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Autore Discussione: Nuova voluntary disclosure sul contante, i rischi e l’alternativa  (Letto 3531 volte)
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« inserito:: Dicembre 29, 2020, 06:47:19 pm »

CATEGORIA: RES PUBLICA

Nuova voluntary disclosure sul contante, i rischi e l’alternativa

 scritto da Econopoly il 28 Dicembre 2020

Post di Fabio Ghiselli, dottore commercialista, già tax director d’impresa, attualmente tax and lab advisor, autore di numerose pubblicazioni in materia tributaria e di welfare, opinionista de Il Sole 24 Ore, cultore di economia –
La presentazione in Commissione Bilancio della Camera da parte di Forza Italia, LeU e Centro Democratico, di tre emendamenti alla legge di bilancio 2021 aventi ad oggetto l’emersione e la regolarizzazione del denaro contante e valori mobiliari non dichiarati detenuti all’estero e in Italia, aveva riportato all’attenzione un tema particolarmente delicato, anche per l’immagine di chi governa.
La manifestata contrarietà delle forze politiche di maggioranza nei confronti di qualunque forma di condono è nota, per cui si può ben comprendere la cautela non solo nell’affrontare l’argomento, ma nella scelta di utilizzare termini anglosassoni come voluntary disclosure o cooperative compliance, in luogo dell’impronunciabile “condono”. Contrarietà che sembra avere prevalso, dal momento che tra gli emendamenti approvati dalla Commissione Bilancio della Camera non rientrano quelli di cui si discute.
Oggi, però, in piena crisi pandemica, ci troviamo di fronte ad almeno tre fattori di rischio: un debito pubblico che a fine 2020 sarà prossimo al 160% del Pil, e destinato ad aumentare anche nel 2021 se saranno necessari altri lockdown e misure di sostegno alle attività economiche e cittadini; il quantitative easing e il piano di emergenza Pepp messo in atto dalla Bce che hanno sostenuto l’acquisto di titoli di debito nazionali e che, dopo la recente proroga della scadenza a marzo 2022, dovrebbe esaurirsi, visti i limitati poteri attribuiti alla banca centrale dai trattati europei e l’ossessione per la sua indipendenza dal governo comunitario; il ripristino delle clausole del patto di stabilità (e crescita) sulle quali è assente, oggi, un progetto di ridefinizione o una comune idea di abolizione.
La consapevolezza che tra 15 mesi ci troveremo di fronte alla necessità di attuare un piano di rientro del debito, si evince dallo stesso minuzioso dosaggio delle risorse del Recovery Plan operato dal Next Generation Italia (PNRR), distribuite tra sostituzione di debiti pregressi e assunzione di nuovi con l’Unione europea.
La particolare criticità del momento e la consapevolezza che non tutto l’onere del debito possa essere caricato sulle spalle delle generazioni future, dovrebbe indurre la politica a ripensare il rapporto tra posizioni ideali, seppure giuste, e misure utili, seppure non propriamente etiche in sé.
Se però voluntary disclosure deve essere, se in un prossimo futuro si dovesse decidere a favore della regolarizzazione del denaro contante e dei valori mobiliari non dichiarati, il gettito dovrebbe essere davvero utile per le finanze pubbliche. Oggi non potremmo accontentarci degli incassi dei vari scudi fiscali del 2015-2017 (5,727 miliardi attualizzati), del 2009-2014 (7,175) o del 2001-2002 (2,963), ma dovrebbe garantire almeno una trentina miliardi di euro.
Possibile? Direi di sì, considerando che il denaro nascosto nelle cassette di sicurezza, nei conti correnti delle banche residenti nei “Paesi non collaborativi” e nello shadow banking, dovrebbe essere superiore ai 150 miliardi di euro. Ma a tre condizioni: che l’aliquota dell’imposta sostitutiva onnicomprensiva (di sanzioni e interessi) non sia inferiore al 20%, che sarebbe comunque attrattiva; che una quota del 40-50% del contante “emerso” sia vincolata alla sottoscrizione di titoli pubblici a lungo termine e di quote di fondi di investimento (o di altri veicoli), promossi ad esempio da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in capitale di rischio per il sostegno e lo sviluppo di PMI, per almeno cinque anni; che sia previsto uno “scudo penale” per i reati tributari, di riciclaggio e autoriciclaggio, unita alla disclosure sulle fonti generatrici della cassa.

È inutile nasconderlo, senza questo “premio” o copertura, si rischierebbe il flop o, quantomeno, di recuperare cifre irrisorie e non sufficienti per garantire gli scopi proposti. Se così fosse, il danno d’immagine per la politica, generato dall’introduzione di questa forma di condono, sarebbe nettamente superiore all’utilità ottenuta. Ma a fronte di un “premio”, anzi più di uno a ben vedere, non si può pensare che non vi sia almeno un sacrificio, ossia quello di sostenere il Paese in un momento di difficoltà.

La misura dovrebbe essere introdotta da una adeguata comunicazione, asciutta, lineare e priva del mantello dell’ipocrisia sempre comodo quando si tratta di giustificare decisioni difficili o impopolari. Come, per esempio, l’idea di metterla in relazione con il Piano Italia Cashless, con il quale non è difficile vedere la totale assenza di legami. Perché non possiamo nasconderci che la voluntary, per la presenza di una imposizione sostitutiva inferiore a quella ordinaria e del necessario “scudo penale”, rappresenterebbe una forma di condono.
Quante volte abbiamo detto che simili provvedimenti determinano una spiccata riduzione della compliance fiscale, del senso del dovere di contribuzione, del rispetto delle regole, e un aumento del senso di iniquità e ingiustizia che generano un progressivo scollamento della necessaria coesione sociale, quale condizione essenziale per la sopravvivenza di una collettività organizzata e dello Stato stesso? Che un utilizzo regolare di questo tipo di provvedimenti finisce per compromettere le entrate future, generando ammanchi che devono essere coperti da ulteriori provvedimenti di sanatoria una tantum? Sempre, immancabilmente.
Questa volta potrebbe essere diverso? Direi di sì. Non nella sua essenza ma almeno nelle sue ragioni.
Si tratterebbe, insomma, in una situazione di eccezionale gravità, di rinunciare a un vincolo ideale in cambio dell’assunzione dell’impegno, comunque etico, di impiegare le risorse secondo i principi costituzionali della buona amministrazione (art.97, co. 2), e dello svolgimento della funzione pubblica con disciplina e onore (art. 54, c. 2). Come la riduzione del debito, necessaria oggi e per le generazioni future, alle quali non possiamo lasciare un Paese disastrato. Anche se 30 miliardi su circa 2.600 sarebbero una goccia nel mare magnum del debito, il loro utilizzo per la suddetta finalità rappresenterebbero un segnale importante. Oppure darebbero modo di utilizzare una quota inferiore dei fondi a debito del Recovery Plan, contribuendo a generare un minore incremento del debito complessivo.
In ogni caso, questo sarà un obiettivo che dovremmo per forza porci se non vogliamo ritrovarci, nel prossimo futuro, in una condizione di difficoltà nel collocare i nostri titoli sul mercato quando si ridurrà o cesserà il sostegno della Bce. Anche perché non va dimenticato che grazie alla pessima riforma del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) in fase di approvazione – anche se qualcuno ha inspiegabilmente affermato che «approvare la sua riforma non significa farvi ricorso» – i temi della sostenibilità del debito pubblico e della sua ristrutturazione costituiranno una spada di Damocle sulle nostre teste.
Come ha sottolineato Wolfgang Munchau, autorevole editorialista del Financial Times, “Il significato sotteso a tutti questi sforzi (per l’approvazione della riforma, n.d.a.) è stato quello di gettare le basi per una ristrutturazione del debito italiano, senza dirlo esplicitamente. Il governo italiano lo sa, ed ha ritardato il più possibile i lavori (…). La ristrutturazione del debito italiano è una delle questioni politiche più spinose che non solo l’Italia, ma la zona euro e l’Ue nel suo insieme si trovano davanti”.

Naturalmente la voluntary disclosure non sarebbe una strada obbligata. Una alternativa c’è sempre. In questo caso risiederebbe nella capacità di recuperare entro il 2022 un importo corrispondente, reale ed effettivo, di imposta evasa (110 miliardi di euro all’anno, secondo la periodica Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva), tramite attività di indagine e accertamento; unitamente o in alternativa a quella dello scambio plurimo di informazioni fiscali internazionali (su richiesta, automatico e spontaneo, che vede la sua origine nella Direttiva 2011/16/UE).
Per scegliere quale strada intraprendere dovremmo porci la seguente domanda: l’amministrazione finanziaria sarebbe in grado di farlo?
Twitter @GhiselliFabio1

Da: 
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/12/28/voluntary-disclosure-contante/?uuid=96_PmhYi3UH
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