4 dicembre 2020
Ora e sempre moschettieriDi Aligi Pontani e Livio Quagliata
Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino e Rocco Papaleo in Tutti per 1 - 1 per tutti di Giovanni Veronesi, dal 25 dicembre su SkyCinema e Now Tv. Foto: Antonello&Montesi. Artwork: Brivido & Sganascia
Bastava essere in quattro, e forse basta ancora, per diventare moschettieri. Bambini, ragazzi, amici, colleghi, più i maschi delle femmine certo, ma poi anche Milena Vukotic è finita sullo schermo come D’Artagnan. L’immortalità del romanzone che resiste da 176 anni si è meritata la copertina di questo Venerdì, dedicata al suo formidabile autore Alexandre Dumas, morto giusto 150 anni fa, un 5 di dicembre. Un mito, quello di D’Artagnan, Athos, Aramis e Porthos alla corte di re Luigi XIII, che ha ispirato anche il nuovo film di Giovanni Veronesi in arrivo per Natale su Sky, con i semiseri Favino, Mastandrea e Papaleo nei panni dei nostri eroi. Ad Angelo Carotenuto, che li ha intervistati per noi, hanno confessato che no, il libro tutto intero non l’hanno letto: troppo lungo troppo denso e a tratti perfino «un po’ palloso», ha detto con sacrilego coraggio Veronesi. Certamente nessuno si annoierà a leggere sul nostro Venerdì il ritratto che del suo creatore fa Marco Cicala, ripercorrendo la vita spericolata ed esagerata di Dumas, che mentre scriveva 300 tra romanzi, poesie, racconti, libretti d’opera e perfino ricettari di cucina, ha trovato il tempo di viaggiare per mezza Europa, attraversare guerre e rivoluzioni e mettere al mondo (o almeno così millantava) centinaia di figli. Tutti per uno, Dumas per tutti. Buona lettura e buon dicembre
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GALÁPAGOS di RICCARDO STAGLIANÒ
Arriva la frutta a lunga conservazione Senza il trattamento una mela marcisce in una settimana, con il trattamento dura due quando non tre volte di più. Idem per gli avocado, i mango, le arance. La differenza la fa una bella spruzzatina di Apeel (gioco di parole, in inglese, tra mela e buccia), un composto commestibile e inodore ottenuto da scorza, gambi e altri scarti vegetali. Roba che si sarebbe buttata e invece allunga la vita su scaffale delle varietà a cui viene applicata, inaugurando l'èra della frutta Uht. Se pensate che sia una notizia che riguarda solo i supermercati, pensate meglio. Ci possono guadagnare, e tanto, gli agricoltori africani la cui piaga quotidiana, oltre alle occasionali cavallette, è che buona parte del raccolto si guasta (il problema del food waste, calcola la Fao, costa globalmente 2,6 trilioni di dollari) prima che i camion vengano a ritirarlo. Ma anche il pianeta, e quindi tutti noi, perché la barriera protettiva renderebbe inessenziale, in molti casi, il mantenimento della catena del freddo nel trasporto della frutta dall'origine al consumatore. Al punto che la ong di San Francisco Project Drawdown che si occupa di soluzioni innovative al riscaldamento globale si spinge a dire che trovare un'alternativa ai banchi frigo sarebbe uno dei modi più efficaci di ridurre le emissioni di gas serra. Non sorprende quindi che a maggio la Apeel Sciences di Santa Barbara abbia superato la valutazione di un miliardo, prendendo finanziamenti da Oprah Winfrey al fondo sovrano di Singapore per arrivare, alla fine di ottobre, ai 30 milioni annunciati dall'International Finance Corp., il braccio d'investimento della Banca mondiale. Come riesca nel miracolo è, in teoria, semplice: la barriera tiene dentro l'acqua (la cui fuoriuscita fa deperire il frutto) e fuori l'ossigeno che, appunto, lo ossida. In pratica ci sono voluti anni per ottenere i permessi per il composto che, alla fine, si mangia e quindi non deve far male. Nel primo mondo i risultati ci sono già: «Abbiamo dimezzato gli scarti sui prodotti trattati Apeel e ne vendiamo il 30 per cento in più» ha detto il vicepresidente di Edeka, una catena tedesca con oltre 11 mila negozi. Nel terzo mondo si aspettano ancora le autorizzazioni. Mai come in questo caso il confine tra maturità e marciume, anche nelle decisioni, è essenziale.
VIAGGI DA FERMO di MICHELE GRAVINO
https://goo.gl/maps/Nj3PMwuTWimVFsP66Non sta bene ridere delle disavventure altrui, e men che meno delle preferenze sessuali altrui, ma dell'ipocrisia mista ad arroganza mista a dabbenaggine un po' sì, dai. Da qualche giorno mezza Europa sta sghignazzando del signor József Szajer, il parlamentare europeo ungherese che si è fatto beccare a Bruxelles mentre partecipava a un party gay assieme a una ventina di altri uomini sommariamente vestiti. A chiamare la polizia sono stati i vicini disturbati dagli schiamazzi e soprattutto indignati per le violazioni delle regole anti-Covid: il Belgio è in proporzione il Paese più devastato d'Europa. All'irruzione degli agenti, Szajer ha cercato di scappare calandosi da una grondaia, ma si è fatto male e ancora sanguinante ha tirato fuori il tesserino da eurodeputato. Cosa che naturalmente non è bastata a mettere a tacere la notizia: il deputato ha dovuto dimettersi, chiedendo scusa a famiglia, colleghi ed elettori e precisando che la pastiglia di ecstasy che la polizia avrebbe trovato nella sua borsa non è sua e lui non sa chi ce l'ha messa.
Szajer – per inciso sposato e con figli – è un esponente di spicco di Fidesz, il partito sovranista, tradizionalista, ultracattolico del premier Viktor Orbán. Tanto da essere considerato l'architetto della recente riforma della Costituzione ungherese che, tra i molti provvedimenti illiberali, ha pesantemente compresso i diritti delle persone LGBT.
Espulso dal partito, Szajer ora avrà tempo per meditare sulla propria omofobia interiorizzata, come direbbero gli psicoanalisti. O anche soltanto sulla sua imprudenza: l'appartamento scelto da lui e dai suoi amici per il party si trova sopra un famoso locale gay di Bruxelles, a pochi passi da un commissariato. Come si vede da Google Maps, la zona è piena di macchine della polizia. Non potevano trovarsi un posto più tranquillo?
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Brian Phillips è uno dei migliori giornalisti americani della sua generazione. Si è fatto conoscere a Grantland, una rivista online che ha rivoluzionato il modo di raccontare lo sport, ma la sua curiosità, e la sua straordinaria scrittura, spaziano tra gli argomenti più disparati. Così, il suo primo libro pubblicato in Italia, Le civette impossibili (Adelphi, traduzione di Francesco Pacifico) comincia con un reportage dall'Iditarod, la massacrante corsa di slitte trainate dai cani che attraversa ogni anno l'Alaska, e che Phillips decide di seguire senza avere nessuna esperienza («Conosce tecniche di sopravvivenza in ambiente polare?» gli chiedono, e lui: «La mia tecnica di sopravvivenza è restarmene a casa al caldo»); e continua con un'inchiesta sul sumo giapponese, con una spedizione in India al seguito dei cacciatori di tigri, con un ritratto della famiglia reale inglese raccontata anche elencando il contenuto della borsetta della regina Elisabetta... tutto illuminante, tutto godibilissimo. Manca purtroppo il profilo che Phillips aveva dedicato solo un anno fa a Diego Armando Maradona (attacco: «Dio si era operato al ginocchio il 24 luglio, e zoppicava ancora sei settimane dopo...»). È molto lungo e molto bello, e in inglese si può leggere qui.