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Autore Discussione: Da Fb del 22/01/2018  (Letto 1606 volte)
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« inserito:: Febbraio 16, 2018, 05:35:23 pm »

Umberto R. a Federica, penso a entrambi: perché sono intimamente legati.

Un dolore fisico persistente incide gravemente sullo stato d'animo di chi soffre e un dolore dell'anima, del cuore, della mente producono effetti devastanti sul fisico, posso contribuire alla comparsa di malattie molto gravi...

Quello che intendo dire (perché conosco molto bene entrambe le forme del dolore), è che anche nel dolore può trovare spazio la bellezza.

E questa non è dolore ma una sua conseguenza, nasce dalla necessità che non è solo ribellione al male ma è anche una forma naturale di resilienza (parola molto di moda oggi), è una risposta adattiva che ci fa scrollare le spalle e vi spinge a guardare oltre.

Smontando il mio aforisma in singoli enunciati possiamo comprenderne meglio il senso:

1) "E' infinitamente bello anche il dolore."

Questa può apparire una bestemmia! Come può essere bello il dolore? Infinitamente poi? Salvo essere masochisti?
Ovviamente questa affermazione ha valore solo all'interno di un contesto dove sono presenti incongruenze utili a deviare il pensiero corrente verso qualcosa che non è stato considerato nella sua possibile veridicità.

Infatti, dopo la virgola che separa i due enunciati, troviamo la seguente affermazione:

2) "se questo contiene in sé una speranza, una luce che ti mostra le cose che altrimenti non avresti visto."

Che cosa abbiamo qui, scomponendo gli elementi della frase? La giustificazione del primo enunciato assurdo! "Se il dolore contiene in sé una speranza...”. E poi si va di metafora: "una luce che ti mostra le cose"...
Che [altrimenti, cioè senza il dolore], non avresti visto.

Ma questo non giustifica il dolore in sé e nemmeno lo lenisce.
E allora?
Qui ciascuno ci deve mettere del proprio, la conclusione è sempre personale!

Ma alla fine ho aggiunto una frase che può risultare misteriosa per chi non conosce il mito della caverna di Platone. (https://it.wikipedia.org/wiki/Mito_della_caverna)

3) "Una sedia girevole nella caverna di Platone."
E qui interviene lo "schiaffo" semantico, il capovolgimento del preesistente. l'invito a guardare oltre la propria immobilità o prigionia che deriva dal dolore o di cui il dolore è conseguenza.

L'uomo, seduto con le spalle all'ingresso della caverna, non può vedere fuori, non può conoscere la verità ma sono vede ombre vaghe e confuse che gli precludono tutte le potenzialità che ha avuto in dono.
Ma se nel dolore, nella quiete rassicurante della nostra prigione naturale nella quale siamo caduti o siamo nati scopriamo che la sedia sulla quale siamo seduti è girevole?
E possiamo vedere cose che non conoscevamo? "Se davvero questa caverna contiene in sé ANCHE una speranza, una luce che ti mostra le cose che altrimenti non avresti visto?

Da Fb del 22/01/2018
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