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Autore Discussione: E siamo tornati al punto di partenza come nel 1993 e nel 2011.  (Letto 5968 volte)
darwin
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« inserito:: Febbraio 15, 2021, 01:04:51 pm »

Davvero molto interessanti le riflessioni di Ezio Mauro oggi su Repubblica, descrivono pienamente lo stato del Paese in un punto di crisi più di idee che economica.

La crisi economica del Covid era abbastanza risolta dal nascere perché la mancanza di offerta era contingente il lockdown ma la domanda rimaneva intatta.

Infatti, con una gestione che vedrei come molto accorta di Gualtieri e (forse incidentalmente) di Catalfo e Patuanelli, è stato possibile preservare la necessaria liquidità ed i posti di lavoro per cui è stato possibile riaccendere i motori.

La stessa Confindustria afferma "L’impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura è stato immediato e violento. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita di oltre il 40%. Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio." nell'incontro in streaming del 28 novembre 2020 "Innovazione e Resilenza: I percorsi dell'industria industria italiane nel mondo che cambia".

Gli strumenti innovativi  come l'e-commerce ed il food delivery hanno segnato un bel segnale di sfida nel nuovo mondo, con ottimi risultati che hanno contribuito a tenere in piedi il Paese.

Però non possiamo notare come di nuovo oggi, ci troviamo a ripetere le stesse parole che sono state pronunciate in modo forse meno drammatico dopo la disastrosa svalutazione del 1993 ed il seguente governo Ciampi (ma lì avevamo il sogno di realizzare l'Euro che sosteneva gli italiani di buona volontà) e sopratutto dopo la drammatica crisi del 2011 con l'arrivo del governo Monti.

Anche in quel momento, nel 2011, abbiamo ricevuto il prezioso aiuto di una grande persona, sembravamo riuniti intorno ad una promettente unione di intenti, stesse parole di oggi che non hanno trovato una evoluzione nella nostra storia italiana.

Con l'aggravante che il mondo oggi sta correndo infinitamente più veloce di allora verso un futuro completamente nuovo.

L'Italia è in uno stato di arretratezza spaventosa oggi, malgrado i roboanti proclami di cambiamento raccontati negli ultimi 10 anni, siamo ultimi in Europa in compagnia di Romania, Grecia e Bulgaria. All'inizio del 2020 eravamo ancora sotto dl 5% del PIL raggiunto nel 2007, l'anno della grande depressione, neanche un significativo rimbalzo.

Quindi dobbiamo registrare che dopo l'opera di risanamento di Mario Monti tutte le ricette realizzate sono miseramente fallite.

Così oggi ci troviamo a fare i conti con un governo in cui sono presenti forze arretrate che negano l'importanza delle nuove tecnologie, difendendo a spada tratta chi si è dimostrato inadeguato nell'uso delle nuove tecnologie, aziende che hanno dimostrato di essere assolutamente inadatte al futuro.
Questo doveva far riflettere molto chi ha preso le decisioni in questi mesi e che doveva tentare di realizzare un programma di riposizionamento dell'Italia al nuovo mondo.

Draghi è persona estremamente capace e valida (come certamente lo era Mario Monti), sta operando però nei limiti di questa politica.

Ha fatto delle scelte forti e probabilmente le migliori possibili.

Ha esautorato i partiti della maggioranza dalla gestione del cambiamento del Next Generation EU con il novo ministero a Roberto Cingolani ed assegnando l'innovazione a Colao, ha messo al riparo i conti pubblici con il posizionamento di Daniele Franco al MEF (mi sarebbe piaciuto ancora Gualtieri ma se si vogliono difendere i conti pubblici da folli assalti serve persona competente e fuori dalla contesa politica per non alimentare tensioni), ha continuato il buon operato nella sanità centrale che ha garantito (con Gualtieri e la BCE) ulteriori 9 miliardi per fronteggiare il Covid oltre i 5 previsti in finanziaria (oltre all'attesa di altri 18 miliardi dal Recovery Plan sulla sanità).

Dice, forse profeticamente Mauro "Più che un commissariamento, è un’abdicazione della politica, che infatti consegna tutta insieme — ad eccezione di Giorgia Meloni, gelosa della sua diversità e golosa dell’opposizione in esclusiva, aspettando i grillini dissidenti — i suoi voti a Draghi perché risolva gli obblighi con Bruxelles incassando i fondi del Recovery, spenda il suo credito internazionale garantendo che l’Italia farà la sua parte, e intanto gestisca le urgenze fronteggiando il virus e affrontando l’onda d’urto della crisi sociale sospesa sopra il Paese.
Sperando poi che dopo il reset riconsegni le chiavi del sistema, come se la crisi più importante del secolo fosse una parentesi e non un agente di trasformazione, che sta modificando tutti gli equilibri, compresi quelli della politica, già in piena metamorfosi."

Cambiati alcuni nomi è la stessa situazione del 2011, stessa speranza della vecchia politica. Anche allora si poteva dire "ciò che Weber chiama l’istituzionalizzazione del carisma."

Monti ebbe carisma e poi fu dimenticato.

È vero che "Diventando politico, il premier potrà mediare meno di un tecnico, accettando compromessi solo fin dove la sua storia glielo consentirà. Per dirlo con una formula, le ragioni tecniche per cui Draghi è stato scelto diventano con il governo il nucleo della sua identità politica.

Questa congiuntura d’emergenza unita a questa soluzione da ultima spiaggia mette i partiti davanti a un inedito “prendere o lasciare”, che costringe a molte conversioni improvvisate, amnesie interessate, acrobazie non spiegate. Così l’uomo venuto da fuori può scomporre e ricomporre il disegno politico generale, diventando un paradossale apriscatole del sistema. "

Non condivido l'ottimistica affermazione "La verità infatti è che mentre il governo sta incominciando, qualcosa è finito." Lo dicemmo anche allora.

Così come dicemmo allora più o meno.

"Rovesciare il tavolo non basta più, anzi oggi non serve, perché il Paese ha bisogno di governo e non di ruspe e di “vaffa”, al punto da riscoprire le virtù dimenticate della competenza, l’utilità vilipesa della conoscenza, il soccorso rifiutato dell’esperienza, in una parola la garanzia maledetta del sapere. Purché quel sapere — se vogliamo trarre una lezione dagli anni del risentimento e della ribellione — venga speso al servizio della società intera e non diventi un codice esclusivo di privilegio e di assicurazione soltanto per i garantiti. L’uomo delle élite dovrà vigilare su questo vizio costante di auto-perpetuazione della cosiddetta élite di casa nostra, simbolo di una società corporata, fondata sulla rendita di posizione: forzando il network della classe dirigente a coniugare gli interessi particolari legittimi con l’interesse generale, cioè a diventare quell’establishment che non abbiamo mai avuto.

È un salto mortale per Draghi, ma è anche l’unico modo di uscire dall’acquario per cercare fuori dal palazzo, dopo l’esplosione delle classi, quel “ceto generale” interessato a tenere l’Italia dentro la cultura politica e istituzionale europea e dentro la civiltà democratica occidentale. Una base sociale di sostegno interessata al cambiamento, alla crescita attraverso l’innovazione, ma anche alla protezione e all’inclusione dei ceti che si stanno perdendo, perché non c’è modernizzazione possibile se una parte di Paese crede di potersi salvare da sola e la società si spezza. Questo significa costruire, strada facendo, un quadro politico di riferimento europeo, occidentale, riformatore, dunque d’impianto liberal-democratico, magari senza dirlo: ma sapendo che prima o poi arriverà il momento di dare un orizzonte cultural-politico all’Italia messa in sicurezza, e bisognerà sapere con chi farlo."

Le brutte notizie arrivano presto con le sparate di un segretario "pesante" della maggioranza sull'ILVA di Taranto, con l'aggravante che quel dossier è nelle mani del suo partito.
Draghi avrà la pazienza e le giuste possibilità per evitare ricatti ed imboscate?

Allo stato attuale la maggioranza di governo rappresenta una debolezza pericolosa esposta a ricatti a 360°.

Non basterà aderire all'Europa ed all'Euro, dobbiamo capire che il "ceto del cambiamento", indicato da Ezio Mauro, non è quello che abbiamo sostenuto, sopratutto nelle classi produttive, negli ultimi 8 anni, dalla caduta del governo di Mario Monti.

Se la classe politica vuole diventare parte di quel ceto del cambiamento allora deve rivolgere l'attenzione ad un nuovo ceto del cambiamento produttivo.

Gli effetti peggiori della crisi sono stati messi abbastanza in sicurezza (sopratutto grazie a Gualtieri e Speranza), però dobbiamo superare la crisi peggiore, dell'arretratezza dell'Italia ad oggi.

Un pessimista è un ottimista con esperienza

https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2021/02/14/news/crisi_di_governo_mario_draghi_coronavirus_recovery_fund_italia_europa-287590604/?ref=RHTP-BC-I279994148-P4-S1-T1



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« Risposta #1 inserito:: Marzo 15, 2021, 12:31:07 pm »

Prodi tra Conte e Letta, torna il sogno di un centrosinistra all'ombra dell'Ulivo - la Repubblica

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>
13 mar 2021, 00:36 (2 giorni fa)
a me

https://bologna.repubblica.it/cronaca/2021/03/12/news/prodi_conte_letta_pd_ulivo_dimissioni_zingaretti-291914971/
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