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Autore Discussione: Luca Palamara - La magistratura non scende in politica...  (Letto 2218 volte)
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« inserito:: Dicembre 30, 2007, 04:30:07 pm »

La magistratura non scende in politica...

Luca Palamara*


Lo stimolante intervento di Marco Travaglio apparso sull´Unità di lunedì 24 dicembre meriterebbe una analisi molto più complessa di quella consentita dalla sintesi giornalistica, alle cui regole tuttavia cercherò di non sottrarmi.

Proverò a rispondere, partendo dalla fine: concordo con Travaglio, è vero, per fare il magistrato ci vuole desiderio di ricerca della verità. E tuttavia, il risultato di questa ricerca lo si misura nelle aule giudiziarie, nei provvedimenti giurisdizionali che vengono adottati, nei processi e con le sentenze definitive.

Fuori dalle regole del processo, dai suoi vincoli, è illusorio che la magistratura possa svolgere realmente ed efficacemente il ruolo che le appartiene, quello di garantire il rispetto della legge violata accertando i fatti.

Anche nei confronti dei "potenti di turno", ne converrà Travaglio, servono magistrati attrezzati professionalmente e che svolgono il loro ruolo con i mezzi che il processo mette a disposizione.

Fuori da questa cultura, la magistratura verrebbe meno non solo al suo ruolo istituzionale, ma tradirebbe anche le aspettative dei cittadini, attivando soltanto meccanismi illusori, inutili o di mera facciata, anzi alimentando una visione strumentale dell´esercizio del potere giudiziario, che non attinge a nessun risultato.

Ma vi è un passaggio dell´articolo di Travaglio che mi ha particolarmente colpito, quando dice testualmente che "le larghe intese", la normalizzazione, starebbero avvenendo "con" la magistratura organizzata e ufficiale, chiamata a collaborare al taglio delle ali, allo spegnimento delle voci dissonanti, all´emarginazione di chi crede troppo in una "giustizia uguale per tutti" e dunque disturba "i manovratori".

La questione è seria e su questo tema occorre essere fermi e chiari: ma di quale normalizzazione stiamo parlando? Con chi staremmo collaborando noi magistrati? Per il taglio di quali ali? Con chi? Quale sarebbe il complotto sotteso?

Mi creda, non amo l´argomentazione polemica, ma verrebbe tanto voglia di rispondere che dopo tanti anni di continui e strumentali attacchi, anche nella parte più avveduta dell´opinione pubblica e fra i giornalisti più attenti al tema ‘giustizia´ sembra essersi fatta strada l´idea che la magistratura italiana, quando tocca temi politicamente ‘sensibili´,si muove sempre verso questo o quell´obiettivo, a favore di questo o quel contendente.

A ben vedere, sono proprio, almeno in parte, gli stessi argomenti che a suo dire sono stati utilizzati contro singoli magistrati, per svilirne i giudizi formulati in noti provvedimenti giudiziari.

E´ esattamente questo, a mio sommesso parere, che negli ultimi anni ha avvelenato il clima dei rapporti istituzionali tra politica e magistratura, finendo per minare anche il rapporto di fiducia fra quest´ultima e i cittadini: attribuire una etichetta politica a questa o quella iniziativa giudiziaria (in maniera più o meno strumentale, qui non importa) per trascinare la giurisdizione su un terreno non suo, quello dei conflitti politici e sociali, delegittimandone l´azione sull´unico terreno su cui invece la legittimazione dell´azione giudiziaria si certifica e si misura, quello dell´imparziale applicazione delle regole.

Tengo molto a rassicurare chi intravede o paventa una presunta omologazione dei magistrati ( a chi? a che cosa?): noi crediamo nel potere diffuso dei magistrati, noi ci battiamo e ci batteremo per avere magistrati liberi, per difendere e dare piena attuazione all´art. 101 della Costituzione che vuole i magistrati soggetti soltanto alla legge; e all´art. 107 della Costituzione, che stabilisce che i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Non esiste una pax mastelliana, anzi direi che mai come in questo momento si sono creati all´interno della magistratura ed in seno alle correnti punti di vista profondamente diversi rispetto alla cosiddetta riforma Mastella.

E non si tratta di contrapposizioni di mera facciata o solo verticistiche: si tratta di temi che attraversano l´intera magistratura e sono profondamente sentiti con grande partecipazione da parte di tutti i magistrati italiani.

Ma sul riferimento alla pax mastelliana Travaglio tocca un punto nevralgico e non intendo sottrarmi al senso della sua critica: è vero, troppi magistrati, già appartenenti ai vertici dell´associazione e delle correnti, sono oggi lì a ricoprire ruoli di fondamentale rilievo, in molti ministeri, non solo in quello della Giustizia.

Non è però un problema evidenziatosi soltanto con l´attuale Guardasigilli, è un problema che si pone ormai da alcuni anni, almeno dall´avvento del cosiddetto sistema maggioritario.

La politica ha il diritto di adottare tutte le soluzioni che ritiene più opportune, spingendo il sistema dello spoil system nei settori più disparati della vita istituzionale, ma è evidente che la logica che sottende a questo metodo non può coinvolgere anche i rappresentanti di quei poteri neutrali e di garanzia, come i magistrati, che a quella logica debbono rimanere estranei.

I magistrati non debbono spostarsi dai ministeri e dalle pubbliche amministrazioni in base al colore politico delle maggioranze, ma il loro inserimento negli organismi governativi e in generale in posizione di fuori ruolo, che pure è necessario per legge, deve essere ancorato a parametri tecnici e a valutazioni di professionalità.

Come sottrarre la giurisdizione e coloro che la rappresentano a questo ‘abbraccio mortale´ della politica è tema assai complesso, ma profondamente avvertito da questa giunta dell´Anm: i cittadini vogliono una magistratura seria e imparziale, e l´indipendenza dei magistrati deve essere anche percepita come tale.

Ma per garantire tale percezione di indipendenza, ci vogliono comportamenti coerenti, prudenti e rigorosi, da parte di tutti i magistrati in ogni momento del loro lavoro: solo così garantiremo nella società la conservazione di un modello di magistrato soggetto soltanto alla legge e non omologato, in una direzione esattamente opposta a quella temuta da Travaglio.

E veniamo al comunicato stampa dell´ANM del 21 dicembre nel quale si è affermato che: "mentre il presidente della Repubblica autorevolmente si appella al principio di leale collaborazione tra tutte le istituzioni e al recupero del senso del limite e del rispetto reciproco, alcuni media pubblicano i files audio di intercettazioni telefoniche interne a una indagine penale ancora in corso e altri trasmettono versioni sceneggiate di note vicende oggetto di procedimenti penali e disciplinari che coinvolgono magistrati. La magistratura associata raccoglie il preoccupato appello del Capo dello Stato a che non si accenda una nuova e deleteria spirale, dannosa per le istituzioni politiche, per la magistratura e quindi ultimamente per i cittadini e stigmatizza operazioni mediatiche e spettacolari che possano alimentare il pericolo (...). Solo la prudente e responsabile applicazione delle norme e delle garanzie, in vista di un autentico fine di giustizia a cui sono tenuti tutti i magistrati è il vero segno di indipendenza che qualifica positivamente il doveroso controllo di legalità circa il cosiddetto. processo mediatico valgano le seguenti considerazioni".

Una premessa è d´obbligo: il senso del comunicato non è assolutamente la censura del diritto di cronaca ma solo l´affermazione del principio che i processi devono farsi nelle aule di giustizia.

Sul punto non posso non richiamare, un articolo scritto dal professor Glauco Giostra su «Il Riformista» del 12 dicembre u.s. dal titolo "Le suggestioni del processo mediatico" nel quale afferma che i mezzi di comunicazione di massa stanno passando dall´informazione sul processo al processo celebrato sui mezzi di informazione.

In particolare il prof. Giostra nel sottolineare la necessità di tenere ben distinti processo giurisdizionale e processo mediatico, che hanno regole (e non - regole), luoghi (e non - luoghi), e cultura (e, ovviamente incultura) lontanissimi tra di loro evidenzia che : "l´uno obbedisce alla logica del probabile, l´altro a quella dell´apparenza... nell´uno, il cittadino è consegnato al giudizio dei soggetti istituzionalmente deputati ad amministrare giustizia; nell´altro, alla esecrazione della folla mediatica; liberata da ogni forma del procedere, quella fornita dai media sembra l´unica verità immediata: una falsità che sconfina nell´ossimoro, trattandosi della verità mediata, per definizione e per eccellenza. La pericolosissima idea, sottesa a questo favor per il processo celebrato sui mezzi di informazione, è che il miglior giudice sia l´opinione pubblica".

Le opinioni del Prof. Giostra sono, a mio avviso da condividere integralmente, ed in nuce contengono il pericolo che il passo successivo sia, poi, che l´imputato di un processo, di un qualsiasi processo, non voglia farsi giudicare dal suo giudice naturale ma dall´opinione pubblica.

Si pensi alla recentissima vicenda Coppola, in cui l´immobiliarista accusato di bancarotta e riciclaggio è evaso dagli arresti domiciliari appositamente per essere intervistato da una troupe televisiva, a cui ha dichiarato che è un perseguitato, vittima della "lotta di classe" intentata contro di lui dai pm che procedono, Sabelli e Cascini"

Ebbene anche in questa occasione l´Anm è immediatamente intervenuta con un comunicato nel quale si ribadiva come le doglianze dell´imputato dovessero essere fatte valere nella loro sede naturale che è quella del processo.

Le considerazioni di cui sopra sono ovviamente estensibili alle varie trasmissioni che si sono occupate, si occupano e penso continueranno ad occuparsi delle vicende Garlasco, Cogne etc.etc.

I tempi della magistratura, anche in sede associativa, non possono né devono essere quelli della informazione: nulla di maggiormente delegittimante vi sarebbe infatti che una marcia indietro nel momento in cui la realtà apparisse diversa da quella ipotizzata.

Pertano anche sulle vicende Forleo e De Magistris appare necessario operare ed agire con la dovuta ponderazione, che non significa mancanza di coraggio, ma percezione della complessità e talvolta della contraddittorietà dei problemi in campo.

Da ultimo veniamo alla pubblicazione del files audio Berlusconi- Saccà.

Travaglio nel suo articolo parla di gravi inesattezze affermando che l´intercettazione Berlusconi-Saccà non è affatto «interna a un´indagine ancora in corso», ma contenuta nell´atto di chiusura indagini notificato agli indagati. In realtà trascura di considerare, che l´art.114, settimo comma, del codice di procedura penale consente la pubblicazione, solamente del contenuto, e non per intero, degli atti non coperti dal segreto.

Quindi evitando tecnicismi e parlando chiaro la pubblicazione integrale di atti non appare consentita nemmeno dopo che è stato notificato l´avviso di conclusione delle indagini preliminari. A diverse conclusioni ovviamente deve giungersi laddove si proceda alla pubblicazione di atti coperti dal segreto.

A carico dei pubblici ufficiali ( magistrati, cancellieri, polizia giudiziaria etc.) si impone il riserbo di tutte quelle notizie apprese nello svolgimento delle indagini, la violazione del quale inevitabilmente integra a carico degli stessi il reato di rivelazione di segreto di ufficio. Tuttavia sin dal 1982, le Sezioni unite della Cassazione hanno chiarito che anche il giornalista può essere chiamato a rispondere in concorso con il pubblico ufficiale del medesimo reato nella ipotesi in cui abbia istigato o determinato lo stesso alla rivelazione del segreto di ufficio.

*segretario generale Anm


Pubblicato il: 30.12.07
Modificato il: 30.12.07 alle ore 10.27   
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