Ma la scelta fatta dal governo è stata diversa. Nella crescente incredulità di chi ha seguito dall’inizio quella scelta all’opposizione, il governo è andato avanti in perfetta impermeabilità come un rullo compressore. Perché lo ha fatto? Due opzioni sembrano possibili.

A) Se l’idea era quella di creare un’astuta forma di obbligo mascherato a vaccinarsi senza assumersene la responsabilità, in tal caso possiamo pacificamente concludere che il governo ha fatto un disastro, irrigidendo le posizioni di chi non voleva cedere a un ricatto, esasperando il clima sociale, danneggiando l’economia, e riuscendo nel suo intento principalmente verso chi era inutile vaccinare, cioè le fasce giovanili – desiderose di una qualche normalità. Una catastrofe. Se questo era il governo dei competenti, la fantasia non basta ad immaginare gli incompetenti.

In alternativa il Green Pass non sarebbe stato inteso mai con finalità sanitarie ma principalmente come forma di controllo sociale destinata a durare; esso opera già in effetti una selezione tra ‘concilianti’ e ‘contestatori’, e con piccoli aggiornamenti funzionali può divenire uno strumento di sorveglianza e condizionamento potentissimo (una volta introdotta la pratica sociale, qualunque ‘buona ragione’ approvata dal governo può divenire criterio per sospendere elementari diritti di vita associata, emarginando il dissenziente). Questo scenario è più machiavellico, ma molto più coerente con il comportamento effettivo del governo.
Quale sia lo scenario effettivo personalmente non lo so. Potrebbe di principio anche essere una combinazione dei due (per alcuni, i più sprovveduti tra i nostri governanti, varrebbe la prima motivazione, mentre altri, giovandosi della loro dabbenaggine, starebbero mettendo in campo un’agenda di più ampio respiro.)
Ma questo quadro manca di un aspetto più radicale, profondo, e duraturo, un aspetto che non è chiaro se sia stato previsto neppure sotto l’ipotesi più malevola.
Che sia accaduto per caso o che sia stato preparato, di fatto questa crisi ha portato in luce qualcosa che prima era inapparente: un allineamento di tutti i ‘poteri’ nazionali, inquadrati a sostegno di un unico progetto, di cui il GP è un tassello. Governo, Parlamento e Confindustria, multinazionali farmaceutiche e multinazionali del digitale, sistema mediatico e magistratura, tutti i poteri che contano si trovano in una sorta di armonioso allineamento planetario, concorde nel rigettare ogni forma di resistenza all’imposizione di questa “cittadinanza per i meritevoli”.
Certo, in ciascuno di questi ambiti ci sono singoli individui che sfuggono dal flusso principale, ma il loro impatto è irrilevante.
Ora, è importante comprendere quale sia il quadro che viene percepito da chi contesta il GP, perché esso è inedito e sconcertante, e si presenta con questi tratti:
• Si assiste ad un governo che, nonostante (o forse proprio per) la sempre minore rappresentatività democratica delle forze che lo compongono, si accoda obbediente alle volontà di un “uomo della provvidenza”, un tecnico sostenuto dai vertici UE, incoronato dai media come l’Ultima Spiaggia, l’ultima occasione di redenzione di un paese immeritevole. Il governo procede per decreti, senza nessuna opposizione degna di nota, attuando un programma definito dalle condizionalità del PNRR che nessuno ha mai discusso o spiegato, figuriamoci sottoposto al voto.
Simultaneamente Confindustria utilizza i sindacati nazionali come stuoino, imponendosi come unico interlocutore effettivo del capo del governo.
• Il sistema sanitario, snodo fondamentale nella recente vicenda pandemica, ne esce stremato e ulteriormente ridotto nella sua dimensione pubblica. Dopo gli innumerevoli cicli di ‘razionalizzazione’ passata, ora si trova di fronte ad una parziale privatizzazione di fatto, per manifesta incapacità di far fronte alle liste d’attesa, mentre il problema pandemico viene consegnato ad una soluzione ‘cost-effective’ come la vaccinazione di massa, che non lascia tracce strutturali nel SSN. Il meccanismo della vaccinazione di massa si presenta come un modo per rendere abile e arruolata una parte maggioritaria della popolazione, costi quel che costi, attraverso un’operazione che trasferisce risorse dallo stato alle case farmaceutiche, senza rinforzare un sistema terapeutico pubblico.
In questo contesto si è ‘scoperta’ anche l’influenza straordinaria dell’industria farmaceutica, da cui una medicina sempre più affidata a finanziamenti privati, anche e soprattutto sul piano della ricerca, dipende oramai in modo preponderante. In questo contesto si sono viste pressioni, denunce, sanzioni mai viste prima, verso quella minoranza di medici che si è opposto alla narrativa pandemica dominante e a protocolli di cura fallimentari (e che siano fallimentari non è opinabile, avendo l’Italia i peggiori dati di letalità Covid al mondo). Nonostante quasi due anni di balletti imbarazzanti, di dichiarazioni e smentite e giravolte, gli organismi sanitari alle dipendenze del governo esigono l’assoluta acquiescenza dell’intero comparto sanitario. Questa obbedienza letteralmente perinde ac cadaver è stata richiesta da chi nel corso di un anno ha sostenuto: immunità di gregge con il 70% di vaccinati, anzi no con l’80%, anzi no obiettivo impossibile; efficacia dei vaccini al 97%, anzi al 67%; copertura dei medesimi di 6, anzi 9, anzi 12, o forse 3-4 mesi; loro conservabilità a meno 80°, anzi no anche in un frigo normale; loro scadenza estendibile di 3 mesi che manco lo yogurt; inoculazioni di cocktail di vaccini diversi mai sperimentati insieme, che mia zia ha detto che fan benissimo; protocolli sanitari congelati per mesi su ‘tachipirina e vigile attesa’, senza considerare nessun trattamento con farmaci riconvertiti (ampiamente usati all’estero); ecc. ecc. E sulla base di questa performance cristallina poi li vediamo minacciare di radiazione, sanzioni o morte professionale chiunque non si allinei con posizioni che - del tutto incidentalmente ça va sans dire - sono le più gradite alle multinazionali del farmaco.
• Nel frattempo, l’altro grande vincente del periodo Covid accanto all’industria farmaceutica, cioè le multinazionali che manovrano le reti di comunicazione telematica scatenano presunte “cacce alle fake news” manipolando i motori di ricerca, bloccando siti sgraditi con la più completa opacità sui criteri, reindirizzando ricerche di informazioni a fonti governative, cambiando gli algoritmi di diffusione e condivisione in modo da ridurre lo spazio a tesi ritenute improvvide, facendosi insomma garanti privati della verità pubblica da loro insindacabilmente dichiarata tale. Accadono così cose paradossali, come il fatto che la semplice menzione del sito VAERS (Vaccine Adverse Event Reporting System: il sito americano ufficiale per i rapporti sugli eventi avversi da vaccinazione) possa comportare la sospensione di una pagina sui social. (E questo mentre, all’insegna della massima trasparenza, l’Aifa decide di non fornire più i dati nazionali sugli eventi avversi con cadenza mensile, ma solo trimestrale.)
• Infine, ma più importante di tutti, il ruolo dei media di portata nazionale, giornali e televisioni, che hanno fatto a gara nell’omettere, distorcere e manipolare ogni informazione che potesse in qualche modo minacciare la narrazione governativa. Nella quasi totalità i giornali, che hanno perso negli ultimi quindici anni due terzi dei lettori, oramai fanno da mera cassa di risonanza retorica delle opinioni di direttori che sono emanazioni dirette del grande capitale. Non parliamo delle televisioni di portata nazionale. Chi si è ritrovato in questo periodo dalla parte “sbagliata” della barricata ha visto continuamente, ogni giorno, sistematicamente distorte od omesse tutte le informazioni rilevanti per capire qualcosa della protesta nel paese e delle sue motivazioni. Mentre si potevano vedere trasmesse (su canali alternativi e privati) manifestazioni estese, partecipate, reiterate, in tutte le città italiane, queste venivano trasformate televisivamente in nulla, salvo quando occasionalmente c’era un tafferuglio da stigmatizzare. Si è assistito a ondate martellanti di trasmissioni di “approfondimento” (Dio li perdoni) dove una vittima sacrificale (eterodossa) era chiamata a fare da bersaglio per le tirate bullistiche e ignoranti di veri e propri plotoni di esecuzione mediatica. E quando non si poteva tacere si è proceduto con metodici atti di character assassination nei confronti dei dissenzienti più autorevoli.
Ecco, il risultato di questo processo, per la parte di popolazione, non piccola, che l’ha vissuto è molto semplice.
Si è compreso, si è capito nel modo più diretto ed intuitivo che la propria collocazione di liberi cittadini in una democrazia è oggi sostanzialmente illusoria.
Se e nella misura in cui le nostre azioni e opinioni sono funzionali a specifici interessi (nella fattispecie gli interessi di autoriproduzione del capitale implementati dallo stato neoliberale) possiamo avere una qualche voce, ma nella misura in cui ciò non accada possiamo essere ridotti in un istante alla più perfetta impotenza politica, sociale e culturale.
La rappresentanza democratica è inesistente, giacché le opzioni politiche tra cui possiamo effettivamente scegliere sono solo varianti cromatiche del Partito Unico Neoliberale.
Tutti i diritti acquisiti, tutte le pretese costituzionali ci possono essere sottratti in un momento senza colpo ferire. Le nostre ragioni possono essere silenziate e spezzate.
Per fare tutto ciò non c’è nessun bisogno di modificare formalmente il funzionamento dello stato e delle istituzioni, non c’è bisogno di sospendere le elezioni, né di chiudere i sindacati o i giornali, non c’è bisogno di inviare squadracce punitive. Niente di tutto ciò. Tutto è già predisposto a poter produrre gli stessi effetti di quegli interventi roboanti e onerosi con modalità quiete e pressoché inavvertite ai più.
Ecco, ed è a questo punto che - nella mia esperienza per la prima volta - l’invocazione di piazza alla “libertà” acquista un senso chiaro e condivisibile. “Libertà” è di per sé termini generico e ambiguo come pochi, e la sua invocazione in forma di slogan, come ogni slogan, è affetto da una costitutiva astrattezza che lo può rendere buono per mille usi, anche discutibili. È discutibile l’idea di libertà come arbitrio (“faccio quel che mi pare”), è assai discutibile l’idea di libertà liberale (“faccio gli affari miei, caschi il mondo”), ma nessuno di questi significati è qui in discussione.
In questo momento, in questo contesto, l’appello puro e semplice alla “Libertà” acquista un significato potente e indispensabile: è sia la libertà personale di autodeterminazione, sia la libertà come partecipazione democratica, entrambe ora calpestate e obliterate.
L’appello elementare alla “libertà” ora appare come qualcosa di eloquente, non perché abbia dietro una chiara elaborazione, ma perché il contesto ne chiarifica il senso: in una situazione che mostra la possibilità già in atto di mettere a tacere ogni istanza pubblica sgradita, in una realtà che evidenzia la capacità di un blocco di interessi consolidati di plasmare il giudizio pubblico e di guidare questo simulacro di democrazia in qualunque direzione desideri, in questo contesto chiedere “libertà” significa dare voce a una richiesta di senso che è innanzitutto umana, necessaria e preliminare ad ogni altra.


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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 29, 2021, 12:19:20 pm »

Maria Zimotti
Ritornare qui e scoprire come sempre alcune cose. Per esempio, che io mai e poi mai mi farei strumentalizzare. E coloro che hanno protestato sabato contro il green pass (ce ne sono anche che conosco) si sono fatti strumentalizzare bellamente. Credo che se si ha tanto a cuore la libertà e si protesta contro un trattamento sanitario obbligatorio sul proprio corpo forse vuol dire che si è spiriti liberi e magari si riconoscono quelli che manovrano per evidente desiderio di sopraffazione. Non sono forse più abili di noi pecoroni a riconoscere le dittature? Basta ripetere il mantra: la maggior parte era gente pacifica? No, a me non basterebbe. Tanto più se poi le distanze da chi non aspettava altro che uscire dalle fogne non si prendono. Libertà: io mi interrogo sempre sulla libertà e mai ho risposte. L' unica libertà che mi riconosco e' di non mischiarmi neanche lontanamente a gente che non ha rinnegato genocidi. E già che ci siamo: sono entrati in un pronto soccorso, hanno violato la privacy di persone che stavano male, hanno aggredito dei lavoratori. Ammesso e non concesso che si voglia difendere la libertà di non farsi toccare il proprio corpo, con quale diritto si decide del corpo degli altri?

Gianni Gavioli
La libertà del non farsi toccare nel proprio corpo va in coppia con la libertà di concedere che lo si tocchi.
Libertà che si decide spesso di concedere e a volte si desidera.
In questo caso il tentativo di salvaguardare la salute propria e degli altri nella condizione in cui i benefici sono visibili in tutto il mondo, una cosa é evidente: l'assurdità di comportamenti bestiali, strumentalizzabili e strumentalizzati da movimenti e cosche che tendono a sfasciare il Sistema e la Democrazia in Italia.
Tutto il resto sono chiacchiere utili solo a caricare la società di odiose cattiverie di gruppo, che sono peggio del residuo fascismo storico, sono lo SFASCISMO diffuso tra i sofferenti di patologie personali con varie caratteristiche, tutte figlie dell'apatia culturale e civica diffusa da decenni di cattivo uso del benessere.

 · Rispondi ·
Maria Zimotti
Gianni Gavioli preciso. Si. Le frustrazioni personali hanno sicuramente una certa rilevanza.

 · Rispondi ·
Gianni Gavioli
La cattiva politica e quella apatica che hanno lasciato fare, ci hanno dimostrato la capacità di gruppi modesti in capacità e numero, caricati da algoritmi motivazionali riescono a ingannare e manipolare intere popolazioni di inconsapevoli vittime delle proprie deficienze culturali e civiche.

Non sentirsi una NAZIONE di Diversi, capaci di esprimere valori comuni é il cancro storico di cui Oggi vediamo le Metastasi locali e personali.
Rispetto al passato oggi i Cittadini capaci di elaborazione dei fatti, hanno la possibilità di verificare in chiarezza nei social la consistenza della fragilità' mentale, degli scontenti della propria incapacità di ricerca della serenità.

Da Fb 12 ottobre 2021
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 16, 2021, 09:36:32 pm »

Libertà e Giustizia - CHI SIAMO (chi sono).

Due decenni di vita, tante vittorie alle spalle e, in cantiere, progetti e iniziative per dare voce alla società civile. Libertà e Giustizia, presieduta da Sergio Labate, succeduto a Paul Ginsborg, Tomaso Monatari e Nadia Urbinati, si muove tra politica e urgenza di democrazia. Libertà e Giustizia promuove convegni, incontri, appelli.
L’associazione si presenta al pubblico il 18 novembre 2002, al Piccolo Teatro Studio di Milano, tenuta a battesimo da un gruppo di garanti di altissimo livello: Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Enzo Biagi, Umberto Eco, Alessandro Galante Garrone, Claudio Magris, Guido Rossi, Giovanni Sartori e Umberto Veronesi. Nel corso della serata viene presentato il manifesto costitutivo: “Libertà e Giustizia vuole intervenire a spronare i partiti perché esercitino fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi. Vuole arricchire culturalmente la politica nazionale con le sue analisi e proposte.
Libertà e Giustizia vuole essere “l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica”.
Lucca, Roma, Venaria Reale, Poggibonsi, Genova, Torino: i seminari annuali di LeG sono per i soci momento di approfondimento di alcuni temi fondamentali: la libera informazione, la democrazia, l’etica, i maestri, il ruolo della società civile. I seminari a tema, momenti di studio, come la due giorni sulla Giustizia a Fiesole, confronto tra professori, magistrati, avvocati e politici, che produce un documento in parte recepito dal programma dell’ultimo governo Prodi.
Dal 2004 LeG comincia la sua lunga battaglia in difesa della Costituzione. A febbraio parte la campagna “L’Italia è anche mia” con la vignetta che Altan regala a LeG. Il 15 ottobre parte il coordinamento per il referendum confermativo, presieduto da Oscar Luigi Scalfaro. Nel giugno 2006 la grande vittoria dei no, che demolisce il progetto del Polo di scardinare la nostra Carta fondante.
All’inizio del 2010 comincia il grande lavoro per la messa in opera del nuovo sito che oltre a una nuova impostazione grafica e a una più ricca organizzazione dei contenuti, propone innumerevoli novità legate all’interazione tra l’associazione, i suoi soci e i lettori. L’attività online di Libertà e Giustizia non si ferma quindi al solo sito web, ma è arricchita dalla sua presenza nelle più frequentate piazze virtuali da Facebook a Twitter, da Flickr a YouTube.
Oltre a LeG nazionale la maggior parte dei Circoli ha oggi un affaccio su FB, il logo di Libertà e Giustizia campeggia sul popolare social network. L’attività delle sedi locali è molto intensa, incontri, dibattiti, presentazioni di libri che raccontano le anomalie del paese, dall’emergenza giustizia alle battaglie per la legalità, la libertà d’informazione, i diritti della persona, nuove anche le forme di comunicazione. Oltre trenta i Circoli sparsi in tutta Italia.
A fronte di una domanda sempre più urgente di “cultura politica” continua la missione civile di Libertà e Giustizia, attraverso le sue Scuole di formazione politica. Nel settembre 2012 al castello dei Conti Guidi di Poppi (Arezzo) una tre giorni curata dallo storico Franco Sbarberi su Segreto, ipocrisia, menzogna e corruzione – La democrazia vilipesa.

A gennaio del 2013 due giorni di lezione a Perugia sui temi bioetici. Pavia, che iniziò i suoi corsi nel 2007 sotto la guida di Salvatore Veca, direttore di tutte le Scuole di LeG, a marzo e aprile 2013 ha tenuto la sua settima edizione dedicata al lavoro. Ad ottobre si è tenuta la prima Scuola di LeG di Messina per favorire l’analisi e la conoscenza delle condizioni sociali, politiche, economiche e culturali che caratterizzano oggi il mezzogiorno.
La voce di LeG, dopo il manifesto “Rompiamo il silenzio” che nel 2009 denunciò il torpore della classe politica, è tornata a farsi sentire nel febbraio 2010 con una pagina pubblicata su Repubblica e su alcune testate locali del gruppo Espresso, con un nuovo documento. “Il vuoto” denuncia la paralisi su cui si è avvitato il sistema Paese e propone ai cittadini di creare una “Comunità contro il degrado”, di costruire insieme una diga per arginare lo sfascio istituzionale, politico, sociale cui stiamo andando incontro. In giugno, con il suo presidente onorario Gustavo Zagrebelsky, anticipa e indirizza il dibattito politico lanciando l’appello “Mai più alle urne con questa legge” che chiede l’abolizione del Porcellum.
A metà ottobre 2010, a Firenze, il convegno “Società e Stato nell’era del Berlusconismo”.  Tre giorni partecipatissimi, in cui intellettuali, storici, sociologi e giornalisti hanno fatto il punto – è la prima volta – sugli effetti del berlusconismo in campo sociale, economico e culturale, oltre che politico. Tra i tanti Paul Ginsborg, Gustavo Zagrebelsky, Marco Revelli, Ezio Mauro e Marco Travaglio. Gli atti del seminario sono stati pubblicati dall’editore Laterza.
Dopo l’esplosione del caso Ruby e l’inchiesta della Procura di Milano, il 14 gennaio 2011 anticipando tutti, partiti e movimenti, LeG chiede le dimissioni di Silvio Berlusconi. Il 17 con un documento scritto in inglese da Paul Ginsborg e firmato da Gustavo Zagrebelsky e Sandra Bonsanti a nome di tutta l’associazione, “Resignation”, si appella al mondo intero perché il nostro Paese non sia lasciato solo. Gli attestati di solidarietà fioccano a centinaia e la raccolta firme, rilanciata anche dal sito di Repubblica, raccoglie migliaia di adesioni.

Sabato 5 febbraio grande manifestazione al Palasharp di Milano, con Umberto Eco, Paul Ginsborg, Roberto Saviano e Gustavo Zagrebelsky e tanti altri esponenti della società civile per cominciare insieme a ricostruire l’Italia, il nostro Paese, e per riappropriarci di parole che la storia e il sacrificio di milioni di italiani hanno reso eterne e inviolabili: libertà, giustizia, democrazia, repubblica, uguaglianza, lavoro, Costituzione.
Dopo l’ennesimo attacco ai Magistrati, alla Consulta, e l’annuncio dell’ennesima riforma, che non serve ai cittadini ma solo a risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi, LeG lancia l’appello “La riforma della Giustizia non la fanno gli imputati (né i loro avvocati)!”.
Settembre 2011, LeG parte con la raccolta firme per abolire la legge elettorale Porcellum. Ne raccoglierà oltre 60mila.
L’8 ottobre 2011, grande manifestazione a Milano all’Arco della Pace. “Ricucire l’Italia” per restituire dignità al Paese, dal manifesto omonimo di Gustavo Zagrebelsky, (elaborato nel corso della Scuola estiva a Poppi, nel Casentino).
Il 23 febbraio 2012 esce il manifesto “Dissociarsi per riconciliarci. Dipende da noi”. di Gustavo Zagrebelsky, che raccoglie migliaia di firme. Un drammatico e appassionato appello alla classe politica affinché intraprenda la via del rinnovamento.
Il 12 marzo presentazione al Teatro Smeraldo di Milano, Con Gustavo Zagrebelsky, Roberto Saviano, Sandra Bonsanti, Lella Costa e Concita De Gregorio, con la partecipazione di Giuliano Pisapia.

Il 24 novembre 2012 al Forum di Assago, la grande manifestazione di LeG dopo il “passo indietro” di Berlusconi, con il nuovo manifesto di Gustavo Zagrebelsky “Per una stagione costituzionale “.
Il 2 giugno 2013 in piazza a Bologna con oltre 100 associazioni, per dire che la Costituzione “Non è cosa vostra”. Gli atti della manifestazione sono stati pubblicati da EncycloMedia Publisher.
Il 12 ottobre 2013 manifestazione a Roma in piazza del Popolo, per difendere e finalmente attuare la nostra Carta fondante. “La via maestra” da non perdere mai di vista. Con Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky.

Da - http://www.libertaegiustizia.it/chi-siamo/
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