A proposito di "Unire i Riformisti"
Una riflessione dopo il dibattito - maratona online promosso da Linkiesta
Liberaldemocratici e riformismo socialista.
Non sono sinonimi, è utile chiarire identità e scopi
Pubblichiamo qui sotto con piacere l’intervento di Elio Vito, storico capogruppo di Forza Italia alla Camera e la risposta di Marco Bentivogli, storico leader del sindacato a proposito dell’iniziativa “Unire i riformisti”, animata da varie personalità, associazioni e circoli, segnatamente da Base di Bentivogli, +Europa, ex-PD, esponenti di Italia Viva e Azione. Anche noi dell’Avanti! e di Mondoperaio siamo stati invitati a partecipare alla relativa maratona on line organizzata da LInkiesta.
Ne è poi seguito un “incontro da remoto” (la tecnologia annichila anche gli ossimori) tra Bonino, Calenda, Gori, Scalfarotto e lo stesso Bentivogli.
Contribuiamo al seguito del dibattito avviato con le due lettere giunte all'Avanti! e con un commento di Claudio Martelli.
"L'APPELLO DI BENTIVOGLI VA ESTESO ANCHE A FORZA ITALIA"Di Elio Vito
“Il recente appello di Marco Bentivogli ad ‘Unire i Riformisti’ è rivolto al centrosinistra, per proporre una identità culturale e politica non massimalista, ormai superata dalla storia, ma ancora in parte presente ed influente nella sinistra italiana.
Eppure l’Appello di Bentivogli può ben interessare anche Forza Italia (e non dico solo suoi singoli esponenti, in una prospettiva scissionista e di abbandono, utile a guadagnare posizioni interne e simpatie esterne, che a me francamente non interessa).
Il tema, o meglio ancora la domanda, riguarda piuttosto la natura ed il futuro di Forza Italia, questo originale Movimento politico nato dalla formidabile intuizione del suo leader, un imprenditore di successo che ha saputo trasformare e modernizzare come pochi il costume, la società, la televisione, lo sport, la politica del nostro Paese.
Di natura ed indole liberale, soprattutto in campo economico e sociale, caratterizzatasi sui temi garantisti della giustizia e dei diritti civili (tema che ora rischia un po’ di sbiadirsi), Forza Italia si è saggiamente collocata in Europa nel Partito Popolare, rispettando la sua matrice cattolica.
Ma Forza Italia, e gli Amici dell’Avanti lo sanno bene, ha al suo interno, sin dalla nascita, istanze e personalità, oltre che liberali e cattoliche, anche socialiste, socialdemocratiche, radicali che hanno contribuito a rendere più vario il partito e più vasto il suo elettorato. Tali ultime istanze e personalità, per quanto ancora presenti, paiono, soprattutto per loro responsabilità, essere ora ai margini della identità e della politica di Forza Italia, come se avessero esaurito una spinta propulsiva che invece oggi è ancora più necessaria.
E non voglio qui dilungarmi sulle ragioni per le quali i partiti alleati (ma collocati in ben altre famiglie europee od in cerca di migliore collocazione), dopo essere stati portati al governo da Forza Italia l’hanno adesso superata elettoralmente.
Allora, in conclusione, anche per non abusare della ospitalità, credo che l’Appello di Bentivogli, debba trovare in qualche modo anche l’interlocuzione di Forza Italia, da sempre autentica forza riformatrice.
E forse il primo risultato comune di questa interlocuzione, necessario in questo momento storico, può essere, per tutti i riformisti ed i riformatori, l’abbandono di ogni ambiguità (anche se a volte ben celata) sulla salda e definitiva collocazione europeista ed atlantica dell’Italia.”
Deputato di Forza Italia
"PER L' UNITA' DEI RIFORMISTI NON CI SONO VETI ED ESCLUSIONI"Di Marco Bentivogli
Caro Elio Vito,
non sono tra coloro che considerano superate le distinzioni destra e sinistra. Non posso negare che ultimamente queste categorie, non inutili, della politica, siano diventati occasioni interessate di collocazione. Ho avuto modo di scrivere quanto la sinistra abbia devoluto valori, stili e orizzonti a semplici evocazioni sufficienti per auto-riconoscersi nel clan in geometrie utili solo alla ricerca del potere per il potere senza alcuna progettualità.
Condivido che dentro Forza Italia ci siano istanze e personalità non riducibili al berlusconismo che però a mio avviso, non da solo, ha contribuito alla consegna del paese ai populisti di destra e di sinistra.
“Unire i riformisti” è nato proprio, a differenza di altri appelli, senza partire dai veti all’adesione. Ma come giustamente Vito ricordava ci devono essere dei valori comuni che, proprio per uscire da ogni ambiguità, vanno abitati e non solo evocati nei cenacoli. Le culture socialiste, cattolico democratiche, radicali e liberali sono radici importanti del riformismo italiano ed europeo. Le alleanze, che in politica non sono un accessorio, hanno generato alberi storti. Essere europeisti, atlantisti, per la società aperta e solidale mette dall’altra parte ogni populismo gastro-mediatico, che ha il giustizialismo, l’individualismo, l’assistenzialismo e lo statalismo. Potrai non trascurare che alcune tv per inseguire la mitica “audience” invece di favorire la consapevolezza della complessità, banalizzano tutto quello che accade per intercettare persone urlanti e produrre il consenso emotivo dei vari impresari della paura. In una politica fatta da troppe comparse che vivono di applausi di un pubblico virtuale, serve discontinuità. Nel mentre questo paese attende ancora le riforme vere che nella mia esperienza non si faranno se non costruiamo ceto politico dotato di coraggio, pensieri lunghi e iniziativa popolare: questo per me sono i riformisti. Per questo bisognerebbe resettare e riconfigurare la politica italiana, prima che sia troppo tardi.
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"IL SECOLO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA"
Un commento alle due lettere
Il riformismo socialista è stato un "riformismo dal basso" che ha portato i lavoratori ad essere protagonisti della democrazia e a farsi Stato.
L'incontro col riformismo cattolico e col "riformismo dall'alto" dei liberali
La questione delle alleanze si pone dopo la scelta delle idee guida
Di
Claudio MartelliSe dovessi dire di cosa abbiamo discusso nella maratona online sarei in difficoltà e di sicuro non per colpa degli intervenuti. Scontata la scelta dell’avversario – contrastare il bipopulismo Lega/5Stelle (copyright del direttore de Linkiesta, Christian Rocca) – tutto il resto è rimasto avvolto nella più vaga indeterminatezza come se dichiararsi riformisti fornisse ad un tempo una carta di identità, un programma e un passepartout.
In particolare nella maratona del 21 marzo, molti hanno trattato il ‘riformismo’, il ‘liberalismo’, la ‘liberaldemocrazia’ come sinonimi, ignari o dimentichi che il riformismo nella storia italiana è un pensiero e un movimento politico e culturale inequivocabilmente socialista che nasce e si afferma in opposizione al socialismo rivoluzionario. A questo “riformismo dal basso” che creò tutto ciò che ancora dura e vale della cosiddetta sinistra e cioè l’associazione, il mutuo sostegno, le cooperative, il sindacato, il partito dei lavoratori, il suffragio universale, si deve l’impresa titanica di aver educato il proletariato, fino ad allora o vittima piegata o ribelle agitato, a farsi autore e protagonista di democrazia, a farsi Stato. Se è vero che al riformismo dal basso dei socialisti corrispose all’inizio del ‘900 il” riformismo dall’alto” del governo del liberale Giolitti non va dimenticato che un altro, diverso e autonomo riformismo dal basso fu quello animato dalle correnti più avanzate del cattolicesimo e dalla dottrina sociale della Chiesa, in particolare dall’originale lezione di don Luigi Sturzo. Anche a loro Giolitti tese la mano.
Eppure solo quarant’anni dopo il riformismo socialista e quello cattolico si incontrarono fornendo la loro esperienza alle migliori stagioni del primo centro sinistra. Coniugando la spinta sindacale con l’azione di governo socialisti e democristiani produssero una ineguagliata mole di riforme: dalla scuola media dell’obbligo alla liberalizzazione degli accessi universitari, allo statuto dei lavoratori, al sistema sanitario pubblico, al decentramento regionale. A tutte questa riforme i liberali italiani si opposero vivacemente, talvolta contestandole con veemenza sicché definire riformisti quei liberali equivarrebbe a ingiuriarli tradendo la loro memoria. Viceversa le stesse riforme vennero promosse e sostenute anche dal PRI di Ugo La Malfa non dimenticato autore di quella programmazione economica che gli procurò l’avversione e il dileggio della Confindustria e del partito liberale. Spettano invece all’iniziativa congiunta dei socialisti, dei liberali e dei radicali – questa volta assenti i repubblicani - le grandi riforme dei diritti civili – divorzio, interruzione legale della gravidanza, diritto di famiglia – e nel 1987 il tentativo di rifondare l’amministrazione della giustizia a partire dalla responsabilità civile dei magistrati - tentativo vittorioso nel referendum popolare ma evirato in Parlamento.
Se allargassimo lo sguardo all’Europa lo scenario di fondo non muterebbe.
Le maggiori riforme, la stessa edificazione dello Stato Sociale, la più grande opera di edificazione del XX° secolo - “il secolo socialdemocratico” secondo il liberale Dahrendorf – sono frutto dell’azione del socialismo riformista spesso in alleanza coi liberali progressisti sempre in guerra coi liberali conservatori.
Viceversa, un riformismo puramente ed esclusivamente liberale o non è mai esistito oppure ha connotato non un movimento progressista ma un movimento conservatore, reazionario, restauratore dei principi e degli animal spirits del capitalismo: tali furono le politiche di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan.
Non voglio credere che a quell’esempio si ispirino coloro che hanno aderito all’invito di unire i riformisti, eppure il trasformismo cronico della nostra società politica ci ha già fatto assistere attoniti ai contorcimenti di chi dopo essere stato comunista nei suoi primi quarant’anni oggi sposa senza riserve il più sfrenato liberismo rivelandosi così coerente solo nella pretesa di aver sempre ragione. Di sicuro questo non è il caso di Emma Bonino ispiratrice pochi anni orsono della Rosa nel pugno con i socialisti e di Carlo Calenda il cui partito si richiama esplicitamente al Partito d’Azione erede del Partito Repubblicano e del socialismo liberale di Carlo Rosselli.
Un profilo riformista Matteo Renzi lo rivendicò al PD di cui era leader e al governo che presiedeva. In quella stessa fase Renzi guidò il PD all’approdo nel Partito Socialista Europeo approdo che sino a quel momento sia Prodi, sia Rutelli, sia Veltroni avevano respinto. In tutta sincerità quello di Renzi più che un riformismo coerente a me è parso un sorta di “cambismo”, un cambiare comunque e a ogni costo senza un chiaro indirizzo, mescolando cose buone come il Jobs Act con altre che buone non erano come gli 80 euro e la congerie di bonus.
Ora, il nuovo segretario del PD, Enrico Letta, ha definito il nuovo PD come un partito “progressista nei valori, riformista nel metodo, radicale nei comportamenti”. La definizione è piaciuta a Christian Rocca che si è spinto sino a sognare il ritorno nel PD di Bersani, di Renzi e di Calenda salvo poi risentirsi quando Letta ha confermato “l’affascinante avventura” dell’alleanza con i 5 Stelle. Attribuire alle altrui intenzioni i nostri desideri è quasi sempre fonte di delusioni.
Per noi dell’Avanti! la questione delle alleanze si pone in modo diverso. Si pone dopo e non prima della scelta di idee guida, contenuti, obiettivi e programmi. E’ solo arando questo terreno, discutendo cosa fare che si possono unire i riformisti.
Per questo il contributo che offriamo alla discussione tra tutti i riformisti attivi e volenterosi, ovunque si collochino, dal PD a Forza Italia ai Verdi è quello di incalzare il governo Draghi nel tragitto riformatore che di sicuro non sarà completato nei dieci mesi che ci separano dall’elezione del Presidente della Repubblica. Ancor più impegnato sarà il nostro contributo a definire una riforma della Costituzione resa improcrastinabile dal taglio dei parlamentari, a una legge elettorale che garantisca la rappresentanza e la governabilità, a una legge di riforma dei partiti secondo statuti democratici in attuazione della Costituzione. Una convergente azione parlamentare e una campagna di opinione condivisa contribuirebbero concretamente a rigenerare la democrazia repubblicana e sarebbero il miglior viatico a unire i riformisti.
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