Covid, in Italia 112 morti ogni 100mila abitanti: è il dato peggiore tra i 20 Paesi più colpiti dal coronavirus
Secondo i dati della Johns Hopkins University, l’Italia ha 112,35 morti ogni 100 mila abitanti: ed è prima, tra i 20 Paesi più colpiti dalla pandemia, seguita da Spagna, Gran Bretagna e Stati UnitiDi Redazione Online
L’Italia è — tra i 20 Paesi più colpiti al mondo dalla pandemia — la nazione dove il Covid ha ucciso di più in relazione al numero degli abitanti, secondo i dati della Johns Hopkins University.
Stando al database dell’università statunitense, tra i 20 Paesi più colpiti dagli effetti del coronavirus Sars-CoV-2, in Italia risultano 112,35 decessi ogni 100 mila abitanti. Seguono Spagna (104,71), Gran Bretagna (100,23) e Stati Uniti (95,85). I dati spagnoli sono oggetto di polemica, dopo che l’Ine — l’Istituto nazionale di statistica spagnolo — ha ridefinito la portata della pandemia nel Paese, parlando di 76mila e non 47 mila morti. Il governo iberico non ha però mai adottato questa stima, che dunque non si riflette nella classifica qui sotto.
Covid, in Italia 112 morti ogni 100mila abitanti: è il dato peggiore tra i 20 Paesi più colpiti dal coronavirus
L’Italia risulta invece terza al mondo, sempre tra i 20 Paesi più colpiti, per il numero di morti rispetto ai contagiati dal coronavirus Sars-CoV-2 (3,5%): davanti ha Iran (4,7%) e Messico (9%). Al quarto posto il Regno Unito (3,4%), seguito da Indonesia (3%) e Spagna (2,7%).
Se si allarga lo sguardo, conteggiando non solo i Paesi più colpiti ma tutti i Paesi nel database dell’università, l’Italia è quarta al mondo per numero di morti per 100 mila abitanti: peggio fanno la Repubblica di San Marino (prima con 162,79 morti ogni 100 mila abitanti), il Belgio (161,57) e il Perù (115,22). Il dato relativo a San Marino è però statisticamente poco significativo, viste le dimensioni totali della popolazione del Titano (dove i morti per Covid sono in tutto 55).
Stando ai dati dell’ateneo, ritenuto sin dall’inizio della pandemia tra le fonti più affidabili di dati, nel mondo i decessi per coronavirus sono pari a 1.674.840. In termini assoluti, al primo posto ci sono gli Usa con 313.588, seguiti dal Brasile con 185.650 e dall’India con 145.136. In tutta Europa, i decessi sono oltre 500 mila, 67.894 solo in Italia.
Durante la conferenza stampa di presentazione del «decreto Natale», il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha risposto a una domanda che si focalizzava sull’alto numero di decessi in Italia. «I morti restano una ferita aperta per tutti gli anni a venire», ha detto, prima di indicare alcune delle cause dietro a questo dato: «I decessi», ha spiegato, «dipendono da molti fattori. Abbiamo una popolazione molto anziana, la seconda al mondo dopo il Giappone. Le statistiche dicono che la morte colpisce chi ha delle co-morbilità.
E dipende anche dagli stili di vita. Con gli scienziati stiamo studiando le risposte, ma qui la politica si ferma e lascia spazio alla scienza».
Secondo quanto riportato dall’Istituto superiore di Sanità, nel suo report sui decessi in Italia (aggiornato al 9 dicembre 2020), l’età media dei pazienti deceduti e positivi a Sars-CoV-2 è 80 anni (l’età mediana è di 82), più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione. Analizzando i dati di 5838 decessi, per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche, l’Istituto superiore di Sanità ha rilevato che il numero medio di patologie osservate nei pazienti morti di Covid è di 3,6: 182 pazienti (il 3,1% del campione) non presentavano altre patologie, 724 (12,4%) presentavano una patologia, 1077 (18,4%) ne presentavano 2 e 3855 (66,0%) presentavano 3 o più.
Come spiegato però qui, l’età media elevata non può spiegare, da sola, come mai ci siano così tanti morti in relazione alla popolazione in Italia. Marco Imarisio pochi giorni fa parlava del «disastro della medicina di base» e citava Roberto Bernabei, tra i più importanti geriatri nostrani: «Durante la canicola del 2003 ci fu una strage di anziani con le stesse patologie che vengono rese letali dal Covid-19. “Anche allora accadde una cosa tremenda: chi aveva una buona e continua assistenza domiciliare, ce la faceva. Chi non l’aveva, moriva. Se ne discusse molto, non cambiò nulla”». Non solo: l’Ispi suggerisce il paragone «con chi aveva sbagliato proprio tutto e oggi se la cava meglio di noi», come il Regno Unito: «A marzo, l’Italia ha inasprito le misure sei giorni prima del Regno Unito, che a parità di circolazione virale è arrivato ultimo. La media nazionale dei decessi al momento dei rispettivi lockdown è stata di 59 morti al giorno per noi, 140 per UK.
Alla fine della prima ondata, noi abbiamo avuto un picco di 800 morti al giorno, loro di 920, una media durata più della nostra. Invece a ottobre, per Londra e dintorni le nuove restrizioni sono scattate quando venivano registrati 120 morti ogni 24 ore. Dieci giorni prima dell’Italia, che ha adottato il sistema “a zone” quando ormai contavamo 350 decessi quotidiani. A parità di avanzata dell’infezione, oggi la curva britannica è più bassa della nostra, una media quotidiana di 460 persone scomparse contro le nostre 740. Carlo La Vecchia, docente di epidemiologia alla Statale di Milano calcola in venti giorni il tempo perduto. “Dal 10 al 30 ottobre ogni indice suggeriva di correre ai ripari, ma abbiamo dovuto attendere il Dpcm del 4 novembre. Ottobre è stato come febbraio durante la prima ondata. Gli stessi segnali. Allora non sapevamo, non avevamo capito. Questa volta sapevamo bene che agire subito era fondamentale”».
(In una prima versione di questo articolo, si indicava erroneamente l’Italia come il Paese con più alto numero di morti per 100mila abitanti, senza specificare che questo dato è vero solo se si considerano i 20 Paesi più colpiti in assoluto dalla pandemia)19 dicembre 2020 (modifica il 19 dicembre 2020 | 20:20)
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