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Autore Discussione: Perché i tribunali virtuali possono minacciare la giustizia  (Letto 7337 volte)
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« inserito:: Luglio 22, 2021, 02:46:38 pm »

Novax non sono soltanto i NOVAX, ma anche chi li strumentalizza per motivi di parte.

Il Caos spaventa sempre i Semplici.

Abbiamo bisogno di una élite qualificata e indipendente!
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 30, 2021, 03:26:27 pm »


⁠Antonella Di M. - l'Italietta nello scritto di Pasolini è diversa, descrive ma non offende!
Lo stesso termine detto da noi è offensivo di una Nazione.

Anche il termine popolino è diverso da chi lo dice, in modo spregiativo, da coloro che, essendo popolo, lo ricevono compatendoli.

ggiannig

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« Risposta #2 inserito:: Agosto 17, 2021, 10:47:55 am »

Il governo italiano ha mandato un aereo, che ha portato in salvo SETTANTA PERSONE.

Commenti non ne faccio ma riflessioni Sì.

Quando dico Governo non mi riferisco a Draghi, ma a coloro cui spettava di organizzare il ponte aereo.

ciaooo

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« Risposta #3 inserito:: Agosto 21, 2021, 11:56:05 pm »

Perché i tribunali virtuali possono minacciare la giustizia

 Vincent Denaul - Tempo di lettura: 6 min

Perché i tribunali virtuali possono minacciare la giustizia

La pandemia COVID-19 ha significato che le aule giudiziarie sono state costrette a diventare virtuali, ma l'adozione a lungo termine della tecnologia è una minaccia per la giustizia? (Shutterstock)
Dall'inizio della crisi sanitaria, I tribunali canadesi, come quelli di altri paesi, hanno compiuto un cambiamento tecnologico. Il numero di procedimenti archiviati online è aumentato e lo stesso vale per i processi virtuali.
Sebbene il loro utilizzo appaia legittimo durante la pandemia, applicazioni di videocomunicazione come Skype o Zoom stanno ostacolando il ruolo della comunicazione non verbale nelle aule di tribunale.
La questione può sembrare semplice e innocua, ma in realtà non lo è.

Credenze errate
L'esito delle cause legali non è determinato solo da leggi e precedenti. Infatti, l'apparizione di testimoni e il modo in cui si comportano può svolgere un ruolo determinante. Il nervosismo e l'esitazione sono tipicamente associati alla menzogna, mentre la spontaneità, secondo molte sentenze dei tribunali, può indicare che i testimoni dicono la verità.
Tuttavia, la ricerca sul rilevamento della menzogna mostra molto chiaramente che credenze di questa natura - ancora in uso nel 2020 - sono errate e non hanno basi scientifiche più di quelle utilizzate nel Medioevo. In effetti, un litigante onesto può esitare ed essere eccessivamente nervoso. Un bugiardo incallito può esprimersi spontaneamente. Non c'è gesto, nessuno sguardo, nessuna espressione facciale, nessuna rivelazione simile al naso di Pinocchio.
Inoltre, come sottolineano la psicologa Judith Hall e i suoi colleghi, "non esiste un dizionario dei significati dei segnali non verbali, perché i fattori contestuali che coinvolgono le intenzioni dei codificatori, i loro altri comportamenti verbali e non verbali, le altre persone (chi sono e il loro comportamento) e l'impostazione influenzeranno tutti il significato. "
In altre parole, imparare a "leggere" comportamenti non verbali è finzione piuttosto che scienza. Purtroppo, come ho documentato nella mia tesi di laurea in giurisprudenza sui comportamenti non verbali dei testimoni durante i processi e la mia tesi di dottorato in comunicazione sull'individuazione di false testimonianze, diversi giudici sembrano credere il contrario.

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Oltre il rilevamento della menzogna
Poiché utilizzare un solo sguardo per determinare se qualcuno sta mentendo - come descritto dai media - non è possibile, alcuni potrebbero credere che il comportamento non verbale di testimoni, giudici e avvocati sia inutile. Tuttavia, questo sarebbe un errore. Infatti, la ricerca scientifica documenta da decenni le funzioni della comunicazione non verbale. Migliaia di articoli sottoposti a revisione paritaria sono stati pubblicati sull'argomento da una comunità internazionale di ricercatori di diverse discipline.
Durante le prove, il rilevamento della menzogna rappresenta un granello di sabbia nell'oceano di funzioni comportamentali non verbali. Gesti, sguardi, espressioni facciali e posture consentono ai testimoni di comunicare emozioni e intenzioni, ai giudici di favorire l'empatia e alla fiducia e agli avvocati di comprendere meglio in ogni momento le azioni e le parole dei testimoni e di adattarsi di conseguenza. Tutto ciò avviene in gran parte automaticamente.
L'aspetto non verbale delle prove non si limita a volti e corpi. Le caratteristiche dell'ambiente in cui si svolgono - il tribunale e l'aula di tribunale - contribuiscono all'immagine della giustizia. Il luogo in cui i testimoni vengono interrogati e dove sono seduti i partecipanti influenza il modo in cui vengono condotti i processi. Ad esempio, i giudici sono seduti più in alto degli altri in aula, il che può influire sull'autorità conferita loro dai litiganti.

La comunicazione non verbale è parte integrante delle prove
Durante la pandemia, applicazioni come Skype o Zoom consentivano l'udienza di casi urgenti. Tuttavia, diverse giurisdizioni hanno annunciato che le aule giudiziarie virtuali rimarranno aperte dopo la fine della crisi sanitaria. Per alcuni, il loro vantaggio principale sarebbe quello di promuovere l'accesso alla giustizia.
Tuttavia, riducendo le informazioni non verbali, i processi virtuali limitano la capacità dei testimoni di essere compresi, di sentirsi compresi e di comprendere adeguatamente gli altri. Poiché la valutazione della credibilità dipende dalla capacità dei giudici di capire cosa dicono i testimoni, l'impatto può essere significativo, soprattutto perché "[c] la redibilità è un problema che pervade la maggior parte dei processi, e nella sua forma più ampia può equivalere a una decisione sulla colpevolezza o sull'innocenza. "
Poiché lo svolgimento di un controinterrogatorio, a sua volta, dipende dalla capacità degli avvocati di comprendere in ogni momento le azioni e le parole dei testimoni, può avere un accesso ai tribunali che limita il comportamento non verbale a un volto su uno schermo. conseguenze di vasta portata. Come ha scritto la Corte Suprema del Canada: "Un controinterrogatorio efficace è parte integrante dello svolgimento di un processo equo e di un'applicazione significativa della presunzione di innocenza. "

L'importanza del dialogo interdisciplinare
L'uso di applicazioni come Skype o Zoom non dovrebbe essere preso alla leggera. Oltre agli effetti sulla valutazione della credibilità e sullo svolgimento di esami incrociati, i processi virtuali potrebbero avere altre conseguenze.

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Questi includono vittime disumanizzanti e imputati, un effetto già documentato tra gli immigrati ascoltati in videoconferenza. Le prove virtuali possono anche amplificare gli effetti negativi degli stereotipi facciali, il che può distorcere la valutazione delle prove e il risultato dei processi, fino al punto di determinare se una persona debba essere condannata a morte.
In considerazione di ciò, prima che i tribunali virtuali diventino permanenti o le leggi sono cambiate, il ruolo della comunicazione non verbale nelle aule giudiziarie dovrebbe essere pienamente apprezzato. Per massimizzare i vantaggi e minimizzare gli svantaggi del passaggio alla giustizia online, è fondamentale il dialogo tra la comunità giuridica e i ricercatori che lavorano in discipline come la psicologia, la comunicazione e la criminologia. The Conversation

L'autore
Vincent Denault, dottore in comunicazione, Università di Montreal
Questo articolo è ripubblicato da The Conversation sotto una licenza Creative Commons. Leggi l’articolo originale.

Da - https://it.innerself.com/social/justice/24125-why-virtual-courtrooms-may-threaten-justice.html

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« Risposta #4 inserito:: Novembre 04, 2021, 10:01:55 pm »

Draghi, l’Economist si ricrede: ha lavorato bene

3 Novembre 2021, di Alberto Battaglia

Lo scorso aprile l’Economist aveva dedicato uno dei suoi articoli di commento a Mario Draghi, intitolandolo: “Ci si aspetta troppo da lui”. Nelle conclusioni veniva citato Machiavelli per affermare che quelli “scelti da Dio per la redenzione dell’Italia” sono stati spesso “cacciati dalla fortuna”. Il giornale britannico affermava dunque: “Chi cerca la salvezza oggi potrebbe finire altrettanto deluso”.

Draghi, l’Economist ha cambiato idea

Circa sei mesi dopo il bilancio del lavoro di Draghi in Italia è stato promosso in un nuovo articolo (“The Mario Magic”) in cui l’Economist riassume una lunga serie di successi, alcuni dei quali puramente politico-economici, come il miglioramento dell’Outlook sul debito italiano deciso dall’agenzia di rating S&P.
“L’Italia… ha provato la nuova esperienza di essere governata da un primo ministro rispettato a livello internazionale, Mario Draghi, con un’enorme maggioranza parlamentare che gli permette di trasformare rapidamente i suoi progetti in legge”, ha scritto l’Economist lo scorso 2 novembre, “sostenuta da un’efficace campagna di vaccinazione, l’economia è in forte ripresa. Il 28 ottobre Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, ha previsto una crescita economica quest’anno ‘probabilmente ben oltre il 6%’, anche se pochi si aspettano che il Pil dell’Italia ritrovi il suo livello pre-pandemico entro 2022”.
Il problema di Draghi, per così dire, è che non avrà molto altro tempo a disposizione per proseguire il suo lavoro. “Si sa che vuole la presidenza [della Repubblica], che diventa vacante a febbraio, e se venisse scelto dovrebbe dimettersi da primo ministro”, ha scritto la rivista, “e anche se non diventasse capo dello Stato, è improbabile che rimanga al governo dopo le elezioni politiche che devono essere tenute entro la primavera del 2023”.
Stando ai sondaggi attuali, a trainare la nuova maggioranza sarebbero la Lega e Fratelli d’Italia,

Ciononostante, “gli uomini vicini a Draghi sostengono che la sua partenza non dovrebbe portare a una rottura radicale”, ha affermato l’Economist, “il suo governo ha stabilito meccanismi burocratici per dirigere e controllare il flusso di denaro del Recovery che, si spera, gli sopravvivranno. E i governi futuri saranno altrettanto vincolati dalle scadenze che la Commissione europea impone e non vorranno perdere il flusso di denaro da Bruxelles non rispettandole”.

https://www.wallstreetitalia.com/draghi-leconomist-si-ricrede-ha-lavorato-bene/?utm_source=browser&utm_medium=rss_notification&utm_id=432443.684525041

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« Risposta #5 inserito:: Novembre 25, 2021, 12:03:48 am »

Critiche del metaverso

Immaginare il futuro
Quando Zuckerberg annuncia per i prossimi anni un nuovo progetto sociale che mescola reale e virtuale (è curioso notare come questo termine “virtuale” che abbiamo archiviato per molti anni come vetusto e fuori tempo sia ora così improvvisamente tornato in auge) decide di immaginare come sarà il futuro di qualche miliardo di persone. La storia recente delle mutazioni tecnologiche ci informa che si tratta di una scommessa complicata, anche se proiettata in un arco temporale breve. Saranno sufficienti i grandi investimenti che Facebook ha fatto in questi anni sulle tecnologie di realtà virtuale per giustificare un loro prossimo ampio utilizzo da parte di tutti? È impossibile dirlo: in genere però le scelte tecnologiche che disegnano il futuro degli ambienti sociali dipendono più dalle persone che dell’industria. Il futuro immaginato dal tecnologo è come sempre un’ipotesi, spesso è un’ipotesi sbagliata. Il futuro di tutti, da quando abbiamo iniziato ad intestarlo alla tecnologia, nasce più spesso dentro un piccolo anfratto verso il quale nessuno sta in quel momento guardando. Oggi invece la discussione sul futuro è in piena luce e fra le solite persone.

Una società di standard
Il fondatore di Facebook ha spiegato che, per immaginare un domani in equilibrio fra applicazioni digitali e vita reale, sarà necessario accordarsi su uno standard. L’idea è sacrosanta e, del resto, inevitabile: più si penserà ad un mondo ampio e inclusivo e più sarà necessario accordarsi su un linguaggio comune che le aziende fondatrici del metaverso dovranno accettare. La rete internet del resto – alla quale in molte interviste Zuckerberg si è riferito come esempio da seguire – è nata e cresciuta così: standard tecnologici e libero accesso. Qui il punto di debolezza del progetto è davvero grande: Internet è nata non per concertazione aziendale, ma nonostante i progetti egemoni delle aziende tecnologiche del tempo. L’idea di metaverso immaginata da Facebook, Epic e altri soggetti disposti oggi ad investire miliardi in questa “nuova internet” assomiglia terribilmente all’idea di internet che avevano CompuServe o America Online o anche la stessa Microsoft all’inizio degli anni 90; un’idea rapidamente fallita di fronte ad una contraddizione molto evidente: gli standard servono alle persone, non alle aziende, nascono dalla periferia e non dal centro. Un ipotetico metaverso, se mai nascerà, difficilmente potrà essere immaginato da Facebook, non dipenderà dai suoi soldi, non terrà conto dell’etica digitale che quella o un’altra azienda tecnologica sarà in grado di produrre. Gli interessi aziendali e gli standard spesso non vanno d’accordo fra loro.

La barriera tecnologica
Ci sono cose che si possono fare e altre che non si possono fare. Le idee, perfino quelle affascinanti e geniali, non sempre si trasformano in tecnologie utilizzabili. Non è strano che Zuckerberg in questi giorni abbia spesso citato il “teletrasporto” fra le caratteristiche del prossimo ambiente immersivo che stanno immaginando: uno standard magico – il teletrasporto – un riassunto della nostra maniera epica di immaginare il futuro. Così uno dei progetti più concreti del metaverso sarà quello di trasportare un avatar (una versione graficamente accurata e digitale di noi) da una riunione ad un’altra, da un concerto a una festa fra amici, da una conferenza a un negozio virtuale. Ed è impossibile a questo punto non pensare agli ambienti eterei, angelicali e a bassa risoluzione di Second Life rimpiangendone l’assurda grossolanità. Noi in ogni caso rimarremo sempre nella medesima stanza: ciò che aumenterà sarà solo la nostra possibilità di sembrare altrove con un certo grado di verosimiglianza. Quando alcuni anni fa Google interruppe bruscamente il progetto dei Google Glass lo fece, molto saggiamente, rinunciando ad una idea di dominio assoluto sulla tecnologia. Quegli occhiali non si potevano fare, non esistevano le tecnologie per farli, esattamente come oggi non esistono le tecnologie per il teletrasporto.

La barriera sociale
Il metaverso si scontra anche con una certa idea di riunione sociale dentro l’architettura digitale. Ogni tecnologia sociale ha un suo grado di malleabilità, viene interpretata diversamente in differenti angoli del mondo. Accade già oggi con i social network, ma nel momento in cui tali tecnologie aspirano a sconvolgere le prassi della vita reale (e non più soltanto quelle del nostro alter ego dietro la schermo) l’idea del tecnologo dovrà per forza essere un’idea riassuntiva. E il punto di vista del tecnologo americano sulla sfera sociale mai come oggi rappresenta una porzione piccola del mondo, inadeguata a diventare un modello per tutti. Anche in società contigue, per esempio quella europea, una certa idea del mondo dentro il metaverso così come viene raccontato, suona già ora come inadeguata.
Mi ha colpito al riguardo questa frase di Zuckerberg:
So anywhere you go, you can walk into a Starbucks, you can sit down, you can be drinking your coffee and kind of wave your hands and you can have basically as many monitors as you want

Così, dopo due anni di pandemia, il pensiero tecnologico immagina di integrare reale e virtuale consentendomi di aprire un numero indefinito di schermi virtuali mentre me ne sto chiuso dentro un bar a bere caffè? È a scene come questa che i commentatori si riferiscono in questi giorni criticando il progetto e parlando di “distopia”. Se distopia significa sottolineare gli aspetti di controllo e totalitaristici della piattaforma, io non credo che Zuckerberg – pur essendo oggi forse la persona meno adatta ad occuparsene – abbia aspirazioni del genere, se invece distopia vale nel suo significato originario di luogo spiacevole e indesiderato, ecco che il pensiero sul futuro di Mark, così intimamente legato all’agiografia da nerd che lo riguarda, difficilmente potrebbe essere descritto meglio: una prospettiva ritirata e solitaria, che allontana il mondo per costruirsene uno a propria misura, in una lontana relazione con la fuga e la chiusura in se stesso di un hikikomori particolarmente benestante che improvvisamente ha pensato di estenderla a noi.

Una via di fuga, quindi?
L’idea della fuga dalla realtà, benché sanitariamente evitata nelle molte interviste rilasciate e nel keynote a Connect in cui è stato presentato il progetto Metaverse, è in ogni caso molto presente. Se non nelle parole lo è nelle immagini rese disponibili, nei rendering di oceani e montagne, di prati verdissimi e colline, negli interni di design nel quale i personaggi, molto spesso lo stesso Zuckerberg, si muovono soddisfatti: un’iconografia di avatar e ologrammi così irrimediabilmente finta (gli ottimisti la chiameranno “cyber”) che viene davvero il dubbio che un simile ambaradan tridimensionale possa risultare affascinante per qualcuno.
Se la scommessa è quella della verosimiglianza, il risultato potrebbe essere opposto a quello atteso: più il metaverso diventa credibile e perfettino e più il suo tono depressivo sembra aumentare, tanto da far rimpiangere i pixel giganteschi ed i voli inverosimili dentro i cieli di Second Life. È come se la fuga, intrapresa con decisione da un monolocale triste nella periferia di una grande città poi per qualche ragione si riveli per noi non così distensiva.

Giganteschi peni parlanti
Il desiderio di allontanare ogni tratto caricaturale e fantastico per proporre ai propri clienti un nuovo mondo verosimile, il più vicino possibile a quello reale, è evidentemente molto forte; per farlo sarà necessario glissare sulle radici cyberpunk del romanzo Snow Crash al quale Facebook ha rubato il nome della sua nuova creatura (Neal Stephenson, l’autore del libro, ha dichiarato pubblicamente in questi giorni che nessuno da Facebook si è fatto vivo con lui) nel quale il metaverso è descritto con queste semplici parole:

“Your avatar can look any way you want it to, up to the limitations of your equipment. If you’re ugly, you can make your avatar beautiful. If you’ve just gotten out of bed, your avatar can still be wearing beautiful clothes and professionally applied makeup. You can look like a gorilla or a dragon or a giant talking penis in the Metaverse. Spend five minutes walking down the Street and you will see all of these.”

Non troverete Mark Zuckerberg in forma di gorilla o drago, nel metaverso politicamente corretto di Facebook, ma versioni di Mark che tira di scherma o che fa ginnastica su una strana piattaforma sospesa di fronte ad un panorama di palme tropicali e abeti innevati, entrambi contemporaneamente presenti quasi per sovrappiù nel medesimo sfondo iperreale. Tantomeno vi capiterà di incrociare per strada un enorme pene parlante col quale scambiare quattro chiacchiere, perché la costruzione di un mondo verosimile ma economicamente sostenibile semplicemente non lo consiglia.

Da - https://www.ilpost.it/massimomantellini/2021/11/05/critiche-del-metaverso/
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